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Autore: Fra_96    27/08/2011    3 recensioni
A dire la verità Vermouth era curiosa eccome, perché sapeva che se centrava Gin la novità doveva essere piuttosto succulenta, ma il suo tono rimase imperturbabile.
“Uno dei nostri informatori è riuscito a mettersi sulle tracce di Sherry. L’abbiamo trovata” scandì Gin.
Genere: Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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3.Capitolo tre
 
Quel giorno di tarda primavera il sole inondava di luce Tokyo, e il cielo era di un azzurro puro e incontaminato. Mentre camminavano spediti verso la scuola elementare di Beika, i Detective Boys ridevano allegri; infondo, cosa può turbare la serenità di un bambino di sette anni? Un brutto voto, un sgridata? C’era bel tempo, la maestra Kobayashi aveva promesso alla classe che li avrebbe portati a prendersi cura dei coniglietti della scuola, e nel pomeriggio il professor Agasa li avrebbe accompagnati a mangiare un buon gelato. Era quanto bastava per rendere una semplice giornata una giornata perfetta. Ai Haibara guardava in silenzio i tre bambini e li invidiava. Loro sì che erano felici.
Lei non lo era mai stata. Mai. Neppure quando aveva avuto davvero sette anni, perché l’infanzia le era stata rubata. La sua vita era sempre stata un continuo nascondersi, fingere, ubbidire e piegarsi all’implacabile volontà altrui. In quella perenne rinuncia ai suoi desideri, in quella costante negazione di se stessa, non c’era spazio per i sentimenti. In quel mondo infernale in cui suo padre aveva obbligato a vivere lei e sua sorella Akemi, non ci si poteva concedere il lusso di essere vulnerabili; bisognava sempre mostrarsi freddi e razionali, diffidenti nei confronti di tutti. In una realtà dove non ci si poteva fidare neanche di se stessi, Shiho aveva imparato a piangere nel silenzio di una stanza buia, alla fine di una giornata trascorsa in un laboratorio freddo e vuoto, lontana dai suoi coetanei e dalla felicità. Col tempo, crescendo, aveva capito che era meglio non piangere proprio, perché piangere è da deboli, e i deboli sono destinati a perire. Piano piano era riuscita a rendersi completamente glaciale e imperturbabile di fronte a tutto; quel suo comportamento algido e distaccato aveva sempre suscitato lo stupore dei suoi piccoli amici e degli adulti che la vedevano al fianco del professor Agasa, mettendo così in pericolo la sua copertura di allieva delle elementari, ma le permetteva di estraniarsi da tutto, di rinchiudere i suoi sentimenti in un gabbia di vetro, solida e inaccessibile, anche se solo all’apparenza.
Era per questo non avrebbe parlato a nessuno, neanche a chi conosceva la verità su di lei, di quel terrore che ultimamente le stava opprimendo il petto. Neppure a Kudo, il cui sguardo in quel momento era puntato su di lei, ansioso e determinato a conoscere la verità.
Se c’era una cosa che le era rimasta dopo la sua esperienza nell’Organizzazione degli Uomini in Nero, oltre alla sua incapacità a mostrare cosa provasse, era il sesto senso che aveva nel percepire la loro presenza: come se avvelenasse l’aria che Ai respirava, si insinuava dentro di lei, soffocandola, le mozzava il respiro e le faceva gelare il sangue nelle vene. La loro anima sporca inquinava tutto ciò che la circondava, dandole l’assoluta certezza che fossero lì per lei.
Erano due settimane ormai che quell’angoscia si era impossessata di Shiho. L’avevano trovata, ne era sicura. Si sentiva costantemente braccata, osservata, e quando camminava per strada aveva la sensazione che qualcuno la seguisse. All’entrata e all’uscita da scuola aveva notato un uomo sconosciuto e sinistro, avvolto in un impermeabile nero come le piume di un corvo. La fissava per un interminabile attimo, mimetizzato tra i numerosi genitori, poi piegava il capo soddisfatto e spariva come un miraggio.
Shiho non ci aveva impiegato molto a fare due più due, e capire. Non ne aveva fatto parola con Kudo, e adesso si stava chiedendo se avesse fatto la scelta giusta. Dopotutto, se la faccenda riguardava gli uomini in nero, anche Shinichi c’era dentro fino al collo, glielo aveva detto lei stessa. Ma lo conosceva fin troppo bene, e forse era per questo che gli aveva taciuto la verità.
Dietro quella facciata da sbruffone, arrogante e pieno di sé, si nascondeva una persona leale, buona; Kudo era disposto a sacrificarsi e a rischiare la propria vita, se qualcuno aveva bisogno di lui. Lo avrebbe fatto anche per lei. Le aveva offerto la sua amicizia, il suo sostegno, nonostante il suo passato da criminale, e l’aveva sempre protetta e salvata dagli artigli famelici dell’organizzazione. E non si era aspettato mai nulla in cambio; e quando Ai, fingendosi indifferente, gliene aveva chiesto il motivo, lui semplicemente aveva incrociato le braccia dietro la testa e l’aveva fissata uno sguardo così intenso da scalfire le pareti della gabbia in cui aveva rinchiuso il suo cuore.
“Perché è giusto così, Haibara” aveva aggiunto, guardandola con uno sguardo dolce e sincero.
Forse era stato proprio questo episodio a rendere il detective liceale così speciale agli occhi di Ai: le aveva fatto capire che si fidava di lei, che era la prima persona, dopo sua sorella, capace di sondare le profondità del suo animo tormentato e capirla, dandole un’altra possibilità.
No, anche se faticava ad ammetterlo perfino a se stessa, Shinichi Kudo era troppo importante per lei, e non poteva permettersi di fargli correre un rischio così enorme.
Avrebbe affrontato tutto da sola, le persone a cui teneva non avrebbero più pagato per i suoi sbagli. Mai nella sua vita era stata tanto sicura di quel che faceva come in quel momento.
Sorrise risoluta, ignorando gli sguardi stupiti dei Detective Boys e di Kudo, e varcò il cancello della scuola.
 
Molte ore più tardi, in una zona periferica fatiscente e malsana, ombre spettrali strisciavano fuori da un vecchio edifico abbandonato, avvolte in un’oscurità così fitta che le rendeva ancora più inquietanti. Quasi tutte si dirigevano verso uno spiazzo dove erano state parcheggiate alcune auto di lusso, tutte rigorosamente nere. Solo tre figure rimasero ferme davanti all’ingresso del palazzo, i tiepidi bagliori delle sigarette che aleggiavano in quell’atmosfera tetra come lucciole funeree.
“Che serata interessante. Non è vero, Gin?” chiese suadente la voce di una donna.
“Già, non vedo l'ora di entrare in azione” rispose l’interpellato, masticando le parole in un grugnito minaccioso. “Voglio che quella sporca traditrice faccia la stessa fine di quella buona a nulla di sua sorella. Me ne occuperò io stesso” sputò con rabbia dopo qualche minuto.
“Non credo, mio caro” ribatté Vermouth in un sussurro tagliente, nascosto da una cortina di zuccherosa dolcezza. “Io e Sherry abbiamo tante cose da dirci…” aggiunse allontanandosi nel buio.
“I miss her so much.”
 
 
 
  
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