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Autore: MissShinigami    25/08/2011    2 recensioni
Kimberly Williams è una ragazza non poi così normale che abita in un paesino non molto distante da Grandview, dove abita sua cugina.
La cugina M, come la chiama sempre Kim, ha il dono particolare di vedere i fantasmi, cosa comune nella famiglia, poichè lo possiede anche la protagonista...
Tuttavia la cugina M non è mai stata coinvolta in una storia con molte sfumature del thriller!
Genere: Fantasy, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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“Kim?”
Mi sentii chiamare. era una strana sensazione, in casa non doveva esserci nessuno. Già … ricordai.
“Hey, Hope. Che c’è?” biascicai nel mio stato di mezzaddormentata.
“Non riesco a dormire.” disse la vocina accanto al mio cuscino.
“Dai vieni qui, il letto è grande.” dissi dopo un istante di adolescenza con tendenze suicido-omicide.
Hope salì sul mio letto, si infilò sotto le coperte e si strinse a me, notai che aveva intorno al collo la sciarpa gialla; nascose la faccia nella maglietta che usavo come pigiama. Rimanevo sempre più sorpresa da queste azioni di affetto, non avrei mai potuto pensare di voler bene ad una persona appena conosciuta. Quella bambina era straordinaria.
“Allora, perché non riesci a dormire?” chiesi.
Per tutta risposta lei mugolò qualcosa che non capii. Così mi venne un’idea.
“Quando non riuscivo a dormire da piccola, facevo sempre un gioco: il gioco delle domande!”
Hope sollevò la testa e mi guardò negli occhi. “Come si gioca?” mi chiese con un sorriso.
“Ti si convince facilmente, he?!” risi. “Allora: io prima faccio una domanda a te, tu rispondi; poi tocca a te fare una domanda a me e io rispondo. Tutto qui.” spiegai.
Hope rise.
“Che c’è?” chiesi.
“Fai degli strani movimenti con gli occhi!”
“Non è così divertente. Sono miope non ci vedo, non riesco a metterti bene a fuoco,  anche buio!”
“Bene inizio io.” disse poi. “Porti gli occhiali?”
“Sì, no cioè, si ma no. Dovrei portare gli occhiali, ma uso le lenti a contatto. Ma ora non ho né l’uno né gli altri. Non vedo praticamente nulla.”
Rise.
“Ok, adesso tocca a me! Hmm … quanti anni hai?”
“Otto … no, otto e mezzo! A gennaio ne compirò nove!” sorrise.
Risi, non vedeva proprio l’ora.
“Ehm … già, mi chiedevo prima … dove sono i tuoi genitori?” mi chiese.
“Bhè, in giappone … credo … allora da dove comincio …” era davvero una lunga storia. “Mio padre è un giornalista freelance e mia madre è una fotografa. Viaggiano sempre molto insieme, lo hanno sempre fatto. Mi ricordo che una volta gli consiglia di scrivere un libro di viaggi. E così hanno fatto.” risi. “Abbiamo girato tutta l’America e anche il Canada. Poi ci trasferimmo qua. Loro continuano a viaggiare, io resto qua a frequentare la scuola e a svolgere il mio lavoro …” sospirai.
“Ma non ti senti sola? Cioè, non ti senti abbandonata?”
“Hei, questa è una domanda!” ribattei.
Hope si mise le mani sulla bocca.
“No dai, tranquilla rispondo volentieri!” risi. “No, perché ci scambiamo delle e-mail tutti i giorni. Oggi mamma mi ha raccontato che è finalmente riuscita a convincere mio padre a mangiare del sushi! He eh … poi non sono sola. Ho i miei amici fantasmi, alcuni sono davvero loquaci. Poi c’è mia cugina che abita in un paesino qua vicino.”
Ci fu qualche istante di silenzio, io guardavo il soffitto senza vederlo realmente. “Ora sta a me … “ non so come avrebbe reagito a questa domanda, speravo solo che non si mettesse a piangere o che riuscisse a rispondermi almeno … “Dove sono  tuoi genitori?”
Silenzio. Guardai Hope, era talmente vicina che riuscivo a distinguerla bene: aveva un’espressione cupa di pinta sul volto, non era affatto adatta a lei.
“Se non riesci a rispondermi non importa, è solo un gioco!” dissi.
Sospirò profondamente, cercava di trattenere le lacrime. “Sono morti in un incidente d’auto. I freni non hanno funzionato. Io … io ero a casa quando è successo. È venuto a prendermi … un collega di mio padre … che adesso è il mio tutore … “ disse tra i singhiozzi.
La strinsi a me: volevo proteggerla. Ma che razza di emozioni scuoteva in me quella bambina?
“Hope …” non sapevo che dire.
Lei continuava a piangere. “Perché sei scappata? Perché hai questo?” chiesi sfiorandole la guancia ferita.
La mi boccaccia!! Ma non potevo stare zitta!?!
Hope piangeva, ma mi rispose ugualmente. “I-il mio tutore … quando … quando non gli ubbidivo mi sgridava poi l’altro giorno …” non completò la frase. Non ce ne fu un bisogno e non volevo che finisse.
“Così sei scappata …” continuai per lei. “ … e ti sei ritrovata nella torre.”
 “S-shi !” singhiozzò.
Le accarezzai i capelli cercando di calmarla. Lasciai che si sfogasse, qualche minuto dopo non stava più piangendo, ma era ancora scossa da forti tremiti.
“Come va ora?” chiesi.
“M-me-meglio …”
“Scusami, non avrei dovuto farti questa domanda.” le asciugai una lacrima sulla guancia.
Restammo ancora in silenzio. Hope si calmò sempre di più.
“Sta a me vero?”
Pensavo non volesse più parlare. “Sì.”
“Da quanto tempo vedi i fantasmi?”
Ecco. “Da sempre, per quanto ricordi. Da piccola cercavo di ignorarli, sinceramente pensavo fosse solo la mia immaginazione. Poi sono stati loro ad iniziare ad accorgersi di me … non sapevo più come fare. Non sapevo cosa fare.”
Hope mi ascoltava senza guardarmi. Non era semplice per me rievocare il mio passato di bambina complessata, ma lo volevo fare: lei si era confidata, adesso toccava a me.
“Poi arrivò mia cugina. Avevo tredici anni, lei era qua perché i miei genitori le avevano detto che avevano dei vecchi mobili che forse le potevano interessare, gestisce un negozio di antiquariato. Io ero alle prese con il fantasma di un uomo morto in un incendio. Non pensavo che ci fossero altre persone che potevano vedere ciò che vedo io. Bhè, lei mi ha insegnato tutto quello che so ora.” sorrisi, ripensando a quei momenti, alle mie domande idiote e alla pazienza con cui mi rispondeva.
“Wow, ma perché le altre persone non li vedono?” chiese.
“Molti hanno perso la fede, non credono più … sono troppo razionali … o qualcosa del genere … quindi non li vedono. Ma i bambini li possono vedere perché … bhè, in realtà non so bene perché. Ma penso sia perché non hanno i limiti razionali che hanno gli adulti.” spiegai, almeno tentai di farlo.
“Forte” sussurrò Hope.
Sorrisi: le persone solitamente non definivano così questo dono.
“Ok, allora … perché hai sempre al collo questa sciarpa?”
La bambina abbassò lo sguardo. “Era di mia madre. La indosso perché ha il suo odore …” vidi chiaramente che era sul punto di piangere ancora.
“È davvero bella. Adoro il giallo!” dissi.
Hope mi sorrise. Pericolo scampato. Che stronza che ero …
“Bene! Ora tocca a me!!” scattò la bambina. “Come si chiama tua cugina?”
Sorrisi, le interessava davvero! Era la prima volta; solitamente le persone evitavano questo argomento.
“Melinda Gordon.”
Parlammo per quasi tutta la notte, il giorno dopo era sabato, quindi potevo permettermelo. La conversazione tocco i punti più strani: passammo dal cibo preferito alla musica fino ad arrivare ai luoghi che avevo visitato con i miei genitori. Fu una notte piacevole e tranquilla, ci addormentammo tardi.
Il mattino seguente, quando mi svegliai, allungai il braccio per  cercare Hope, trovai il vuoto. Mi alzai di scatto, alla ricerca degli occhiali sul comodino, li inforcai velocemente. Davanti a me c’erano due figure: un uomo ed una donna. I loro vestiti erano stracciati e coperti da grandi macchie di sangue, avevano anche delle vistose ferite all’addome e alla testa.
“Non devi farglielo fare più …” sussurrò minaccioso l’uomo.
“Non devi farle male …” continuò la donna.
In un attimo scomparirono; rimasi immobile.
“Non devi farla più parlare o faremo in modo che tu non possa più farle del male …”
Erano accanto a me, mi sussurravano negli orecchi. Scomparirono di nuovo. Sentii cigolare qualcosa …
Ero in macchina, guidavo davanti a me c’era molta foschia, non si vedeva bene la strada. Andavo troppo veloce, tra poco ci sarebbe stata una curva. Schiacciai il pedale del freno: non funzionò. Riprovai ancora. Niente da fare. Davanti a me vidi la curva, oltre quella il vuoto.
“Accidenti! Frena maledizione!!” urlai.
Anche se avessi provato a sterzare non sarebbe servito, sarei precipitata di sotto.
Questo era successo ai due fantasmi …
L’impatto fu terribile, lo potei sentire bene. Con uno schianto il parabrezza andò in frantumi: sentii i pezzi di vetro che mi tagliavano e il sangue che sgorgava dalle ferite, sentii il dolore.
Ero nella mia stanza fissavo il soffitto, mi ero appena svegliata. Allungai il braccio accanto a me: Hope era lì, dormiva ancora. Cercai i miei occhiali e l’indossai. Erano quasi le otto, presto ma andava bene, avrei preparato la colazione. La prima colazione a tavola da quasi tre mesi! Wow, chissà come funziona …
Prima di uscire di camera, mi voltai ad osservare il volto della bambina.
Quello che avevo appena visto e sentito, soprattutto sentito, era una punizione, per averla fatta parlare, per averle farro ricordare e rievocare la morte dei genitori, così me l’avevano fatta pagare …
  
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