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Autore: Melisanna    27/04/2006    0 recensioni
Alto nel cielo vola il corvo, viene a prelevare la mia anima. Ho ucciso mia madre e giaciuto con mio padre. Mai più vedrò il mondo con occhi umani.
Genere: Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Non potevo restare lì dopo quello che era successo.

Tornai ai miei alloggi, mi preparai una piccola sacca e sparii. Vagai per mesi, senza sapere dove andavo. Non so come riuscii a sopravvivere a quel periodo, in qualche modo trovavo il cibo di cui avevo bisogno e sfuggivo ai predatori, umani e non. Ogni notte mi assalivano gli incubi. Mi svegliavo mandida di sudore. Fissavo il cielo notturno scossa da brividi di terrore. Stringevo le braccia intorno al corpo e rimanevo immobile, ripetendo ossessivamente nella testa le parole di una qualche filastrocca e cercando di non pensare. Speravo che, se li avessi ignorai, i pensieri mi sarebbero scivolati addosso senza prestarmi attenzione. Ciò che mi impedì di perdere del tutto la lucidità fu la kusarikama di Sota. Mi teneva ancorata alla realtà. Mi allenavo tutti i giorni fino a cadere a terra sfinita. Solo nel vuoto che si creava nella mia mente quando avevo in mano l'arma trovavo la pace.

Ben presto smisi di sfuggire ai predatori. Allenarmi non mi bastava più. Avevo bisogno di combattere per non pensare, solo sfidando la morte in modo sempre più azzardato riuscivo a sopravvivere. Lottare per la mia vita mi regalava una notte di pace.

Non saprei dire quanto tempo passai così, un anno, forse meno, forse di più. Non saprei quanti uomini uccisi durante quei mesi. Li ho scordati tutti uno dopo l'altro.

Poi incappai in un grosso assembramento di truppe di una casata della Dinastia. Si erano accampati su una collina tranquilla e attendevano la fine dell'inverno per riprendere le ostilità. Io ero stanca di vagare e di combattere contro contadini fatti briganti dalla necessità. Avevo bisogno di sfide maggiori. Di qualcosa sotto cui seppellire i ricordi che mi assallivano. Ma dovevo convincere un comandante della Dinastia che una ragazzetta magra e stracciona potesse essere un ottimo acquisto. In serata scivolai tra le tende e vagai un po' per l'accampamento, cercando il punto migliore per poter attuare il mio piano. Non tentai in nessun modo di nascondermi e nessuno mi prestò attenzione: ci sono delle categorie di persone che sono invisibili agli occhi degli altri. Alla fine trovai uno largo spiazzo, non lontano dla centro del campo, dove un buon numero di soldati si era riunito per dividere insieme la cena e giocare d'azzardo. Li osservai per un po', protetta dalle ombre proiettate dalle tende. Erano allegri e ubriachi. C'era un ufficiale fra loro, scherzava con gli altri e bestemmiava quando perdeva. Era un dinasta, riconobbi le insegne, ma non sembrava uno dei Draghi. Non lontano da lui sedeva un uomo gigantesco, che beveva più di tutti e rideva forte,appoggiato all'impugnatura di un maglio.

Fu facile. Mi bastò entrare nel cerchio di luce. Camminavo in fretta tenendo gli occhi bassi, come per non farmi notare. Mi notarono subito. Tra i lazzi degli altri, l'uomo grosso si alzò e mi afferrò per un braccio. Io dissi che non volevo. Lui non mi ascoltò. Mulinai la lama del falcetto. Si tirò indietro con un ghigno, divertito all'idea che osassi sfidarlo. Afferrò l'impugnatura del maglio, fra le scherzose grida di incitamento dei suoi compagni. Il mio peso lo colpì al ginocchio e lui cadde a terra con una smorfia di dolore. Gli aprii la gola da parte a parte con il falcetto. Gli altri ammutolirono. Alcuni fecero per attaccarmi. Ma il Dinasta si alzò e mi propose di entrare nelle sue guardie personali.

Fu l'inizio di un periodo tutto sommato tranquillo. Avevo abbastanza da fare per non pensare troppo e, dopo la mia entrata in scena, tutti pensarono bene di lasciarmi stare. Ancora meglio, dopo un paio di anni divenni l'attendente di un altro comandante. I suoi uomini non mi conoscevano e, messo in chiaro che io non ero intezionata ad approfondire i rapporti, mi lasciarono in pace. Forse se avessi continuato a combattere al loro fianco e non mi fossi fatta notare, avrei passato con loro tutta la mia vita e sarei riuscita a tenere in qualche modo lontani i miei fantasmi.

Ma il mio destino era già segnato.

Una tenda di velluto blu scuro. Un uomo, seduto ad un tavolino di legno intagliato, sta scrivendo alla luce di una candela. Dimostra una quarantina di anni ed è riccamente abbigliato. Un soldato entra nella tenda. E' un po' affannato e sembra intimorito "Signore, vi ho portato il soldato che ha salvato i plichi, devo farlo entrare?" L'uomo continua a scrivere senza sollevare la testa. "Altrimenti perché ti avrei mandato a chiamarlo? Fallo entrare e vattene." Il soldato si inchina impacciato ed esce. Si sente qualche parola mormorata all'esterno della tenda, poi il pesante tessuto si solleva nuovamente. Entra una giovane. E' alta, con un fisico asciutto. I capelli neri sono legati in una coda scomposta e il suo sguardo azzurro è freddo e malinconico. Porta un'uniforme scura, senza simboli nè gradi. L'uomo finisce di scrivere, piega la lettera, versa una goccia di ceralacca sui bordi e vi preme un anello. Si volta verso la giovane. "Mi dicono che è solo grazie a te che la missione ha avuto successo, nonostante la morte di mio cugino. Come ha fatto una ragazzina umana a salvare dalle grinfie dei Mnemon le nostre missive ed a uccidere ben tre dei loro?" L'uomo è inquisitorio, ma sembra anche vagamente divertito. La giovane non lo guarda, fissa un punto nel vuoto davanti a se. "Il comandante Lammet portava soltanto delle lettere false, mi aveva affidato i plichi veri, temendo un'imboscata. Ha avuto ragione. Siamo stati attaccati sui passi innevati da tre uomini con le insegne di Mnemon. Si sono concentrati sul comandante, non c'è stato niente che potessimo fare per salvarlo, ma con una trentina di uomini sono riuscita a fuggire portando in salvo le lettere. Sono riuscita a calmare i miei uomini, li ho convinti che ne sarebbero usciti vivi solo se mi avessero ascoltato. Quando si sono accorti che i plichi sul corpo del comandante erano falsi, i Sangue di Drago hanno cominciato a inseguirci. Erano inesperti, non temevano degli umani e sono stati imprudenti, si sono divisi. Il primo si è accorto degli arcieri che lo stavano aspettando nascosto tra gli alberi. Li ha caricati prima che potessero incoccare. E' finito impalato dai lancieri che lo aspettavano nascosti sotto la neve. Il secondo ci a seguito sottoterra, nelle caverne scavate dal corso di un fiume. E' incappato nella trappola che avevamo preparato, ed è rimasto imprigionato. Erano solo funi, si sarebbe potuto liberare in pochi minuti. Ma è impazzito di rabbia e si avvolto nella sua aura di fuoco. Non è una buona idea accendere una fiamma sottoterra. Noi eravamo già lontani, ma abbiamo sentito la terra tremare per l'esplosione. L'ultimo ci ha raggiunto quando eravamo fra i boschi a valle. L'ho aspettato io stessa. Mi sono appostata su un albero. Non si è accorto di me finchè non ho lanciato il peso. L'ha parato con la spada senza difficoltà, ma la catena si è avvolta intorno all'arma bloccandola. Sono saltata giù dal ramo, strappando il suo braccio verso l'alto con il peso del mio corpo e ho avvolto la catena intorno al tronco. Se avesse lasciato l'arma sarei morta e con me tutti gli altri. Ma era troppo orgoglioso, ha cercato di liberare la spada tirando. Per un secondo è rimasto completamente indifeso. Gli arcieri lo hanno trafitto con una ventina di frecce." La giovane smette di parlare e continua a fissare il vuoto davanti a se. Non si aspetta niente. Non c'è niente che un umano possa aspettarsi da uno dei Draghi, soprattutto quando si è dimostrato più furbo di loro. Si domanda se il generale si dimenticherà semplicemente di lei, se la punirà per non aver salvato il comandante o se magari la farà giustiziare insieme a tutti i suoi uomini per aver osato alzare le mani su dei membri della Dinastia. Forse la loderà con condiscendenza e la affiderà ad un altro ufficiale. Si potrebbe essere così, dicono che sia un uomo giusto. Il comandante si alza. "Sei stata abile, soldato. Ti darei il posto di mio cugino, ma non sarebbe una mossa saggia dare i gradi ad un umano esterno alla Dinastia" Lo sapeva, come sono facili i Draghi da capire! Esattamente come gli uomini. La giovane non è delusa, è quello che si aspettava. A lei non interessano i gradi, comunque. "Diventerai l'attendente di un altro ufficiale" La giovane si domanda distrattamente chi sarà, spera che sia un dinasta umano, non le piacciono gli stirpe di drago. Quell'uomo era uno Stirpe di Drago. "Fatti dare degli abiti migliori, non puoi vestire come uno straccione al mio servizio. E non mentirmi più d'ora in poi soldato. Mio cugino era troppo sciocco e pieno di sè, perché l'idea delle lettere false possa essere sua." La giovane si volta. Per la prima volta guarda negli occhi il suo interlocutore. E' severo, con una sorta di fascino ruvido e uno sguardo penetrante. E' riuscito a prenderla di sorpresa. Forse non è del tutto stupido. Meno degli altri, per lo meno. "Come ti chiami soldato?" La giovane non risponde subito, l'ultima volta che qualcuno l'ha chiamata per nome è stato molto tempo fa e non è un ricordo lieto. Sceglie una parola a caso. "Silenzio". L'uomo la guarda. Lei capisce che si è accorto di nuovo della sua menzogna e, per la prima volta da anni, si sente a disagio. Ma lui annuisce "E Silenzio sia. Va a riposarti, domattina ti voglio in piedi all'alba."

  
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