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Autore: purplebowties    28/08/2011    9 recensioni
Ma quando l'odio cessava, Chuck restava ad annegare nella sua malinconia, incapace di perdonare e ancora più incapace di lasciare scivolare via il sogno che la vedeva divenire sua per sempre.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Blair Waldorf, Chuck Bass, Lily Van Der Woodsen | Coppie: Blair Waldorf/Chuck Bass
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessuna stagione
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Autore: purplebowties
Titolo: Acceptance
Personaggi: Chuck Bass, Blair Waldorf, Lily Van Der Woodsen. 

Paring: Chuck\Blair  
Rating: Giallo
Timeline: AU post quarta stagione. 
Introduzione: 
Ma quando l'odio cessava, Chuck restava ad annegare nella sua malinconia, incapace di perdonare e ancora più incapace di lasciare scivolare via il sogno che la vedeva divenire sua per sempre.

 

 

 

Acceptance.

 

 

“Si perdona finché si ama.” 
François de La Rochefoucauld

 

"Buongiorno, Mr. Bass," escalmò Vanya calorosamente, togliendosi il cappello mentre teneva la porta aperta con un largo sorriso stampato in faccia.  "E' un piacere rivederla, Dorota mi parla sempre di lei," proseguì, chinando la testa bionda.

Chuck fece un segno d'assenso frettoloso, facendosi strada all'interno dell'ingresso con aria assorta. Curioso che la governante di casa Waldorf parlasse ancora bene di lui, dopo quello che era accaduto negli ultimi mesi: era difficile immaginare una situazione in cui il suo nome non venisse associato a quello del
 diavolo nell'attico sulla Fifth Avenue, dove Blair se ne stava bellamente arroccata a tessere le trame delle sue menzogne.

Chuck percepì il suo cuore aumentare dolorosamente il ritmo di qualche battito all'idea e l'inevitabile rabbia ancora troppo fresca lo costrinse a serrare i pugni nel suo cappotto scuro, indossato contro l'insistenza fastidiosa del gelo di inizio Dicembre. 

Sospirò, stendendo le labbra nell'ombra di un sorriso di circostanza. "Sono qui per vedere la signora Van Der Woodsen," disse al portiere con un tono pacato che tradiva il suo attuale stato emotivo.

Lily era stata di parecchio supporto per lui durante l'ultimo periodo e Chuck le era profondamente grato per avere avuto l'insistenza di perseverare nel costringerlo a non chiudersi nella sua personale rocca di autocommiserazione e solitudine. Insieme a Nate e a Serena, sopravvissuta miracolosamente ai crolli di nervi dovuti dalla necessità di barcamenarsi tra lui e Blair, tentando di non fare torto a nessuno, Lily era stata una delle poche persone con cui si era concesso di comunicare.

Tuttavia, non aveva avuto nessuna difficoltà nel capire di che cosa (o di chi) lei avrebbe voluto parlare, quando, in mattinata, lo aveva invitato a prendere un tè con quel tono materno e fin troppo pacato che utilizzava solo quando era Blair Waldorf l'argomento da affrontare. E Chuck, nonostante fossero passati diversi mesi, non poteva evitare di finire letteralmente a pezzi ogni volta che si trovava costretto dalle circostanze o dalle altre persone a ripercorrere anche solo un particolare di quello che lei gli aveva fatto - che aveva fatto ad entrambi, in realtà.

Si sentiva ancora così ferito ed annientato da quanto era successo, che anche solo sentirla nominare gli creava nel petto una dolorosa mescolanza di sentimenti contrastanti. Una parte di lui, ostinata e sognatrice, fremeva letteralmente all’idea di concederle una volta per tutte il suo definitivo perdono, di farle finalmente scivolare sull’anulare sinistro e miracolosamente nudo il suo Harry Winston, di percepire la pesantezza di quel diamante enorme e pieno di luce nell’atto di sollevare delicatamente la mano di Blair, di portarla alle labbra ormai secche, assetate di gioia e sorrisi, assaporando la morbidezza di quella pelle nivea con un bacio avido e vitale. 

Di certo, lui non sorrideva più da tempo. Si sentiva stanco ed intorpidito, incapace di provare felicità, di trovare serenità o pace. L'unica cosa che riusciva a percepire era quella miscela mortifera di rabbia e disperazione che prendeva il possesso del suo corpo ogni qual volta la memoria faceva riaffiorare qualche ricordo luminoso di Blair, della sua Blair, della donna che più di una volta era arrivata a salvarlo con le mani affusolate tremati ed un paio di occhi immensi, lucidi, profondamente vivi.

L’amore di Blair l’aveva tenuto in vita per anni, unico appiglio in un turbinio di disconferme e colpi bassi, cadute rovinose, errori e disprezzo, ed ora, ora che lei sembrava comparire solo per squarciare ancora di più le sue ferite sanguinanti e mai rimarginate, ora che sembrava essere diventata un qualcuno che lui non riconosceva più - una donna capace di tradirlo ed ingannarlo spudoratamente - , quell'amore che li aveva legati e condannati gli sembrava essere così velenoso da mescolarsi inesorabilmente con i moti d'odio che di tanto in tanto affioravano in lui, violenti ed indesiderati.  

Blair non era mai stata una persona corretta e quella sua vena malevola ed affascinante era stata una delle innumerevoli cose che lo avevano fatto innamorare, quando, ancora sedicenne, si divertiva a scovare il peccato tra le sue labbra carnose, tra i boccoli angelici e negli occhi scuri, diabolici quasi quanto lo erano sempre stati quelli di lui, tanto maliziosi e vivi da restargli impressi nella mente con una tale intensità da lasciato di volta in volta senza fiato. Eppure, nonostante i colpi bassi avessero più volte, nel corso degli anni, macchiato il loro rapporto di rancore e risentimento, Chuck non si era mai sentito così ferito e tradito da Blair, mai la fiamma impertinente della meschinità di lei lo aveva scottato in un modo tanto doloroso e bruciante. 

Ma quando l'odio cessava, Chuck restava ad annegare nella sua malinconia, incapace di perdonare e ancora più incapace di lasciare scivolare via il sogno che la vedeva divenire sua per sempre. 

Più volte si era ritrovato di immaginare come lei avrebbe reagito se solo lui le avesse chiesto di sposarlo, nonostante tutto. Era sicuro che gli occhi di Blair avrebbero brillato di commozione e che lei gli si sarebbe gettata addosso con tutto il suo peso inesistente, che avrebbe pianto lacrime frustrate e liberatorie, macchiandogli la camicia con il suo mascara Chanel; sollevata, felice, con le lunghe ciglia scure tremolanti di emozione. Quell'immagine lo tormentava dolorosamente, perché, dietro allo sguardo limpido della sua Blair onirica, Chuck non riusciva ad ignorare l’ombra del segreto che lei aveva mantenuto, negandogli il diritto di leggerle l’anima, negandogli il diritto si sapere.

E così Chuck si tuffava a capofitto nel lavoro, cercava freneticamente investimenti da portare a termine, immobili da acquistare, attività da aprire, azioni da far fruttare, dietro alla scrivania di mogano del suo ufficio al Charles' Place, quella che lei stessa gli aveva consigliato un pomeriggio di inizio settembre, con gli occhi vispi ed un sorriso dispotico tra le labbra velate di rosso.

Ricordava ancora come si fosse sentito di nuovo vivo nel momento in cui aveva percepito i tacchi di Blair ticchettare sul pavimento della suite dell’ Empire e come la sua gola avesse bruciato al pensiero che lei non era lì per lui, ne che lo sarebbe più stata. 

Era entrata silenziosamente, annunciata solo dal rumore delle sue scarpe e dalla fragranza di 
Chanel N°5, e silenziosa era rimasta per qualche secondo, prima di concedergli un saluto timido a fior delle labbra tremolanti dipinte di rossetto. “Sono qui per Serena,” aveva poi aggiunto più sicura, giustificando la sua presenza.

Chuck aveva annuito, improvvisamente incapace di sorridere, stupito e sovrastato dalla tristezza che rivederla gli aveva provocato. Attento a non rivolgerle alcuno sguardo, si era concentrato sul catalogo che stava sfogliando.
 

"Quella è veramente bella," aveva detto infine Blair, indicando una pagina del depliant sulla quale compariva un’imponente scrivania di mogano scuro, nell'atto di spezzare il silenzio contrito e teso che abitava la stanza, mentre aspettava mite che Serena uscisse dalla stanza di Nate. 

Percependo il movimento con cui lei si era posizionata dietro alla sua schiena, Chuck aveva alzato gli occhi e si era concesso di osservarla veramente per la prima volta da quando era entrata, cinque minuti prima, traballante di insicurezza come non ricordava che lei potesse essere. 

 

Blair non era mai esitante con lui, non lo era mai stata. 

Non lo era stata la notte della sua prima volta, così come non lo era stata l'ultima volta che avevano consumato clandestinamente il loro amore. Non lo era stata nemmeno nell'incamminarsi verso il suo futuro brillante di felicità, una felicità che evidentemente lui non sarebbe mai stato in grado di darle, lasciandolo a contemplare l’infrangersi del suo sogno più grande - quello che li vedeva ammirare insieme il loro per sempre. 

All'epoca Chuck aveva considerato quella titubanza un prodotto dell'imbarazzo che lei doveva aver provato nel presentarsi nella sua suite un mese prima del  matrimonio con Louis, ma, alla luce di quanto aveva successivamente scoperto, ora Chuck si sentiva uno sciocco per non aver letto i segnali della menzogna ed averle risposto in un sussurro estasiato e contemporaneamente straziato:

"Si, lo è."

La scrivania era stata portata nel suo ufficio tre ore dopo e Chuck quella sera aveva sorriso dolcemente accarezzandone il legno lucido con la mano, al ricordo di Blair e del loro breve ma rigenerante incontro pomeridiano. Vederla gli aveva sempre infuso voglia di vivere.

Oggi, quando vi stava poggiato sgraziatamente sui gomiti, stanco dopo ore passate a colmare il vuoto della sua esistenza con profitti sempre più alti, Chuck non poteva fare a meno di rivivere all'infinito l'inganno di Blair, chiedendosi quando si sarebbe finalmente concesso di dimenticare.

“Certamente, signor Bass,” sorrise Vanya e Chuck trasalì, risalendo faticosamente la china dei suoi pensieri.

Si incamminò a passo spedito verso l’ascensore, lasciando dietro di sè un’intensa scia di profumo e sistemandosi la cravatta bordeaux con un gesto inconsapevole, come aveva visto fare milioni di volte a suo padre, quando era bambino.

Bart Bass aveva sempre avuto quel vizio inconsapevole di lisciare la seta delle sue cravatte - sempre troppo scure, sempre troppo austere - in presenza di suo figlio e a Chuck oggi piaceva pensare che lo facesse perché si sentiva in difficoltà, perché non aveva mia veramente imparato a dimostrare al suo bambino l’affetto che avrebbe invece dovuto esplicitare con un abbraccio o con una carezza. 

A volte il pensiero che era destinato a diventare come suo padre lo tormentava al punto di togliergli il sonno e di privarlo della forza di concentrarsi su qualsiasi altra faccenda. Guardandosi allo specchio, Chuck poteva già leggere i segni di quella freddezza, di quell’atroce aridità che innumerevoli volte lo aveva lasciato ferito, deluso o scontento scavargli il volto ancora giovane ma non per questo entusiasta, smaliziato o vivace come quello di un ventenne.

Non aveva una famiglia propria, ne mai ne avrebbe avuta una, di questo era certo: l’unica persona al mondo con cui aveva sinceramente pensato di avere un futuro aveva cancellato con un colpo di spugna tutti i suoi sogni ed i suoi progetti circa una vita diversa, una vita di amore e di calore.
Blair era stata l’unica con cui avrebbe mai voluto vivere, avere dei figli ed invecchiare, l’unica donna che lo aveva spinto ad immaginare, nei suoi lunghi momenti di riflessione, attimi di un’esistenza che mai gli sarebbe appartenuta. 

Quando stavano ancora insieme, Chuck si era scoperto più volte stupito da se stesso, nell’atto di fantasticare su come sarebbe stato appagante trovarla a casa dopo una giornata di lavoro, sorridente e luminosa di malizia come non poteva fare altro che ricordarla. Ora quei vagheggiamenti, che un tempo erano stati così dolci da cullarlo nell’addormentarsi, gli risultavano aspri e taglienti, indelebili nella sua mente e per questo impossibili da gestire, residui dell’intenso amore che ancora provava, che lo chiudeva in una trappola di soffocante risentimento. 

Era con languore e stanchezza che Chuck portava avanti la sua vita di donne senza nome e bicchieri di scotch vuoti solo per metà - perché non c’era più alcolico o stupefacente in grado di fargli dimenticare alcunché o di lenire il dolore della sua rabbia.

L’ascensore trillò prepotente, ricordandogli che era giunto il momento di uscire, varcando le porte di metallo scorrevole. L’attico dei Van der Woodsen -Humphrey (e Bass, in un passato non troppo lontano in cui il suo stesso padre aveva coltivato l’illusione di poter costruire una famiglia) profumava di rose, di tè e di Serena.

Non era difficile immaginare che la sua biondissima sorellastra se ne fosse andata da poco, lasciando dietro di se una scia troppo intensa e dolce. 
Voleva bene a Serena così come ne voleva a Nate e a volte pensava che quei due fossero l’unica ragione per cui non era fuggito il più lontano possibile da New York, indaffarati come erano stati per mesi ad assicurarsi che lui trovasse momentaneo svago in frequenti cene tra amici.

“Charles.” 

Chuck alzò gli occhi da terra in tempo per osservare Lily venirgli incontro, avvolta da un tailleur color crema, i capelli biondi stranamente sciolti sulle spalle. Aveva le braccia aperte, pronte ad avvolgerlo quasi fosse un bambino e, sebbene Chuck non avesse mai amato farsi abbracciare, la prospettiva di un po’ di calore umano non lo infastidiva affatto.

“Abbiamo sentito la tua mancanza a cena, la settimana scorsa,” gli disse lei sorridente, stringendolo leggermente e lasciando che Chuck le desse un veloce bacio sulla guancia.

“Sono stato occupato,” si giustificò Chuck con poca convinzione, ricordando come, la sera della suddetta cena, avesse passato il suo tempo chiuso nella suite dell’Empire, assolutamente desideroso di non incontrare nessuno. 

“Lo so. Lavori troppo, Charles,” mormorò Lily mentre una cameriera si occupava del cappotto di Chuck. “Hai l’aria davvero stanca,” aggiunse con tono materno, invitandolo a sedere sul lungo divano chiaro. 

Sebbene non dormisse più di tre ore per notte da mesi, Chuck non rispose. Da qualche tempo tutti avevano cominciato a trattarlo come un piccolo fantoccio di cristallo che sarebbe andato in pezzi da un momento all’altro e l’idea lo lasciava sempre piuttosto irritato. 

Il tavolino basso era stato imbandito con una vassoio colmo di dolci, una teiera e, Chuck notò con una punta di divertimento, una bottiglia di cristallo colma di liquido ambrato che riconobbe essere scotch. Era sicuro Lily avesse pensato che ad un certo punto della conversazione lui avrebbe avuto bisogno di qualcosa di più forte che del semplice infuso.

“Scommetto che Serena è appena andata via,” affermò con sicurezza, abile nel cambiare discorso prima che Lily si lanciasse in un apprensivo monologo circa lo stress eccessivo. 

Lily annuì distrattamente, versando del tè nelle tazze di porcellana inglese che avevano tutta l’aria di essere un regalo per una delle innumerevoli volte che la donna era convolata a nozze. C’era qualcosa di materno e benevolo nel modo in cui Lily gli lanciava occhiate inquisitrici e preoccupate al di sopra della teiera e Chuck, benché ammetterlo gli era costato una certa fatica, non poteva dire di disprezzare o di essere infastidito da quelle piccole attenzioni. Lily non era mai stata ostinata ed appiccicosa come sua figlia, era sempre stata capace di calibrare adeguatamente la quantità di esternazioni di affetto con lui. Di certo non lo chiamava tutti i giorni ne pretendeva di abbracciarlo come se fosse appena tornato da una guerra ogni volta che lo vedeva. Lily era una donna posata ed intelligente.

“Si, l’hai mancata per un pelo. C’è ancora il suo profumo nell’aria, non è vero? Dovrò dirle di cambiarlo, è troppo dolce. E’ andata via come una furia dicendo che doveva correre da...” Lily si bloccò alla fine del discorso, rivolgendo a Chuck una sorta di sguardo colpevole. Era chiaro quale fosse il nome omesso al termine della frase.

Chuck prese un sorso di tè fumante, sospirando. “Puoi nominarla, Lily. Giuro che non impazzirò.”


Eppure era letteralmente impazzito, quando infine aveva saputo ciò che Blair gli aveva tenuto nascosto per mesi. Ricordava la rabbia crescente e acuta, il pulsare bollente delle sue tempie ed il bicchiere di cristallo finito a terra in uno scatto d’ira. Ricordava di come Nate gli avesse impedito di uscire di casa per andare a parlarle, gridando che avrebbe dovuto calmarsi prima e riempiendo ad intervalli regolari  un nuovo bicchiere di liquore fino a stordirlo abbastanza da rendergli impossibile andare in alcun posto.

Era successo all’inizio di ottobre.

Quando Serena gli aveva detto che Blair sarebbe partita nuovamente per Monaco, alla metà di settembre, lui aveva egoisticamente tirato un sospiro di sollievo: nei quindici giorni che avevano trascorso entrambi a New York, dopo le vacanze, Chuck aveva dovuto fare uno sforzo immane per tenersi il più possibile lontano da Blair e, le poche volte che l’aveva inevitabilmente vista, quei fugaci incontri lo avevano lasciato dolorante e colmo di un’indicibile tristezza, nonostante la delizia momentanea. Ogni distrazione proposta da Nate era risultata assolutamente inutile.

Così, durante quel paio di settimane di assenza, Chuck si era nuovamente sentito come in vacanza, sottratto all’ingombrante peso del macigno che per lui era osservare Blair essere felice con un altro uomo, sorridergli, baciarlo, preparare un matrimonio con lui. Lui e Nate si erano divertiti e Chuck aveva provato di nuovo quella leggera sensazione di spensieratezza.


Una mattina di fine settembre, tuttavia, Chuck era stato svegliato dal disturbante suono del suo cellulare, sul quale compariva un blast di Gossip Girl con la foto dell’atterraggio di Blair in terra americana al JFK. Nonostante fosse ancora assonnato, Chuck non aveva potuto fare a meno di notare la strana mancanza di allegria che abitava l’immagine: Blair portava un grosso paio di occhiali scuri adagiati sul volto e non c’era nessuna traccia di sorriso nel modo in cui se ne stava qualche metro lontana da Louis. Lo stesso principe aveva l’aria scura e contrita, le mani tenute distrattamente dentro le tasche di un paio di jeans costosi, lo sguardo basso.

Preoccuparsi era stata una reazione del tutto immediata e Nate gli aveva blaterato contro qualcosa circa la sua paranoia quando infine lo aveva visto aggirarsi per la suite nella sua vestaglia di seta viola, con aria ansiosa nel continuo tormentarsi le mani.
 

“Devi calmarti, amico,” gli aveva detto Nate prima di offrirgli il pranzo, il quale era stato condito da una lungo discorso su come le ore di volo ed il fuso orario fossero un’ottima spiegazione per la presunta stranezza di quella foto, così come lo stress per l’imminente matrimonio o il naturale comparire dei malanni stagionali derivati dall’incedere dell’autunno. Anche allora Chuck non era rimasto del tutto convinto, ma si era lasciato infine andare ad un sospiro liberatorio, incapace di contemplare l’idea di una Blair infelice. L’aveva lasciata andare perché potesse fuggire lontano dalla fonte di sventura che lui era sempre stato per lei, non perché dovesse sposare un uomo incapace di farla brillare come Chuck voleva che lei brillasse. Era così perfetta quando era luminosa. Bellissima, accecante di luce e meraviglia così come lo era stata quella sera al 
Victrola.

Poi, una sera di inizio ottobre, Chuck aveva ricevuto una delle telefonate meno attese e più sgradite della sua intera vita. rispondendo al cellulare,  non si sarebbe mai di certo aspettato di sentire quel terribile accento francese macchiare le parole del suo imprevisto interlocutore.
 Louis Grimaldi aveva usato una voce stranamente secca e roca quando gli aveva dato un appuntamento nella hall dell’Empire. 

“Ci vediamo tra un’ora, Bass,” aveva soffiato Louis nella cornetta e Chuck aveva inizialmente ponderato quanto sarebbe stato interessante e sinceramente spassoso lasciare il principe ad attendere qualcuno che non si sarebbe presentato, ma l’urgenza del tono con cui il francese aveva parlato gli aveva dato un certo sentore di allarme. 

Unita all’ancora latente preoccupazione per la foto della settimana precedente, la telefonata aveva dato a Chuck l’idea che ci fosse qualcosa che non andava con Blair: per quale motivo, altrimenti, Louis avrebbe voluto telefonare a lui, la persona che più probabilmente disprezzava al mondo?

Così Chuck si era cambiato il completo ed elegante si era presentato con anticipo al suo appuntamento, chiarendo decisamente il senso di apprensione che quella chiamata aveva suscitato in lui: Chuck era solito arrivare con almeno dieci minuti di ritardo nella convinzione di mostrare superiorità ed una sufficiente quantità di intimidatoria arroganza, ma se la questione riguardava Blair sarebbe stato assolutamente capace di mostrarsi anche ore prima.

Louis era arrivato puntuale e ben vestito, ma con una luce irosa che Chuck non aveva mai visto negli occhi sempre gentili di quell’uomo che gli aveva indirettamente causato tanta disperazione. A grandi passi rapidi, il principe si era avvicinato verso di lui con una posa astiosa e, senza accennare alcun saluto, aveva serrato le labbra fin troppo sottili in un’espressione che esprimeva in egual misura disgusto e disprezzo. 

“A cosa devo il piacere?” aveva allora domandato Chuck con fare pomposo, abile nel celare la fastidiosa preoccupazione che gli si agitava nel petto, gli occhi scuri puntati con bruciante attenzione sul volto nobile di Louis: sembrava stanco, provato ed il colorito smorto lo rendeva agli occhi di Chuck un nemico assai meno temibile di come lo ricordava. 

“Non lo chiamerei piacere,” aveva risposto schietto Louis, lanciando a Chuck un’occhiata malevola. “Ma c’è qualcosa che devi sapere riguardo a Blair,” aveva aggiunto, dopo una lunga pausa di tesissimo silenzio, durante il quale Chuck non aveva potuto fare a meno di chiudere gli occhi sentendo quel nome e di pregare mentalmente che lei stesse bene e che fosse felice, così come gli aveva promesso che sarebbe stata in un muto cenno del capo, con gli occhi che brillavano di commozione e paura durante il loro addio. 

Avido di curiosità e trepidante di preoccupazione, Chuck aveva annuito frettolosamente, conducendo Louis al bancone del bar ed invitandolo con un gesto della mano ad accomodarsi. Il francese gli aveva lanciato un’occhiata storta e poi si era seduto, lasciando qualche sgabello di distanza tra loro a esplicitare il naturale astio che provavano l’uno verso l’altro. 

“Che cosa dovrei sapere di preciso?” aveva chiesto allora Chuck ordinando da bere per entrambi, convinto che del coraggio liquido avrebbe reso quella conversazione se non sopportabile almeno leggermente meno dolorosa. Chuck aveva atteso in silenzio che Louis parlasse, ma era stato solo dopo aver finito il suo drink che il Principe si era deciso a dire qualche parola.

“Avevi ragione, Blair non è niente senza i suoi segreti,” aveva mormorato il principe con un accento aspramente carico di disprezzo e Chuck aveva provato una bruciante voglia di colpirlo, perché nessuno aveva il diritto di parlare di Blair in quel modo, di usare quel tono carico di disdegno e privo di dovuto rispetto. 

“Che cosa intendi?” aveva dunque soffiato Chuck, minaccioso e ruvido, con gli occhi puntati sul viso regolare di Louis, il quale, inaspettatamente, si era sciolto in una risata rauca e nervosa, ordinando un secondo giro al barista con un cenno.

“Blair ha mentito ad entrambi, Bass,” aveva scandito Louis con durezza e, senza dare il tempo a Chuck di replicare, aveva proseguito a parlare:“Blair ha nascosto di essere incinta, per mesi. Io stesso non l’ho saputo fino alla scorsa settimana.”

A quella rivelazione, Chuck era rimasto attonito, la mano serrata intorno al cristallo del suo bicchiere di scotch e la bocca semiaperta per lo sgomento, sentendo le viscere bruciare in fiamme, insieme al sogno già riposto in un angolo remoto della sua mente che lo vedeva costruire una famiglia con Blair, sposarla, essere il padre dei suoi figli. Il pensiero concreto che sarebbe invece stato invece Louis a vivere quell’esistenza lo aveva improvvisamente accecato, impedendogli di riflettere chiaramente sul fatto che tutta quella chiacchierata e i modi del principe sembrassero assolutamente inusuali, persino assurdi.

“Ha avuto un aborto spontaneo, il giorno stesso che siamo atterrati a Monaco. Il medico ha detto che può succedere se si ha un passato di disturbi alimentari, cosa che, in ogni caso, io non sapevo che Blair avesse,” aveva detto Louis tutto d’un fiato, gli occhi fissi davanti a se ed un’ironia fastidiosamente tagliente nella voce.

Chuck si era alzato di scatto, terrorizzato. “Sta bene?” aveva domandato con voce troppo acuta, le mani scosse da un tremito incontrollato e bocca improvvisamente secca, un brivido di sudore freddo lungo la schiena.

“Si rifiuta di parlarmi, quindi non saprei che cosa dirti,” aveva risposto il principe con una tale indifferenza ed una tale freddezza che Chuck aveva represso l’impulso di prenderlo a pugni con estrema difficoltà, pieno di rabbia e trepidante di sgomento all’idea di una Blair sola, mentre Louis se ne stava lì a parlare con lui, con quella riprovevole vena di disprezzo nella voce, impassibile.

Chuck aveva tentato di respirare regolarmente e di modulare la sua collera, ma le parole avevano fatto una pressione troppo forte contro le sue labbra nervosamente serrate ed infine erano uscite in un soffio di ira, prima sibilate e velenose, poi inelegantemente gridate:“E perché diamine non sei con lei ora? Perché sei venuto da me invece di restare con lei?” 

All’alzarsi del tono, Louis si era finalmente voltato a guardare Chuck, l’aria rassegnata e lo sguardo piattamente inespressivo.

“Non capisci? Quello non era mio figlio.”

Gli occhi di Chuck si erano dilatati per un secondo e poi si era letteralmente sentito soffocare, come se tutta l’aria fosse stata succhiata via dalla stanza improvvisamente a quelle parole. Le immagini dell’ultima notte d’amore che aveva condiviso con Blair gli erano passate davanti come un film a colori sorprendentemente vivido e Chuck ne aveva ricordato la furia, il bisogno impellente e l’irrefrenabile voglia di stringere Blair a se, di farla sua per quella che non sapeva ancora sarebbe stata l’ultima volta. Il suo mondo era crollato in quell’istante.

“Come puoi esserne certo?” aveva chiesto a Louis in un sussurro.

“Io sono stato sempre attento. Evidentemente non si può dire lo stesso di te.”

Con quelle parole, il principe se ne era andato.


Lily sorrise dolcemente, riportando Chuck al presente. 

“Volevo parlarti proprio di questo, Charles," disse con fare materno, versandogli in un bicchiere pulito una gentile quantità di liquore. “Sempre che per te non sia un problema.”

Chuck scosse timidamente la testa. Sebbene parlare di Blair lo facesse sentire uno sciocco ed un debole, Lily era un’eccellente ascoltatrice: sapeva sempre trovare le parole giuste da dire e non si era mai mostrata invadente o insensibile. Non avevano parlato spesso dell’accaduto, ma, dopo ognuna di quelle rare conversazioni, Chuck si era sentito momentaneamente alleggerito di un peso opprimente e doloroso. Parlarne, benché gli lacerasse ancora il petto, lo faceva sentire vivo, lo costringeva a risalire la china dell’ indifferenza che si era abituato a mostrare.

Sotto quella spesso stato di apatia, tuttavia, la domanda sul perché Blair gli avesse tenuto nascosta una cosa di così vitale importanza lo tormentava senza pietà, così come le risposte che di volta in volta Chuck si dava, sempre troppo amare per essere elaborate con lucidità.

A volte, si convinceva tristemente che Blair avesse preferito negargli la conoscenza del suo segreto perché non riteneva che lui sarebbe stato capace di essere un buon padre, che non sarebbe stato in grado di affrontare la situazione, perché era Chuck Bass ed era inaffidabile, lo era sempre stato. Lui era la persona sbagliata per lei, era una macchia scura nel suo passato, e lei aveva di certo pensato che avere in grembo suo figlio sarebbe stata una sventura, un incidente da nascondere, un errore, un ostacolo davanti al suo futuro scintillante di felicità con Louis. 

Uno sbaglio. Così Blair aveva considerato il frutto del loro amore, esattamente come era stato considerato lui stesso dai suoi genitori, dalla madre che lo aveva abbandonato ed era tornata solo per tradirlo e da suo padre, che aveva passato un’intera esistenza a disprezzarlo, a guardarlo con gli freddi e sempre colmi di delusione, di repulsione. 

Blair non gli aveva dato alcuna possibilità. Non gli aveva dato il tempo di amare quel bambino così come aveva amato (e tutt’ora amava, sebbene si maledicesse per non riuscire a smettere) lei, ne il tempo di immaginarlo nascere, il tempo di desiderarlo pienamente. Suo figlio era morto senza che nessuno lo avesse voluto, perché di certo Blair non lo aveva amato, lo aveva invece nascosto come si nasconde un riprovevole errore: era stato rifiutato ed era stato rifiutato perché il suo sangue non era quello di un Grimaldi, era sangue sbagliato, sporco, era il sangue di un Bass. Era morto indesiderato, così come lo stesso Chuck aveva passato l’intera vita. 

“Non l’hai più vista da quella sera? Serena mi dice che Blair soffre molto,” disse Lily con tono basso, cauto.  

Chuck si sciolse in una risata amara, scuotendo la testa. “Non è l’unica,” commentò tristemente e la voce si incrinò leggermente, al ricordo dell’ultima volta che l’aveva vista.

 

Dopo aver parlato con Louis, Chuck era rimasto un giorno intero chiuso nella sua suite, cercando di arginare tutta la sua rabbia e tutta la sua disperazione. Era stato solo due giorni dopo che, alla notizia dell’annullamento del matrimonio comparsa su tutti i giornali, Chuck era uscito finalmente di casa per andare a parlare con Blair, sotto gli occhi preoccupati di Nate, che gli aveva raccomandato per l’ennesima volta di mantenere la calma.

Ma Chuck non sapeva come contenere l’esplosione di ira che gli irradiava il corpo e quella frase stampata sulla carta, che giustificava la fine del fidanzamento tra Blair e Louis con la banale dicitura “
divergenze inconciliabili”, lo disgustava al punto da rendergli impossibile leggere oltre.

Con la morte nel cuore si era avviato a casa di Blair ed era rimasto sorpreso nel trovarla seduta di spalle davanti alla finestra del salotto, il colorito pallido e lacrime di perla a rigarle il volto riflesso sul vetro spogliato delle suntuose tende.

Sotto la rabbia e la bruciante delusione, Chuck aveva sentito il bisogno impellente di stringerla a sè, ma non ci era riuscito. Era rimasto immobile ad inalare il suo profumo e a maledirsi per tutta la debolezza che lei sapeva tirargli fuori con la sua sola presenza. L’avrebbe perdonata subito, forse, se lei si fosse voltata e gli avesse chiesto scusa, se lo avesse convinto di essere realmente pentita perché, nei suoi momenti di fragilità, Blair era la creatura che possedeva la bellezza più sorprendente e l’animo più meraviglioso che Chuck avesse mai avuto la gioia di incontrare.

Ma poi, davanti ai suoi occhi, erano comparse le immagini di quel bambino che non era mai nato e che mai avrebbe visto la vita.Chuck aveva abbassato le palpebre ed aveva immaginato di poter sfiorare la pelle morbida di quel neonato con un dito, di riconoscere se stesso e Blair nelle sue fattezze ed il veleno aveva cominciato a scorrergli nelle vene, pulsante di incontrollabile cattiveria.
 “Perché non me l’hai detto?” le aveva domandato negandole il saluto, la voce instabile e spezzata.

Blair non si era voltata. Era rimasta in silenzio, a contemplare le Limousine e i taxi sfilare lungo la 
Fifth Avenue, proseguendo apatica nel suo muto lacrimare. 

“Dammi una sola buona ragione, Blair,” aveva proseguito Chuck e la sua voce si era alzata di parecchi toni senza che lui riuscisse ad impedirlo, disperata, alla ricerca di un solo appiglio per potere giustificare Blair, per poterla stringere e sussurrarle che sarebbe andato tutto bene.

Solo dopo qualche secondo Blair si era finalmente voltata.

“Non lo so, Chuck,” aveva sussurrato lei appena, sempre più minuscola dentro la sua vestaglia di seta bianca, il collo teso e le ciglia che tremavano leggere sopra gli occhi umidi di pianto. “Ero spaventata e non sapevo cosa fare, non sapevo a chi dirlo…” aveva proseguito Blair velocemente, le lacrime sempre più copiose lungo le guance macchiate di rosso.

“Avresti dovuto dirlo a me, Blair. Era mio figlio,” l’aveva interrotta Chuck. “Ma tu non lo volevi, non è vero? Tu volevi solo fingere che non esistesse.”

Inconsapevolmente, Chuck lo aveva gridato con tutta la forza che aveva trovato nei polmoni. 

Aveva gridato e poi se ne era andato, senza aggiungere una parola, sordo alla voce di Blair che continuava a chiamarlo trai singhiozzi.


“Charles…” Lily gli appoggiò delicatamente una mano sulla spalla, ponendo sul tavolino basso la tazza di tè fumante. “Sai, anche io e Rufus ci siamo passati. Anche io ho nascosto a Rufus di essere incinta e non ne vado fiera. Per anni ho portato sulla coscienza il peso di avergli negato la possibilità di conoscere suo figlio ed io stessa mi sono negata questa gioia. Ero giovane ed ero spaventata, esattamente come Blair. Ma Rufus mi ha perdonata ed entrambi siamo stati molto meglio dopo.”

Chuck chiuse gli occhi, con il cuore che gli martellava troppo forte nel petto: un giorno o l’altro sarebbe scoppiato, lo sapeva. Le parole di Lily bruciavano come limone sulla sua ferita ancora aperta. Per mesi, il pensiero di una Blair sofferente aveva solleticato la sua coscienza sommandosi al dolore per quanto era accaduto. Periodicamente si era fatto dire da Serena come Blair se la stesse cavando e puntualmente si era scoperto completamente affranto dal sapere che anche lei stesse soffrendo, almeno quanto soffriva lui. Smaniava di concederle il perdono quasi stesse affogando in un abisso e lei fosse l’ossigeno in grado di salvarlo, ma era così difficile provare a comprendere e rassegnarsi all’accettazione. 

Era difficile fidarsi, convinto come era che lei non lo amasse, perché, se lo avesse amato così profondamente come aveva sempre dichiarato, Blair non avrebbe mai potuto nascondergli di aspettare suo figlio. Eppure lo aveva fatto e Chuck non sapeva mandare giù il boccone o lavare via quel senso di tradimento che gli bruciava costantemente in gola. 

“Scott è vivo, Lily. Tu lo hai dato in adozione…” cominciò Chuck, ma Lily lo bloccò prima che potesse proseguire.

“Blair non ha scelto di abortire: sono sicura che amava il vostro bambino profondamente, perché è naturale, Charles. Tu stesso hai sentito di amare quella creatura dopo aver saputo. Come può Blair non averla amata, quando è cresciuta dentro di lei per mesi?”

Chuck abbassò lo sguardo, restando in silenzio. Sapeva che Lily aveva ragione, era così ovvio.

“Sei un meraviglioso giovane uomo, Charles,” gli disse Lily con un sorriso, senza spostare la mano dalla sua spalla. “E so che la ami ancora. Non soffriresti tanto, altrimenti.”

Chuck sospirò. Certo che la amava. Amava Blair con ogni fibra del suo corpo, forse la amava da sempre, da quando all’asilo si divertiva a tirarle i codini per il gusto di vederla accaldarsi e perdere il controllo. Ed era quell’amore negato e tradito che lo faceva soffrire così immensamente: la voglia di perdonare Blair e la rabbia per non riuscire a farlo si sommavano in lui lasciandolo inerme e abbattuto. 

“Devi solo permettere a te stesso di perdonarla per essere felice,” terminò Lily e Chuck abbassò gli occhi, annuendo.

Lei aveva ragione, pensò: quella guerra era durata fin troppo.


 


 

“Devo fare un altro giro del vicinato, Mr. Bass?” chiese Arthur con tono calmo e pieno di tatto, nonostante quella fosse effettivamente la sesta volta, negli ultimi cinquanta minuti, che si ritrovava a porre la medesima domanda.

Chuck sospirò, facendo roteare lo scotch nel bicchiere di cristallo introno al quale le dita  restavano serrate, 
intorpidite ed innaturalmente pallide per la prolungata forza della presa. “Solo un altro, Arthur. Solo un altro,” mormorò con tono greve, prima di spostare inconsciamente lo sguardo sulla Fifth Avenue che scivolava oltre i vetri oscurati della Limousine con lentezza indicibile, a causa del traffico. 

L’attico dei Waldorf sparì progressivamente dalla sua vista, lasciandogli nel petto un nodo opprimente, duro come il marmo. La consapevolezza che Blair fosse lì dentro, probabilmente intenta, come da tradizione, ad aiutare Eleanor nella preparazione dell’annuale soirée natalizio lo faceva sentire come debole e minuscolo. Il cofanetto di velluto era incredibilmente pesante nel taschino della sua giacca, mentre cercava di trovare il coraggio per fare quel passo.

Confessarle di amarla ancora, nonostante tutto quello che era successo, si stava rivelando ancora più difficile di quanto era stato confessarle di amarla la prima volta, quasi tre anni prima.  La loro vecchia ed assoluta noncuranza di liceali gli sembrava ora un ricordo sbiadito e malinconico, così come privi di senso gli parevano i loro vecchi problemi, sciocchi, quasi banali.

Il cielo bianco latte e gonfio di ghiaccio, fuori dal finestrino, si confondeva con il grigio spento delle costruzioni: di lì a poco avrebbe certamente ricominciato a nevicare.  Quell’anno New York avrebbe avuto un Natale candido. 

“Siamo arrivati, Mr. Bass.”

La voce di Arthur lo fece trasalire e Chuck annuì velocemente. Una volta uscito dalla Limousine si fermò ad osservare per un secondo il palazzo in cui era situato l’attico di Blair e poi, finalmente, si decise a varcarne la soglia.

 


 

Chuck sentì i suoi stessi passi rimbombargli orecchie amplificati di parecchi toni, mentre percorreva il perimetro ridotto dell’ascensore. Il cuore gli andava al galoppo fermandosi in gola e le mani, serrate intorno ad un mazzo spropositatamente grande di peonie, tremavano quasi incontrollatamente. Gli sembrò quasi di non avere più fiato, quando, infine, un suono chiaro e fastidiosamente acuto gli disse che era giunto a destinazione.

Esitante, Chuck fece un passo all’interno dell’attico. Dorota doveva essere uscita, perché era tutto assolutamente silenzioso. Un imponente albero di Natale ancora spoglio faceva la sua figura proprio nell’ingresso. C’era un forte odore di abete, mischiato alla fragranza del profumo di Blair: il forte contrato tra le due essenze lo fece sentire disorientato.

“Chi è?” le parole di Blair lo raggiunsero da sopra la rampa di scale marmoree e Chuck chiuse gli occhi, estasiato al tono della sua voce.

Per mesi, quel suono lo aveva accompagnato nefasto a ricordargli quello che lei gli aveva fatto e quanto lui fosse incapace di perdonarla. Ora, invece, il timbro di Blair sembrava essere un unguento benefico che leniva quel dolore che ancora non lo aveva del tutto abbandonato. Ma certe ferite, aveva capito, non potevano scomparire; era sciocco pensare di poterle fare sparire con un colpo di spugna o nasconderle. No, quelle ferite andavano accettate e con loro era necessario convivere. Il calore dell’accettazione lo aveva spinto fino al punto in cui si trovava ora. 

Chuck restò in silenzio con gli occhi chiusi, ascoltando i tacchi di Blair percorrere veloci le scale e poi bloccarsi improvvisamente. Di certo, pensò con un sorriso, lei lo aveva visto.

“Chuck!” esclamò Blair con voce incerta e lui aprì gli occhi, per scoprirla immobile a metà della rampa, bellissima, fasciata da una gonna rossa che disegnava una ruota vaporosa intorno alle gambe lunghe e snelle, mentre una camicia color panna le si posava gentilmente sulle forme del seno.

Gli occhi di Blair scattarono improvvisamente verso le peonie ed un sorriso di gioia le squarciò le labbra velate di rossetto, mentre capiva di essere stata finalmente perdonata. erano mesi che lui non la vedeva sorridere. In tutte le foto postate su Gossip Girl Blair pareva sempre spenta e triste, mentre ora era un fascio di luce quello che le tagliava simmetricamente il volto. Gli occhi le  luccicavano di contentezza mentre, dimenticandosi completamente grazia e buone maniere, si precipitava velocemente giù per le scale che ancora la separavano da lui.

Prima che potesse fare qualsiasi cosa, Chuck se la ritrovò tra le braccia e le peonie finirono a terra in un cumolo disordinato di petali rosa sul marmo chiaro del pavimento. Chuck le accarezzò lentamente i capelli. Per qualche minuto, nessuno dei due ebbe la forza o la voglia di sciogliere quell’abbraccio per colmare il silenzio di parole. Lui non aveva bisogno di dirle che la perdonava, ne lei aveva bisogno di confessargli quanto le dispiacesse; erano i loro corpi a parlare, stretti come se la loro vita dipendesse da quel contatto e forse era davvero così, perché Chuck non si era mai sentito più vivo. Era come tornare finalmente a respirare, come svegliarsi da un sonno punteggiato da incubi spaventosi e violenti.

“Ti amo, Blair,” le sussurrò nell’orecchio prima di inginocchiarsi rapidamente davanti a lei, compiaciuto dal moto commosso di stupore che comparve in quel momento negli occhi di Blair. “Mi vuoi sposare?” le chiese con la voce che tremava quanto le sue mani.

L’ Harry Winston brillava prepotentemente nella sua scatolina di velluto, accecante e bellissimo. 

Tutto quello che Chuck riuscì a percepire, mentre la voce di Blair esplodeva finalmente in un sì emozionato, fu la felicità che scioglieva finalmente il peso sul suo petto. Non si era mai stato così libero come nel creare un legame definitivo con lei.

   
 
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