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Autore: Yasmine Nevola    25/08/2011    0 recensioni
Joseph è un vampiro di duecento anni, dall'aspetto e dal carattere di un ventenne, che si ritrova a dover fare coppia fissa di caccia con Corrie, vampira della quale non condivide la dieta e le scelte di vita, e che ha un odore tremendamente irresistibile, quello del suo sangue. Ma come ogni vampiro, Joseph sa che la prima regola della sua razza è quella di non bere mai il sangue di un altro simile.
Nel frattempo qualcosa di pericoloso si aggira nei pressi della comunità vampira, persino più pericoloso dei suoi abitanti...
Così Joseph è costretto in una scelta importante: se salvare la sua compagna o meno. E quando si ritrova a combattere tra la vita e la morte, nonostante quell’esistenza non dovesse più proporgli quella scelta, qualcosa incomincia a spezzarsi e a mutare, sconvolgendo e cambiando la sua vita, che tramite un oscuro legame si ritroverà intrecciata a quella di Corrie per sempre, portandolo sempre più a riscoprire sentimenti umani come l’amore e la paura. E ancora una volta si ritroverà a dover fare una scelta... Quale sacrificio sarà disposto a fare per amore?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta
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RED ROSE

le regole di un vampiro


Yasmine Nevola



 



I Regola

Mai bere il sangue di un altro vampiro

 

 

 


Corrie era un vampiro come me, ma sembrava non essersi mai abituata all’idea di esserlo, si ostinava sempre a cibarsi di qualsiasi sangue purché non umano.

Nella nostra comunità lei era infinitamente importante, il suo incredibile olfatto ci permetteva di individuare un’ottima preda senza dovercisi avvicinare troppo, senza dover mettere a repentaglio la sicurezza della nostra razza. Gli esseri umani non dovevano sapere della nostra esistenza.

L’avevo sempre considerata un’ottima vampira, a parte per quella sua strana “dieta”, ma dovevo ammettere che avesse ben più di un lato scomodo. In realtà aveva due caratteristiche decisamente compromettenti. Primo: l’odore del suo sangue era più buono persino di quello di un essere umano. Secondo: aveva un’incredibile predisposizione a tagliarsi con qualsiasi tipo di oggetto
persino quello apparentemente più innocuo. Erano decisamente due lati fatali per la nostra razza, perché chi conosceva le regole sapeva bene che la prima era quella di non bere mai il sangue di un altro vampiro. Trattenermi sempre dal succhiare il suo era un’agonia. A volte avrei voluto ucciderla per quanto fosse difficile resisterle. Ma se avessi bevuto il suo sangue sarei morto, non potevo rischiare tanto.

Pochi vampiri potevano vantare il fatto di aver succhiato il sangue dei loro simili, questo perché ufficialmente era dichiarato un atto che risultava nella maggior parte dei casi letale. Si poteva sopravvivere come quei pochi... ma si poteva anche morire.

Un certo Anthony dell’Europa nordica affermava di aver bevuto accidentalmente il sangue di un proprio simile e di non essere morto. Era stata un’esperienza, a suo avviso, unica e devastante. Era
come morire di nuovo, come trasformarsi ancora in un vampiro. Non aveva fatto altro che ampliargli nuovamente tutti i sensi. Ma come ho già detto, erano molto pochi quelli che sopravvivevano, e nessuno era così folle da rischiare la propria eternità per provare l’esperienza di Anthony. Io stesso non l’avrei fatto, per questo trovai decisamente crudele la scelta di Dominic di farmi fare coppia con Corrie. Resistere durante la caccia, solo con lei, sarebbe stata davvero una dura prova. Ma con Dominic non si discuteva, era lui a decidere le coppie, e, per qualche motivo, a me sconosciuto, doveva esserci una buona ragione dietro a questa sua scelta.

 




II Regola

Mai cacciare un numeroso gruppo di umani

 

 

 

 

 

Attraversai di fretta il bosco che circondava la casa. Una volta raggiunta la soglia però vidi Randy.
 
«I Mastini sono stati qui» mi disse vedendomi arrivare.

Maledizione
. Pensai fermandomi.

«Quelli schifosi non rispettano i confini» dissi irritato. In genere erano un casato del Canada del nord, un po’ lontani dal loro territorio.

«Hanno sterminato l’intera famiglia» m’informò.

Errore madornale, non si dovevano mai fare fuori tante persone tutte assieme, ma quegli idioti parevano non arrivarci mai, come se trasgredire le regole fosse più “cool”.

«Perché sono tanto stupidi?» chiesi arrabbiato.

«Non so dirtelo» disse inespressivo Randy.

Un motivo c’era se esisteva questa regola, non potevi mai sapere con certezza che non ci fosse un altro essere umano nelle vicinanze che poteva lanciare l’allarme. Nessuno di noi voleva un’altra caccia alle streghe, per questo tutti i casati, che andassero d’accordo o meno, rispettavano questa regola universale.

«Sai se ci fosse qualcun altro?» chiesi, cercando di calmarmi.

«Non mi pare... Comunque qualcuno deve avvisare Alan e Dominic.»

«Faccio io...» mi offrii.

«No, vado io. Tu raggiungi Corrie, è nelle vicinanze ad assicurarsi che non sia fuggito nessun umano» mi ordinò.

Mi voltai in fretta e sparii dallo spiazzo della casa per addentrarmi di nuovo nel bosco.

Trovare Corrie non era mai un’ impresa difficile, l’odore del suo sangue lasciava una netta scia. Da questo punto di vista quel profumo risultava molto utile.

«Trovato nessuno?» le chiesi, raggiungendola.

Lei scosse la testa. «Nessuno... Non ne è rimasto neanche uno» disse, con aria un po’ desolata. A volte dimenticavo quanto le provocasse dolore sapere della morte di qualche umano, anche se non per mano sua. Non aveva mai assistito al nostro pasto, non le piaceva vedere le persone morire. Non aveva mai assaggiato sangue umano, forse per questo riusciva ad astenersi tanto dal berlo.

Le posai una mano sulla spalla, cercando di confortarla come avevo visto fare tra esseri umani. Ormai ricordavo molto poco della mia natura passata.

«Meglio fare un ultimo giro d’ispezione» dissi risoluto, su queste cose non bisognava mai andare leggeri, dovevamo essere sicuri che non ci fosse nessuno.

«Sanno essere proprio crudeli» mi disse riferendosi ai Mastini.

«Sono dei deficienti. Non è una casualità se li chiamiamo anche “i Miserabili”... Tu sei mai riuscita a vederne uno? Io personalmente no, fuggono sempre dopo aver fatto stronzate del genere.»

Lei rimase silenziosa dietro di me, mentre perlustravamo un’altra volta la parte ovest del bosco.

«Quanti potevano essercene?... di Mastini intendo» riprese a parlare.

«Non so... non sono entrato nella casa, e non so quante carcasse hanno lasciato» le risposi.

Lei si fermò. «Chi ha dato l’allarme?»

La guardai perplesso. «Che vuoi dire?»

«Chi ha scoperto che i Mastini hanno invaso il nostro territorio?»

«Non ne ho idea... A me hanno detto solo di venire qui.»

«Credo che ci sia un infiltrato» disse seria in volto.

Risi. «Corrie, non esistono gli infiltrati tra vampiri. Non andiamo d’accordo e basta, per questo apparteniamo sempre allo stesso casato... Ti confondi con gli esseri umani.»

«Siamo stati anche noi umani, non lo ricordi?»

Tornai serio. «Questo non vuol dire che conserviamo certi stupidi istinti.»

«Joseph, non puoi considerare un bene ciò che siamo adesso e sbagliato ciò che siamo stati. In fondo eravamo destinati ad essere umani, non vampiri... quella è stata la scelta di chi ci ha trasformati.»

«Io preferisco questo» risposi. «Tornando al discorso di prima, che vuoi dire per infiltrato?»

«Credevo che non fosse possibile» mi stuzzicò.

«Non è da escludere del tutto forse» dissi roteando gli occhi.

«Non so, qualcuno fa il doppio gioco. Alcuni di noi sono sempre fuori, come giustifichi il fatto che i Mastini abbiano trovato un punto scoperto? Non possono averci messo poco ad uccidere una famiglia intera, qualcuno li ha coperti.»

Forse non aveva tutti i torti.

«Di queste cose si occupa Dominic» le risposi, «Meglio dirlo a lui.»

Lei mi fermò con un braccio prima che potessi ripartire nell’ispezione. «Possiamo fidarci?»

«Che vuoi dire?» Non si fidava di Dominic?

«Dico solo che è meglio tenercelo per noi per adesso» concluse, lasciandomi andare.

«Wow, dobbiamo condividere anche un segreto?» scherzai.

«Se ti do così fastidio perché non hai chiesto di farti mettere in coppia con qualcun altro?» mi chiese con una punta di irritazione, mentre attraversava un cespuglio.

«L’unica cosa che mi infastidisce è la tua sconsiderata facilità di ferirti.»

«Non è vero» replicò scocciata, mentre un rivolino di sangue le colava già dal braccio passato con troppa velocità in quel cespuglio di spine.

«Appunto» mi dissi sconsolato, trattenendo il respiro.

Lei cercò di tamponarsi la ferita. Io strappai un lembo della mia maglietta e glielo passai.

«Grazie» disse prendendolo riluttante, senza saper più come fare a tamponare quel taglio. In fondo sapeva di dover rimediare per evitare che impazzissi a quell’odore. Era un passo avanti.

Avvolse stretta la ferita e io tornai a respirare.

«Qui non mi pare ci sia nessuno» dissi guardandomi attorno.

Non sentendola confermare la mia tesi mi voltai a guardarla.

Era immobile.

«Che...?»

Lei mi zittì alzando una mano.

«C’è qualcuno» disse sottovoce.

L’afferrai per il braccio sano e saltai sul ramo di un albero che considerai abbastanza robusto per il nostro peso.

«Vampiro o umano?» le chiesi.

«Non riesco a capirlo» mi disse con espressione confusa.

Come poteva non capirlo? Lei aveva un olfatto superiore al nostro, e per quanto ne sapevo l’odore di un vampiro era molto diverso da quello umano.

Qualcosa passò velocemente sotto di noi.

Era decisamente troppo veloce per essere un essere umano.

Una sagoma nera si fermò sotto di noi, nonostante fosse giorno la luce faticava ad attraversare i fitti rami degli alberi, perciò era impossibile capire con che cosa avessimo a che fare.

La figura alzò la testa di scatto, facendomi spaventare al punto di perdere quasi l’equilibrio. Ecco perché odiavo gli esseri umani, certi istinti che sembravo conservare erano davvero irritanti.

Corrie si strinse a me. «Non è umano» disse con voce tremante, «...Ma non ho mai visto un vampiro così.»

Non so se quell’essere ci avesse visti, rimaneva immobile col viso alzato se quello era davvero un viso.

«Temo che non siano stati i Mastini ad uccidere quella famiglia» disse Corrie.

Beh, se non altro giustificava il fatto che non avessi avvertito subito la presenza di quell’essere. Non era niente che conoscessimo.

Una voce risuonò nella mia testa: “ Vi vedo”.

Corrie si voltò verso di me allarmata.

«L’hai sentita anche tu?» le chiesi confuso, convinto che fosse stata solo nella mia mente.

E vi sento”.

Lei annuì lentamente.

Abbassammo lentamente il viso verso l’essere sotto di noi. Aveva il volto coperto di sangue, quello della famiglia uccisa probabilmente.

Il vostro odore è decisamente troppo forte per potervi nascondere” disse di nuovo. Non so come ci riuscisse, ma quell’essere ci parlava attraverso la mente.

Lanciai un’occhiata al braccio di Corrie che non aveva smesso di sanguinare. Doveva essere quello ad attirarlo.

«Maledizione, sapevo che sarebbe stata una scocciatura » mi lamentai, afferrandola di nuovo e cercando di scappare con quanta più velocità potessi raggiungere.

L’essere si mosse.

«Credo che a questo punto sia da escludere l’ipotesi dell’infiltrato» dissi correndo nel bosco.

Corrie mi stava dietro. Beh, non poteva far altro dato che la tenevo per un braccio.

«Sì... ma non è di questo che mi preoccuperei» mi rispose.

«È dietro di noi?»

«Non è questo il punto, credo siano più veloci di noi, per questo non li abbiamo colti sul fatto... dunque non mi preoccuperei di trovarmelo dietro.»

Di nuovo il mio istinto umano mi fece tremare. Brutta bestia la paura.

«Credi che ci prenderanno?» chiesi senza nascondere il mio timore.

«Spero di no, ho la sensazione che siano più insaziabili di noi... hai visto come hanno avvertito il mio sangue?»

Saltai su un altro albero nella direzione di una città vicina.

«A proposito di questo» dissi cercando di sdrammatizzare, «Dici che se ti volessi meno bene avrei lasciato che appagassero la loro sete? Almeno mi sarei liberato di questa tua sbadataggine.»

«Non è il momento di scherzare su certe cose! E poi sai che l’odore del mio sangue è forte già senza che mi tagli» ribatté irritata.

«Ma se evitassi l’invito...» la presi ulteriormente in giro.

Mi tirò un pugno sul braccio.

Ancora qualche metro e sbucammo su una statale.

«Corrie, credi che abbiano regole?... Noi in genere non dobbiamo avvicinarci alla società... Sarà così anche per loro?» le chiesi perplesso, mentre seguivo il cartello che indicava l’ingresso della cittadina.

«Lo spero» mi rispose seguendomi lungo la strada.

Dietro di noi non sembrava esserci nulla, ma questo mi inquietava più del contrario. Se quell’essere poteva parlare attraverso il pensiero chissà cos’altro poteva fare.

«Credo che non siano di qui... Forse sono nomadi, o si stanno spostando... Mi chiedo se abbiano davvero delle regole per non farsi scoprire dagli umani, in fondo potrebbe non importargli e presto sterminerebbero chiunque» mi disse Corrie una volta nella cittadina.

Cercai di trattenere il respiro tra tutti quegli umani. Non è che non stessi mai tra la gente, ma succedeva raramente.

«Non so» le risposi, cercando di distrarmi dal resto, «Se così fosse mi sembra strano che fino a questo momento non sapessimo della loro esistenza.»

«...Hai ragione.»

«Che dici, è meglio che restiamo lontano dalla comunità per un po’? Per evitare di portarceli dietro, dritti a casa...»

«Ma per gli altri non può essere pericoloso non sapere?»

Sospirai.

«Per adesso facciamo così» decisi.

Mi sorpresi di come Corrie riuscisse a camminare lucidamente tra gli esseri umani. Non immaginavo potesse confondersi così facilmente tra loro. In fondo sospettavo che fosse attaccata alla sua parte umana più di qualunque altra cosa, forse per questo si ostinava a non nutrirsi come noi, come se quello potesse bastare a renderla qualcosa che non era ormai più.

Ci fermammo in un parco deserto, cercando di evitare di passare troppo nel mezzo della cittadina, malconci com’eravamo: io con la maglietta strappata e lei con un braccio sanguinante.

«Fortuna che ho mangiato ieri» dissi guardandomi attorno.

Corrie rimase su un’altalena a fissarsi assente i piedi.

«Scherzavo» aggiunsi. Lei non alzò lo sguardo.

«Mi avresti lasciata davvero morire?»

La osservai. «Certo, così avrei scoperto se bevendo il tuo sangue sarebbero morti come noi vampiri... Una cavia per il bene comune insomma» scherzai.

«Hai veramente l’umorismo crudele del vampiro» mi rimproverò.

Alzai le spalle. Ero un vampiro.

Mi avvicinai a lei e rimasi poggiato ad una delle catene dell’altalena. «Non te la prendere. Anche tu sei una vampira, com’è che non sei dotata dello stesso umorismo?»

«Perché sono anche una donna» mi rispose.

Tornai serio. «...Non più» le dissi piano.

«Beh, donna, femmina... come vuoi chiamarmi...»

Sospirai. «Non è che ti voglia maltrattare... Cerco solo di sdrammatizzare.» Chissà perché stavo tentando di giustificarmi. Credo che fosse lei in fondo a risvegliare quelle parti umane di me, con quel suo rigido tentativo di rimanere aggrappata al suo passato. Non so come riuscisse ad essere così determinata e costante. Avevo sempre creduto che essere vampiri significasse cedere ad ogni istinto, avvicinandosi ad essere più un animale che altro, ma lei difficilmente cedeva, come se ciò che la rendesse come noi fosse solo la sete di sangue quella animale un paio di occhi iridescenti e una sconsiderata forza. Per il resto sembrava umana.

«Joseph.»

La osservai.

«La mia pelle comincia a surriscaldarsi sotto al sole.»

Effettivamente il suo colorito si stava accendendo, anche il mio non era da meno.

«Cerchiamo un riparo» le dissi guardandomi attorno, alla ricerca di un posto all’ombra. Mancava ancora qualche ora al tramonto, ma ne bastavano un paio per crearci qualche problema. Non eravamo come i vampiri delle leggende europee, non ci bruciavamo al sole, ma la luce solare ci irritava la pelle come un’allergia, poi apparivamo troppo coloriti per passare propriamente inosservati. Poteva invece risultare davvero letale sulla pelle di un neo vampiro, poteva ucciderlo, ma io e Corrie avevamo passato quell’età.

Approfittandone per trovarne riparo, entrammo in un ospedale. Non avevamo mai avuto bisogno di certe apparecchiature mediche tra vampiri, ma pensai che un’aggiustatina al braccio di Corrie non avrebbe guastato.

«Spero che non badino molto alla nostra pelle» disse lei sottovoce, preoccupata.

«Non è così grave» la rassicurai, mentre davo dei nostri dati fasulli alla reception.

Un’infermiera fece accomodare Corrie su un lettino nel corridoio per disinfettarle la ferita.

«Che hai fatto, cara?» le chiese fasciandola.

«Mia sorella è sbadata» risposi per lei.

Corrie mi fulminò con lo sguardo.

Quando l’infermiera sparì lei si sfogò. «Tua sorella?» mi rimproverò.

«Pensavo volessi contestare sul “è sbadata”» risposi confuso.

«Sono abituata a certi tuoi amorevoli apprezzamenti» rispose sarcastica.

«Di che ti lamenti? La prima cosa che mi è venuta in mente quando alla reception mi hanno chiesto “che parentela avete” è stato quello di rispondere che siamo fratelli... Che c’è, ti da fastidio?»

«Stavolta potrei risponderti male io... E guarda che non ci assomigliamo affatto.»

Mi guardai attorno. «Noi vampiri ci assomigliamo tutti, che tu ci faccia caso o meno» le risposi trascinandola via prima che se ne accorgesse qualcuno.

«Non sono come te» contestò una volta fuori.

Rimanemmo sotto la tettoia, riparati dal sole che già cominciava a calare.

«Ah, sì?... E come sei?»

Lei mi guardò allibita. «Non puoi giudicare qualcuno dalla razza a cui appartiene.»

«Di solito è il mezzo di misura comune.»

«Sei davvero un idiota... e voi vampiri siete tutti insensibilmente uguali» mi rispose allontanandosi. Fortunatamente là intorno non c’era nessuno, perché con quel suo tono alto e melodrammatico avrebbe potuto scoprirci.

«Corrie...» la chiamai, mentre un forte odore di sangue mi invadeva i polmoni.

Un’ambulanza arrivò a sirene spiegate, a giudicare dall’odore doveva contenere un paio di feriti. Non era buono per me rimanere lì.

Attraversai la strada di fretta e cercai di trattenere il respiro.

Anche voltandomi più volte non riuscii a vedere Corrie, e cercarla tramite odore non era possibile, quello dei feriti impregnava tutta l’aria nel giro di qualche miglia, colpa della scia lasciata dall’ambulanza. Per non parlare del fatto che la buona fasciatura fatta dall’infermiera impediva ulteriormente di avvertire il sangue della vampira.

 





III Regola

Mai sottovalutare le altre razze

 

 

 

 

Anche percorrendo l’intera città non trovai Corrie da nessuna parte.

Quando mi assicurai che l’odore del sangue umano fosse abbastanza lontano, ripresi a respirare normalmente, per cercarla più facilmente.

Non capivo perché si fosse arrabbiata tanto, non c’era motivo di dover discutere su cose del genere. Come avevo sempre pensato lei assomigliava più ad un essere umano che non ad un vampiro, conservava ancora tutti i sentimenti di quella razza: il risentimento, la compassione, l’insoddisfazione, l’amarezza, quella smania di volersi distinguere dagli altri, di sentirsi in qualche modo diversi, il desiderio di colpevolizzarsi spesso. Per certi versi aveva ragione lei: non mi assomigliava affatto, e non assomigliava a nessuno della mia specie.

Cercai di avvertire il suo sangue, ma faticai a distinguerlo tra gli odori forti della cucina umana. Nelle casi circostanti gli uomini si preparavano alla cena. Mi ritenni un’altra volta fortunato di aver già “mangiato”, altrimenti lì in mezzo non avrei risposto di me, anche se sapevo bene che nessun vampiro sarebbe dovuto andare a caccia senza il proprio compagno. La fortuna voleva che alla nostra razza bastasse nutrirsi un giorno si e uno no, sopravvivevamo comunque. Anche se l’odore umano rimaneva sempre irresistibile.

Mi fermai davanti ad una vecchia ed abbandonata caffetteria ai confini della piccola città. Dubitavo che Corrie ci vagasse ancora nel mezzo.

Il mio sguardo cadde automaticamente sulla mia sagoma riflessa sulla vetrina. Era da moltissimo che non osservavo il mio aspetto, in quanto sopraffatto spesso da istinti animali non provavo mai il desiderio di specchiarmi in qualcosa.

Per quanto potessi ricordare, il mio aspetto fisico non era cambiato affatto da quando ero stato un essere umano, anche se forse erano passati troppi anni per ricordarlo. Forse le uniche eccezioni erano gli occhi rosso sangue ed i capelli molto scuri. Credo che in vita fossero stati castani. Forse.

La mia maglietta era ancora strappata, e avevo l’aspetto livido di un essere umano che aveva l’aria di essere stato investito da un camion. Nonostante tutto questo, alle mie prede sarei parso comunque piuttosto affascinante e persino attraente. Non so che genere di assurdi gusti avessero in quella razza. Si poteva dire che nella mia non ci fosse questa forma d’attrazione, anzi, non capitava mai che sentissimo il desiderio di instaurare certi rapporti, e l’aspetto fisico non era di alcuna rilevanza.

Sfiorai quei capelli che parevano rimanere così da un’eternità. Non mi erano mai ricresciuti.

Ad un certo punto sentii uno strozzato lamento provenire dal bosco riflesso alle mie spalle.

Era Corrie.

Mi voltai in fretta e presi a correre, senza curarmi troppo che mi potesse notare qualche auto sulla statale che stavo attraversando di corsa.

Balzai tra gli alberi con rapidità e sentii il sangue di Corrie riempirmi nuovamente i polmoni.

Era sangue fresco.

I suoi lamenti divennero più acuti. Cercai di non pensare a cosa stesse succedendo, ma era facile da immaginare.

Seguii con più velocità la sua voce e il suo odore.

Quando sbucai in un mezzo spiazzo di radura finalmente la vidi. Era a terra, sanguinante. La sua espressione era straziata dal dolore.

Con un balzo fui su di lei.

Non feci in tempo a chiederle come stesse che qualcosa mi scaraventò molto lontano da lei, facendomi precipitare contro il tronco di un albero. Sotto il mio peso quell’albero cadde come una pedina di domino, spezzando i rami di quello appena dietro.

Cercai di rialzarmi senza far caso al dolore delle mie ossa fratturate. Non credevo che potesse succedere ai vampiri di soffrire di certi mali, ma forse solo perché non mi era mai capitato prima di incontrare qualcuno più forte di me.

Tornai in un lampo in quella mezza radura, stavolta nessuna paura umana mi avrebbe fermato.

L’essere, dall’aspetto decisamente singolare e lontano da quello di un essere umano, era chino su Corrie. Lei si dimenò sotto quella figura che, paragonata a lei, pareva enorme.

Mi lanciai in suo aiuto, dando uno spintone a quello che avrei definito un animale troppo grosso.

Azzardai un salto su quell’essere, cercando di riuscire nell’improbabile tentativo di ucciderlo mordendolo.

Corrie mi fermò con tutta la sua forza, se ancora ne aveva in quel corpo che stava divenendo esangue per le troppe ferite.

«Joseph, è un vampiro! Non morderlo!» mi disse in fretta.

Mi bloccai immediatamente. Come poteva essere un vampiro quello? Non ne avevo mai visto uno simile. Cercai di capire cosa lo rendesse esattamente tale. Era difficile immaginare che un coso simile potesse avere qualche relazione con noi. Comunque morderlo a quel punto sarebbe risultato letale anche per me. Se proprio dovevo morire preferivo farlo bevendo il sangue di Corrie piuttosto che di quella cosa pelosa.

La creatura tornò all’attacco. Io feci un balzo in dietro, e per un pelo la evitai.

«Scappa, Corrie» le dissi, mentre lei rimaneva ancora aggrappata malamente a me.

«Credo di avere una gamba rotta» mi rispose. Io sbuffai.

L’enorme vampiro ci atterrò entrambi.

«Chi l’avrebbe mai detto che saremmo morti assieme» dissi divertito a Corrie.

«Trovi sempre i momenti sbagliati per scherzare» mi rispose arrabbiata.

«No, effettivamente è in una maniera più nobile che voglio morire» dissi sferrando un calcio più potente possibile contro il vampiro.

Afferrai un braccio della vampira sperando non fosse rotto anche quello e me la caricai sulle spalle per correre via nel bosco.

«Mi rendi le cose sempre difficili... Ci sarà un motivo se i vampiri si muovono a coppie, dovremmo coprirci le spalle a vicenda» le dissi sfrecciando tra gli alberi.

«Beh, non ti ho avvisato forse io che quello fosse un vampiro prima che ti auto-uccidessi?» mi rispose. Come se quell’avvertimento avesse ripagato tutte le volte che le avevo salvato io la vita.

«C’è rimasto un solo osso sano nel tuo corpo?» replicai, per dimostrarle si sbagliasse.

Lei non rispose.

«Beh, forse quello del cranio: sei sempre una zuccona!»

«Non sono messa così male!» si lamentò.

«Ah, no? Allora a quest’ora dovresti scappare sulle tue gambe.»

«Sei tu che sei voluto andare in città.»

Aggrottai la fronte, mentre tentavo di concentrarmi sul percorso più veloce verso la comunità. «Perché?»

«Mi ha attaccata in città, sono scappata nel bosco per evitare che qualcuno lo vedesse... Sai non è facile distrarre una cosa simile da tanta “selvaggina”. Mi sono dovuta ferire da sola apposta per adescarlo fuori.»

Perfetto. Come se già non si ferisse abbastanza involontariamente.

«Non ti ci sarà voluto molto sforzo» scherzai, «Magari bastava che rimanessi ferma con le braccia aperte perché una goccia di pioggia di tagliasse un polso.»
«Ma quanto sei idiota?» mi disse, cercando di colpirmi con le ossa che non aveva.

«Ehi, ti sembra modo di ripagare chi ti sta salvando la vita? Stai un po’ ferma che tanto finisci per farti male solo tu.» Le tirai un pizzicotto alla gamba.

Stare con lei in un certo senso mi divertiva, era l’unica a prendersela per qualsiasi cosa, una vera goduria per uno come me.

Deglutii con disgusto e trattenni il respiro. Il sangue di Corrie diventò troppo forte e pungente. In quel momento ricordai perché mi infastidisse tanto dover far coppia con lei. Era decisamente un profumo troppo forte perché potessi sopportarlo. Adesso era davvero insostenibile.

«Corrie.»

«Che c’è?» mi chiese confusa, come se non facesse caso al mio dolore.

«Hai le mani pulite?» La strada era ancora troppo lunga per pensare di farla trattenendo solamente il respiro.

«Cosa intendi?»

«Dal sangue, hai le mani pulite dal sangue?» le chiesi in fretta, senza riuscire a trattenere facilmente la ragione. Il bello di non essere del tutto dei veri e propri animali era sicuramente quello di mantenere quel briciolo di ragione che permetteva di salvarci la vita.

Me le mostrò. Erano piuttosto pulite tutto sommato, forse non si era toccata le ferite, come invece avrebbe fatto uno stolto essere umano.

«Coprimi il naso e la bocca... altrimenti qui ci rimaniamo secchi entrambi» le dissi.

Lei probabilmente si guardò le innumerevoli ferite. «Troppo forte oggi, eh?» mi chiese dopo aver fatto, senza discutere, ciò che le avevo chiesto.

Annuii. Potevo non respirare ma trovavo impossibile utilizzare la voce senza farlo.

«...Scusa» mi disse innocentemente. L’odore del suo sangue mi impregnava ormai anche i vestiti.

Sospirai.

«... Anche se non credo che perderesti mai il controllo» mi disse.

Ringrazia che non ti possa rispondere in questo momento... credo che non ti risparmierei una delle mie frecciatine.

«Ehi, non immagino tu lo faccia per affetto... almeno per amor proprio» continuò, doveva piacerle poter parlare senza che potessi interromperla o turbarla con le mie battute.

No, credimi, cara, ci vuole anche una buona dose d’affetto qui per non sbranarti. Forse non hai idea di come profumi il tuo sangue... Oggi poi si sente in tutta la sua essenza. Potrei scegliere di morire per placare questa sete straziante... E non avresti molta scelta.

Sfrecciando su diverse montagne riuscii a scorgere la foresta vicino alla comunità.

Tirai un sospiro di sollievo. Non mancava più di una mezz’ora.

«Joseph... mi brucia il braccio» m’informò Corrie.

Liberai un braccio con il quale la sostenevo per afferrare il suo che mi copriva il naso.

Lo osservai. Non sembrava esserci qualche particolare ferita, solo tagli.

«È l’altro, Joseph» precisò dopo.

«Eh cazzo. Dillo, Corrie! Cosa aspetti che me lo immagini? Sai che non posso parlare» mi uscì soffocato.

Lei rise. Che aveva da ridere? Non lo faceva mai, solo in situazioni così critiche. Forse era più sadica di me, senza che però se ne rendesse conto.

Le afferrai l’altro braccio. Neanche lì mi sembrava ci fosse nulla di anomalo.

Lei continuava a ridere.

Non riuscii a trattenermi. «Ti rendi conto che rischiamo entrambi la vita? Non devo respirare l’odore del tuo sangue!»

«Lo trovo solo buffo.»

«Ok, allora adesso mi giro e ci uccido entrambi qui, spegnendo la sete che mi stai facendo patire, almeno così avrò un po' di soddisfazione... È altrettanto buffo?» dissi spazientito.

«Bah, forse... ma forse ti conviene smettere di parlare, così risparmi il fiato» mi rispose tranquillamente.

Avrei voluto ucciderla solo per l’affermazione. Mi irritava, e per di più non doveva patire neanche il minimo sforzo.

Le morsi la mano che mi copriva la bocca, non tanto da farla sanguinare però.

«Ahi!» si lamento.

Un sorriso compiaciuto mi si dipinse sul volto, non potevo certo continuare la corsa di almeno un quarto d’ora senza attenuare un po’ la rabbia nei suoi confronti.

La sua smania di parlare in compenso si spense, e rimase zitta lungo tutto il resto del tragitto, massaggiandosi la mano che le avevo morso.

«Vedrai che non morirai» le dissi arrivati davanti alla comunità, una volta fatta scendere dalle mie spalle.

Lei mi fece una linguaccia e si appoggiò ad un albero per non cadere.

Dall’uscita principale sbucò in gran fretta un uomo di colore, era Dominic.

«Si sente l’odore del suo sangue da miglia di distanza... Siete matti?»

«Uno strano vampiro ci ha attaccati» gli risposi.

«Non deve stare qui, portala nella casa ad ovest della montagna, il suo odore farà impazzire gli altri.»

«Dominic... Sto cercando di dirti che c’è una strana razza di vampiri in giro. Loro hanno ucciso la famiglia che abitava nel bosco a sud.»

Lui si fermò a guardarmi. «Ne parliamo dopo... Per il suo bene, allontanala. Mando Clémence a fasciarle le ferite... solo voi due riuscite a resistere al suo odore.» Detto questo rientrò, con la sua tunica colorata che lo faceva sembrare una sorta di monaco. Dovevo ammettere che a guardarlo mi metteva sempre una certa ironia, forse per la contrapposizione del suo comportamento freddo e posato, al suo modo variopinto di vestire. Credo fosse indirettamente per via della religione alla quale apparteneva in vita. Mi ero sempre chiesto quale fosse.

L’aspirale disegnata sul retro di quella tunica mi incuteva una risata difficile da trattenere.

Corrie mi guardò perplessa.

«Andiamo» le dissi rimettendomela sulle spalle.

«Non mi vogliono?»

«No, puzzi troppo» le dissi sarcastico.

Raggiungere l’altra abitazione del nostro casato non era difficile, né un lungo percorso da sostenere. Bastava scavalcare la montagna lì vicino.

Stavolta per mettere giù Corrie aspettai di essere entrato in casa. I complimenti di Dominic riguardo al mio forte controllo nei confronti del suo sangue mi avevano fatto acquistare un più forte autocontrollo nei suoi confronti.

La casa era una di quelle disabitate dal dopoguerra. Non che avessimo bisogno di un’abitazione umana, ma risultava utile per nascondersi, o estraniarsi dalla comunità. A volte veniva utilizzata come copertura tra gli esseri umani, questo durante i periodi nei quali i Mastini erano stati così poco attenti da incutere negli umani il sospetto che ci fosse qualcos’altro oltre a loro in quelle terre.

Lasciai Corrie su un divano.

Mi sedetti su una sedia lì vicino.

«...Ricordi mai la tua vita umana?» mi chiese con voce debole.

Distolsi la vista dalla finestra e la guardai perplesso. «Stai già delirando?»

Lei riuscì a sbuffare. Sembrava indebolirsi velocemente.

«No... Non ricordo nulla» le risposi, non mi piaceva prendermi gioco di lei anche quando sembrava stare così male.

«Io sì...»

«Hai la febbre?» Come se un vampiro potesse ammalarsi di simili sciocchezze.

«Lo sai che ciò che ci uccide non è il sangue dell’altro?»

Non riuscivo a capire quanto quello che stesse dicendo potesse essere vero. Non pareva molto lucida. Era passata da un discorso all’altro.

«...È la pelle... quando viene morsa produce un particolare veleno che uccide l’aggressore... È come se anche il corpo fosse un vampiro, non riesce a permettere che qualcuno lo privi del suo stesso sangue.»

Non sembrava una stupida teoria. «E perché non è lo stesso per gli esseri umani? Sono così fragili da non avere neanche un corpo che desideri tenerli in vita?»

«È così solo per i vampiri... Il corpo è qualcosa di strettamente materiale, appartiene più alla sfera animale, l’unica che si preoccupa esclusivamente di soddisfarlo... Gli esseri umani si distinguono per i sentimenti, il corpo è solo un mezzo attraverso il quale esprimerli... forse per questo non li protegge a sufficienza» disse rassegnata. Forse lei avrebbe voluto che il suo l’avesse protetta a sufficienza. Lei voleva essere umana, non era difficile da intuire ormai.

«Perché non riesci a separarti da questa tua vita passata?» le chiesi lentamente, con la paura che un tasto per lei tanto delicato potesse farla indebolire ulteriormente.

«Amo gli occhi con i quali gli umani vedono il mondo...»

Rimasi in silenzio.

«Non sarà mai più così, Joseph, non percepirai mai più nulla in quel modo... E poi la vita... Vivere per sempre non ti fa valorizzare allo stesso modo ogni momento. L’essere umano la vive consapevole che ne ha una sola e che è destinata a spegnersi presto.»

E noi no? Voleva dire che la nostra vita valeva poco? Meno di quella umana? Io non credevo di fare un cattivo uso della mia vita, mi sembrava di goderne tutti gli aspetti.

Corrie rimase in silenzio e chiuse gli occhi. Faceva uno strano effetto vederla poco vivace.

Rimasi in silenzio per farla riposare. Di certo non stava dormendo, nessuno di noi lo faceva, non esistevano sogni per creature come noi. Per lo più potevamo rimanere immobili con gli occhi chiusi, ma niente di paragonabile ad un sonno umano. Sentivi tutto il peso delle ore che scorrevano. A volte c’era da farsi prendere dalla noia.

Rimasi a ragionare un po’ sulle parole di Corrie. Lei non si rendeva conto di quanto in fondo fosse rimasta umana, se l’avesse capito forse non si sarebbe data tante pene. E io del resto non provavo invidia, tanto lei era attaccata a quella vita, tanto io ero attaccato a questa. Come le avevo detto, del mio passato non ricordavo nulla ormai, niente da rimpiangere quindi.

Clémence arrivò presto con le bende per medicare Corrie, e io quasi mi dimenticai delle mie ossa fratturate, ma sarei guarito in fretta, perciò non mi lamentai.

«Sta bene?» mi chiese, guardando la ragazza apparentemente priva di sensi.

«Ha solo chiuso gli occhi» l’informai.

«Uff... che odore. Sbaglio o diventa sempre più profumato?» Si riferiva al sangue naturalmente.

«Che sia quello che lei mangia?» scherzai tornando a guardare fuori dalla finestra.

«Una dieta troppo varia per i miei gusti» mi rispose Clémence, «Ho sentito che si nutre di un po’ di tutto.»

«Tutto pur di non ferire un essere umano» precisai.

«Per questo aspetto non è vista di buon occhio nella comunità... Lo sai?»

«Come dargli torto, con quello che Corrie fa, sembra che voglia sottintendere qualcosa.... Che noi siamo disumani, o che lei è in qualche modo migliore di noi... In tutti i casi sembra ci disprezzi.»

Clémence si voltò verso di me. Era una donna paffuta, dall’espressione pacifica, ascoltarla era quasi ipnotico, infondeva una certa serenità. «Lo sai che non è così» mi disse piano, «Altrimenti non starebbe con noi.»

Sì, poteva essere, ma a volte mi chiedevo se, avendo altre possibilità, Corrie non avrebbe preferito andarsene. Se avesse conosciuto un modo per poter tornare umana credo che l’avrebbe utilizzato senza indugiare, anche se poteva richiedere il sacrificio di tutta la comunità. Temevo avrebbe preferito il sacrificio.

«Anche tu la pensi come loro?» mi chiese Clémence, alle prese con le bende.

«Non so cosa pensare. La vampira Corrie mi va bene, ma non sempre ho a che fare con quella.»

«A me Corrie non dispiace... Nel momento in cui decidessero di intervenire, io starei dalla sua parte.»

«Intervenire?» mi alzai dalla sedia, quasi di scatto. Fu praticamente istintivo.

«Non so, si confabula troppo alla comunità» disse un po’ preoccupata.

«Corrie non fa male a nessuno, no? Volersene sbarazzare sarebbe per via di un sentimento umano... per irritazione o non so cosa... A quel punto non saremmo molto diversi da lei, dimostreremmo di essere attaccati anche noi a sentimenti umani, quelli più brutti però.»

La ragazza stesa su quel divano non tirava mai fuori sentimenti spregevoli di quella razza che non eravamo più, lei non desiderava ricordare quella parte dell’umanità... voleva solo rivedere con occhi umani la bellezza di cose che forse non avevamo più la cortezza di osservare. Voleva solo ricordare le cose belle, rimaneva aggrappata solo a quelle. Non era giusto punirla per questo.

Clémence sospirò e si alzò. «Io ho finito... qualche giorno e sarà come nuova.»

Annuii e la lasciai andare.

«...Qui, lontano da tutti, dovrebbe essere al sicuro» mi disse esitando sulla soglia, «E credo che fosse questo quello che a Dominic premeva... Proteggila, lei è troppo “umana” per farlo da sola.»

La vampira andò via.

Mi risedetti sulla sedia, poi lanciai un’occhiata a Corrie.

Aveva ragione Clémence, lei non sarebbe stata in grado di difendersi dagli altri della comunità, forse da qualcuno esterno sì, ma ferire uno dei nostri era da escludere. E io? L’avrei spalleggiata nel momento in cui ci fosse stato un simile attacco?

Non ero fatto per pensare, erano troppi anni ormai che mi basavo unicamente sull’istinto, perciò lasciai perdere quel discorso. Rispondere a quelle domande sarebbe stato incredibilmente più semplice trovandomi direttamente davanti ai fatti, avrei lasciato che l’istinto decidesse per me.

Continuai a guardare il divano.

Corrie era ancora dormiente. In quale strana forma di apatia era cascata? Mi chiedevo se avesse ascoltato il discorso tra me e Clémence.

Osservai il suo corpo immobile. Il suo torace non si muoveva, non respirava, ma non mi preoccupai, non ne aveva bisogno. Nel nostro corpo ogni organo umano cessava di vivere, funzionava solo il cuore, ma non nella stessa maniera dei vivi, era il cadavere di un cuore trasformato che faceva fluire lentamente il nuovo sangue vampiro. Era più lo spettro di un cuore che altro, pompava tanto lentamente che non lo si avvertiva neppure. La nostra esistenza era più un continuo riciclo di sangue, nient’altro ne entrava e nient’altro ne usciva.

Mi chiesi come doveva esser stata quella vampira in vita. Adesso aveva un aspetto decisamente inumano: capelli castano scuro sul mogano, occhi rossi, canini leggermente accentuati per facilitare il pasto, e pelle livida quanto la mia. In vita era minimamente stata così? Aveva conservato qualche caratteristica? Adesso era bella, o almeno così l’avrebbero definita i maschi umani. Per me era solo una vampira.

Mi chiesi se davvero ricordasse qualcosa. In effetti non ero stato del tutto sincero con lei. Ricordavo qualcosa prima della morte, solo una: l’ultimo battito del mio cuore.

 

 




IV Regola

Mai lasciare insoddisfatta la sete

 

 

 

 

Era ormai notte fonda quando Dominic arrivò dal casato per riferirmi che avevano sterminato quella strana razza di vampiri che avevano attaccato me e Corrie. Pare che i nostri si fossero divisi in gruppi per mettere a setaccio tutta la zona. Non chiesi nemmeno come ci fossero riusciti, speravo che bastasse davvero solo un numero superiore di noi per metterli con le spalle al muro. Neanche Dominic non aveva saputo dirmi niente su quella razza, nessuno l’aveva mai vista o sentita nominare, ma aveva ragione Corrie, erano davvero vampiri.

Nell’oscurità della notte sfrecciai tra gli alberi alla ricerca del paese più vicino. Era sempre difficile decidere in che direzione spostarsi, bisognava puntare di certo un luogo pressoché deserto, soprattutto quando ci si ritrovava da soli.

Quella notte la mia meta sarebbe stata Castine una cittadina abbastanza piccola ed abbastanza deserta a quell’ora. Dava sul mare, qualche preda in giro l’avrei di certo trovata.

Quando raggiunsi il primo fioco lampione rallentai, cercando di sviluppare il più possibile il mio olfatto, non avevo voglia di girare tutta la notte.

Camminai per i vicoli scuri delle piccole case in direzione della baia, dove avrei trovato certamente qualche umano reduce da una sbornia da pub.

Nello svoltare in direzione del rumore del mare mi vidi spuntare davanti improvvisamente un anziano signore. Un po’ mi sorprese, non avevo avvertito la sua presenza. Ma era solo. Forse lavorava al porto, spiegava perché fosse in giro a quell’ora.

Sbuffai quando, dopo averlo osservato abbastanza, arrivai alla conclusione che non fosse una buona preda, in quel vecchio corpo non scorreva così abbastanza sangue da soddisfare la mia sete. Non avevo certo voglia di cominciare un pasto per dovermi fermare a metà e cercarmi un altro corpo che mi spegnesse completamente la sete. Meglio lasciar perdere il vecchio. L’unico motivo tra l’altro per il quale non l’avevo avvertito arrivare in fondo era proprio il fatto che non si avvertisse l’odore del suo misero sangue.

Giunto al molo, avvertii una discussione abbastanza accesa. Se avevo fortuna, e la discussione andava nella maniera migliore, mi sarei guadagnato al più presto una preda.

Rimasi ad ascoltare le lamentele di due donne e la voce di un uomo ubriaco che gli rispondeva. Il punto del discorso era decisamente inutile, come ogni discussione umana in fondo, e come previsto la discussione si spense con facilità. L’uomo ubriaco era caduto a terra, credo si fosse addormentato.

«Mi sono stancata di certi tipi che non fanno altro che importunare» disse la donna bionda all’amica. Era pesantemente truccata e portava una minigonna sgargiante. Avrà avuto sulla quarantina d’anni, e decisamente dei pessimi gusti.

«Sono i rischi del mestiere, Meggie... Dai, meglio cominciare a lavorare, altrimenti Ross chi lo sente più?» le rispose l’amica.

«Già... Solito quartiere?»

«Sono dieci anni che sto lì, cosa ti fa credere che cambierò stasera?»

Le due donne si misero a ridere.

«Spero in clienti migliori del poveraccio di stasera» disse la bionda lanciando un’occhiataccia all’ubriaco steso.

«Non ci pensare... Baci baci, Meggie.»

«Sì, baci baci anche a te» si dissero scambiandosi finti baci, forse per non rovinarsi il trucco, che più che altro pareva un affresco da cappella.

Le due donne si divisero ed andarono in diverse direzioni. Io ero rimasto nell’oscurità ad osservarle, aspettavo che sparissero per poter uccidere la facile preda a terra, ma quando la donna rossa, amica di questa bizzarra Meggie, mi passò vicino, la quantità incredibile del suo sangue in corpo mi fece fare un balzo verso di lei.

«Oddio...» disse la donna spaventata vedendomi.

Mi avvicinai lentamente fortuna che Rebecca, una vampira dell’est, mi aveva cucito degli altri abiti da indossare, se no a quel punto non sarebbe stato semplice avvicinare la donna, che tra l’altro sembrava già spaventata di suo.

«Ah, ma sei solo un ragazzo... mi hai spaventata» disse lei, cercando di tranquillizzarsi, ma non lo sembrava comunque affatto.

Ragazzo?... Lo sarò da un paio di centinaio d’anni. Ma effettivamente ne dimostravo centottanta in meno.

Lei indietreggiò. Avrà avuto all’incirca l’età dell’altra donna, stesso trucco pesante e vestiti sgargianti, solo che era più bassina ed in carne. Buon per me.

Fai bene ad avere paura... In fondo i vostri istinti non sono poi così regrediti.

«Che c’è... non sono il tuo tipo?» le dissi piano. Lei reagì tremando, senza smettere di indietreggiare. Avvertiva il pericolo.

«Guarda che non mordo mica» insistetti. Beh, era una piccola bugia ovviamente.

Sentì il mio corpo indebolirsi ulteriormente, erano troppe ore che non mi nutrivo, dovevo lasciare perdere i trucchetti o non avrei più risposto di me.

«...Devo andare» disse la donna, voltandosi. Era sicura di poterlo fare?

Le afferrai una spalla e la bloccai. «Io dico che non hai altra scelta.»

Lei tentò di divincolarsi, mentre alle sue spalle tentavo di affondare i miei canini nel suo collo.

«Basta giocare» dissi spazientito, scaraventandola con una spinta contro il muro.

Lei mugolò di dolore, rialzandosi a stento. Il bello della paura umana era che spesso immobilizzava completamente, il che ci rendeva le cose più incredibilmente semplici.

«Ma... che cosa sei...?» Furono le uniche parole che riuscì a tirar fuori, senza tentare di scappare.

«Non sarò così clemente da spiegartelo... Adesso non sarò così umano» dissi gettandomi su di lei ed afferrandole il paffuto collo.

Lei cercò ancora di divincolarsi, tentativo inutile sotto la mia forza inumana. Strinsi la presa e la sollevai per affondare i canini nella sua carne, mentre un urlo della donna veniva soffocato da una mia mano. Un liquido caldo e denso prese a scendermi giù per la gola, appagando e spegnendo sempre più la sete che mi bruciava dentro. La mia vittima boccheggiò i suoi ultimi secondi di vita ed io continuai a berne il sangue fino a prosciugargliene il corpo, badando poco agli ultimi spasmi della donna.

Quando lasciai accasciarsi il corpo ed allontanai la mia bocca, sul suo collo, sulla mia camicia e sulle mie labbra rimasero delle chiazze di sangue. In fondo avevo fatto un lavoro abbastanza pulito.

Mi sentii sazio, quel corpo, seppur verso la metà della sua vita, conservava del sangue caldo e vitale.

Mi strofinai via con una manica il sangue che imbrattava il mio viso e mi caricai il cadavere sulle spalle. Era pesante per un comune umano.

Arrivai sino al molo e, tagliandole la gola, gettai la donna in mare. Per lo meno se qualcuno l’avesse trovata non avrebbe sospettato di qualcosa come me. Era sempre bene creare delle cause di morte umane, soprattutto dal momento che non eravamo esseri da cibarci di un intero corpo. Farlo sparire poteva essere pericoloso, meglio non creare strane sparizioni sbarazzandocene nei boschi.

Guardai affondare il corpo nell’acqua nera. Quando mi voltai per assicurarmi che l’ubriaco avesse continuato a dormire senza assistere alla scena, mi accorsi di avere qualcosa tra le mani. Era un orecchino della donna, un gancino con una perla rosso scuro come pendente.

Me lo misi in tasca.

«Non era la tua serata» le dissi. Decisi di tenere quell’oggettino un po’ come cimelio.

Mi diedi una rapida occhiata in giro per poi sfrecciare sui tetti della cittadina e uscirne con rapidità. Non c’era più bisogno di confondersi con comportamenti umani, che tra l’altro erano scomodi da emulare.

Ero tanto in forze che corsi nel cuore della notte a tutta velocità, certo che nessuno avrebbe comunque potuto vedermi, e, attraversando boschi e colline, mi diressi verso casa.

Nella zona in cui vivevamo non c’era neanche una luce, neanche un lampione, nessun segno di civilizzazione umana a parte la casa che occupavamo che comunque era stata ormai tagliata fuori dal mondo.

Attraversai con sicurezza l’infinità di alberi sul mio cammino, tanto, anche con l’oscurità, sapevo sempre dove fosse casa, e con un balzo scavalcai il ruscello che scendeva a valle. Da lì non ci sarebbe voluto molto per raggiungere l’ala sud della villa abbandonata.

Vidi l’enorme cancello in ferro battuto che da sempre rimaneva chiuso con un enorme catenaccio ed un lucchetto come se gli fosse importato davvero qualcosa che quell’abitazione non venisse violata e, con la solita spinta, mi lanciai oltre.

Camminando tra le erbacce che invadevano quello che doveva esser stato un enorme giardino, sfiorai qualche statua usurata dal tempo e vidi i gradini di casa.

Spinsi il portone in legno massiccio e raggiunsi il salottino al piano terra.

«Eccomi» dissi entrando. «Sono andato a caccia... se aspettavo che ti “risvegliassi” sarei morto di fame» dissi ridacchiando.

Mi guardai in giro, nessuno mi rispose.

«Non mi dirai che stai ancora in quello stato?... Beh, comunque, anche se da solo, non è stato difficile sfamarmi... Dominic si fa troppi problemi...»

Corrie ancora non rispondeva.

Mi avvicinai al divano sul quale l’avevo lasciata, ma non la trovai.

Mi ci sedetti sopra sbuffando e mi guardai un po’ attorno, chiedendomi dove fosse andata.

Poteva essere a caccia? Non credevo però che ne avesse le forze.

Passando distrattamente lo sguardo per la stanza, la mia attenzione si fermò sullo specchio enorme appena sopra al caminetto davanti ai miei occhi. C’erano riflessi due bagliori rossi, pochi distanti l’uno dall’altro.

Non feci in tempo a voltarmi che qualcosa mi scaraventò violentemente contro lo specchio. Caddi a terra tra mille pezzi di vetro.

Alzando lo sguardo faticai a riconoscere Corrie, con quegli occhi rosso porpora, più luminosi di quanto non lo fossero mai stati.

Mi colpì di nuovo sbattendomi contro il camino. Mi sorpresi dell’agilità dei suoi gesti, non aveva una gamba rotta?

«Ehi!... ma che hai? Calmati, è fame la tua?» chiesi, massaggiandomi le costole che erano appena guarite dall’ultimo scontro.

Lei non mi rispose e tentò di tornare alla carica.

Le diedi un calcio prima che potesse raggiungermi di nuovo, ma cercai di moderare la potenza conoscendo tutte le ferite che ancora riportava.

Lei cadde qualche metro lontano da me. Mi alzai in fretta e la raggiunsi.

«Si può sapere che ti prende?»

Lei si alzò di scatto e si gettò contro la finestra, correndo fuori.

La seguii in fretta per riafferrarla tra i cespugli e lei, con una spinta, mi scaraventò su una statua del giardino. Mi pareva più forte del solito. Era persino più forte di me.

Non riuscii bene a capire cosa avesse o cosa intendesse fare, attaccarmi o scappare? Continuava ad oscillare tra le due opzioni.

Mi si gettò addosso con l’intenzione di mordermi forse.

«Che fai!» urlai spingendola via con forza. «Vuoi morire?!»

Sotto il bagliore fioco di uno spicchio di luna notai la fasciatura su una delle sue braccia tutta graffiata. Aveva tentato di togliersela?

Il suo sguardo pulsava su di me. Affannava.

Improvvisamente si voltò e scappò via.

Nella mente mi attraversò un inquietante ipotesi.

Dovevo seguirla, o temevo che non l’avrei più ritrovata.

Quando la vidi spostarsi tra gli alberi usai tutte le mie energie per raggiungerla.

Era più forte, più veloce, e senza controllo. Quell’ipotesi era sempre più plausibile.

La atterrai vicino ad un tronco e la voltai per tentare di strapparle con forza la fasciatura graffiata al braccio. Lei si agitava sotto di me e cercava di sfuggirmi. Mi ci volle tutta la forza che avevo per riuscire nel mio intento.

Quando gettai lontano le bende notai che sul suo braccio, già di un colorito insolito, c’erano due grandi buchi infetti.

«Maledizione!» esclamai, tentando di tenere ferma la vampira sotto di me.

L’aveva morsa, quella creatura orrenda l’aveva morsa, non so come ci fosse riuscita senza morire. Quello che le scorreva nelle vene adesso probabilmente era quel veleno che le annientava il sangue. Questo spiegava perché fosse così indemoniata.

Corrie tirò degli urli terrificanti, contorcendosi violentemente.

Cosa dovevo fare? Non potevo permettere che si trasformasse, gli altri l’avrebbero inseguita ed uccisa.

«Corrie! Corrie, mi senti?» chiesi, cercando di concentrare il suo sguardo su di me, ma lei guardava ovunque ed altrove, sembrava non ragionare e si agitava con una tale energia da mettermi in difficoltà.

Quanto poteva essere grave? Fino a dove era arrivato il veleno?

Lei mi diede uno scossone forte e si divincolò, spiccando un alto salto sui rami in cima all’albero accanto a noi.

«Corrie!»

Lei ansimò. Mi parve di sentirla singhiozzare.

Mi gettai violentemente contro il tronco e scossi l’intero albero, tanto da farle perdere l’equilibrio e farla cadere di nuovo a terra.

Approfittai del suo stordimento momentaneo per ributtarmi su di lei.

«Non ti lascio morire» le dissi afferrandole le braccia per bloccarla. «...anche se so che è quello che probabilmente desideri... Non morirai stasera.»

Lei tornò a agitarsi, mentre il viso le si ricopriva di lacrime. Doveva soffrire molto. Chissà se stava combattendo contro quel veleno, o se si stava lasciando consumare.

A quel punto non avevo scelta, sperando non fosse troppo tardi.

La morsi sul collo per impedire che il veleno le raggiungesse il cervello. Mentre succhiavo via il sangue lo lasciavo scivolare sul suo collo per evitare di inghiottirlo e, così, morire.

Sembrava molto infetta, man mano che le sottraevo il veleno, questo sembrava non diminuire.

Corrie continuò ad urlare ed agitarsi spasmodicamente. Si liberò un braccio e tentò di strapparmi via da lei, ma inutilmente.

La forza che ci stavo mettendo, la concentrazione, non bastavano a distrarmi dall’odore del suo sangue che avevo proprio sotto il naso. La tentazione di berlo fu molto forte ogni volta che lo sentivo scivolare via dalle mie labbra. Anche se mi ero saziato del sangue della donna rossa quella sera, anche se mi fossi saziato di tutto il sangue del mondo quella sera, non mi sarebbe bastato per fermarmi davanti a quello di Corrie, un odore troppo forte e devastante.

Sentii il suo calore tra i denti. Chiusi gli occhi per non pensarci.

Corrie continuava ad urlare, il che almeno mi distraeva un po’.

Il veleno non diminuiva. Quanto gliene avevo già tolto? Quanto sangue le rimaneva in corpo?

Riaprii gli occhi per notare che il suo sangue gettato fuori ci ricoprisse entrambi, incominciando ad imbrattare il terreno circostante.

Maledizione!

Anche l’odore sembrava sempre più forte.

Corrie affondò le unghie sulla mia schiena, strappandomi un lembo della camicia.

Strinsi gli occhi.

Lei smise di urlare, limitandosi a dei mugolii. Brutto segno.

Le afferrai le spalle, notando con sollievo che i buchi sul suo braccio si stessero chiudendo.

Ma fu un attimo... e mi distrassi.

Il sangue mi cadde giù in gola. Per lo spavento mi andò quasi di traverso. Il sapore, come avevo immaginato, era meglio ancora dell’odore.

Anche se la paura doveva essere più forte, se doveva essere più ragionevole, il mio istinto vampiro fu più forte... e continuai a berlo.

Corrie tornò a dimenarsi, ma con meno forze. Mentre bevevo il suo sangue mi sentivo invadere da un senso di appagamento, ma avvertivo anche che non mi sarei saziato, non sarebbe stato mai abbastanza.

Mi avvinghiai più morbosamente al suo corpo, senza riuscire a controllarmi. Cercai di ragionare, cercai in qualunque modo di mandare qualche input al mio corpo che non sembrava demordere.

Devo fermarmi! Devo fermarmi!

Ma più scendeva e più insistevo. L’istinto di sopravvivenza non sembrava essere abbastanza forte. Il sapore, l’odore mi stavano sopraffacendo completamente.

Il corpo di Corrie s’irrigidì ed ebbe degli spasmi.

Cercando di controllarmi, sapendo che non ci fosse più molto da fare, spaventandomi per ciò a cui stavo andando spontaneamente in contro, mi sorpresi nel rendermi conto che non era il veleno la cosa più letale per Corrie, che senza volerlo sarei stato io la cosa più pericolosa per lei.

La stavo uccidendo.

 

 

 



V Regola

Non esistono legami tra vampiri

 

 

 

 

 

La morte di Corrie sarebbe stata inevitabilmente la mia. E dentro me scorrevano due veleni, quello del vampiro che l’aveva morsa ed il suo. Non sarei sopravvissuto di certo, e nella paura attendevo i primi segni del dolore che mi avrebbero cancellato per sempre.

Ancora chino su quel corpo, mentre la vita di Corrie mi scivolava via, non riuscii a separarmi dal suo sangue, forse rassegnato al fatto che comunque saremmo morti entrambi. La paura mi stava uccidendo più del veleno stesso.

Sentii le pulsazioni esili del cuore di Corrie spegnersi lentamente. I suoi occhi erano ormai chiusi, mentre la sua mano stringeva ancora un pezzo della mia camicia nera.

Mi sentii in colpa.

In fretta mi raggiunse un dolore devastante, troppo in fretta, ma non sarei stato comunque pronto in alcun modo a quello. Stavo per morire.

Il dolore mi bruciava in ogni vena, fin su per la gola. Piantai le mie mani nel suolo, sbriciolando con la mia forza delle zolle di terra. Faceva più male di quanto non facesse la trasformazione vampira.

Sperai che finisse tutto in fretta, sapevo di non poter scegliere di desiderare una sorte migliore. In fondo era un destino a cui ero andato in contro stupidamente da solo.

Il sangue di Corrie mi bruciava sulle labbra e tra i denti come fiamme... fiamme dell’inferno che mi avrebbero presto inghiottito.

Mi indebolii sempre più, abbandonando ogni controllo del mio corpo, che si accasciò debolmente su quello della vampira. Vibrai ancora qualche istante, scosso dal veleno.

Pochi secondi...

E, come l’altra ed unica volta, avvertii l’ultima silenziosa pulsazione del mio cuore.

Poi morii.









 


CONTINUA...

Questo è un esempio promozionale nell'attesa di trovare pubblicazione cartacea :) (speriamo bene, anche per chi è interessato a leggere l'intero testo)

   
 
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