Era
primavera quando
accadde, chissà perché qualsiasi atto saliente
della loro vita sembrava
scandito dal susseguirsi dell'avvento della primavera, di anno in anno.
C'erano
i fiori di
ciliegio, seppur non esattamente frutto della natura, quando si erano
conosciuti.
C'erano
i fiori di
ciliegio, quella volta per davvero, quando stremati ai piedi di un
albero dopo
un combattimento fino all'ultimo respiro, Mukuro aveva rubato ad Hibari
il suo,
il loro, primo bacio.
Era
nuovamente primavera
quando, dopo un anno di tormenti diversi dai soliti che l'illusionista
aveva
usato dargli da quando si
erano
incontrati, Mukuro era riuscito a rubargli la loro prima notte di
sesso, amore
o che dir si voglia, portandogli via in quel modo oltre che l'orgoglio
da
combattente, anche la dignità e l'orgoglio di uomo.
O
almeno così aveva
pensato Hibari, almeno fin quando non aveva iniziato a trovare
piacevole quel
gioco, quel nuovo campo di continue lotte e sfide che era la loro vita,
facendoci l'abitudine con gli anni accettando la presenza di Mukuro nei
suoi
pensieri, nel suo letto, nella sua vita quotidiana.
per
battersi continuamente
più da vicino, per studiarlo meglio, si diceva spesso nei
primi tempi in un
ragionamento che di logico ben poco aveva, fin quando almeno
segretamente, e
rarissime volte apertamente, si era arreso ad ammettere che il ruolo
dell'illusionista era molto più di quello di sua semplice
preda, che lo scopo
della sua presenza nella sua vita non era solo legato alla
possibilità di avere
vendetta, una vendetta che forse non seguiva nemmeno più da
tanto tempo.
Col
tempo, col rincorrersi
delle primavere, Mukuro con tutti i motivi legati alla sua figura aveva
iniziato a diventare la ragione stessa della vita di Hibari, e Hibari
era
diventato la ragione di vita di Mukuro.
Era
ancora primavera, la
trentanovesima passata insieme, quando Hibari si svegliò
all'ombra dei fiori di
ciliegio.
Gli
alberi occupavano
l'intera stanza, allungando i loro rami sul soffitto, pendendo verso il
letto,
mostrandosi in tutta la loro bellezza da qualsiasi posizione li si
guardasse e
spandendo il loro profumo per la stanza.
Era
casa sua, la conosceva
bene, e poi bastava un po' di raziocinio per capire che dei sakura non
potessero trovarsi in una camera, che fossero frutto delle illusioni
dell'uomo
con cui condivideva l'appartamento.
"kufufu~
una volta ti
saresti svegliato in molto meno tempo, ti cadono petali addosso da un
po'."
Lo
salutò con la sua
solita risata, quella che nemmeno con la voce roca di un
cinquantaquattrenne
quale era Mukuro aveva perso il suo tono unico ed il suo spirito.
Si
poteva dire che in
quasi quarant'anni che si conoscevano, entrambi fossero cambiati del
tutto e
non fossero cambiati affatto, in un nonsenso continuo che sempre li
aveva
contraddistinti entrambi.
"la
vecchiaia, come
si dice."
Commentò
placido l'ex
guardiano della nuvola, mettendosi a sedere ed aspettando che l'altro
aggirasse
gli alberi per prendere posto al suo fianco.
Hibari
Kyouya, che aveva
passato una vita a lottare, aveva abbandonato la carica di guardiano
dei Vongola
affianco a Sawada Tsunayoshi esattamente il giorno precedente,
impossibilitato
a continuare a ricoprire il suo ruolo che pure si era ostinato a non
abbandonare nonostante la malattia che aveva preso a divorarlo durante
l'ultimo
anno.
Mukuro nonostante non avesse
problemi dello
stesso genere o alcuna impossibilità di sorta, lo aveva
seguito nel fare lo
stesso.
A
quanto pare, nemmeno
l'uomo più forte visto combattere nel mondo della mafia
nell'ultimo mezzo secolo
poteva niente se non piegarsi di fronte alle decisioni della natura.
Aveva
sempre condotto una
vita sana, se non si prendevano in considerazione i giorni interi di
digiuno
passati a lottare o fare altro con Mukuro, eppure un tumore lo aveva
colpito,
semplicemente perché al suo corpo così era andata.
Ma
lui nella sua vita non
si era mai lasciato sottomette da nulla, non aveva mai permesso che
qualcuno
scegliesse arbitrariamente per lui, e non lo avrebbe lasciato fare
nemmeno alla
morte.
Era
fatto così, Mukuro lo
conosceva bene grazie ad anni di esperienza, gli era bastato quel
segnale il
giorno precedente per capirlo.
Non
avevano avuto bisogno
di parole per deciderlo, non avevano dovuto organizzarsi, semplicemente
Mukuro aveva
intuito le intenzioni dell'altro e aveva deciso senza esitazione di
aiutarlo e
accompagnarlo.
Evidentemente
Hibari fu
felice dell'ultima dimostrazione di aver fatto bene a permettere a
quell'uomo
di avere una parte così importante nella sua vita, dato che
sorrise, in un
misto di compiacimento e gratitudine, quando vide il tridente apparire
sul
letto al fianco di Mukuro, e l'uomo porgergli i suoi fidati tonfa.
Una
follia sarebbe apparsa
agli occhi di chiunque, in tutta probabilità nessuno dei
loro conoscenti
avrebbe approvato, eppure chi
li
conosceva bene da anni non avrebbe dovuto sorprendersi di quella scelta
che in
fondo era da loro.
Vivere
l'uno contro
l'altro o vivere l'uno per l'altro, vivere insieme e morire insieme, e
infine
appunto vivere l'un per l'altro e morire l'un per l'altro.
Il
loro rapporto
strettamente personale era sempre stato così, malato,
ossessivo, ma quella era
una scelta che andava al di là della loro vita insieme,
valeva anche solo per Hibari
e Mukuro come
individui.
Il
primo non avrebbe
mai accettato di vedersi morire
lentamente divorato da qualcosa che non dipendeva da lui, inoltre
un'esistenza
portata avanti per la mera sopravvivenza nel modo migliore fino
all'inevitabile
era inutile ai suoi occhi, tanto valeva farla finita subito.
Il
secondo aveva sempre
saputo che la sua vita non era fatta per avere una lunga durata,
già si
meravigliava di aver visto l'età adulta, inoltre una vita
agiata senza lottare
per nulla e senza il compagno, vedendosi arrendere man mano
all'avanzare
dell'età non sarebbe stata di nessun piacere.
Per
due come loro, che
erano troppo forti per avere la fortuna di cadere in battaglia come
sarebbe
stato adatto alle loro vite, la morte non poteva avere che quella forma.
"allora
lo facciamo…"
Il
commento di Mukuro ebbe
per un attimo il tono della titubanza, che comunque svanì in
pochi istanti nel
vedere la determinazione negli occhi grigi, sempre chiari e vivi,
spiazzanti,
anche sotto le rughe, di Hibari che
aveva preso le sue armi.
"sei
stato un buon
rivale."
"e
tu sei stato un
buon amante~"
Sembrava
volessero finirla
così, nel più caratteristico dei loro modi,
Hibari restio e scontroso e Mukuro spontaneo
e sincero fino alla fine, fin quando il giapponese aggiunse qualcosa
che
spiazzò l'illusionista.
"ti
amo."
Quelle
parole, anche dopo
una vita passata insieme, avevano sempre il potere di sorprendere e
rendere
infinitamente felice Mukuro, che in tutti quegli anni se lo era sentito
dire
appena cinque volte, le ricordava tutte benissimo.
"ti
amo
anch'io."
Scandì
l'ultima, vera,
fine che si era svolta a tutti gli effetti come avrebbe desiderato,
rendendolo
felice, suggellando le loro labbra in un bacio.
A
quel contatto piacevole
si contrappose con prepotenza quello della sensazione della pelle che
si
stracciava, le carni che si dilaniavano,
in due punti vitali sotto gli aculei ghiacciati dei tonfa
di Hibari,
così come le punte del suo tridente affondarono in pieno
petto dell'altro,
colpendogli per l'ultima volta il cuore.
Gli
alberi di ciliegio
svanirono, l'illusione era infranta, il sogno o l'incubo, qualsiasi
nome si
potesse dare a quella relazione, era finito.