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Autore: Kary91    27/08/2011    17 recensioni
[questa storia fa parte della trilogia "Cappuccetto Rosso e altri racconti"]
“Jeremy...Tu pensi davvero che certi bambini possono restare per sempre piccoli?”
Jeremy fece spallucce prima di raggiungerla gattonando fino alla libreria.
“Forse sì se lo chiedono a una stella cadente.Però alla fine…Alla fine poi crescono tutti.”
“Tutti tranne uno, no?”
Jeremy le rivolse un sorriso orgoglioso.
“Sì!”Confermò acquattandosi sul pavimento e attendendo con pazienza che Caroline voltasse pagina.“Tutti tranne uno.”
Premio 'originalità' per il contest 'And the winner is...' indetto da Dark Aeris.
Genere: Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Caroline Forbes, Jeremy Gilbert, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Cappuccetto rosso (e altri racconti).'
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[Scritta per il TVG!Fest con prompt Caroline/Jeremy - “Peter Pan”]

 Questa storia fa parte della trilogia “Cappuccetto Rosso e altri racconti.”

 

Dedicata alla Zia Aika e a Tailer, perché hanno visto nascere questa storiella con i loro occhietti.

(Anche se non potrà mai eguagliare le meravigliose favole della zia Aika <3)

Car(o)line Pan.

 

 

cpan

Tutti i bambini, tranne uno, crescono.

Lo sanno presto che cresceranno e Wendy lo seppe a questo modo.

Un giorno, quando aveva due anni, giocando in un giardino, colse un fiore e lo portò di corsa a sua madre.

C'è da pensare che la bimba, in quell'atteggiamento, sembrasse deliziosa,

 poiché la signora Darling appoggiò le mani al cuore ed esclamò:

“Oh, perché non puoi restare così per sempre?”

 Questo fu tutto quanto passò tra di loro sull'argomento, ma, da allora,

Wendy seppe che sarebbe dovuta crescere.

Peter Pan. James Matthew Barrie

 

“Jeremy!”

L’esclamazione di Caroline si diffuse lungo i corridoi.

“Piccolo mostro! Jeremy vieni subito qui.”

Ridendo, il bambinetto sgusciò fuori dal letto e incominciò a correre in direzione delle scale.

Erano solo le nove del mattino, ma la scena che si stava proponendo in casa Gilbert era ormai diventata un’abitudine a tutte le ore del giorno, specialmente da quando Elena aveva avuto il permesso di organizzare dei pigiama party con le sue amiche.

In quel momento, Caroline stava sfrecciando per i corridoi in pigiama. Aveva i capelli arruffati e gli occhi impastati dal sonno, ma il dettaglio più insolito del suo aspetto erano gli scarabocchi viola simili a stelle presenti su entrambe le guance della ragazzina. Quei segni a pennarello contenevano un messaggio indelebile piuttosto semplice da interpretare: Jeremy Gilbert è stato qui.

“Torna subito indietro! O dico a tutti che giochi con le bambole di Elena!”

Caroline continuò a minacciare il bambino durante l’inseguimento; snocciolò perfino una lunga serie di soprannomi poco carini, ma Jeremy non si fermò. Ancora in pigiama, il piccolo le fece una pernacchia e si precipitò in giardino.

“Stupidotto, non hai neanche le ciabatte! Ti bucherai tutti i piedi” gli fece notare Caroline, squadrandolo con aria altezzosa dalla porta d’ingresso. Mise le mani sui fianchi come aveva visto fare molte volte a mamma Gilbert e Jeremy la imitò.

“A me mica mi servono le ciabatte!” dichiarò il più piccolo, in tono di voce orgoglioso. Aveva un’espressione talmente monella, che Caroline si trattenne a fatica dall’attraversare il giardino a piedi nudi per raggiungerlo e dargli uno scappellotto.

“Io sono Peter Pan!”

Caroline sbuffò.

“E va bene, allora!” annunciò a quel punto, dando le spalle al giardino. “Tanto prima o poi dentro ci devi tornare per forza.”

Caroline salì le scale di corsa, diretta verso il bagno. Jeremy si lasciò cadere a terra e incrociò le braccia sul petto con aria più che mai cocciuta. Fare gli scherzi a Caroline era uno dei suoi passatempi preferiti e non perché la trovasse antipatica: tutt’altro. Quando Jeremy prendeva in giro la bambina, lei non lo ignorava come Bonnie. E nemmeno andava a denunciare il fattaccio ai signori Gilbert, come invece faceva sempre Elena. Caroline lo inseguiva per tutta la casa lanciandogli dietro oggetti a casaccio e minacciando di metterlo in ridicolo di fronte a sua sorella e i suoi compagni di scuola. Jeremy trovava la cosa divertente, forse - e soprattutto - perché nella maggior parte dei casi Caroline finiva addirittura per giocare un po’ con lui alla fine del litigio.

E a Jeremy non dispiaceva per niente la sua compagnia.

Il ragazzino rimase immobile ancora per qualche minuto, le gambe incrociate sull’erba e le braccia serrate al petto. Quando finalmente si decise a raggiungere la porta d’ingresso, l’aria da pestifero era stata sostituita da un’espressione confusa: che Caroline si fosse arrabbiata davvero con lui, quella volta?

Jeremy si fissò le punte dei piedini scalzi. Non lo aveva nemmeno rincorso fino al giardino – ma no, quello è perché non aveva le ciabatte! -  e nemmeno lo aveva aspettato pronta ad afferrarlo nel caso si fosse introdotto in casa.

Il bimbo raggiunse camera sua di corsa e, dopo aver controllato che Caroline non gli stesse tendendo un agguato, si fiondò sul letto con scarsa delicatezza. Allungò un braccio per recuperare una manciata di fogli e dei pastelli dal comodino e – in un silenzio fin troppo insolito per un bimbo iperattivo come lui- incominciò a disegnare.

 

***

TOC TOC.

Caroline bussò alla porta del piccolo Gilbert.

Le guance della bambina erano ancora rigate di pennarello, ma con l’aiuto del sapone (e dell’incredibile pazienza di Miranda) era riuscita a cancellare la maggior parte degli scarabocchi a forma di stella. Adesso, tra le mani, reggeva un cartoncino colorato: lo stesso cartoncino che un paio di minuti prima qualcuno aveva fatto scivolare sotto la porta in camera di Elena.

La scritta “SCUSA CARLINE” – Jeremy doveva essersi perso una “o” per strada-  troneggiava sul davanti del foglio a caratteri storti e tremolanti.

Dopo il suo nome e quello del suo personaggio dei fumetti preferito, “Scusa” era stata la prima parola che Jeremy aveva imparato a scrivere. Come tutti i bambini piccoli si vergognava a riconoscere ad alta voce di aver commesso una marachella e così aveva  preso l’abitudine di chiedere perdono disegnando,  allegando all’immagine un gigantesco “SCUSA” in stampatello maiuscolo. Caroline questo lo sapeva bene, perché sia lei, sia le sue amiche avevano ricevuto diversi cartellini colorati di quel tipo nel corso degli ultimi mesi. L’ultimo raffigurava un bambino e una bambina sorridenti (il bambino aveva un cappello alla Peter Pan) e lo stava rimirando proprio in quel momento.

 “Jeremy?”

Caroline smise di osservare il disegno e si introdusse nella cameretta, cercando il piccolo Gilbert con lo sguardo. Lo trovò quasi subito, acquattato sotto la scrivania. Aveva le gambe incrociate e un’espressione serissima dipinta in viso.

“Shhhh!” la ammonì il bambino, appoggiandosi un indice sulle labbra. “Sennò ci sentono gli indiani!”

Caroline sbuffò.

“Guarda che non sono venuta per giocare con te! Volevo solo dirti grazie del disegno e….”

“A terra!”

Jeremy non le permise di completare la frase. Sgusciò fuori dal suo nascondiglio e le prese la mano, cercando di trascinarla sotto la scrivania.

“Devi venire nel rifugio anche tu! Così ci fai scoprire!”

“Jeremy, smettila!” lo intimò Caroline, pur abbassando lievemente il tono di voce. Solo quando raggiunse il bimbo nel suo nascondiglio, si accorse del cappellino di carta colorato di verde che si era infilato in testa. Per somigliare di più a Peter Pan aveva recuperato una spadina di plastica dalla cesta dei giochi e si era infilato dei calzini antiscivolo verdi. L’unica cosa che a Caroline non tornava era il mantello nero da Zorro: probabilmente Jeremy doveva avere le idee un po’ confuse.

 “Peter Pan non ha il mantello!” gli sussurrò, quasi incominciasse davvero a sospettare che gli indiani potessero sentirli.

“Si che ce l’ha!” la rimbeccò il bambino con aria scontrosa. “Si vede proprio che tu non lo conosci!”

“ Questo, perché Peter Pan è uno stupido!” annunciò Caroline, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

Jeremy spalancò la bocca, offeso.

“Non è vero!”

“Sì che è vero! È stupido, perché non vuole crescere. Sai che pizza restare sempre piccoli?”

“Io non voglio crescere mai!” dichiarò il bambino, sgusciando fuori dal suo rifugio (evidentemente si era già dimenticato degli indiani) e brandendo la sua spada giocattolo. “Voglio andare all’Isola che non c’è e combattere contro i pirati! E poi voglio giocare con i bimbi sperduti e vivere nel rifugio. Che è un po’ come la casa sull’albero di Matt però più grande! E sai, ci sono anche le sirene lì. Ti piacciono le sirene?”

Caroline tentennò un po’ prima di scuotere il capo con fermezza.

“Preferisco diventare grande! Lo sai, i grandi possono fare un sacco di cose che i piccoli non possono fare. Tipo sposarsi e andare alle sfilate!”

“Io non ci voglio andare alle sfilate!” si lamentò Jeremy, mettendo il broncio. “E comunque, se poi diventi grande ,all’Isola che non c’è non ci puoi venire.”

 “Però potrei fare tante altre cose belle!” gli fece notare Caroline, d’un tratto ravvivata. “Come fare la maestra. O l’attrice! E poi quando divento grande, avrò anche un marito. E sarà altissimo, ma anche bello. Insomma un po’ come un principe. E avremo tanti bambini buonissimi (mica come te che sei una peste!) E staremo tutti assieme anche quando i bambini saranno grandi e avranno altri bambini e noi saremo vecchi. E…”

“Che noia!” si lamentò a quel punto Jeremy: per i suoi standard era già stato tranquillo fin troppo a lungo. “Io voglio lottare con i pirati!”

Caroline gli scoccò un’occhiata irritata.

“Guarda che se non cresci avrai sempre paura del buio!” lo rimbeccò, indicando la lucetta a forma di paperino che il piccolo teneva sulla scrivania.

“Io non ho paura del buio!” ribatté  prontamente l’altro, incrociando le braccia sul petto. “Io sono Peter Pan e Peter Pan non può avere paura del buio, perché ci sono le fatine che gli fanno luce quando è notte.” sollevò la spada e si preparò a colpire un nemico invisibile. “Caroline, tu sei Wendy?” domandò improvvisamente, dimenticandosi dell’agguato e saltellando fino a raggiungere la bambina.

“Che cosa?”

“Wendy vuole crescere e tu anche. Sei Wendy, no?” le fece notare, come se si trattasse di un’ovvietà.

Caroline gli scoccò un’occhiata titubante.

“Forse un pochetto.” Ammise infine, ripensando alla favola di Peter Pan. Non voleva dare ragione a Jeremy, però Wendy le piaceva. Era forte, coraggiosa e tanto dolce. Aveva vissuto avventure bellissime per poi decidere di abbandonare l’Isola, i bimbi sperduti e il suo Peter Pan, pur di continuare a crescere e avere a sua volta una famiglia: era in gamba, quella Wendy.

 “Allora se sei Wendy…” Jeremy mise da parte la spadina e sorrise a Caroline con aria da birbante. “…Ci giochi un po’ con me che sono Peter?” domandò, inclinando leggermente il capo in attesa di una sua risposta.

Caroline sospirò.

“E va bene!” si arrese infine.“ Ma solo cinque minuti!”

Jeremy rise e le diede una spinta.

“Uffa! Non incominciare già a parlare come i grandi, Wendy!” la schernì, prendendo a saltare sul letto.

“Mica mi avrai spinto nanerottolo? Adesso ti faccio vedere io!” esclamò una stizzita Caroline, rubandogli la spada.

“Io non sono “nanerottolo”! Io sono Peter Pan!” cinguettò Jeremy tra un salto e l’altro, continuando a ridere.

La bambina si arrampicò sul letto a sua volta.

“E va bene! Peter Pan!”

Anche Caroline incominciò a ridere. Balzò a terra giusto in tempo per evitare che i piedini irrequieti di Jeremy pestassero il bigliettino di scuse “SCUSA CARLINE”.

“Non ci hai messo una “O”. gli fece notare poco dopo, prendendo il disegno e adagiandolo sulla scrivania.

Jeremy le fece la linguaccia.

“All’Isola che non c’è non si va mai a scuola! Quindi le parole le scrivo come voglio io!”

Spiegò, scendendo dal letto per raggiungere la ragazzina. “è che è un po’ tanto lunghetto il tuo nome.” Si giustificò infine con aria seria, infilando le mani nel barattolo dei pastelli. “Ma se vuoi provo a scriverlo di nuovo!”

“Jeremy…” Caroline tirò fuori da uno degli scaffali il libro di Peter Pan e prese a sfogliarlo. “…Tu pensi davvero che certi bambini possano restare per sempre piccoli?”

Jeremy fece spallucce prima di raggiungerla, gattonando fino alla libreria.

“Forse sì se lo chiedono a una stella cadente.” rivelò con aria pratica, accoccolandosi accanto a Caroline. “Però alla fine…Alla fine poi crescono tutti.”

“Tutti tranne uno, no?” domandò Caroline, osservando con attenzione una delle illustrazioni.

Jeremy le rivolse un sorriso orgoglioso.

“Sì!” confermò, acquattandosi sul pavimento e attendendo con pazienza che Caroline voltasse pagina. “Tutti tranne uno.”

***

Mystic Falls non era poi così cambiata rispetto all’ultima volta in cui Caroline l’aveva visitata.

Certo, alcune case erano state ridipinte e, nei giardini, gli scivoli gonfiabili che tanto andavano di moda un paio di anni prima erano stati sostituiti con dei tappeti elastici. Ma per il resto, Caroline faticò a convincersi che fosse passato tutto quel tempo dall’ultima volta in cui aveva messo piede nella cittadina.

La ragazza si strinse nel golfino e attraversò il vialetto, incuriosita dalle esclamazioni infantili che provenivano da una delle villette: conosceva il proprietario di quella casa.

“Oliver prende Xander, ora!”

Un sorriso spontaneo illuminò il viso di Caroline, quando il suo sguardo individuò i due bambini piccoli che si rincorrevano in cortile. Uno dei due, il più piccolino, faticava a stare dietro al maggiore, ma non sembrava preoccuparsene. Era buffissimo, con quell’andatura goffa, i capelli scompigliati e i piedini scalzi che rincorrevano i passi del maggiore.

“Oliver prende Xander!”

Il bambino più grande scoppiò a ridere e si lasciò cadere a terra, trascinando con sé il più piccolo.

“BUM!” strillò, schiacciando il fratellino a terra e incominciando a solleticargli il pancino. “Nessuno può battere Peter Pan!” dichiarò, sollevando il pugno per aria in segno di trionfo.

Caroline sussultò.

Si sporse ulteriormente per osservare i due bambini e, con sorpresa, si accorse che qualcuno stava facendo altrettanto.

 “Peter Pan, penso che tu abbia appena ferito uno dei bimbi sperduti!”

L’uomo che fino a quel momento aveva vegliato sul gioco dei  bambini con aria rilassata, si affrettò a raggiungere i due fratelli e prese in braccio quello più piccolo.

“Tutto bene, Ollie?” domandò, esaminando il visetto spaventato del piccino. Jeremy Gilbert aveva ancora quella maniera luminosa di sorridere che Caroline non aveva mai dimenticato. I capelli arruffati dell’uomo incorniciavano un volto dall’espressione serena, un viso da eterno fanciullo.

I suoi lineamenti, però, si erano fatti più maturi. Più adulti.

Caroline non poté fare a meno di provare una leggera fitta di amarezza nell’accorgersi di quanto la favola che un tempo era stata la preferita di Jeremy fosse stata stravolta dalla realtà.

Peter Pan era cresciuto: era diventato papà. Mentre Wendy, la bambina che aveva deciso di mettere da parte le fantasie per diventare adulta, sarebbe rimasta per sempre fanciulla.

La sua attenzione tornò a focalizzarsi sulle tre figure in giardino.

“Xander ha fatto male a me!” stava piagnucolando il fratellino più piccolo, stropicciandosi un occhietto con la mano.

“Non è vero!”si lamentò Xander, sbattendo i piedi per terra. “Io l’ho spinto pianissimissimo!”

Caroline trattenne a stento una risata: quel birbante era il perfetto ritratto di Jeremy da bambino.

“Cerca di fare più attenzione la prossima volta.” si raccomandò semplicemente l’uomo, continuando a cullare Oliver. Il bambino smise presto di piangere, rassicurato dal tono di voce pacato del padre.

“Passato tutto?” domandò Jeremy, quando se ne accorse.

Oliver annuì con vigore, rivolgendo al padre un sorriso luminoso.

“Allora potete tornare a giocare. Forza!” esclamò l’uomo, mettendo il piccolo a terra. “Facciamo a chi arriva ultimo?” propose poi, strizzando l’occhio a Xander, ma il bambino scosse il capo. Si acquattò in un angolo del cortile, prese una manciata di pastelli dall’astuccio del fratello minore e incominciò a disegnare. Era ancora nel suo angolino, quando la signora Gilbert richiamò i piccolini per prepararli ad andare a letto. Xander abbandonò fogli e pastelli e ,senza fare storie, si affrettò a raggiungere l’ingresso della villa, non prima ovviamente di aver attentato alla schiena del suo papà, balzandogli in braccio all’improvviso.

“Preso, Uncino!” gridò, aggrappandosi al suo collo. Jeremy se lo sistemò meglio fra le braccia e gli arruffò i capelli con un sorriso.

“Papà, guarda!” Oliver stava agitando una mano in direzione di uno dei cespugli. “Papà, guarda! Fatina!” annunciò con un sorriso dolce.

Jeremy si voltò sorpreso: una lucciola aveva deciso di accoccolarsi in un angolo del giardino rischiarando a intermittenza la superficie di alcune siepi. Istintivamente, lo sguardo di Jeremy saettò in direzione del vialetto. Caroline si irrigidì e arretrò verso la villa adiacente, ma l’uomo distolse lo sguardo quasi subito.

“Andiamo a nanna, bimbi sperduti!” esclamò, prendendo Oliver per mano e accompagnando i due bambini in casa.

Una volta rimasta sola, Caroline si fece coraggio e attraversò la recinzione di siepi che delimitava il giardino dei Gilbert. I ricordi si plasmarono sotto ai suoi occhi, riportando alla luce quella ragazzina dall’aria altezzosa che per anni si era divertita a rincorrere i compagni di gioco proprio in quello stesso cortile. La sua attenzione venne catturata da un plico disordinato di fogli, circondato da pastelli e matite colorate. Caroline si chinò per raccogliere il primo disegno; un sorriso intenerito arricciò gli angoli delle sue labbra. In un angolo a destra del cartoncino, il piccolo Xander aveva trascritto a caratteri maiuscoli le parole “SCUSA OLLI-”.

Certe cose non cambiano mai, si trovò a pensare, appoggiando con delicatezza il foglio sul tavolino di Oliver.

Certi dettagli finiscono per rimanere in circolazione nella vita di ogni giorno e continuano a ripetersi all’infinito, senza mai evolversi. Senza mai cambiare.

Non i bambini, però.

I bambini crescono e diventano adulti. Proprio come Jeremy Gilbert.

Ma in fin dei conti, rimuginò Caroline riprendendo a percorrere il viale, c’era del vero nella favola di Peter Pan.

Tutti i bambini prima o poi crescono.

Tutti tranne uno una.

 

Nota dell’autrice.

Anzitutto, chiedo scusa per la lunghezza, questo è il mio ennesimo polpettone.

Secondo:questa storia come ho anticipato nella dedica, è nata durante una conversazione su msn quindi non ero nel pieno delle mie facoltà mentali [ma non lo sono mai, quindi potrei anche tacere D:]

Terzo, e punto più importante di tutti: questa storia è la seconda di una trilogia che s’intitola “Cappuccetto Rosso e altri racconti” . La trilogia è legata a Caroline e vede alcune delle favole più famose reinterpretate in chiave TVDiana (lol). Il primo capitolo (Little red riding hood) lo scrissi diverso tempo fa ed è una Tyroline incentrata su Cappuccetto Rosso. Apparentemente quel capitolo non ha nulla a che vedere con questo, ed effettivamente le storie possono anche venire lette per conto loro come one-shot singole. Tuttavia, il terzo e ultimo frammento si allaccia ad entrambe le storie, pur essendo maggiormente incentrato sulla prima. La terza e ultima parte della trilogia è ora online e s’intitola: She’s watching over us.

Detto questo, due parole sul titolo, sui marmocchi e fuggo. La “o” di Caroline è cerchiata, perché nel racconto Jeremy si dimentica di inserirla nel suo disegno (grazie alla zia Aika per avermi aiutato a scegliere il titolo!), così come nel flash-forward, Xander dimentica di inserire la “e” di Ollie, per scrivere il soprannome del fratellino Oliver.  Per quanto riguarda i figlioli di Jer, Oliver e Xander sono due personaggi del mio futurverse di TVD e sono stati introdotti per la prima volta QUI.

Occhei, ho finito.

Un abbraccio grande

Laura

   
 
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