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Autore: Cersei Lannister    28/08/2011    1 recensioni
Un piccolo racconto, un flashback sui pensieri di Bellatrix Lestrange nel periodo di reclusione ad Azkban.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bellatrix Lestrange
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Durante l'infanzia di Harry
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non avevo mai smesso di sperare
Non avevo mai smesso di sperare


I giorni trascorrevano lenti ad Azkban, anche se certo non potevo affermare di avere cognizione del tempo. I minuti, le ore, mi scivolavano addosso in maniera quasi esasperante. Racchiusa tra quelle sudice mura, in quella prigione che mi soffocava, prendendosi anche l’ultimo briciolo di sanità mentale che mi rimaneva, agognavo solo una cosa: Lui. Si, Lui, il mio Signore, colui che aspettavo, colui che non era stato sconfitto come tutti credevano...no, io sapevo che lui era ancora là fuori, e che sarebbe venuto a prendermi da un momento all’altro. Doveva essere così...doveva. Perché io ero la più fedele, la sua più devota servitrice. Non ero come tutti gli altri stupidi codardi, tutti coloro che avevano rinnegato il loro Signore da quel maledetto giorno in cui tutto era crollato.

Ma io lo sapevo che sarebbe tornato prima o poi. Io lo aspettavo.
C’erano giorni in cui mi aggrappavo alle sbarre della mia cella con la sola speranza di poter scorgere, dalla piccola finestra che dava sull’esterno, qualcosa...un segno che finalmente annunciava che lui era tornato.
E lo pensavo, se pensavo a quel momento, se lasciavo che la mia fantasia galoppasse a battaglie vissute, a tutto quello che avevo fatto prima di esser rinchiusa in quella prigione, quei luoghi bui ed agghiaccianti potevano godere della mia risata, altrettanto agghiacciante, stridula, inquietante. E ridevo perché io sapevo che lui non mi aveva abbandonata. Ridevo perché lui sarebbe venuto a prendermi.
Solo i dissennatori riuscivano a farmi smettere, a farmi ripiombare nell’oscurità, nel silenzio...un silenzio più terribile delle mie risa. Essi prosciugavano ogni ricordo al quale aggrapparmi, mi entravano dentro, nell’anima, e scavavano con forza per strapparmi ogni pensiero felice.
Mio marito, Rodolphus, nella cella vicino alla mia, qualche volta tentava di consolarmi. Mi diceva di resistere, che presto avremmo trovato un modo di evadere. Io non lo udivo nemmeno. No, io in quei momenti pensavo al Signore Oscuro...e mi sentivo meglio, più forte, più viva, più combattiva.
Si perché io avrei combattuto di nuovo. Avrei nuovamente avvertito quell’eccitante sensazione scorrermi nelle vede, percorrermi il corpo; la sensazione di piacere che si prova nell’arrecare dolore a qualcuno.
Così andavo avanti. Così sono riuscita a sopportare ben quindici anni, in un luogo in cui pochi riescono a sopravvivere.
E poi eccolo quel giorno, un giorno che non dimenticherò mai.
Stavo seduta sul pavimento, i capelli, ricci e scuri come la notte, che mi ricadevano disordinati sul volto; una veste sporca, umida, che era stata adagiata sul mio corpo, magro e provato dal tempo. Nulla di nuovo, nulla di non ordinario ormai, tranne...tranne un’improvvisa scossa avvertita all’avambraccio sinistro, là dove vi era uno sbiadito marchio nero. Abbassai di scatto gli occhi su questo, ed il mio cuore per un attimo si fermò, per poi riprender a battere all’impazzata: il marchio era più vivido che mai. Lui era tornato.
Ma non ebbi il tempo di realizzare la cosa che un’esplosione assordante colpì il muro della stanza in cui mi trovavo, mandandolo in frantumi insieme a molti altri. Un sasso mi colpì ad una tempia, ma non vi badai...non feci caso nemmeno al sangue caldo che lentamente iniziò a scorrermi al lato del viso. Al momento sentivo solo il vento accarezzarmi il viso, l’odore dell’aria salmastra...l’odore della libertà.
Quindi mi alzai, e, barcollando un po’, calpestai le macerie che si erano formate attorno a me. Osservai il cielo che si presentava ai miei occhi, nel quale splendeva il marchio nero.
Una risata, la mia risata. Folle, incontrollabile, sentita. Lui era tornato, era venuto a prendermi, esattamente come avevo sempre creduto.
  
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