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Autore: Marrs    29/08/2011    0 recensioni
Amore, una semplice parola con un milione di significati diversi.
Con questa storia ho voluto dimostrare che, secondo me, c'è un amore ancora più potente di quello tra un ragazzo e una ragazza: quello tra madre e figlio. Spero di colpire almeno qualcuno di voi e di ricevere critiche di ogni genere purchè costruttive e rispettose in modo da poter migliorare il mio modo di scrivere e/o le mie idee. Grazie anticipatamente. Buona lettura!
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Divisi, ma sempre uniti

 

Sin da quando mi sono reso conto di essere qualcosa in più di una semplice cellula, ho avuto un’ulteriore consapevolezza: l’amore reciproco che legava me e quella donna di cui ancora non conoscevo il viso. L’affetto che mi trasmetteva attraverso quel suo tenermi dentro di se era ancor più sostanziale del cibo stesso e questo non fu smentito neppure quando arrivarono le prime complicazioni, quelle che avrebbero cambiato sia la sua che la mia vita.
 
Era una giornata soleggiata, non di quelle in cui si muore di caldo, ma una di quelle primaverili in cui l’aria che si respira sa di rugiada. Avevamo appena fatto colazione e ci stavamo preparando per uscire; percepivo distintamente la leggera tensione che scuoteva i suoi nervi, ma non me ne preoccupavo granché perché ero sicuro che anche quest’ennesima prova sarebbe stata superata e che saremmo tornati a casa felici come sempre. Così uscimmo.
Ormai il percorso mi era familiare, come le sue crescenti palpitazioni all’avvicinarsi della meta; quindi la mia attenzione era attirata dalla fresca brezza mattutina, non più quel gelo pungente che sentivo provocare in lei una sensazione spiacevole, ma una leggera carezza su quella pelle che sapeva di vaniglia. Mi accorsi che dovevamo essere arrivati di fronte a quell’enorme casa blu dalle mille finestre perché il suo cuore perse un battito e la sua agitazione era ora palpabile persino da chi le fosse semplicemente passata affianco. Entrammo e subito sentii svanire l’aria fresca primaverile, sostituita da un tiepido calore quasi assimilabile a quello umano; udii un piccolo rumore e percepii i suoi due brevi passi seguiti da un piccolo sobbalzo. L’ultima volta lei non era sola e fu proprio grazie al suo accompagnatore che io potei apprendere che il piccolo spazio dove ci fermavamo tutte le volte e che mi provocava un leggero tuffo al cuoricino era chiamato “ascensore”.
Giungemmo di fronte al solito muro e sentii lei alzare il braccio e picchiettargli contro; una voce profonda, quella voce, ci invitò a procedere. Il ritmo del suo cuore era ormai martellante, ma le sue carezze non sembravano diminuire e ciò tranquillizzava anche me. Quello che avevo capito essere un “dottore” cominciò a parlare e poco dopo la fece stendere su un lettino: era giunto il mio momento; mi spostai impercettibilmente e mi preparai a farmi vedere da loro. Inizialmente sembrava procedere tutto come al solito, ma poco dopo qualcosa cambiò; lo stato d’animo del dottore non era più quello di poco prima e la sua voce era leggermente ansiosa. Quello che però mi preoccupava maggiormente era il panico che sentivo affiorare in lei; il suo cuore non aveva mai raggiunto quel ritmo serrato e la sua voce non aveva mai tremato così tanto da quando l’avevo sentita per la prima volta. La conversazione seguente alla visita fu più lunga del solito e da quel che mi parve di capire fu perché non era tutto come doveva essere: “Il bambino sembra essere affetto da una rara anomalia, ma non vorrei essere troppo precipitoso. Mi riservo di fare ulteriori analisi prima di decretare o meno la presenza di complicazioni”. Per qualche secondo non percepii più il battito di quel cuore ormai a me più che familiare. Poi la sentii ripetere la normale procedura che riportò entrambi a casa; quello che non mi sembrò familiare fu la sua disperata chiamata che chiedeva al nostro accompagnatore di tornare appena possibile da lei e le sue sempre più amorevoli nonché dolorose carezze a me, la sua creatura.
Ecco il solito suono che significava “sono qui fuori” e portava lei a una scelta: fare entrare o meno quella persona; avevo sentito molti definirlo “campanello”. Accolsi con piacere la voce ormai altrettanto conosciuta che ogni sera ci teneva compagnia finché non ci addormentavamo; solo lui era in grado di portare un po’ di pace nel nostro animo. Fu così anche questa volta, ma l’impresa non fu certo una delle più semplici; questo fu dovuto allo smisurato amore che lei provava già da principio nei miei confronti e che non le permetteva di prendere un’importante decisione: continuare ad ospitarmi dentro di lei donandomi tutto il suo amore o perdermi per evitarmi una vita piena di sofferenze e difficoltà? Non capivo bene cosa comportasse la seconda opzione né di preciso perché dovesse prendere questa decisione, ma sapevo che ciò era dovuto alle strane parole del dottore. Comunque non volevo sentirla piangere ancora.
Decisi così che mi sarei impegnato a trasmetterle tutto l’amore che provavo per Lei.
Non sapevo ancora quanto tempo avevo ancora per farlo e come ci sarei riuscito, ma sapevo con certezza che lo avrei fatto…
 
Mi chiamo Simone, ho un anno e sono quello che molti definiscono un bambino pieno di vita. Ho gli occhi azzurri e i capelli castani, sono piccoletto e paffutello ma questa sembra essere una buona qualità viste tutte le coccole che ricevo. Ho da poco scoperto a cosa servono le mie piccole gambe e mi chiedo perché abbia sprecato così tanto tempo: poter andare dove voglio da solo è uno spasso!
A dispetto di ciò che aveva preannunciato il dottore, sono un bambino normalissimo: sono solo leggermente più piccolo del solito, ma dicono che con gli anni raggiungerò la giusta altezza anch’io e che sarò una persona molto intelligente, proprio come loro. Lo dovevo a lei, non volevo deluderla; doveva essere sicura di aver preso la giusta decisione e così era stato.
Ormai è da qualche mese che mi diverto ad esprimere le mie idee con la mia voce, anche se la mia non è calda come la sua. E’ stato proprio così che ho capito come raccontarle del mio amore smisurato: quel giorno la guardai negli occhi, con un sorriso ancora poco perfetto ma pur sempre sincero, e dissi la mia prima parola con enorme sicurezza… “Mamma”.
 
 
Spazio Lively_
E’ uno dei primi lavori che posto qua e vorrei sapere cosa ne pensiate, se avete un pochino di tempo a disposizione. Ci tengo a migliorare (:
In ogni caso, grazie per aver letto o anche solo dato un’occhiata.
Un bacio!
  
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