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Autore: PeaceCriminal    29/08/2011    0 recensioni
Originariamente scritta per il concorso Take me in the United Kingdom with a story! di LonelySpring sul forum.
Storia introspettiva ispirata ai Beatles e alla canzone Lucy in the Sky with Diamonds.
Cit./Le sue braccia andarono a stringere piano la schiena di lei che chiuse gli occhi mentre lui le comunicava tutta la sua tristezza, come a dire “Sono qui, e se soffri soffrirò con te, e se muori morirò con te.”
“Lilium…” le sussurrò piano.
Lei continuò a piangere, e le sue lacrime brillavano come argento sotto le stelle.
Genere: Dark, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lilium.
Liverpool, 8 Dicembre 1969.

Una risata argentina risuonò come una cascata chiarissima nel silenzio assopito del boschetto, che a quell'ora di domenica mattina aveva ancora quell'aria confusa e lattiginosa che si ha quando ci si sveglia e ancora non ci si rende bene conto di ciò che si ha intorno.
Una piccola bambina paffutella di tre o quattro anni, ben imbacuccata nel suo cappottino marrone abbinato al colbacco di pelliccia che aveva in testa - e che, insieme alla sciarpa, le copriva buona parte del viso - per combattere l'umido freddo dell'inverno liverpooliano, sghignazzava tenendosi in pancino per le buffe facce che faceva il suo papà, che accovacciato vicino a lei non riusciva ancora a raggiugnerne il basso livello per via della sua altezza.
Era un uomo giovane, con i capelli castani chiari scomposti e spettinati, un paio di occhialetti tondi che gli sfuggivano scendendo giù sul naso dritto, molto alto e molto magro, con indosso un cappotto verde scuro con i bottoni e un paio di scarpe da montagna.
Si alzò, continuando a guardare la piccolina, e le disse: "Ora papà ti mangia! Arrr!", lei rise ancora e scappò via, inseguita dal padre.
Dopo un minuto di furioso inseguimento, lui la raggiunse, la acchiappò e le tolse il cappello, scoprendo una lunga chioma di capelli biondi sopra una testolina piccola e una faccetta dal mento appuntito, la pelle molto candida e due occhioni di un verde indefinibile che screziava nel blu nella parte più esterna.
"Ti ho presa, Lucy!" gridò lui, scompigliandole i capelli.
"Papàààààààààà! Non mi chiamo Lucyyyy!" lo rimproverò la bambina sorridendo e passandosi le manine sulla faccia per scacciare le ciocche di capelli che le andavano negli occhi.
"Lo so, Lily, lo so." le rispose il padre, sorridendo teneramente e sedendosi ffianco a lei "Ma questo è un piccolo soprannome per noi. Ormai solo la mamma ti chiama ancora Lilian!” Lei fece una smorfia, come per concordare con il padre che quello era un nome troppo altisonante per uno scricciolo di bambina come lei. “E poi tu sei la mia piccola..."
"... Lucy nel cielo con i diamanti, lo so" finì lei, annuendo con l'espressione di chi la sa lunga, e poi cominciando a cantare con la sua voce acuta la canzone, subito seguita dal padre.
"Lucy in the sky with diamonds, aaah..."


Liverpool, 8 Dicembre 1979

La ragazza piangeva, seduta su uno squallido muretto vicino ai cancelli di un parco con le gambe incrociate e uno zaino vicino a lei come unico compagno.
Aveva perso tutto, tutto quello che era contato nella sua vita; era rimasta sola.
A soli quattordici anni, aveva dovuto affrontare da sola la perdita della persona più importante per lei, con una madre algida e apparentemente così lontana, nessun fratello, nessun amico sincero.
Meno forse...
Qualcuno si stava avvicinando, e aveva qualcosa in mano.
Quando fu abbastanza vicino perché Lucy lo potesse distinguere nel buio che c'era alle cinque del pomeriggio, si sentì subito sollevata, anche se in fondo lo aveva capito subito.
Era un ragazzo alto pressappoco come lei, con i capelli neri a caschetto e grandi occhi scuri.
Le sue braccia andarono a stringere piano la schiena di lei che chiuse gli occhi mentre lui le comunicava tutta la sua tristezza, come a dire “Sono qui, e se soffri soffrirò con te, e se muori morirò con te.”
“Lilium…” le sussurrò piano.
Lei continuò a piangere, e le sue lacrime brillavano come argento sotto le stelle.

Quando sciolsero l’abbraccio, lei lo guardò intensamente, ringraziandolo con gli occhi.
John le sorrise e il mondo le sembrò di nuovo vivo.
Le porse l’oggetto bianco che aveva in mano da quando era arrivato e il cuore si sciolse nel suo petto.
Prese lo zaino, se lo infilò in spalla e riprese a camminare verso una fontana, con un giglio candido nella mano sinistra, sotto braccio con il suo migliore amico.


Liverpool, 8 Dicembre 1987

Allora aveva ragione.
Aveva ragione quando pensava che non ci fosse nessuno, nessuno con lei, nessuno dalla sua parte.
Lo sapeva, in fondo si era sempre detta che lei non sbagliava mai.
Era presuntuosa, sì – lo era stata.
E sostanzialmente egoista – anche se ora avrebbe ceduto tutto quel che aveva per ridare il fragile soffio della vita a chi non c’era più.
E credeva in sé stessa fino allo stremo – ormai non più.
Le cadde una lacrima solitaria dalla barriera di ciglia che si era creata – un’altra barriera, una delle tante, una di quelle che crollavano – e crollavano tutte.
Scivolò giù per la guancia impertinente, come a dire che non poteva più trattenersi, che ormai aveva perso perfino con sé stessa.
Fissò la lapide bianca.
“John Stewart. 22 Marzo 1963 – 6 Dicembre 1987”
La lacrima finì il suo cammino e cadde sulla sommità della pietra.
Lei vi depositò un silenzioso giglio bianco, si alzò in piedi ripulendosi i pantaloni e si voltò, in un muto addio. 
  
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