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Autore: mycoXspica    29/08/2011    0 recensioni
Ti faranno promesse, ti diranno che ci saranno sempre per te, ma quando veramente avrai bisogno di aiuto chi verrà a salvarti? NESSUNO.
Sarai sola.

One Shot partecipante al "the 100 prompt project";
[13° Argomento - Fasi della Vita | Prompt: 63.Crescita]
Genere: Generale, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Autore: mycoXspica;
Titolo: 'armedforces' Renko;
Tipologia: One Shot;
Fandom: Ghost Trick;
Genere: Generale, Introspettivo, Triste;
Rating: Giallo;
Pairing: Nessuno;
Avvertimenti: Missing Moments, One Shot, What if...?;
Note varie: Ambientata DURANTE il gioco;
Prompt: 63. Crescita;


The 100 Prompt Project


Le favole? Bambinate.
Sogni, principesse, speranza, amicizia e amore non esistono! È tutto un falso!
Ti faranno promesse, ti diranno che ci saranno sempre per te, ma quando veramente avrai bisogno di aiuto chi verrà a salvarti? NESSUNO.
Sarai sola.

Voi... cosa sapete voi di come va il mondo?
Cosa ne sapete dei pensieri delle persone? Dei loro veri sentimenti...?
La fiducia... è un’illusione!
Nessuno vi dirà mai cosa pensa veramente. Verrete riempiti di belle parole, vi diranno quello che volete sentirvi dire...
La verità è che ognuno vive idealizzando gli altri.
Nessuno vive per gli altri.
Tutti vivono per loro stessi, e se fanno qualcosa di buono per gli altri è soltanto perché in quel momento è necessario per loro, non per voi.
È inutile fidarsi di chi ci sta vicino... chi ci dice che non stia pensando a come sfruttarci al meglio?

E allora, fa’ il loro gioco.
Per sopravvivere, devi anticipare le mosse altrui.
Sfrutta gli altri prima che loro sfruttino te.
Questa è la mia regola.

Anni fa, anch’io ero una ragazza come le altre.
Amavo la mia famiglia, amavo il mio paese, e soprattutto, amavo i miei amici...

Eravamo inseparabili, e i giorni in cui non ci si vedeva erano rari.
Avevamo gusti differenti e diversi modi di pensare, ma ognuno di noi rispettava l’altro senza problemi... addirittura, ci aiutavamo a vicenda, in ogni situazione.
Erano il mio mondo; di loro, sapevo di potermi fidare ciecamente, ed ero convinta che anche per loro fosse lo stesso.
Ma il tempo cambia tutto, cambia le persone e con il suo scorrere genera in esse dolore e sospetto...

Eravamo poco più che bambini, quando le cose cominciarono a cambiare.
Loro sembrarono diventare più chiusi tra loro, e io mi sentivo un po’ esclusa... ma non volevo rovinare la nostra amicizia, quindi non dissi nulla.
Poi venne la guerra.

La nostra era una nazione piccola, ma ricca di un minerale utile a sviluppare un particolare tipo di tecnologia: l’encoder, come era stato soprannominato.
L’intera economia del nostro paese si basava sulla vendita all’estero di questa pietra che a poco a poco cominciò a fare gola a sempre più paesi, tanto che alcuni di loro si coalizzarono per conquistare la nostra nazione e controllare, così, lo sviluppo del minerale.

Intere famiglie vennero massacrate. Gli uomini uccisi, le donne trattate come stracci, i bambini esaminati e arruolati come parte sacrificabile del loro esercito.

Fui separata dai miei genitori e rinchiusa assieme ad altri ragazzi, tra cui anche i miei amici.
Ero la più fifona del gruppo, e ovviamente, avevo paura... non sapevo cosa fosse successo alla mia famiglia, ma qualcosa mi diceva che non li avrei più rivisti; l’unica mia fonte di conforto... erano i miei amici;
Ma loro erano strani... sapevo che anche loro avevano paura, anche se non lo dimostravano, ma se ci fossimo aiutati a vicenda, sarebbe stato tutto più semplice...

Nelle settimane che seguirono, mentre alcuni di noi venivano allontanati e altri arrivavano, degli uomini cominciarono ad esaminarci uno ad uno.
Un piccolo gruppetto di ragazzi tra i più grandi, durante uno di questi controlli, tentò di ribellarsi, ma la sommossa fallì, e per dimostrare la loro superiorità, l’uomo minacciò un bambino con una pistola...

Quel momento è rimasto impresso nella mia memoria tuttora, come fosse un fatto recente, nonostante siano passati quasi 7 anni da quel giorno.
L’uomo disse che se chiunque di noi avesse nuovamente tentato la fuga, le conseguenze sarebbero state tragiche; caricò la pistola e la puntò alla testa del bambino, che immediatamente scoppiò a piangere.
Diversi ragazzi chiesero all’uomo di fermarsi, ma lui rideva...

Non so cosa mi portò a muovermi in quel momento, ma mi scagliai sull’uomo, la cui pistola gli cadde di mano, io la raccolsi e gliela puntai contro; già allora ero abituata a maneggiare armi da fuoco: mio padre era un appassionato e io avevo ereditato il suo amore per le armi, nonostante non ne avessi mai impugnata una carica...
Tremavo da capo a piedi, e tutto il coraggio che avevo raccolto per il mio atto eroico sembrava improvvisamente sparito, spazzato via dalla paura.

L’uomo guardò in modo sprezzante prima la sua pistola, rivolta contro di lui, poi me;
Mi parlò; mi disse di metterla giù, che non avrei avuto il coraggio di sparare, tutto con quel suo tono superiore, ma io non volevo cedere.
Indietreggiai, stringendo la pistola tra le mani, pregando mentalmente che qualcuno mi togliesse da quell’impaccio.
L’uomo mi si avvicinò lentamente, e alla fine, per la paura, sparai; non ero abituata a maneggiare vere pistole, e il contraccolpo mi spedì indietro, sbattei la testa contro la parete, sentii un dolore lancinante all’occhio destro, poi il nulla...

Quando ripresi i sensi, ero in un luogo umido e buio; ero sdraiata su un pavimento di pietra e non riuscivo a vedere nulla, neanche le mie stesse mani davanti al volto.
Solo in seguito capii di essere stata imprigionata.
Quando vennero a parlarmi mi raccontarono ciò che era successo: senza volerlo, avevo ucciso quell’ufficiale; gli altri ragazzi con me in quella sala ne avevano approfittato per fuggire.
Seppi che alcuni di loro erano stati uccisi durante la fuga, altri invece ce l’avevano fatta, e mi venne detto che per rimediare a ciò che avevo fatto avevo solo due alternative: diventare una di loro e aiutare gli altri soldati e riacciuffare i fuggitivi... o morire.

Non avevo intenzione di vendermi, ma non volevo morire senza sapere se i miei amici stavano bene, così accettai.
Venni scortata in un’altra stanza, una stanza illuminata, che però io percepivo in modo diverso dal solito. Un uomo mi visitò il volto: il dolore all’occhio era cambiato, era diventato una sorta di prurito persistente, e quando l’uomo terminò di esaminarmi, mi dissero che non avrei mai più visto dall’occhio destro; avevo perso la vista a causa del colpo ricevuto dalla pistola e da quel giorno in poi, cominciai a indossare una benda che mi coprisse l’occhio ferito.

Mi venne ordinato di catturare qualsiasi ragazzo, e se fosse stato necessario, di uccidere chiunque avesse tentato di impedirmelo; quindi, mi venne dato un fucile, e cominciai le mie ricerche.
A volte ero da sola, e in quei momenti mi riusciva semplice fingere di lasciarmeli scappare, anche se tornare indietro a mani vuote significava una punizione sicura; altre volte, invece, venivo assegnata a una squadra di 2 o più soldati, e in quel caso non potevo fare altro che ubbidire ai loro ordini, per non finire uccisa.
Combattevo per la sopravvivenza, e per ritrovare loro...

Ritrovai solo uno di loro, fortunatamente mentre mi trovavo da sola; ma se avessi saputo in precedenza, cosa mi sarebbe toccato scoprire, di sicuro non avrei perso tutto quel tempo.
Quell’odioso bimbetto mi disse che i miei amici... i miei preziosi amici, stavano già organizzando di scappare, che era già tutto pronto e che, se l’altro gruppo non avesse fatto saltare i loro piani, almeno loro se la sarebbero svignata in tutta tranquillità...
Il piano doveva restare tra loro, nessun’altro doveva esserne messo al corrente, perché degli altri non ci si poteva fidare...
Io non ne sapevo niente... io ero nel gruppo degli “altri”... di me non ci si poteva fidare... io non meritavo di scappare con loro... non ero abbastanza...

Mentre raccontava, quel bambino rideva. Rideva di me, e di come mi fossi fatta abbindolare dai miei amici.
In quel momento, tutto il mondo sembrò crollarmi addosso.
Non volevo crederci, ma il dubbio, ormai, si era insinuato nella mia testa e non aveva intenzione di sparire.
Una parte di me mi diceva di fidarmi di loro, che non avrebbero mai fatto una cosa simile dopo tutto il tempo trascorso insieme, dopo tutte le cose belle e brutte che ci erano accadute e che avevamo sempre superato insieme; l’altra parte di me, però, chiedeva alla prima: cosa ti fa pensare che invece non fingessero soltanto di fidarsi di te?

Non so esattamente cosa mi successe, ma nei giorni seguenti persi la mia coscienza; persi il buonsenso.
La mia vita non concepiva l’idea del tradimento, era un concetto a lei ignoto e si rifiutava di accettarlo.
Cominciai a non dormire, a non mangiare... impazzii. Divenni un burattino. Nient’altro che una marionetta nelle mani di soldati senza onore, come quelli che avevano ordito quella guerra...

Fu da quel giorno che cominciai a perdere fiducia in chiunque.
Vivevo per me stessa e per nessun’altro; eseguivo gli ordini che mi venivano impartiti, per sopravvivere;
Mi affezionavo solo alle mie armi, perché sapevo che almeno loro non mi avrebbero tradita... loro erano le mie sole, vere, compagne.
Uccisi a sangue freddo persino un superiore che, vedendomi come una ragazzina indifesa, tentò di abusare di me;
Feci del mio meglio per eseguire ogni ordine, e alla fine cominciarono a vedermi in modo diverso da una semplice schiava; cominciarono a vedermi come una cospicua entrata di denaro...

Per 6 anni venni addestrata al combattimento, all’uso delle armi da fuoco e da taglio, per gli scontri ravvicinati.
Da autodidatta, poi, imparai a creare esplosivi e a modificare le mie armi in modo da ottenere prestazioni sempre migliori.
Se in quel modo mi veniva garantita la sopravvivenza, allora anche a me andava bene.

Venni trasferita in una città differente dalla mia. In una nazione completamente diversa, e lì, venduta ad un’organizzazione criminale.
Da quel momento in poi, cominciai a lavorare come sicario.
Ero diventata una persona fredda. Un’assassina professionista... per così dire.
Mi ero persino tagliata i capelli, per ‘suggellare’ il mio cambiamento.
Tuttavia, il silenzio a cui ero obbligata non faceva per me... anzi, non faceva per le mie amate pistole: ho sempre odiato il silenziatore, ragion per cui, le missioni di segretezza non erano esattamente una disciplina che apprezzavo...
Per quanto mi ci mettessi d’impegno, la mia firma era un finale col botto, e non riuscivo a rinunciare ad essa.

Fu per questo motivo che, anche nella nuova città, la mia carriera durò appena un anno.

Mi avevano affidato molte missioni, da portare a termine a mio piacimento, ma l’ultima... fu una missione di copertura; per di più, di vitale importanza per il piano della mia organizzazione;
Il mio compito era quello di mettere a tacere le guardie di sicurezza poste come sentinelle durante l’inaugurazione di un museo nazionale; dovevo permettere l’accesso ai miei compagni e permettergli di giungere alla vita di un ambasciatore; ovviamente, senza essere scoperti. Un lavoretto semplice, insomma.
Peccato che mi trovassi in tasca ancora un esplosivo...

Cedetti alla tentazione e lo utilizzai; era una delle mie ultime invenzioni non testate, quindi non immaginavo quali sarebbero stati gli effetti dell’esplosione.
Fu uno degli scoppi più belli della storia, peccato che portò la missione a fallire e la polizia a catturare un paio di miei colleghi.
Io sfuggii alla cattura per un soffio; solo grazie a un piccolo sguattero dell’organizzazione che mi veniva continuamente dietro e che riuscì a farmi fuggire in tempo; non che non potessi svignarmela da sola, ovviamente.

Una volta tornata alla base, venni quasi uccisa per ciò che avevo fatto, ma poi, i capi ricevettero una chiamata urgente, e i loro piani cambiarono...
Mi venne affidata una nuova missione: dovevo immatricolarmi sullo Yonoa, il sottomarino di un’organizzazione gemella alla nostra, e svolgere per loro un compito molto delicato, tanto che lo denominarono ‘Classe S’. Speciale.
Fino ad allora, non avevo mai sentito parlare di un livello superiore al livello A; il mio nuovo obiettivo doveva essere davvero un osso duro, e anche se sapevo che, in realtà, era soltanto un modo per allontanarmi da lì, la cosa mi incuriosiva...
In più, mi era stato dato il permesso di utilizzare qualsiasi arma volessi, anche tutte se necessario; quindi, accettai al volo.
Se fossi riuscita a portare a termine quel compito, mi avrebbero rivalutata. Ne ero certa.

Mi trovo nella mia nuova base, in questo momento; davanti a me, una foto del mio bersaglio, mentre mi preparo al nostro appuntamento, che per lui sarà anche l’ultimo...
È un uomo parecchio strano, sembra che il suo nome sia “Sissel”.
So poco sul suo conto; tutto ciò che mi è stato riferito dai miei superiori è che sembra che abbia tradito un accordo con l’organizzazione, e perciò va eliminato. *
Pare, però, che nessuno, finora ci sia riuscito...
Poco male, vorrà dire che ci penserò io.

* In realtà questo è soltanto ciò che le è stato riferito, ma non corrisponde alla verità, in quanto “Sissel” non ha mai fatto nulla che potesse tradire il patto con i sicari; La storia è ambientata a metà gioco;


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(Chiunque voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio crede)


~ Angolino dell'Autrice}
Ed ecco la storia di Renko~
Chi è Renko? Un mio OC per la serie Ghost Trick che ruolo su Facebook~
Questa è la sua /triste/ storia, perché ovviamente se un OC non ha una storia triste, il creatore non è contento (?);

   
 
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