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Autore: V a l y    27/08/2011    7 recensioni
Scorci di passato e quotidianità su alcuni personaggi di Tekken.
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!
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Raccolta lunatica di storielle all'insegna dell'amore e della depressione. Sono tutte diverse, di genere e stile. Potete leggerne tutte o solo qualcuna, o anche nessuna, in realtà, ma visto che avete già aperto questa pagina, leggetene almeno una, su.
Per chi non ha finito di giocare a Tekken, la penultima flashfiction è spoiler. Perciò attenzione.
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Chiosco di ramen {Lei Wulong}

“Vuoi un po' di ramen?” chiede Lei protendendo la scodella di spaghetti fumante.
“Vaffanculo, sbirro,” risponde secco il malfattore.
“No? Guarda che è buono,” insiste il poliziotto senza scalfirsi di alcun offesa.
“Non posso mangiare con queste manette ai polsi,” spiega persuasivo e in tono solenne il farabutto alzando le braccia.
“Dopo averti visto quasi scappare dalla voltante della polizia pochi minuti fa, penso proprio che puoi mangiare un piatto di ramen senza problemi.”
“Sei un grandissimo figlio di puttana.”
“Lo sai che il buon cibo, oltre ad addolcire il palato, addolcisce le parole?” asserisce il poliziotto sorridendo. “Lo disse un vecchio saggio. Assaggia solo un boccone e vedrai.”
Lo stomaco del malfattore si contorce e gorgoglia affamato. Quel piatto di ramen sotto il naso è una travagliante tentazione. Sotterra l'ascia di guerra, agguanta le bacchette spiccio – senza dimenticarsi di lanciare un'occhiata malevola all'agente di polizia – e ingerisce una buona manciata di spaghetti caldi. Assapora il gusto salato e sapido del ramen, e a quel primo assaggio se ne aggiungono presto altrettanti. Wulong osserva contento l'espressione compiaciuta e affamata del furfante.
“Questo è il miglior chiosco di ramen di Hong Kong,” afferma orgogliosamente. “Quando uscirai di prigione ti offrirò di nuovo il pranzo.”
“Tu a me?” chiede interdetto il malfattore con la bocca piena e la faccia sporca di sugo a pochi centimetri dalla scodella.
“Sì. Perché no?”
“Forse in un universo parallelo, ma qui nessun prigioniero si fa amico un cazzo di piedipiatti!” esclama ridendo mentre inghiottisce un boccone carico di spaghetti.
“Una volta un vecchio saggio disse che è con una risata che si comincia una solida amicizia.”
“Quanti cazzo di vecchi saggi conosci, sbirro?”
“Abbastanza da riuscire coi loro consigli a diventare amico di un delinquente,” risponde Lei divertito, prima di alzare il dito al cuoco per ordinare un'altra porzione di ramen.






Afa {Paul Phoenix, Marshall Law}

Il caldo s'insinua nei vestiti, sotto i pori della pelle, come un manto soffocante e invisibile che lo avviluppa con un nodo che non può disfarsi.
Goccioline di sudore imperlano il dorso della mano di Paul, che, sotto la luce del sole cocente, stringe una banconota e la porge al negoziante del chiosco di gelati.
“Un ghiacciolo.”
Il caldo gli inumidisce e gli smorza la voce. Il palato è impastato e secco. Ha bisogno di rinfrescarsi.
“Mi dispiace, ma abbiamo finito tutti i ghiaccioli.”
Paul sospira sommessamente. L'afa del solleone e del primo pomeriggio gli atrofizza ogni volontà di lamentarsi. Ritira la mano che serra la banconota per metterla in tasca, ma la ricaccia subito fuori. Fa troppo caldo per confinare le mani attorno alla stoffa calda del pantalone.
Si pulisce la fronte col braccio e monta sulla Harley Davidson. Accende il motore e, in meno di pochi secondi, sfreccia oltre gli ottanta chilometri orari. Sperava di rinfrescarsi, invece l'aria continua a frustarlo bollente e con la stessa aggressività di quando si trova fermo o a camminare.
Parcheggia davanti al ristorante del suo migliore amico, pulendosi sui pantaloni per l'ennesima volta le mani sudaticce. Di sicuro, lì avrebbe trovato un conforto gioviale che neppure il caldo avrebbe potuto annichilire.
“Ehi, Paul!” esclama Law appena lo vede sedersi al suo tavolo prediletto. “Oggi gli affari mi sono andati alla grande. Per festeggiare ti ho preparato il tuo piatto preferito: anatra alla pechinese!”
Il cinese alza il coperto della scodella, e un refolo di denso vapore acqueo schiaffeggia la faccia dell'amico senza riguardi. Paul strizza gli occhi e si alza dalla sedia colto da un capogiro.
“Vado a farmi una doccia,” mormora soltanto avviandosi all'appartamento al piano di sopra.
“Ah già! Le manopole dell'acqua fredda si sono rotte, puoi usare solo quella calda!” lo avvisa Marshall affacciandosi dalla cucina.
Paul si blocca, le gambe gli tremano, il corpo lo abbandona con un'imprevedibilità che lo spiazza e gli indebolisce ogni filamento nervoso. Si accascia sulle scale ed emette un verso basso e infelice. Fa troppo caldo per scaldarsi inutilmente con la rabbia, come anche per allenarsi o per andare in giro per la città con la moto; persino per non fare niente.
Ma non fa mai troppo caldo per inventarsi balle.
Law sorride, mentre si lava le mani nel rubinetto del bagno con l'acqua fredda.
Adora il caldo.






Scariche anomale {Alisa Boskonovitch, Lars Alexandersson}

Una scarica insolita, imprevista. Le attraversa la schiena fino alla punta dei capelli sintetici.
“Cos'hai?” chiede Lars vedendola irrigidirsi. Nel timbro basso, modulato, Alisa percepisce una cadenza preoccupata.

“Dev'essere un contatto difettoso,” risponde laconica. La sua voce è soave, eppure priva di sfumature emotive.

“Potrebbe essere pericoloso,” ritiene Lars. Le alza una palpebra col dito per guardarla attentamente nell'occhio. Un'altra scarica, stavolta più forte.
Lo sguardo clinico dell'uomo si fa scrupoloso. Le tocca gli zigomi. I polmoni artificiali di Alisa, per un attimo, smettono di contrarsi.
“Non capisco proprio,” ammette Lars, e ciò che è strano è che, per la prima volta, non lo capisce neppure lei.






Insoddisfacente ricchezza {Lee Chaloan}

Le banconote che gli scivolano dalle mani sul letto somigliano alla rugiada che defluisce sugli steli delle piante al primo mattino. È come se i soldi gli appartenessero allo stesso modo naturale, come se fossero sempre stati un tutt'uno con quell'uomo. Anche se li avesse spesi tutti quella notte, sarebbero tornati a lui il giorno seguente in un circolo infinito.
“Voglio che fai una sfilata coi vestiti che ti ho comprato,” dice con un sorriso suadente, carezzandole col dito la guancia, e lei obbedisce.
Lei è una ragazza senza nome pescata in un club alto borghese di golf. Tutte le lei presenti nella suite sono ragazze senza nome, segretarie, amiche di amiche, mogli di funzionari, sconosciute che vanno e vengono come le sue banconote.
“E tu, con le gambe lunghe e abbronzate, voglio che balli e muovi quelle bellissime cosce,” sussurra all'orecchio di una brunetta slanciata, che emette una risata frizzante e si muove sulle note di una canzone che non esiste. Un'altra lei compare sotto l'uscio della porta e comincia uno spogliarello sinuoso che ha l'odore esotico delle terre brulle dell'Africa del nord.
Lee si sdraia sul letto a due piazze ed esamina le pareti gialle decorate d'oro ai lati superiori, il lampadario di cristallo, i mobili moderni e bianchi, le banconote abbandonate a terra tra pellicce raffinate e tacchi sottili e vertiginosi. Loro, le ragazze senza nome, si aggirano scalze sulla moquette ubriacate di vestiti nuovi, gioielli costosi e parole ammalianti e ricercate.
Eppure lui non riesce a sentirsi appagato come loro. La ricchezza è sempre stata un diversivo che funziona solo con donne o nemici.
Una lei francesina avanza lentamente a carponi sul letto per affiancarsi a lui.
“Tu sei quella che non capisce una parola di ciò che dico, vero?” chiede Lee. La ragazza gli prende un ciuffo con le dita e scandisce vocaboli cantilenanti di una lingua neolatina e sconosciuta.
“Questo sfarzo eccessivo mi fa venire la nausea. A volte vorrei prendere tutti i soldi e bruciarli con la G Corporation e la Mishima Zaibatsu,” confessa l'uomo trattenendole il mento con la mano. Le dita si ammorbidiscono fino a scendere lungo il collo per aprire la cerniera del vestito firmato. “Ma per fortuna c'è ancora qualcosa che riesce a soddisfarmi più dei soldi.”
La ragazza si lascia spogliare, e parlare in qualsiasi lingua non serve più a niente. Altre lei si accingono a raggiungerli.






Roba da veri duri {Hwoarang, Paul Phoenix}

“Mulder e Scully.”
“Mulder e Scully?” ripete Paul dubbioso. “E perché le tette di Zafina dovrebbero chiamarsi Mulder e Scully?”
“Perché sono un inspiegabile caso di antigravità da X-Files,” argomenta Hwoarang. Paul ride, e il boccale di birra che tiene in mano oscilla schizzando qualche goccia sul giubbotto nero.
“E le tette di Anna?”
“Eiffel e Sfinge.”
“Perché?”
“Come perché? Perché sono monumentali!” esclama Hwoarang ridendo.
Phoenix si accascia col petto sul piano del tavolo e nasconde gli sghignazzi tra le braccia incrociate. “E quelle di Christie?”
“Uhm...” riflette Hwoarang, osservando il lampadario sul soffitto in legno. “Ginger Rogers e Fred Astaire, perché ballano.”
Paul sta quasi soffocando nelle sue stesse risate. Si riappropria del proprio contegno per quanto può e si pulisce le lacrime sotto gli occhi.
“E le tette di Xiaoyu?”
Hwoarang fissa il fondo vuoto del bicchiere, meditabondo. “Bianca e Bernie.”
“E perché?”
“Perché sembrano morbide e... sono carine.”
Sul viso del coreano si delinea un sorriso insolitamente caldo. Paul capisce, ma finge di non aver visto nulla. Si gratta la barba incolta con disinvoltura e riprende le redini del gioco.
“E le tette di Julia come si chiamano?”






Pianta carnivora {Baek Doo San, Hwoarang}

I cespugli stormiscono, convulsi e inaspettati. Baek sorride, aggiustandosi la spallina destra dello zaino massiccio.
“Ma quante belle piante che ci sono qui!” commenta compiaciuto, scrutando la boscaglia attorno a sé. “Però mi è sembrato di vederne una davvero strana...”
Si avvicina a un arbusto florido, scostandone qualche ramo, e adocchia un bambino accucciato sull'erba. Ha i pantaloni e il viso sporchi, i capelli arruffati, lo sguardo all'erta di un animale che si sente minacciato da un cacciatore pericoloso. Nasconde dietro la schiena un portafoglio più largo della sua gracile cassa toracica.
“E tu che pianta sei?” chiede Baek incuriosito, allungando la mano. Terrorizzato da quel gesto imprevisto, il bambino si avventa sul polso mordendolo con ferocia. L'uomo contrae il volto per il dolore ed ispira profondamente, riuscendo a placare il tremolio che gli attraversa l'arto.
“Devi essere una pianta carnivora,” sostiene ridendo. Il piccolo rivolge uno sguardo sbalestrato allo sconosciuto, avvedendosi del suo braccio libero e alzato che gli incombe a mezzo metro dalla testa. Sbarra gli occhi spaurito, aspettandosi un colpo violento. Invece, la mano gli si posa sui capelli, delicatamente.
Il bambino alza le palpebre e dischiude la bocca, liberando dall'azzanno il polso dell'uomo.
“Ho alcune fette di maiale nello zaino. Se ti piace tanto la carne, posso dartene un po',” dice l'uomo.
Il piccolo, senza riflettere, annuisce con vigore e si siede scompostamente accanto a Baek, accavallando le gambe gracili e inarcando la schiena come un gatto.
“Comunque, non sono una pianta carnivora,” informa con serietà. L'uomo scoppia a ridere e gli porge una scodella con due braciole di maiale raffreddate.
“Meglio così. Mi fanno paura le piante carnivore.”






Fotografie {Julia Chang, Steve Fox}

Julia rotea l'otturatore della reflex, guarda nell'obiettivo e scatta una foto.
“Visto che belle betulle?” chiede elettrizzata a Steve. Lui sorride e annuisce con aria lievemente disinteressata, ma lei non lo nota, radicalmente rapita dal minimo movimento della natura, in intensa contemplazione con l'ambiente che la circonda.
Adocchia uno stormo di rondini. Direziona l'occhio della macchina fotografica al cielo e scatta un'altra foto.
“Ci sono specie di animali assai rare in questa riserva naturale,” informa sognante a Steve, con un sorriso che, dal momento in cui sono scesi dalla jeep, non è mai riuscito a spegnersi. “Vorrei riuscire a fotografarle tutte, ma sarà molto difficile.”
“È normale, le specie rare sono le più belle ma anche le più faticose da trovare,” concorda il ragazzo.
Julia, nel voltarsi per rispondergli, lo sorprende a scattarle una foto.
“Ehi, guarda che non sono un animale protetto!” scherza, ma senza alcuna vera antipatia o durezza: la sua voce, vellutata senza inganni e senza sforzi, non smette mai di suonare affettuosa. “Di esseri umani come me puoi fotografarne quanti ne vuoi in città, sono la specie animale più comune del mondo.”
“Non tutti,” ritiene sorridendo Steve mentre ricarica il rullino, trattenendo sulle labbra serrate la confessione imbarazzante di un innamorato impacciato e discreto che vorrebbe rivelarle che a volte, nonostante le difficoltà, si riesce ad essere abbastanza fortunati da trovare sotto gli occhi una specie umana bella e unica come lei.






Ciò che rimane dell'uomo che ero {Yoshimitsu}

Apre il palmo della mano del braccio bionico. Le dita si distendono e si contraggono provocando un suono meccanico, come di ingranaggi che girano e si inglobano tra loro. È da più di vent'anni che Yoshimitsu convive con quell'arto fittizio senza sensori di dolore e flussi sanguigni, eppure ha la sensazione che sia l'intero corpo ad essere rivestito di materiali inorganici. Un elmo giapponese gli sormonta la testa, mentre una grossa corazza di ferro gli copre il busto. Le gambe sono diventate gambali, le braccia bracciali. Il viso ha preso la forma di una maschera grigia, senza carne e epidermide, che reitera sull'ombra anonima di un uomo che, forse, non è mai esistito.
“Dottore, lei è uno scienziato,” esordisce, e persino la sua voce suona metallica e senza sfaccettature, “e più di chiunque conosce le leggi del corpo umano. Secondo lei, quand'è che un androide può definirsi un essere umano, e quando una macchina?”
Gli angoli degli occhi di Boskonovitch, assottigliati come a voler raggiungere un pensiero, vengono solcati da rughe lunghe e pronunciate. “A mio parere non è una questione di corpi veri o artificiali. Un uomo rimane tale quando ha ancora una coscienza.”
Yoshimitsu chiude la mano. Se la sua maschera avesse avuto dei muscoli, avrebbe sorriso.






Baek's ending {Hwoarang, Ling Xiaoyu}

“Dov'è che stiamo andando?” chiede titubante la cinese, ma lui non risponde e continua imperituro a guidare con le mani saldamente incollate al voltante, gli occhi indissolubilmente radicati nella strada larga e vuota. Nel buio della sera inoltrata, tra l'abbaglio fugace di un lampione e l'altro, Xiaoyu nota un velo di contegnoso tedio attenebrargli il volto.
“È da quando siamo in macchina che non parli...” aggiunge lei con un accenno di preoccupazione sulle labbra increspate, e lascia che diversi secondi aiutino Hwoarang a esporre una spiegazione, ma il tempo si dilata in un silenzio gravoso e sterile, che non concretizza nessun cambiamento sull'espressione vacua e imperscrutabile del ragazzo.
“Insomma!” esclama la cinese contrariata, allungando una gamba oltre il cambio per schiacciare il freno e poter parlare a quattrocchi, ma, al contrario di ciò che aveva calcolato, la macchina prende velocità e slitta sulla carreggiata opposta. Hwoarang inchioda l'automobile, facendola sgommare bruscamente sul ciglio della strada.
“Hai premuto l'acceleratore, cretina!” urla scosso e infuriato guardandola di traverso, ma Xiaoyu gli ricambia lo sguardo senza scomporsi o risentirsi minimamente.
“Che ti è successo?” chiede solamente con un lampo di apprensione che gli saetta sugli occhi austeri e indagatori. Hwoarang rimanda lo sguardo oltre il parabrezza, in un punto imprecisato e scuro del marciapiede deserto, sforzandosi di riproporre la maschera d'indifferenza di poco prima. Ma invece le labbra si piegano verso il basso, la fronte si aggrotta e le palpebre si stringono nell'espressione contratta di chi cerca di trattenere un pianto. Xiaoyu spalanca gli occhi sconvolta, stilettata da un dispiacere sconfinato e silenzioso. Non aveva mai visto il volto scanzonato e negligente del coreano scalfito dalla tristezza.
Lo vede chinarsi sul volante per nascondere la testa tra i pugni che ancora mantengono lo sterzo, scosso da singhiozzi sommessi, e gli tende incerta una mano per sfiorargli i capelli rossi, affondando delicatamente le dita tra i ciuffi lunghi e sottili.
Hwoarang si accascia sulle ginocchia della ragazza, impugna l'orlo del vestito arancione e scoppia a piangere. Le lacrime le stropicciano i pantaloncini, ma Xiaoyu se ne disinteressa. Ora la mano di quest'ultima si fa più decisa mentre gli accarezza la testa per confortarlo, fino a scendergli sulla nuca e poi sulla spalla.
“Baek... è morto...” mormora lui tra le pieghe dell'abito cinese.






Come un padre {Baek Doo San, Hwoarang}

E quel bambino che non ha mai conosciuto l'affetto gratuito di chi vuole bene qualcuno incondizionatamente, senza pretendere nulla in cambio o voler raggiungere scopi personali, guarda l'uomo con una certa diffidenza ritrosa, all'inizio. Ha paura della sua voce troppo premurosa, dei suoi sorrisi lunghi e sottili, e non smette di rimanere in agguato, aspettandosi l'imprevisto nell'imprevisto.
L'uomo lo ha preso dalla strada e lo ha nutrito, vestito, riparato sotto un tetto spiovente e disadorno, ma solido come le sue rassicurazioni e le sue protezioni. Gli ha detto che sta viaggiando per la Corea e che se vuole può venire con lui.
È solo al quinto giorno che l'uomo gli chiede come si chiama. Il bambino non risponde, e l'uomo capisce che non ha un nome.
“Ti piace Hwoarang?” propone sorridendo. “La prima volta che ti ho incontrato sembravi un animale smarrito. Hai le movenze di un felino e gli occhi di una tigre.”
È solo dandogli un nome, dalla sera del quinto giorno, che da salvatore l'uomo diventa padre.







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Afa e Pianta carnivora sono state scritte per l'iniziativa di Fanworld "Un prompt al giorno", mentre le restanti sono per la community "Piscina di prompt".
In ordine, partendo dal principio:
- Quello che immagino siano le pause di lavoro di Lei Wulong, che è tanto bello da fare amicizie senza malizie, persino coi malfattori di strada. O almeno, questo è il modo in cui lo vedo e il motivo per cui mi piace tanto.
- Law che fa dispetti a Paul è quel che credo sia il loro rapporto, un po' scherzoso ma comunque duraturo. Ma, soprattutto, ho scritto quella fic perché in quel momento avevo caldo.
- Oh, Alisa. ♥
- Lee, per me, passa le giornate in quel modo, nell'edonismo più opulento come questo, dove una suite può sembrare un circo di prostitute. E' felliniano, ecco.
- Con Paul e Hwoarang ci ho dovuto infilare la Xiaorang, è stato più forte di me. (Secondo voi come si chiamano le tette di Julia?)
- Baek è meraviglioso e mi sono innamorata di lui, ma solo adesso. E la Namco mi ha fatto un po' arrabbiare.
- Ho scritto su Julia e Steve perché alister me li ha fatti shippare. :°D
- Yoshimitsu, uomo o robot, per me ha sempre fatto parte dei personaggi più positivi e buoni del gioco.
- La fanfiction con Hwoarang e Xiaoyu sembra ritornata alle descrizioni un po' cinematografica de Il blouson noir e la bambina. Hwoarang si dispera un sacco in quel filmato, perciò penso che qui non sia OOC, no?
- Hwoarang l'ho sempre immaginato come un orfanello. Ha un nome che sembra finto e che ho scoperto voler dire "Tigre" (ma per qualche altro sito vuol dire "Virilità Nascente", a chi devo chiedere?). Baek... D°:
  
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