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Autore: miseichan    29/08/2011    13 recensioni
“E’ un pervertito, agente. Lo sbatta in galera, mi faccia questa cortesia.”
“Giovane, come ti chiami?”
“Matteo Fiori.”
“E lei signorina?”
“Veronica Cristina Sandra Merogliesi.”
“Sei un pervertito, giovane?”
“No, agente.”
“Tu sei un pervertito e lo sai benissimo.”
Genere: Comico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tutto fuorché uno sbaglio'
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Bugie bianche

                                                                                                

       ≈ Batman e Ranocchietta ≈

 

 

 

 

Veronica adorava le docce.
Rapide o eterne che fossero riuscivano a scioglierle i muscoli e liberarle la mente.
Quando alla fine, con un briciolo di dispiacere, spense il getto di acqua calda, si accorse che l’accappatoio bianco non era più al suo posto. Mancavano all’appello anche gli tutti gli asciugamani. 
Gemette, maledicendo silenziosamente il colpevole. Dannato ragazzino.
Sulle punte dei piedi raggiunse la porta del bagno, schiudendola di poco: sbirciò fuori, ma non vide nessuno. Aspettò qualche minuto, le orecchie tese e pronte a captare il minimo rumore. Non sentì niente e, preso coraggio, si mosse velocemente.
Era arrivata a metà corridoio quando una serie di espressioni sorprese la fece trasalire.
Veronica sgranò gli occhi, spostando con orrore lo sguardo all’interno della camera di Michele: la porta era aperta e tre giovani la fissavano a bocca aperta. Un ringhio frustrato le sfuggì dalle labbra mentre correva a chiudersi in camera: ne uscì in un lampo, un vestitino qualunque a coprirla.
“Tu.” sibilò, avvicinandosi minacciosa a Michele “Quante volte ti abbiamo ripetuto di riportare gli asciugamani in bagno? Quante?”
Il ragazzino la scansò, un sorriso che gli attraversava la faccia: “Non te la prendere, dai.” si scusò “Ieri me ne sono proprio dimenticato. Comunque non abbiamo visto niente.”
“Ero nuda!”
“Non ce ne siamo accorti, davvero.” ribadì lui, accennando con il capo agli astanti.
Veronica sembrò ricordarsi solo in quel momento degli altri. 
“Avevo detto che sarei tornato.” le sorrise Giovanni, placido “Devo dire che non me ne sono pentito. Verrò ogni volta che posso, Mickey.” terminò entusiasta. 
Michele si era acquattato ai piedi del letto, pronto a scappare se fosse stato necessario. 
Veronica però non lo guardava più, lo sguardo fisso sul terzo spettatore.
“Non dici niente?” gli chiese, il piede scalzo che batteva ritmicamente sul pavimento.
“Non credo sia il caso.” rispose Matteo, affabile.
Veronica annuì, approvando la condotta prudente del ragazzo: “Che fate qui?” domandò, squadrando con aria sospettosa i libri aperti.
“Studiamo.” risposero i tre in coro.
“No, sul serio.” ridacchiò lei “Che state facendo?”
I ragazzi si scambiarono un’occhiata, poi Michele chiese: “Sai che ore sono, Vero?”
“No.” gli occhi di lei si spalancarono “Che ore sono?”
“Le sei e mezza.”
Veronica sussultò, incredula: “Cavolo. Ho perso la cognizione del tempo!”
“Cinzia e Simone sono usciti assieme. Qualcosa che aveva a che fare con lo shopping, credo. Lui non era esattamente l’immagine della felicità.”
“E voi?”
“Studiamo, davvero.” rise Matteo “Fisica: li ho visti in difficoltà e mi sono offerto di dare una mano. Tu perché non ci prepari uno spuntino?”
“Non ci penso proprio.” decretò uscendo dalla stanza “Divertitevi, voialtri.”
Quando sentì una mano che le si posava lieve sulla spalla, ripeté, senza voltarsi: “Non vi preparo niente, Mickey. Arrangiatevi.”
“Perché scappi sempre?”
Veronica si girò di scatto, fulminando il ragazzo con lo sguardo: “Il patto era che saresti restato lontano.”
“Allora non mi sta più bene.”
“Prego?” scattò lei, gelida.
“Non doveva andare così, ragazzina.”
Veronica alzò gli occhi al cielo, gli voltò le spalle e a lunghi passi uscì dall’appartamento, diretta all’ascensore. Il dito che già premeva sul pulsante del piano terra. 
“Non è finita -
Veronica fissò incredula la mano che bloccò le porte all’ultimo istante: Matteo entrò e le si piazzò di fronte.
“Sei impazzito? Che fai, ora, m’insegui?”
“Sei tu che non resti ferma, ragazzina. Hai visto che scappi sempre?”
“Cos’è che vuoi?” sbottò Veronica, avvicinandoglisi di un passo “Che altro c’è che non va?”
Matteo si appiattì contro la parete, il sangue che defluiva dal viso mentre gli occhi si affrettavano a guardare altrove. Respirò, osservando con vivo interesse il soffitto del cubicolo.
“Cosa?” sbuffò Veronica “Ora t’infastidisce la mia vicinanza?”
“No.” sospirò Matteo, chiudendo gli occhi “Ma non indossi intimo e io sono pur sempre un uomo.”
La ragazza si allontanò di un passo, scocciata, le braccia che correvano a coprire il petto.
Fissò la tabella con i numeri: non mancava molto, per fortuna. Due piani, uno… terra. 
Sentirono il campanello e sorrisero, grati di essere arrivati. Si girarono verso le porte e attesero. E attesero ancora. E…
“Perché non si aprono?”
Matteo si strinse nelle spalle: cercò di ignorare il tono di allarme di lei e si avvicinò alle porte chiuse. Sbirciò nella minuscola fessura e borbottò: “Siamo arrivati.”
“Questo lo sapevo già.”
Matteo picchiò con il palmo contro l’uscita chiusa e sospirò: “Siamo bloccati.”
Veronica gemette, premendo l’indice sul pulsante rosso; fra quanto li avrebbero tirati fuori da lì?
“Hai visto Buried?” chiese Matteo, il capo leggermente inclinato “Il film sull’uomo che si sveglia in una bara: era stato sepolto vivo.” spiegò il ragazzo “Ecco, mi sento tanto così.”
“In una bara o sepolto vivo?”
“In una bara.” decise Matteo “Proprio come Ryan Reynolds.”
Veronica annuì, scrutandolo con sufficienza: “Peccato che qui con me ci sia tu e non lui.”
“Cominciamo con il sarcasmo?” domandò lui, seccato “Se è così avvertimi perché necessito di una sigaretta, nel caso.”
Matteo fece anche per prenderne una e mostrarla alla ragazza; il gesto fu prontamente intercettato da Veronica che gli artigliò il polso, strappandogli la sigaretta dalle dita.
“Ti sei bevuto il cervello?” sbottò “Siamo rinchiusi in un cubicolo di meno di due metri e vorresti metterti a fumare?”
“Ne ho bisogno.”
“Non credo proprio.”
“Profumi di pesca.”
Veronica lasciò il polso di colpo e si allontanò appena, scrollando le spalle.
“Ho finito lo shampoo alla vaniglia.”
“E’ buono anche a pesca.”
“Smettila.” si allontanò ancora lei, evitando di guardarlo.
“Hai i capelli bagnati.” sospirò Matteo.
Veronica si strinse nelle spalle e la risposta le morì in gola quando lui cominciò a sfilarsi la felpa nera. “Che diavolo fai?” lo apostrofò con voce strozzata.
“Avvolgili qui dentro e strofinali.” fece Matteo “Cerca di non prenderti una polmonite, ragazzina.”
“No. Così te la buschi tu la polmonite, idiota.”
“Io sono asciutto.” ribatté il ragazzo “E ho la canottiera.” aggiunse, indicando la leggerissima canotta bianca che indossava. 
Veronica non aveva ancora preso la felpa, così Matteo le si posizionò davanti, cercando di convincerla: “Butta i capelli in avanti, Ronnie.” mormorò, quasi supplichevole.
E lei ubbidì, rovesciando i capelli fra le sue mani: Matteo cominciò a sfregarli nella felpa, attento a non tirare troppo. Continuò per un paio di minuti, quindi le fece cenno di rialzarsi.
Veronica scrutò l’espressione ilare di lui e sospirò, abbattuta: “Lo so, sembro Maga Magò.”
“Maga Magò?” ridacchiò Matteo “Chi è?”
Lei si guardò allo specchio, cercando inutilmente di sistemarli almeno un po’.
Matteo le stava alle spalle, in canotta, la felpa fra le mani: “Stai benissimo.” disse, porgendole ancora una volta l’indumento.
“Cosa?” si girò lei “Non ti sei ancora stancato?”
“Mettila.”
Veronica non se la sentì di opporre resistenza: infilò la felpa, nuotandoci quasi dentro.
“Ti sta un po’ larga.” sorrise lui.
“E’ comodissima, però.” mormorò lei, in quello che poteva essere un vaghissimo ringraziamento. Matteo lo sapeva; fece per dire qualcosa e fu a quel punto che la campanella suonò di nuovo. Le porte si spalancarono ed erano di nuovo all’ultimo piano.       
Uscirono quasi correndo dall’ascensore e si separarono senza degnarsi di uno sguardo.
Matteo fuggì lungo il corridoio e Veronica si affrettò a entrare in cucina.
“Nuovo look?”
Cinzia sorrideva, osservandola sinceramente divertita.
“Fa molto selvaggio, sai?” continuò “Devo provarlo.”
Veronica la ignorò, sedendosi al tavolo di fronte a lei: Cinzia stava facendo le parole crociate. 
“Sono rimasta chiusa in ascensore con Matteo.”
Cinzia si strinse nelle spalle, indifferente.
“C’era il cartello, giù, non lo hai visto? Dice che possono capitare dei guasti, ma non c’è pericolo.”
“Mi ha vista nuda, Cicì.”
“Di nuovo?” fece Cinzia, ironica “A quante siamo, ormai?”
“Mi ha asciugato i capelli con la sua felpa.”
E Cinzia smise di fare le parole crociate. Sollevò lo sguardo su Veronica, sorpresa.
“Che ha fatto?” chiese, incredula.
“Ero scappata mezza nuda.” spiegò Veronica “Ero in sottoveste, senza intimo e con i capelli bagnati.”
“Ed eravate chiusi in uno spazio vitale di meno di tre metri. Mi complimento, tesoro. Tu sì che sai come far impazzire un uomo.”
“Mi ha solo asciugato i capelli, Cicì.”
“Per favore.” sbuffò Cinzia, agitando la mano come per scacciare una mosca “Quanto avete retto senza saltarvi addosso?”
“Non ci siamo saltati addosso, Cicì.” mormorò Veronica, laconica, lo sguardo assente.
“Non capisco a che gioco stiate giocando.” sospirò Cinzia, lasciando cadere la matita sul tavolo “Lo vuoi oppure no, Vero?”
“Non lo voglio.” rispose Veronica, ma lo disse troppo in fretta.
“Ah, no?” 
“Lo dici come se dipendesse da me.” 
Cinzia avvicinò la sedia alla sua: “Facciamo così.” disse “Prenditi un giorno, due, aspetta anche una settimana se vuoi. Poi, però, deciditi. Se è la sua testa che vuoi, perfetto: è esattamente ciò che voglio anch’io. Se, invece, desideri lui… lui tutto intero e non a pezzettini; in quel caso, tesoro, devi darti una mossa. Il ferro va battuto finché è caldo, ricordi?”
Veronica scosse la testa, alzandosi in piedi: era convinta di aver già preso la sua decisione.
Lo voleva a pezzettini.
Uscì dalla cucina, camminando lentamente per il salotto. A pezzettini.
Sentì un cellulare che vibrava. 
Si avvicinò al telefonino abbandonato sulla cassapanca. A pezzettini.
Osservò lo schermo luminoso, leggendo il nome che vi brillava a intermittenza: Sofia.
Sentì una stretta allo stomaco e chiuse gli occhi.
A pezzettini?
Veronica si piegò sul cellulare, agendo d’impulso.
Non si rese conto di aver appena dimostrato a se stessa che la decisione presa era un’altra.
Semplicemente, agì sul momento e premette il pulsante.
Ignora chiamata.

 

 

*

 

“Hai ignorato la chiamata?”
Veronica si strinse nelle spalle.
Daniele la fissava sconcertato, l’espressione inebetita. Nella sua troppa bontà, gli riusciva difficile persino immaginare un gesto del genere. L’attenzione di Veronica, tuttavia, non era per lui ma per la fatina che continuava a portare con sé.
Veronica aveva tentato d’ignorarla, di fingere che lei non fosse lì.
Ogni sforzo, tuttavia, era risultato inutile: Marina non passava in alcun modo inosservata. Durante il normale resoconto di Veronica non aveva aperto bocca, limitandosi unicamente ad ascoltare. Anche nel silenzio, però, era stata eloquente come mai.
Tutta la sorpresa, il turbamento e la critica che Daniele sembrava esternare venivano come riflessi inversamente dal viso di Marina; se da una parte, quindi, quel silenzio loquace l’aveva ampiamente ripagata, dall’altra Veronica si era sentita sempre più seccata: semplicemente perché non riusciva ad odiarla con tutto il cuore. Era impossibile farlo, ammise con rimpianto.
“Hai sbagliato, secondo me, cucciola.” borbottò Daniele, scuotendo il capo, il codino che ondeggiava a tempo “Il cellulare non era tuo, in fondo. Ma non solo per quello, sai? Cioè, non è tanto il gesto, quanto ciò che significa: è come se tu avessi deciso di metterti in mezzo e...”
Il ragazzo s’interruppe, conscio di non essere minimamente ascoltato: si erano fermati a bordo strada, sul corso principale. Le vetrine ormai già tutte addobbate, luminose e natalizie, portavano istintivamente a sorridere. Daniele sfregò le mani l’una contro l’altra, osservando con vivo interesse lo scambio non verbale che le due ragazze stavano avendo. Impossibile capirle.
Sorrise, prendendo in considerazione l’idea di tagliarsi il pizzetto e chiedendosi nel mentre quanto tempo fosse ancora necessario affinché tornassero a saltellare insieme come due invasate guardando Ian Somerhalder alla televisione. Cosa aveva poi lui di tanto speciale da meritarsi tante urla?
“Parla.” sospirò Veronica, gli occhi che non lasciavano quelli di Marina. L’altra sorrise trionfante, l’espressione che purtroppo non lasciava presagire niente di buono.
“Ti piace.” cominciò Marina “Questo è chiaro. Lui non è certo il ragazzo più facile o alla mano della Terra, e anche questo era assodato. Specialmente da quanto mi ha detto Daniele…”
Veronica provò ad aprire bocca, avida d’informazioni, ma fu subito fermata dal dito alzato di Marina e dall’espressione perentoria del ragazzo. Si zittì, accontentandosi di ascoltare il resto: “Non è un cioccolatino, dicevo. Ha dei difetti e sono tanti. Tu, però, non ti arrendi: è come se l’entrata in scena di Sofia ti avesse reso ancora più determinata. E io approvo. Approvo in pieno.”
Daniele spalancò gli occhi, basito: “Approvi? Come sarebbe?”
“Sarebbe che io avrei fatto lo stesso, facendomi molti meno problemi.”
Veronica sorrise, mentre Marina continuava: “Il telefono, tanto per cominciare, io glielo avrei buttato dalla finestra.”
“Non credo alle mie orecchie.” sussurrò Daniele.
“Oh, amore.” lo carezzò lei “Non hai idea di quanti cellulari abbia distrutto per molto meno.”
Daniele non trovò nulla da dire.
“Poi.” ricominciò Marina “Chiusa in ascensore con lui mezza nuda? Neanche a chiedere, per favore, ma stuprarlo no? Perché farsi tanti problemi, su? Ci sarebbe voluto poco e vi sareste subito…”
“E’ fidanzato, Marina.” la interruppe Veronica, il tono meno antipatico di quanto avrebbe voluto.
“Ah, già.” s’incupì la fatina “Il problema principale quindi è lei: devi liberartene.”
“Uccidendola?”
“Non per forza.” s’impensierì Marina “Devi solo neutralizzarla.”
“Dovrei avere qualche dardo al sonnifero, se vi interessa.” scherzò Daniele, ricevendo un’occhiataccia in risposta. 
“Non è il momento di fare dello spirito, amore.” soffiò Marina, autorevole.
“Non credo sia il caso di…” cominciò Veronica, interrotta poi dallo squillo del cellulare; guardò l’ora e si rese conto di essere in ritardo. 
“Devo andare, ragazzi, scusate.” sussurrò concitata “Avevo dimenticato l’appuntamento con Cinzia.”
“Non desistere, Vero, mi raccomando!” le gridò dietro Marina, aggrappata a Daniele a mo’ di koala “Non te ne sei accorta ma hai già vinto la partita!”
Veronica non poté fare a meno di sorridere.

 

 

*

 

 

“Sono distrutta.” sospirò Veronica, prendendo posto.
“Ti lamenti troppo.” rispose Cinzia, le dita che giocavano con il pompon rosso del cappello.
“Dici?” sorrise Veronica “Allora non mi faccio scrupoli e continuo: non ho ancora iniziato a fare i regali, ti rendi conto? Sono in ritardo indicibile.”
“Non me lo dire.” borbottò Cinzia, porgendole un menù  “Avrei dovuto cominciare oggi.”
“E invece?”
“Ho accompagnato Simone al centro commerciale.”
“Ancora? Non eravate già usciti ieri?”
“Sì.”
Scorgendo l’espressione sconsolata dell’amica, Veronica non poté trattenersi dal sorridere:
“E’ un caso perso?”
“Mi sorprende che sappia vestirsi!” sbottò Cinzia “Per fortuna qualcuno gli ha spiegato che le mutande vanno messe sotto i pantaloni.”
“Oh, dai, povero ragazzo.”
“Lo hai visto?” continuò imperterrita “Hai visto con che pigiama dorme?”
“E’ rosso, sì, ma non farne un dramma, Cicì.”
“Non è solo rosso.” provò a ribattere, fermandosi come se all’improvviso fosse rimasta a corto di parole “Lasciamo perdere.”
“Dovresti essere contenta.”
“Di cosa?”
“Hai finalmente trovato un bambolotto, no?” ridacchiò Veronica, cercando di attirare l’attenzione di un cameriere. Riuscire nell’impresa, in quel locale, sembrava impossibile. 
“E anche un bel bambolotto, sai?” sospirò Cinzia.
Veronica non prestò attenzione a quell’ultima frase, ancora impegnata nella ricerca di un cameriere: diavolo, aveva bisogno di un caffè. Sussultò, girandosi di scatto verso il vetro poco lontano: “Avevo sentito un ticchettio sospetto.” brontolò.
“Qualcuno ti chiama.” mormorò divertita Cinzia, scrutando il ragazzo al di là del vetro.
Lorenzo, carico di buste colorate, continuò a battere il dito sulla vetrata.
“Ha anche urgenza, questo qualcuno.” ridacchiò Cinzia, divertita dalla fretta che il biondo emanava.
“Vado?”
“Credo dovresti andare, sì.” 
Veronica si alzò, afferrando la giacca con palese fastidio.
“Mi da sui nervi lo spilungone.”
Cinzia si voltò, alzando lo sguardo sul cameriere apparso al suo fianco.
“Quale miracolo.” commentò sarcastica “E comunque, per lo spilungone, non credo tu sia nella posizione adatta per dare giudizi.”
“Vorresti dire che a te non da sui nervi?” sbuffò Matteo, sedendosi al posto di Veronica “Sbaglio, o hai tentato la fuga pur di evitare la cena di lunedì?”
Cinzia lo fulminò, irritata: “Non parlo con te.”
“No?”chiese lui, sorpreso “Cribbio, devo star impazzendo: ero convinto di aver sentito la tua voce. Niente più che insulti, sia chiaro, ma sembrava proprio la tua.”
“Un caffè e una cioccolata calda.” ordinò Cinzia senza guardarlo “Vengo qui per le bevande, non certo per l’intrattenimento.”
Matteo annotò rapidamente sul suo taccuino. Fece per alzarsi, ma cambiò idea e tornò a poggiare la schiena contro la sedia; guardava fuori dalla finestra con mesto interesse. 
Osservava i due biondi sul marciapiede, immersi in un’animata conversazione; lui, una caramella gommosa rossa che gli pendeva dalle labbra, indicava alternativamente le diverse buste sparpagliate attorno a sé: lanciava poi un’occhiata interrogativa a lei che, appropriatasi della caramella gommosa, commentava divertita.
“Credevo non si parlassero.”
Cinzia si strinse nelle spalle.
“Si vogliono un gran bene, in fin dei conti.” mormorò, incontrando lo sguardo di Matteo.
“Amore fraterno?” ghignò sarcastico.
“Non ho detto amore, ma del resto, tu cosa ne vuoi sapere?”
“Perché non volevi venire alla cena?”
“Così.” sospirò Cinzia “Inizia ad essere difficile sopportare le avance di Lorenzo.”
Matteo schiuse le labbra, sinceramente sorpreso: “Ci prova con te?”
“Certo.” ridacchiò lei. 
“Perché?”
“Si annoia, forse.” mormorò Cinzia, apparentemente non interessata all’argomento.
Lanciarono entrambi un’occhiata fuori dalla finestra sui due ancora indaffarati: alcune buste aperte, molti fiocchi per terra, una caramella blu fra le labbra di Lorenzo.
“E lui a te non piace?” s’informò Matteo, incuriosito.
“Certo che mi piace.” rise schietta Cinzia “O almeno, chiariamoci, mi piace ciò che offre. Del resto, cosa gli manca? Alto, biondo, atletico. Anche istruito, educato e ricco, non si potrebbe chiedere di più.”
Matteo non disse niente, lasciandola continuare.
“Studia ingegneria.” mormorò in ultimo, guardando al di là del vetro: la caramella blu ora la stava mordicchiando Veronica.
“Perché non esci con lui, allora?” 
“Veronica non vuole.”
“Veronica non vuole?” ripeté, credendo, sperando forse, che scherzasse.
“Già.” rispose Cinzia, per niente scalfita.
“Non capisco.” ammise il ragazzo, guardando la caramella verde che Lorenzo stava succhiando e chiedendosi quanti altri colori avesse ancora.
“Non è difficile: secondo Veronica non è il ragazzo giusto per me.”
“E tu che dici?”
“Che devo dire?”
Matteo si protese verso di lei: “Secondo Veronica non devi uscire con Lorenzo e a te sta bene? Quello che pensa lei è legge? Non capisco, Cinzia, sul serio. Se tu vuoi…”
“Io non voglio. Ho solo detto che il ragazzo non è un cattivo partito. Non ne sono innamorata, non provo niente per lui; non so cosa accadrebbe se davvero ci provassimo, non ne ho idea. Per questo, visto che Veronica ha detto no, io mi adeguo.”
Vedendo la sorpresa ancora viva negli occhi del ragazzo, Cinzia continuò: “Non me lo ha imposto, Matteo. Non mi ha vietato né ordinato niente. Lo ha solo detto, sussurrato, un’unica volta. Se lo avesse bisbigliato chiunque altro gli avrei riso in faccia. Ma Veronica non è chiunque altro.”
“E se…”
“Cambia argomento, Matteo.” sibilò Cinzia “Oppure, meglio ancora, vai a prepararmi una cioccolata.”
Matteo fece per ribattere, ma qualcosa lo distrasse: si voltò, attirato dal movimento, e guardò Veronica tentare di strappare una caramella arancione dalle labbra del fratello mentre lui stringeva i denti, opponendo resistenza. Non riuscì a trattenere un sorriso.
“Dio, che coppia.” sospirò Cinzia, osservando di sottecchi Matteo.
Perché in quel momento non si stava comportando da stronzo? Perché doveva rendere le cose tanto difficili? Come le sarebbe piaciuto poter andare da Veronica e affermare, sicura: avevo ragione, te li scegli sempre sbagliati. E invece no.
“Hai anche tu dei consanguinei di cui non sono a conoscenza?” le chiese Matteo, riscuotendola.
“Una sorella. E tu?”
“L’ho chiesto prima io.”
“E io ti ho risposto.”
“Non hai finito.” sorrise lui, cominciando a mordere il tappo della penna “Più piccola, più grande…”
“Più piccola.”
Matteo inarcò un sopracciglio, incerto: “Sei di poche parole.” mormorò cauto. 
“Diana.” sospirò Cinzia “Ha undici anni e non ci vediamo spesso.”
“Perché?”
“Dieci anni di differenza sono tanti, Matteo.” mugugnò “Non abbiamo molti punti di contatto.”
Captando l’esitazione di lui continuò, recalcitrante: “L’estate scorsa eravamo in spiaggia.” raccontò, a mo’ di esempio “Era tardi, quasi il tramonto: un ragazzo passa davanti a noi, correndo in riva al mare con il cane a guinzaglio.”
Cinzia sorrise al ricordo: “Li osservammo in silenzio; poi lei ha commentato, angelica: hai visto che bel cane, Cicì? Scodinzolava che è un amore. Io non dissi niente e sai perché? Perché io, invece, pensavo: Hai visto che bel padrone? C’ha un didietro che è un amore.”
Matteo ridacchiò, sinceramente divertito.
“Oh, dai.” rise lui “E dove sarebbe il problema? Avete punti di vista diversi.”
“No.” lo corresse lei “Guardiamo proprio cose diverse.”
Matteo scosse appena la testa: “Illuminami, ti prego.”
“Non voglio rovinarla, Matteo.”
“Rovinarla? Cinzia, con te come modello non potrà che venir su nel migliore dei modi.”
Cinzia non disse niente, non sorrise, non mosse un solo muscolo: semplicemente, lo fissò chiedendosi chi diavolo fosse. Era sul punto di chiedergli le generalità quando Veronica comparve alle spalle del ragazzo: il naso arrossato, una caramella viola in mano.
“Ancora niente caffè, Cicì?” 
Anche Matteo si girò verso di lei e Veronica sorrise ancor di più.
“Lo hai preso in ostaggio?”
“No.” ghignò lui “Sono spiacente ma ho finito il mio turno.”
Cinzia continuò a non muovere un muscolo.
“Te ne vai quindi?” chiese Veronica mentre lui si alzava, togliendosi il grembiule verde.
“Sì, ti dispiace?”
“Certo.” rispose lei, facendo bloccare per un momento il ragazzo “Così non riuscirò mai a bermi un caffè.”
Matteo scosse la testa e lanciò il taccuino a un cameriere di passaggio: “Contenta?”
Veronica annuì, sedendosi soddisfatta, la caramella quasi finita. Matteo le lanciò un’ultima occhiata, arretrando di un passo: “Fammi vedere la lingua.”
“Cosa?” balbettò lei, senza capire.
“La lingua.” ripeté Matteo “Un attimo solo.”
“In cosa ti cimenti, adesso?” gli chiese lei, rapida.
“Non sono fatti tuoi.”
“E io non ti faccio vedere la lingua.”
Cinzia dovette applicarsi molto per non muovere un muscolo anche questa volta.
“Vado in piscina.” sospirò Matteo “Finisco alle nove.”
Veronica, sorridente, gli fece una linguaccia.
Matteo osservò compiaciuto i diversi colori che aveva assunto: dal verde all’arancione, passando per il blu. Salutò entrambe con un cenno del capo e si allontanò.
Quando arrivarono il caffè e la cioccolata, Veronica non riuscì più a trattenersi:
“Perché era seduto qui?”
“Non sapevo avesse finito il turno.” rispose Cinzia “Ho ordinato a lui.”
“E…”
“Abbiamo parlato.” 
“Davvero? Non volevi… cavolo, non ricordo neanche più cosa volevi fargli, tante ne hai dette.”
“Non è così male.”
A quelle parole Veronica si preoccupò sul serio: “Ti senti bene, Cicì?” chiese, impensierita.
“Certo.” s’impuntò Cinzia, nervosa “Tu e Lorenzo, piuttosto, possibile che ogni volta che state assieme regrediate all’infanzia? Le caramelle gommose, Vero?”
Veronica fece spallucce, cacciando per l’appunto una caramella gialla dalla tasca.
“Mi ricordano il Natale.” sorrise, alzandosi in piedi “E poi, sono una tradizione.” 
“Dove vai?” 
Veronica abbottonò il cappotto, avvolgendo anche la sciarpa azzurra attorno al collo: avvertiva uno strano pizzicore alla gola, non voleva peggiorare la situazione. Guardò Cinzia e sorrise: “In piscina.”
L’altra inarcò un sopracciglio, arricciando le labbra: “Ah, sì?” si limitò a chiedere “Quella comunale?”
Veronica annuì, infilando le mani nelle tasche e attendendo una qualche replica. 
Cinzia, sorprendentemente, continuò a sorridere placida.
“Divertiti.”

 

*

 

 

“Le corsie 7, 8 e 9 a quest’ora sono le più libere.”
Veronica, infradito ai piedi e accappatoio, osservava il piccolo uomo che aveva di fronte e annuiva.
“Può cominciare con quelle, provi e veda come si trova.” stava dicendo, i baffi corti che vibravano “Se poi decide o crede di aver bisogno di un istruttore privato…”
Veronica scosse la testa, interrompendolo con un sorriso: “Oggi sicuramente no, non si preoccupi.”
L’omino approvò, sorridendo a sua volta: “Nel caso in cui cambi idea...”
“… glielo farò sapere, naturalmente.” finì per lui, muovendo qualche passo verso la porta di accesso alle piscine. L’odore di cloro la investì in pieno, così come lo sciabordio dell’acqua e le risate soffuse.
Ciabattò fino alle panchine: si tolse l’accappatoio, riponendolo con cura; quindi si incamminò lungo il bordo delle piscine, osservando l’acqua con diffidenza: che cosa le era saltato in testa di fare, rifletté, sempre più preoccupata. Stava per fare retromarcia quando notò una pila di salvagente: vi si avvicinò cauta, scrutandoli con occhio critico.
“Non ti piacciono?”
Veronica vide per primi i piedi della bimba: piccoli e bagnati. Alzò lo sguardo su di lei, sorridendo: “Non ne ancora trovato uno che mi convinca.” rispose, meditabonda.
“Vuoi il mio?” chiese la piccola, indicando con il dito verso l’acqua bassa.
Veronica si voltò, seguendo il dito della bambina: una ciambella enorme a forma di rana galleggiava poco lontano. Era una ranocchia sorridente, con due occhioni neri ed enormi. 
Bellissima.
“Me la daresti?” chiese, subito interessata.
“Sì, tanto sto andando via.” rise la bambina, chinandosi per prendere la ranocchia.
Veronica la ringraziò e la osservò sgambettare via. Si rigirò la rana fra le mani e si avvicinò piano alla vasca numero 9. Prese posto sul bordo, le dita dei piedi che sfioravano timide l’acqua.
La ranocchia, insostituibile, al suo fianco. 
Si guardò attorno, cercando l’istruttore che in realtà avrebbe voluto tutto per sé. 
Intero, non a pezzettini. 
“Veronica?”
Si girò e sbatté il naso contro due gambe grondanti acqua ferme accanto a sé.
“Ti sei fatta male?”
Scosse la testa e fissò il ragazzo che le sorrideva con fare rassicurante. Guardò il fisico allenato, gli occhi grigi, tendenti al verde, e solo quando arrivò ai capelli rossi lo riconobbe:
“Simone!” esclamò sconcertata “Non ti avevo riconosciuto.”
“Per gli occhiali?” si stupì lui “Li tolgo quando devo nuotare.”
Veronica nicchiò con il capo, ritenendo inutile spiegargli che no, non era per gli occhiali: solo, non lo aveva mai visto in costume e non aveva avuto modo di vedere che bel… E anche un bel bambolotto, sai? Ricordò improvvisamente la frase di Cinzia e le sfuggì un sorriso. 
“Non sapevo frequentassi questa piscina.” disse Simone, sfregandosi i capelli fra le mani.
“Già.” mormorò Veronica “Nemmeno io.”
Il ragazzo assunse un’espressione confusa, guardandola di sottecchi: “Posso fare qualcosa per te?” chiese, premuroso.
“Oh, no, grazie. Stai andando via?”
Simone annuì, lanciando un’occhiata all’uscita: “Ho promesso a Mickey che ci saremmo visti per…”
“Scusa, Simone.” lo interruppe lei, pensando a tutt’altro “Hai per caso visto Matteo?”
Percependo una certa reticenza da parte del ragazzo, Veronica continuò, sempre più in imbarazzo: “Aveva detto che indossava sempre un costume di superman.” spiegò “Non riesco a trovarlo, però.”
Il rosso sembrò avere un’illuminazione improvvisa, il capo che annuiva rapido: “L’ho macchiato io il costume di superman.” disse “Ieri ci ho versato sopra del caffè, così ha dovuto mettere per forza quello con batman.”
Simone indicò con il dito la parte opposta della piscina, in fondo alla corsia 8: “E’ lì, lo vedi? L’ho lasciato che parlava con Sofia.”
“Oh.” 
“Sofia viene spesso qui.” aggiunse Simone “E’ un’ottima nuotatrice.”
Veronica lo aveva intuito da sé: l’ottima nuotatrice si stava infatti esibendo in un perfetto tuffo carpiato all’indietro che le fece contrarre lo stomaco. Invidia, forse?
“Ti piace, non è vero?”
Veronica sussultò, sorpresa dalla domanda: “Sofia?” esclamò “Non direi proprio.”
“Mi riferivo a Matteo.”
Veronica arrossì fino ai capelli; balbettò qualcosa, scuotendo impacciata la testa. No, ma cosa diceva? Lei avere una cotta per Matteo? Che assurdità, per cortesia.
“Lo avevo intuito.” mormorò Simone, sedendosi al suo fianco “Sai, non sono affari in cui dovrei impicciarmi, però Matteo è…”
“Il tuo migliore amico?” Simone annuì, deciso.
“Sì, credo di sì.” rifletté “Se mai dovessi finire in prigione…”
“Perché mai dovresti?” intervenne lei, sorpresa dal tono per niente scherzoso del ragazzo.
“Ho detto se mai. Ecco, in quel caso credo che chiamerei Matteo.”
“Non avrebbe i soldi per pagarti la cauzione.”
“Non è per i soldi. E’ perché è l’unico di cui mi fido davvero.”
“Gran bella scelta.” borbottò Veronica.
Simone non replicò. Restò in silenzio per un po’ e quando si voltò di nuovo verso di lei aveva un’espressione autorevole che Veronica non gli aveva mai visto:
“Cerca di non farlo soffrire.” 
“Io?” sbottò Veronica “Hai idea di cosa lui abbia fatto a me?”
“Sì.” sospirò Simone “So cos’ha fatto e sono pienamente consapevole di quali livelli possa raggiungere la sua idiozia. Me ne dispiaccio, sul serio. Nonostante ciò ti chiedo di stare attenta.”
“Attenta? Simone io…”
“Fa lo sbruffone.” insistette lui “Si finge forte, indistruttibile, persino stronzo. Non lo è, Veronica. Ti assicuro, proprio non lo è. In parte, forse, ma sicuramente non più di tanto.”
“Cosa potrei mai fargli io, me lo spieghi? Non riuscirei nemmeno a scalfirlo.”
Simone si alzò in piedi, l’ombra di un sorriso: “Ci sei già riuscita.”
Veronica sentì le labbra del ragazzo che le premevano sulla testa, in segno di saluto. 
Non lo guardò uscire: continuò a fissare Matteo, senza minimamente sapere cosa fare.
Con attenzione lasciò lentamente scivolare la ciambella a rana in acqua; ancora più lentamente e con ancora più attenzione, lasciò scivolare se stessa nella ciambella. Ancorò le braccia al pallone, aggrappandovisi forte. Per nessun motivo avrebbe lasciato andare la ranocchia.
Nuotò. O almeno galleggiò, attraverso la piscina. Non riusciva quasi a credere di essere in acqua: l’ultima volta che era entrata in una piscina? Non riusciva a ricordarlo. Forse, proprio quella volta in cui…
“Ehi.” scattò una voce femminile “Non si attraversano così le corsie.”
Veronica si voltò, l’espressione mortificata: “Mi sono distratta, scusi tanto.” cominciò, prima di incrociare lo sguardo sorpreso di Sofia. 
Sofia le sorrise, riconoscendola subito:
“Veronica, giusto?” chiese, gli occhi attenti e curiosi.
“Sì.” rispose Veronica, sforzandosi di sorridere “Sofia?” chiese poi, fingendo incertezza.
“Sì!” s’entusiasmò l’altra “Che coincidenza! Come stai?”
“Bene, grazie. Tu?”
“Oh, benissimo!” fece Sofia “Mi è dispiaciuto per l’altra sera. So che hai avuto un impegno urgente, ma è stato un peccato. Avremmo potuto concludere la cena assieme.”
Veronica non disse niente, chiedendosi cosa mai gli altri avessero detto a Sofia; che scusa aveva trovato Matteo, poi, per giustificare la tenuta con cui si era ripresentato a tavola?
“Veronica?”
Sofia la riportò bruscamente alla realtà: “Come?”
“Ti ho chiesto quando potremo rifarlo.” sorrise Sofia, cordiale.
“La cena?”
“O quello che preferisci.” si strinse nelle spalle Sofia “Mi sono trovata benissimo con voi e mi piacerebbe riprovare, tu che dici?”
Veronica si chiedeva invece perché mai la francesina dovesse essere così gentile: se solo fosse stata una vipera, ecco, sarebbe stato tutto molto più facile. Visto che Sofia attendeva ancora una replica, Veronica si limitò ad annuire: certo, perché no?
Questa volta avrebbe anche potuto portarsi le uova in borsa, così, per fare prima.
Veronica sospirò, guardandosi velocemente attorno: era stata una pessima idea. Doveva andarsene. Il più presto possibile.
“Sofia.” mormorò, infilando le unghie nella sua ranocchia “Io devo andare.”
“Perché?”
“Così ti libero la corsia.” borbottò la prima cosa che le venne in mente.
“Oh, no.” sorrise la francesina “Stavo andando via: ho già fatto le mie due ore giornaliere.”
Due ore, Veronica. Giornaliere.
“Resta pure e…” Sofia guardò la ciambella di Veronica con l’espressione di chi non ha idea di cosa sta guardando “… e divertiti!” concluse, sorridendo più di prima.
Salì la piccola scaletta e aveva già cominciato a sculettare lungo il bordo della vasca quando di colpo tornò indietro, euforica. Fissò Veronica, impaziente: “Avevo quasi dimenticato di dirti una cosa.” eruppe, contenta “C’è anche Matteo qui, lo sapevi?”
Veronica tentò di fermarla, di frenare quel perfetto vulcano francese, ma non ebbe modo di aprire bocca che Sofia era già scattata: “Corro a chiamarlo, aspetta qui!”
Veronica la vide afferrare il polso di Matteo per trascinarlo con sé. Lei a piedi, lui a nuoto.
“Mattèo.” rise Sofia a pochi passi da Veronica “Guarda un po’ chi ho incontrato!”
Matteo guardò l’enorme ciambella verde che aveva di fronte e aggrottò le sopracciglia, chiedendosi chi si fosse nascosto dietro la testa della rana: a quel punto un occhio blu fece lentamente capolino, fissandolo mortificato.
“Veronica?”
“Visto?” ridacchiò Sofia “Non è una magnifica coincidenza?”
Matteo annuì, avvicinandosi al bordo della vasca e alla francesina: “Vai via?” le chiese, coinciso. Sofia annuì, inginocchiandosi per arrivare all’altezza di Matteo: “Ti mancherò, vero?”
Veronica avrebbe voluto sentire la risposta, ma non le arrivò niente: vide solo il bacio che si scambiarono e bastò quello a farle stringere brutalmente il cuore. Diavolo.
Cercò di allontanarsi, dando le spalle a quella scena obbrobriosa. Perché aveva guardato? Avrebbe dovuto chiudere gli occhi come si fa durante i film dell’orrore, che stupida. 
Serrarli e sprofondare al contempo. Affogare.
“Dove vai?”
Veronica ignorò la domanda.
“Ragazzina?”
Continuo ad allontanarsi, un dolore sordo al petto.
“Ranocchietta, perché scappi?”
Non avrebbe voluto fermarsi, non lo fece. Fu qualcos’altro a bloccarla: una mano che aveva afferrato la sua ciambella e che non sembrava minimamente intenzionata a lasciarla andare.
“Che vuoi?!” sbottò, fissando Matteo con ira.
Il ragazzo sembrò non notare la sua rabbia: si limitò ad osservarla nell’insieme; la rana verde, il costumino, lo sguardo spaurito. E Matteo si avvicinò ancora, poggiando gli avambracci sulla sua ciambella, un sorriso sornione ad illuminargli il volto.
“Sei una ranocchietta magnifica, devo ammetterlo.”
Veronica sgranò gli occhi, sentendo improvvisamente quegli ormoni di cui le aveva parlato Daniele. Ecco, avevano cominciato a ballare, lo sentiva.
“Non è vero.” borbottò, il cuore impazzito “Io non nuoto due ore ogni giorno, non so fare tuffi carpiati all’indietro e non ti chiamo nemmeno con la giusta inflessione… non so fare niente, io…”
Matteo aveva assottigliato lo sguardo, afferrando il tutto con un po’ di ritardo. Poggiò delicatamente l’indice sulle labbra di Veronica e le fermò, zittendola con classe. Certo, lei avrebbe preferito un altro modo, meno elegante: un giorno o l’altro glielo avrebbe spiegato di sicuro.
“Respira, ranocchietta.” mormorò Matteo, sfiorandole una gamba con il piede.
E gli ormoni di Veronica cominciarono a fare la ola.
“Respirerò meglio se mi lasci andare.” riuscì ad articolare, scostando il dito di lui.
“Perché dovrei?”
Veronica si guardò attorno nella piscina ormai quasi vuota. Doveva andarsene: al diavolo Marina, al diavolo Cinzia, al diavolo Simone e al diavolo anche Matteo. Soprattutto Matteo.
“Ho nuotato abbastanza.” disse, cercando ancora di sfuggirgli. Niente da fare.
“Nuotato?” inarcò un sopracciglio lui “Cos’è, mi prendi in giro?”
“Voglio andare via, Matteo.” sospirò, guardandolo negli occhi. E capì di aver commesso un errore. Gli occhioni neri di lui le trapassarono il cuore, congelando per un attimo il battito prima impazzito; poi diedero fuoco a tutto, indiscriminatamente. Veronica guardò i capelli neri, gocciolanti, che gli ricadevano disordinati sulla fronte; le goccioline d’acqua, quelle stupende e fortunatissime gocce, che percorrevano il collo del ragazzo, le spalle e giù, lungo il torace. Cavolo.
E gli ormoni avevano acceso gli accendini, ondeggiando lentamente.
“Non vuoi neanche nuotare un po’ con me?” chiese Matteo, abbassando la voce “Anche galleggiare mi va bene, ranocchietta.”
Le avesse chiesto di prendersi a schiaffi, Veronica avrebbe risposto di sì.
Le avesse chiesto di trasferirsi in Antartide, Veronica avrebbe risposto di sì.
Le avesse chiesto di uscire di lì adesso, nudi, Veronica avrebbe risposto ancora di sì.
Le aveva chiesto di nuotare, però, e a quello Veronica non poteva rispondere di sì.
“Matteo, no.” sussurrò, sgranando gli occhi “Non posso…”
“Ci sono io.”
E gli ormoni cominciarono a sbavare.
Veronica lo osservò avvicinarsi un altro po’, stringere la ciambella e fare per alzarla. Con un singulto si artigliò alla ranocchietta, le nocche sbiancate, ricordando la promessa che aveva fatto: non avrebbe abbandonato la ciambella. Niente l’avrebbe convinta, niente.
“Ci sono io, Ronnie.” mormorò Matteo, allargandole dolcemente le dita “Ti ho fatto da peluche, non posso farti da ciambella?”
Veronica lasciò andare la ranocchia, quasi senza accorgersene. Diamine, in fondo Matteo non era un niente.
Si rese conto di non avere più la ciambella solo quando la vide volare sopra la sua testa.
Con uno scatto si aggrappò al ragazzo, le mani che gli si legavano al collo.
E gli ormoni rischiavano di affogare, ormai.
“Stai tremando.” sorrise Matteo, poggiandole le mani sui fianchi. 
“Io non tremo.” soffiò lei, il volto che correva a nascondersi sulla spalla del ragazzo “Fammi uscire, però, così ne sono sicura.”
“Non ci penso proprio.” ridacchiò Matteo, cominciando piano a nuotare “Voglio farti provare una cosa.”
Veronica scosse la testa, cercando con i piedi il pavimento. Quando non lo trovò per poco non le sfuggì un grido: “Matteo,” ansimò, rischiando di conficcare le unghie nelle spalla del ragazzo “non ci tocco.”
“Lo so.” rispose Matteo, angelico “Non devi toccare per fare quella cosa di cui ti parlavo.”
“Ma io non voglio farla.” gemette Veronica, sconsolata.
Il ragazzo si fermò in quel momento, attendendo che lei si decidesse a rialzare il viso: Veronica lo fece, scoprendosi nel bel mezzo della grande piscina. Dove non toccava. E ora?
“Matteo.” ripeté, fingendosi calma “Voglio uscire.”
“No.”
Veronica s’incaponì, irritata, e allacciò le gambe attorno alla vita del ragazzo.
Lui sorrise, poggiando le mani sotto le sue cosce per sostenerla meglio.
Gli ormoni avrebbero avuto bisogno di un defibrillatore.
“Voglio che provi a fare il morto.” bisbigliò Matteo, fissandola divertito. Veronica scosse la testa, negando furiosamente: “Non ci penso proprio!” scattò, pietrificandosi.
Matteo se ne accorse, il pollice che accennava una lieve carezza sulla coscia: credeva forse di calmarla, facendo così? Sapeva di star decimando i suoi poveri ormoni? 
Diavolo, sarebbe stato uno sterminio.
“Di cos’è che hai paura?” le chiese il ragazzo, senza ottenere risposta “Qualche trauma infantile?” continuò, provando a tentoni. Un minuscolo tremito del labbro di lei gli confermò la seconda ipotesi. Matteo sospirò, temendo di star sbagliando a forzarla. 
C’era lui, però, no? Non sarebbe successo niente. Non poteva succederle niente.
“Ronnie.” la chiamò, cercando di farle aprire gli occhi “Non sono la tua ciambella?”
“Lo sei.” sussurrò lei, gli occhi ancora chiusi “Per questo dovresti portarmi fuori di qui.”
“Prima fai il morto.”
“No.” gemette Veronica “Ho paura.” masticò poi con evidente sforzo.
“Lo so.” sorrise Matteo “Sono qui per questo.”
Aprì gli occhi lentamente, pronta a cambiare idea all’ultimo secondo. Guardandolo, però, si disse che non era il caso di perdersi un solo istante di quello spettacolo. Lasciò andare la presa dal suo collo un po’ alla volta, incredula di starlo facendo per davvero. Sentì la mano di Matteo posizionarsi al centro della schiena, mantenendola saldamente. Le labbra livide, per il freddo e per la paura, si ritrovò dalla vita in su poggiata sulla superficie dell’acqua: era la mano di Matteo a tenerla su.
“Ora,” sussurrò lui “devi sciogliere le gambe.”
“No.”
“Sì.” rispose Matteo, sorridendo per infonderle coraggio. Con le dita dell’altra mano le solleticò scherzosamente la palma del piede, spingendola ad aprire le gambe; al momento giusto si spostò, fermandosi al fianco di Veronica: una mano sotto la sua schiena, l’altra a stringerle la mano.
“Abbiamo fatto?” chiese lei, timorosa.
“No.” mormorò Matteo “Devo ancora lasciarti andare.”
Gli occhi di Veronica riflessero la paura che l’attanagliò, improvvisa. 
Matteo, aspettandoselo, continuò a parlare con fare rilassante: “Ti fidi di me?”
Veronica non sapeva cosa rispondere. 
Il cervello fu il primo a farlo e la sua risposta fu no: assolutamente no. Mai e poi mai. 
Poi fu la volta del cuore e la sua risposta fu sì. Di slancio, inconsciamente.
Un pareggiò, pensò Veronica. 
Infine, non voluti, risposero gli ormoni: e loro gridarono sì.
Matteo scostò la mano da sotto la sua schiena, lasciandola. Non si allontanò di un solo passo, però, l’altra mano ancora stretta in quella di Veronica. E lei non si mosse. 
Restò ferma perché galleggiava. Diamine, sì: galleggiava! Un sorriso si dipinse sulle labbra di Veronica, mentre un po’ di colore tornava finalmente ad illuminarle il volto pallido.
“Bravissima.” le sussurrò all’orecchio; e un istante dopo la attirò precipitosamente a sé: un braccio dietro la schiena e l’altro sotto le gambe. Rise, lasciandole appoggiare la testa sulla sua spalla. Veronica allacciò di nuovo le mani attorno al collo del ragazzo e si lasciò reggere senza timore. Erano andati. Gli ormoni erano andati. 
Quando la mano di Matteo toccò il muretto, si fermò, respirando sul collo di lei: voleva dire qualcosa, Veronica lo aveva capito; lei però non aveva nessuna fretta.
“Matteo!”
Veronica chiuse gli occhi, rimangiando l’imprecazione. 
Un ragazzo tentava di attirare la loro attenzione, agitandosi dal lato opposto della piscina. “Vieni o no?” gridò.
Matteo non rispose, abbassando invece lo sguardo su di lei: “Vieni?”
Veronica inarcò un sopracciglio: “Dove?”
Matteo sorrise.
“Ti fidi di me?”
Conoscevano entrambi la risposta.

 

 

 

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