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Autore: _Trixie_    28/08/2011    3 recensioni
[Amleto e Ofelia]
Come Ofelia, sono impazzita e ho scritto questa One-shot.
Spero che lo spettro di Shakespeare non inizi a perseguitarmi, considerate le bestemmie shakespeariane che incontrerete.
Le recensioni sono più che gradite, ovviamente ^^
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E non mi rimane che cantare, cantare la mia follia.




Dalle mura del castello il gelo e il vento di febbraio si insinuavano nei corridoi scarsamente illuminati.
La leggera camicia da notte che portava Ofelia non era per nulla adatta a proteggerla da quel freddo, che sembrava trasudare dalle mura stesse. Camminava silenziosa, appoggiando con un brivido un piede nudo davanti all’altro, pregando che nessuno la scoprisse.
Ripensava a quella lettera che aveva letto e riletto cento volte, per farsi coraggio.  
Le era stata consegnata da un servo nel pomeriggio, da parte del principe Amleto, che la pregava di recarsi nelle sue stanze, nottetempo e senza essere notata.
Si era tormentata per ore, indecisa sulla linea di condotta da seguire.
 
Il suo primo istinto era stato di non andarci e spiegare al principe che lei certo non poteva presentarsi nella camera di un uomo, a notte fonda!
Chissà cosa avrebbero detto di lei e del suo onore!
Le sue virtù sarebbero sicuramente state messe in discussione!
No, anche il principe Amleto, una volta parlato con Ofelia, avrebbe capito le sue ragioni, avrebbe convenuto con lei che le sue obbiezioni era logiche ed appropriate.
Ma con il sopraggiungere della sera, rileggendo la missiva del giovane principe, ripensando alle dolci parole che le aveva rivolto in altre occasioni e ai regali che le avevano accompagnate, Ofelia si convinceva che non v’era nulla di male nell’incontrare il principe, nonostante l’ora poco consona e la segretezza che le era imposta.
Improvvisamente, tuttavia, le si affacciavano alle mente le parole del padre, come a redarguirla:
 
Affetto!… Poh!… Tu parli da bimbetta
all’oscuro di simili pericoli.
Credi davvero a quelle “sue profferte”,
come le chiami tu?
 
In cuor suo Ofelia ci credeva, alle parole e ai giuramenti del principe Amleto.
Come non credere a promesse pronunciate da labbra così nobili e oneste?
 
Forse ora egli t’ama, ed in quest’ora
nessuna macchia di riserva o calcolo
appanna l’onestà dei suoi propositi;
ma farai bene a stare molto guardinga…
 
Le aveva raccomandato Laerte, il suo caro fratello, prima di partire.
Glielo aveva assicurato, lei, che vi avrebbe prestato ascolto, che sarebbe stata attenta e non si sarebbe scottata con quelle che 
 
Sono solo fiammate, figlia mia,
che producon più luce che calore,
e, appena accese, subito si estinguono,
e nell’una e nell’altro.
 
“Obbedirò a quest’ordine, signoreaveva detto al padre,“custodirò, a guardiana del mio cuore,la morale di questo tuo consiglio” aveva assicurato al fratello.
E così Ofelia a cena si torceva le mani. Non poteva certo tradire le proprie promesse, fatte per giunta a suo padre e suo fratello.
Ormai presa la decisione di rifiutar l’invito del principe Amleto in nome delle propria virtù, Ofelia arrossiva e sorrideva, al pensiero di parole dolci, sussurrate appena al suo orecchio, vicino al fuoco caldo:
 
Dubita che le stelle siano ardore,
che il sole ruoti intorno alla sua sfera,
dubita che la verità sia vera,
ma dubbio non avere del mio amore.
 
Ma lei di dubbi ne aveva e una soluzione al suo dilemma non riusciva a trovare.
Coricandosi non era riuscita a prendere sonno, il viso di Amleto, fiero e puro, le impediva di abbandonarsi tra le braccia di Morfeo e la imprigionava in un agitato dormiveglia.
Infine era scivolata fuori dalla propria camera e poi lontana dal padre, che dormiva ignaro di tutto.
E’ Amleto che mi ha rubato il sonno,si diceva, ed è lui che dovrà restituirmelo.
 
E così continuava a ripetersi la bella Ofelia, vagando per i corridoi del freddo castello di Elsinore, e aveva finito per crederci a quelle parole, mentre bussava timidamente all’uscio delle stanze principesche.
Dall’interno giunsero dei passi affrettati e la ragazza non dovette attendere che qualche secondo prima che Amleto si presentasse a lei, con il giustacuore abbottonato alla meglio e la calzamaglia sgualcita.
- Siete venuta. Temevo aveste deciso diversamente - soffio il principe, sorpreso.
- Signore, sono qui solo per dirvi che non mi sembra appropriato un tale incontro. Non lo è per me e tantomeno lo è per voi. Buonanotte, signore, mi spiace avervi disturbato - rispose Ofelia, improvvisamente colta da vergogna per quella visita e il suo stesso abbigliamento.
Incontrare il principe, con il buio e in camicia da notte! Buon Dio, cosa mai le passava per la testa?!
- No, aspettate! Avete freddo, entrate a scaldarvi - la invitò Amleto che, scorgendo la reticenza di lei, subito aggiunse - vi prego …
Il tono supplichevole colse Ofelia all’improvviso e la ragazza assentì con il capo.
- Sedetevi, prego, scaldatevi, siete pallida e non vorrei mai che vi venga qualche malanno a causa mia, adorata Ofelia - si premurò Amleto, accostando una poltrona al caminetto dove un fuoco ardeva scoppiettante, unica luce nella stanza.
- Grazie, mio buon signore, ve ne sono grata - replicò Ofelia, con un filo di voce, e sorridendo a lui, per tali premure. Amleto prese posto su una poltrona identica, di fronte alla ragazza.
Il rintocco delle campane riuscì a penetrare fin nella stanza, attraverso le mura solide, e raggiunse le orecchie del principe. E’ mezzanotte, pensò e sorrise.
- Sapete che giorno è oggi, graziosa Ofelia?
- E’ lunedì, signore - rispose la ragazza, chiedendosi il motivo di una domanda tanto elementare.
- Certo, bella Ofelia. Ma oggi è San Valentino.
- Oh, avete ragione, mio buon signore. Non lo ricordavo affatto - annuì la giovane.
Improvvisamente, il principe si levò in piedi e si diresse a passi veloci ad una scrivania poco distante. Aprì un cassetto e ne tolse una preziosa collana di smeraldi.
Ritornò a sedersi.
- Tenete - le disse, infilandole la collana e ammirando il collo della giovane - questo è il segno del mio amore e del mio impegno con voi.
- Impegno, signore mio, quale impegno?
- Sposatemi, Ofelia. In ginocchio, chiedo la vostra mano - proruppe Amleto improvvisamente,  scivolando dalla sedia ed inginocchiandosi a terra, di fronte all’amata.
Ofelia sbarrò gli occhi, del tutto impreparata alla richiesta del principe.
 
data l’altezza del suo rango,
egli non può disporre a suo talento
della sua volontà, perché egli stesso
è suddito dei suoi stessi natali,
non può foggiarsi a suo modo la vita,
come può un comune individuo;
 
- Vi darò ogni cosa voi chiederete! Vi donerei con gioia la mia vita, se solo valesse quanto voi!
 
e ciò perché dalle sue decisioni
può dipendere la salute e il bene
del regno; ogni sua scelta è sottoposta
ai desideri ed al consentimento
di quel corpo del quale egli è la testa.
 
- Vi amo, Ofelia. Una sola vostra parola cambierà il mio destino, una sola vostra parola deciderà della mia vita! No, non della vita. La mia vita non vale nulla! Una vostra parola deciderà della mia anima. Perché negandomi il vostro amore mi renderete il più dannato dell’Inferno!
 
S’egli ora dunque ti professa amore,
sarai saggia se gliene farai credito
nei limiti che a lui son consentiti,
dalla particolarità del rango,
di porre in atto quanto possa dire;
perché non potrà farlo oltre quel tanto
che possa consentirgli in generale
la pubblica opinione in Danimarca.
 
- Rispondete, Ofelia, pronunciate la mia sentenza. Temete forse le ire di vostro padre? O di vostro fratello? Non stupitevi, gli ho sentiti, con le mie stesse orecchie, mettervi in guardia da me e dal mio amore. Ma ascoltate il vostro cuore, mia amata, mio fiore! Ascoltatelo, ve ne prego. Non abbiate paura perché nulla, né nei confini della Danimarca, né al di fuori di essi, potrà mai torcervi un solo capello!
 
Rifletti dunque bene a quale perdita
potrebbe derivare all’onor tuo
se tu prestassi alle sue serenate
troppo credulo orecchio, a cuor perduto,
o se schiudessi il tuo casto tesoro
alla sfrenata sua insistenza.
 
- Io … Mio buon signore, non dovete dubitare del sentimento che nutro per voi, come io non dubito del vostro, ma voi siete il principe di Danimarca! Io sono solo la figlia del ciambellano e non posso ardire a tanto. Non posso rispondervi con il cuore, mio adorato signore, mio Amleto! - singhiozzò Ofelia, trattenendo a stento le lacrime.
Non voleva piangere per sé, voleva piangere per il dolore che provocava al suo Amleto, per l’atrocità commessa nel rifiutare la sua offerta di matrimonio, per aver decretato la sua dannazione.
 
Attenta, Ofelia, attenta, cara mia sorella!
 
-Non siete voi a parlare, non potete essere voi! La paura parla per voi, Ofelia, ma non lasciate che prenda dominio su di voi, ve ne prego, ve ne scongiuro!
 
La miglior difesa è nel temere.
 
- E’ per voi e il vostro regno che temo! Solo…
Amleto tolse la parola di bocca alla bella Ofelia, prendendo le mani della ragazza tra le sue.
- Tacete! Tacete, per misericordia. Io non ho nulla da temere, dunque nemmeno voi dovete temere. La mia vita non conta nulla e la mia anima è nelle vostre mani, Ofelia, mia diletta, non c’è nulla al mondo che possa scalfirmi. Nulla al di fuori di voi. Ve lo chiederò un’ultima volta, Ofelia, rispondete con il cuore, solo con il cuore. Ofelia, volete sposarmi?
Lo scoppiettio del fuoco tornò ad essere l’unico rumore della stanza, le speranze del principe Amleto e l’indecisione straziante della graziosa Ofelia tutto ciò che era illuminato.
- Mio buon, adorato signore, io vorrei sposarvi, ma …
- Non aggiungete altro! - scattò il principe, alzandosi in piedi e accostando il proprio volto a quello leggermente arrossato di Ofelia.
Oh, come resistere a tanta purezza? A tanto dolce candore? Alle onorevoli virtù della bella Ofelia?
- Nient’altro, mia Ofelia, mia amata, mia sposa! - aggiunse il principe Amleto, prima di chinarsi e baciare le labbra calde di Ofelia, prima di allora mai profanate da nessun amante.
 
Tieniti sempre nella retroguardia
della passione, fuor dalla portata
e dai pericoli del desiderio.
Fa già abbastanza dono di se stessa
la vergine più schiva che alla luna
discopre le sue vereconde grazie.
 
Ofelia rabbrividì.

 

***

 

Ofelia respirava a fatica, incapace di credere a ciò che era appena accaduto.
Guardò il volto del principe Amleto, alla debole luce delle braci che ormai si stavano spegnendo. L’uomo era abbandonato sul suo petto, sul suo seno. Addormentato.
E Ofelia avrebbe voluto morire.
Che vergogna, che disonore, che crimine aveva commesso quella notte!
Una calda lacrima fece capolino dal suo occhio, cadde sulla guancia e si perse nel tappeto, davanti al fuoco, dove aveva consumato il delitto con Amleto.
Quale donna, degna di tale nome, avrebbe fatto una cosa simile?
Lei non era più una donna, non era più nulla.
Ofelia non riuscì a trattenere uno spasmo, che le scosse il corpo, tanto da svegliare Amleto.
Il principe si guardò intorno, spaesato.
- Cosa ci fate voi, qui? - chiese, alla bella Ofelia in lacrime.
Non ottenne risposta.
- Perché siete nuda? Oh, ora ricordo - si accigliò il principe Amleto.
- Non siete pura come pensavo, Ofelia. Voi siete come tutte le altre. Andatevene.
Amleto si scostò dalla ragazza, come se fosse infetta. Negli occhi solo pazzia, nulla dell’amore che li aveva illuminati qualche ora prima.
La triste Ofelia recuperò la propria camicia da notte e la infilò precipitosamente, coprendo la propria nudità.
- Se una sola parola di tutto ciò che mi avete detto e promesso poco fa, signore, ve ne prego, non fate parola dell’accaduto - disse, con voce tremante Ofelia.
- Cosa credi, che sia uno sciocco? Non so cosa mi abbia spinto a dirvi quelle cose, Ofelia, non lo so! Non comprometterò il vostro onore di vergine se voi non comprometterete il mio di uomo! - assicurò il principe, con rabbia.
Ofelia lasciò la stanza del principe Amleto, ripercorrendo a ritroso il cammino fino alla propria camera, la collana da lui regalatale che sbatteva sul suo petto. La sentiva immensamente pesante.
Metteva un piede nudo davanti all’altro, la bella Ofelia, piangendo l’amore, la dignità e l’innocenza sua perduti, come quelli di Amleto. 

***
 
Signore, ho qui con me vostri ricordi
che da tempo volevo ritornarvi.
Vi prego, riprendeteli.
 

Non io.
Non v’ho dato mai niente.

 
Vostro onore,
voi ben sapete di avermeli dati;
e accompagnati pure da parole
spiranti tal profumo di dolcezza
da renderli oltremodo più preziosi.
Quel profumo è svanito. Riprendeteli.
A cuor gentile anche i doni più ricchi
si fan povera cosa,
se chi li dona si mostra crudele.
Eccoli, mio signore.
 
 

Gli porge un pacchetto

 ***

 

Una volta vi amavo, questo mi ha detto.
Mio signore, confesso, me l’avete fatto credere,ho risposto.
Non mi avresti dovuto prestar fede: io non ti ho mai amata, così mi ha annientata.
 
Ma non posso crederci!
No, non era Amleto a parlare, non era il suo cuore a dirmi quelle crudeli parole, a ferirmi e pugnalarmi con la sua sola voce.
Lui stesso mi ha detto di non credere a nessuno, lui stesso si è smentito.
In convento, mi ha detto di andare.
Ma era la pazzia a ragionar per lui, la follia a dettare le sue azioni, la demenza a consigliarlo.
Mio povero Amleto, ditemi cosa ha annichilato in voi il senno?
E che cosa sta uccidendo la mia ragione?
Oh, sì, Amleto, anche io sto impazzendo, proprio come voi.
E mi domando, è forse vostra la colpa? Forse voi mi state portando via il mio pensar chiaro?
Oh, certo. Certo che la colpa è vostra.
Mi avete uccisa, una prima volta, promettendomi ciò che io non osavo sperare. Il vostro amore e un posto nel vostro talamo.
 
Ofelia, m’auguro che le tue grazie
siano esse solo la felice causa
della stranezza che pervade Amleto,
sperando che le tue virtù squisite
lo rendano alle forme sue consuete,
per l’onore di entrambi.
 
La Regina! La Regina vostra madre così mi aveva detto! Ma dove è?
 
Dov’è sua graziosissima maestà
di Danimarca?
 
Eccola, l’ho vista! Mi parla, mi domanda come va.
Cosa mai potrei risponderle? Forse che suo figlio mi ha uccisa?
Che ha ucciso parte del mio senno, una prima volta?
 
 Come farò fra tanti
a distinguere il mio innamorato?
dal bordone, dai sandali,
o dal cappello di conchiglie ornato?
 
Mi guarda e non capisce. Mi crede pazza.
Mi domanda il significato del mio canto.
Non importa che lei capisca, perché saprei come riconoscere il mio innamorato.
Lo riconoscerei ovunque perché porta su di sé il marchio dell’assassinio.
Io amo un assassino, amo l’assassino di mio padre.
Come posso amare colui che ha tolto la vita a chi l’ha donata a me?
Tutto ciò mi porta alla pazzia, Amleto, perché voi avete ucciso mio padre, dilaniando il mio cuore.
Quello stesso cuore che ora vi ama, ma non può perdonarvi per ciò che avete fatto.
E’ confuso, è impazzito, è colpa vostra. 
 
 È morto e se n’è andato,
signora, egli è morto ed è partito,
un sasso ai piedi ed il capo poggiato
sopra una zolla di terren fiorito.
 
Vi ricordate, Amleto, il giustacuore che indossavate quella notte? Aveva ricami floreali, rigogliosi e forti, poggiati sul vostro petto.
Anche sul petto di mio padre v’erano fiori poggiati, a coprir il segno della vostra spada, la firma della vostra infamia.
L’hanno trovato, sapete, dove voi lo avete abbandonato, nella vostra lucida follia!
La stessa follia che vi spinse a scostarmi da voi. Piangevo, quella notte, ricordate? La notte che lasciaste in me parte di voi. Mi avete allontanata, avete evitato le mie lacrime, seppur versate per voi. Pensate, non ho pianto al funerale di mio padre. E’ colpa vostra, ne sono certa, voi mi avete portato via la sanità, Amleto, rendendomi persino incapace di piangere il mio stesso padre. Un vuoto di emozioni era il mio cuore quel giorno, gelido e pazzo.
Il freddo! Lo sentite il freddo, Amleto? Il freddo di quella sera, che voi provaste a debellare in me con del fuoco e portandomi tra le vostra lenzuola.
Ed il corpo di mio padre era freddo, sul suo volto che un tempo mi aveva guardata con severa tenerezza paterna era posato un lenzuolo bianco. Perché mai non ho dato retta a quelle labbra, che mi avevano avvertita, mi avevano messa in guardia?
 
… di fior tutto ammantato,
di lacrime d’amor non innaffiato
Bianco come la neve il suo lenzuolo…
 
Ero solo una fanciulla, una vergine, e cosa sono diventata?
Cosa sono diventata per voi, Amleto, mio signore?
Vostra è la responsabilità della mia pazzia, vostra la responsabilità della mia vergogna e del mio dolore.
Una figlia devota, una sorella amorevole, vostra futura sposa, forse, un giorno, come mi facevate credere.
E poi?
 
Sappiamo quel che siamo,
ma non quel che possiamo diventare.

 

E poi non rimane che cantare, cantare la mia follia.

 

Sarà domani San Valentino,
ci leveremo di buon mattino,
alla finestra tua busserò,
la Valentina tua diventerò.
 
Allora egli si alzò,
delle sue robe tutto si vestì,
la porta della camera le aprì,
ed ella non più vergine ne uscì.
 
Per Gesù, per la Santa Carità,
ahimè, quanta vergogna ci verrà!
Igiovani lo fanno,
incuranti del danno,
e del biasmo che glieneverrà.
Dice lei: promettesti di sposarmi,
prima di rovesciarmi.
Dice lui: Avrei fatto quel che ho detto,
se non fossi venuta nel mio letto.

 
***
 
 
Ogni parte in corsivo è tratta dalla tragedia “Amleto” di William Shakespeare. In particolare dalla versione tradotta da Goffredo Raponi. Inoltre, personaggi e ambientazioni non mi appartengono.
   
 
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