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Autore: Brambra13    29/08/2011    0 recensioni
Leyla è una donna di 28 anni che improvvisamnte perde la memoria e quando,man mano, la riacquista si rende conto che la realtà in cui si trova è totalmente diversa da quello che ricorda. Cosa sarà successo?...E' una storia ancora in evoluzione, ma prima di continuarla, volevo dei pareri e chi se non voi può aiutarmi? Vi prego ditemi cosa ne pensate...Accetto tutte le vostre critiche :-)
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: Incompiuta
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Era una fredda notte di Novembre. Stranamente il cielo era sereno per essere quel periodo dell’anno. La luna era piena ed alta nel cielo. Stava girovagando per quella città senza una meta. Camminava senza nemmeno sapere dove fosse. Era il suo istinto a guidarla. Per qualche strana ragione, era come se dentro di sé sapeva dove si trovava e dove stesse andando, ma la sua mente non riusciva a focalizzarlo. Si guardò intorno. I palazzi e le case le sembravano tutti uguali. Le strade erano desolate. Stava per cedere al panico quando  improvvisamente si fermò. Davanti a sé si trovava un edificio vecchio e abbandonato. Ma non era la costruzione ad aver attirato la sua attenzione. Sul muro di esso c’era scritto qualcosa, una frase: E una volta che hai perso te stesso, hai solo due scelte: ritrovi la persona che eri di solito...o la perdi completamente. Quelle parole fecero breccia dentro di lei. Non riusciva a muoversi, era come paralizzata. Non ne conosceva il motivo ma, dentro di sé, sentiva che quelle parole erano importanti, quantomeno per lei. Cominciò a chiedersi quale riferimento ci potesse essere tra quelle parole e la sua vita, ma non trovò una risposta. Pensò che probabilmente aveva già incontrato quella frase, ma non riusciva a ricordarlo. Un momento… Era questo il punto: non ricordava. Per quanto si sforzasse la sua mente non riusciva ad elaborare immagini della sua vita passata. Non sapeva dove fosse o perché si trovasse in una città a lei sconosciuta, e nemmeno come ci fosse arrivata. L’unica cosa che riusciva a rammentare era che stava camminando. Oltre quello, il buio. Si sforzò, allora, di ricordare qualcosa: il suo nome, la sua età, qualsiasi cosa, ma non ci riuscì. Era come se nel suo profondo sapesse dare una risposta ad ogni domanda, ma non riusciva a portarle in superficie. L’unica cosa che continuava a venirle in mente era che stava camminando. Si sforzò ancora una volta di non cedere al panico. Se l’avesse fatto, per lei sarebbe stata la fine. “Ma la fine di cosa?” Pensò. Fece un profondo respiro e lasciò, ancora una volta, che il suo istinto prendesse il sopravvento. D’altronde cos’altro avrebbe potuto fare? La sua ragione non poteva certo aiutarla! L’istinto la riportò di nuovo nell’unico ricordo che aveva.  Stavolta aveva come la sensazione di vivere realmente quel ricordo. Stava camminando…Poi un rumore stridulo…Poi il nulla. I suoi occhi si spalancarono, stava ansimando, il suo cuore batteva all’impazzata. Quello era l’istante in cui era morta.
 
 
 
 
 
Era quasi mezzanotte e Jack Frost stava facendo il suo ultimo giro della città prima di terminare il turno di lavoro. Erano esattamente dieci anni che faceva il poliziotto. Per tutti quegli anni aveva sempre fatto lo stesso percorso quando era di pattuglia. Però quella sera, senza saperne il motivo, aveva deciso di fare una deviazione. Ormai conosceva a memoria la sua città, Smirna. Era una delle città più grandi della Serraglia. Contava almeno un milione di abitanti. Nel corso della sua vita aveva visto molte altre città, ma sicuramente Smirna era la più bella di tutte, con i suoi edifici antichi e sontuosi. Gli stranieri che venivano in visita non apprezzavano la sua bellezza. La consideravano una città monotona, vecchia con case ed edifici tutti uguali. Jack, però non la vedeva così. Era cresciuto in quella città e ne aveva sempre apprezzato lo stile antico. Per lui era come se ogni angolo di Smirna avesse qualcosa da raccontare, anche una panchina o un palo della luce. Era questo che lo affascinava più di tutto e cioè il passato che essa rappresentava e continuava a raccontare. Amava girare per la città, fermarsi ad ogni edificio e lasciare che gli raccontasse la sua storia. Era come se così potesse vedere  gli antenati che, come lui, avevano vissuto lì e l’avevano resa la città bellissima, qual’ era oggi. Ma ciò non la rendeva certo una città sicura e lui lo sapeva bene. Sapeva  quali pericoli si celavano dietro tanto splendore. E per qualche strana
 ragione lui aveva un gran fiuto per i pericoli. Era come se fosse una calamita per i guai, perché sin da piccolo li aveva sempre attirati a sé. Forse era quello il motivo per cui aveva deciso di fare un giro diverso da quello che aveva sempre fatto per ben dieci anni. Aveva fiutato un pericolo. Si stava dirigendo verso la zona più desolata della città, la zona “Barcollante”. Era così che la chiamavano da quando avevano dovuto evacuarla. Era successo nell’89 e lui aveva solo 6 anni. Era solo un bambino ma ricordava benissimo quel giorno come se fosse stato quello precedente. Era il 5 Ottobre ed erano più o meno le 10 di sera. Sua madre, Molly, lo stava mettendo a letto quando tutta la stanza cominciò a tremare. Non aveva mai provato così tanta paura. Suo padre, Jhon, era entrato in stanza con il fratellino Sammy e gli aveva gridato di correre fuori. Quando uscirono videro che una zona della città, la parte più antica, era coperta di polvere e gli edifici si sgretolavano come fossero stati di cera. La scossa di terremoto durò per qualche minuto, ma a lui quegli istanti sembrarono ore. Appena la terra smise di tremare tutta la gente, compreso la sua famiglia, accorse in quella zona. Quando arrivarono quello che videro fu agghiacciante. C’erano macerie dappertutto, corpi morti e così tanta polvere che si faceva fatica a respirare. Ci vollero molti mesi per recuperare tutti i corpi delle persone rimaste sotto le macerie e per rimettere la zona a posto. Avevano aggiustato gli edifici e rimesso in sesto la zona, ma decisero che quella parte della città non sarebbe stata più abitabile a causa della pericolosità del terreno in quella zona. Ed era per questo che l’avevano definita zona “Barcollante”. Da quel giorno non era andato spesso in quella zona, come il resto degli abitanti. Quella era la ferita che non si era mai rimarginata di quel posto che aveva e avrebbe sempre amato. Mentre attraversava con la sua auto quelle strade, le immagini di quel terribile giorno gli scorrevano davanti gli occhi. Era come se lo stesse rivivendo. Era perso in quel turbine di ricordi che lo pervadeva. All’improvviso si svegliò da quel sogno ad occhi aperti. Aveva  visto qualcosa muoversi davanti a lui. Frenò bruscamente. La frenata provocò un rumore stridulo. Il suo cuore batteva all’impazzata. Davanti alla sua auto c’era una donna e per poco non l’aveva investita. I fari dell’auto  gli permettevano di vederla chiaramente. Era una donna alta, capelli mossi di un biondo scuro che le cadevano lungo le spalle. I suoi occhi sembravano essere di un colore simile a quello del ghiaccio. I lineamenti del suo viso erano  sottili. A primo impatto non riusciva a capire quanti anni potesse avere. Indossava un cappotto nero lungo fino alle ginocchia. Era aperto e, sotto di esso, portava una camicia dello stesso colore dei suoi occhi e dei jeans scuri. E per finire delle scarpe nere con il tacco basso. La donna sembrava come paralizzata dalla paura. Jack scese dall’ auto. “Sta bene?” Le chiese. Ma non ricevette alcuna risposta. La donna continua a restare immobile. Si avvicinò di più e le chiese di nuovo se stesse bene. Anche stavolta non ebbe risposta. Così Jack si avvicinò ulteriormente, mettendosi di fronte a lei. La donna continuava a non muoversi. Sembrava che non si rendesse nemmeno conto che lui le stesse davanti e che le stesse parlando.  I suoi occhi erano spalancati. Era come se fosse caduta in uno stato di trance. Poteva capitare nei momenti di confusione, dopo uno spavento del genere. Il poliziotto le poggiò una mano sul braccio sinistro e le parlò di nuovo. “Signora, si sente bene?”  La donna non disse nulla ancora una volta. Jack le mise l’altra mano sul braccio destro e la scosse con delicatezza. “Signora, mi sente? Va tutto bene?”  
 
Era morta. Non sentiva più il suo cuore battere, non riusciva a respirare e non vedeva niente. Era morta e la sua anima era imprigionata in quel corpo inerme. Sentì la disperazione crescere sempre di più. Non avrebbe mai pensato che si potesse provare disperazione da morti. In realtà pensava non si provasse più nulla una volta che la vita si fosse spenta. Pensava che oltre la morte ci fosse semplicemente l’oblio.  Invece si era sbagliata. Ora sapeva che l’anima continuava ad esistere. In quel momento desiderava che non fosse così. Non avrebbe voluto passare l’eternità imprigionata dentro il suo stesso corpo. Avrebbe visto il suo corpo decomporsi e questo la fece inorridire. “Forse la mia anima sarà libera quando il mio corpo non esiterà più” Pensò. Ma certamente questo non la faceva sentire meglio. Continuava a farsi mille domande. Allo stesso tempo continuava a ripetere la frase che aveva incontrato poco prima. “E una volta che hai perso te stesso, hai solo due scelte: ritrovi la persona che eri di solito...o la perdi completamente.”  Mentre ripeteva queste parole, sentì qualcosa che la toccava. Sentì scuotersi. Sentiva che qualcuno le parlava ma non riusciva a capire cosa dicesse. Possibile che potesse sentire queste cose da morta? Continuava a sentire delle parole senza comprenderne il significato. Improvvisamente si sentì di nuovo viva. Sentiva il suo cuore battere, respirava e davanti a sé c’era qualcuno. Ci mise qualche istante a mettere a fuoco quell’immagine sfocata. Era un uomo, che la scuoteva a le parlava. “Mi sente?... Va tutto bene?... Signora, si sente male?” Le chiedeva. Era un uomo molto alto. Aveva dei capelli neri corti dietro, ma lunghi davanti. I suoi occhi erano verdi. Indossava un giubbotto di pelle nero, anche la maglia sotto di esso era nera. Era così aderente che le permetteva di scorgere la buona muscolatura dell’uomo. Infine aveva dei jeans e delle scarpe da ginnastica nere. Continuava a chiederle se andasse tutto bene e così cercò di parlare. “Uhm..Io…”  Come ebbe parlato Jack fece un profondo respiro di sollievo. “Signora sono l’agente Frost. Va tutto bene?”  La donna annuì e poi disse: “Credo di si. Sono viva?” Jack fece una breve risata e le rispose. “Si, signora. E’ viva”. Nel sentire quelle parole la donna ebbe un mancamento e Jack l’afferrò per non farla cadere. Nel farlo la distanza tra i due diminuì notevolmente, tanto che i loro corpi si sfiorarono e i loro volti erano a pochi centimetri l’uno dall’altro. Si guardarono per qualche istante negli occhi. A Jack gli mancò il fiato. Preso dagli eventi non si era reso conto di quanto quella donna fosse bella. Invece lei, guardandolo negli occhi, sentì un senso di smarrimento. Quell’uomo aveva degli occhi talmente profondi che si sentiva persa in essi. Quella situazione le sembrò un déjà vu. Non riusciva a comprendere, però, se questo le era provocato dall’agente Frost o dalla sensazione, bella, che provava.  Poi nella sua mente si formò l’immagine di due occhi verdi penetranti, gli stessi di quell’uomo. Che stesse ricordando qualcosa? Si sforzò di ricordare se avesse già visto il poliziotto, o di associare quegli occhi ad un volto. Fu tutto inutile. La sua mente fu capace di fornirgli solo il ricordo di quegli occhi. Nonostante si sentisse frustrata del fatto che non ricordasse nulla, provava anche un senso di sollievo. Sollievo perché stava ricordando qualcosa. Anche se un piccolo dettaglio era pur sempre qualcosa. I due si allontanarono imbarazzati e confusi per quello che avevano appena provato.
“Va meglio?” Le chiese con una voce tesa.
 “Si. Grazie agente.”
 “La prego, mi chiami Jack. Non mi piace quando la gente mi chiama agente.”  “Ma lei è un agente.”
“Si, ma essere chiamato così non mi piace per niente!”
 La donna lo guardò confusa, così sentì di dover dare una spiegazione più convincente. “Vede, faccio questo lavoro per aiutare la gente. E inoltre sono cresciuto in questa città. Il fatto che mi vedano solo come un poliziotto non mi piace, mi fa sentire un estraneo.”  
“Oh, capisco agent..” Vide che lui la stava guardando contrariato. “Mi scusi, Jack.” Gli disse sorridendo.
 Lui le sorrise a sua volta. Il modo in cui aveva pronunciato il suo nome e gli aveva sorriso gli era piaciuto. Quella donna oltre ad essere bella, l’affascinava con il suo modo di parlare e di gesticolare.
 “Così va meglio.” Le sorrise di nuovo. “Cosa ci fa nella zona ‘Barcollante’ a quest’ora di notte? Signora…? Mi scusi ma non so ancora il suo nome.”  
 “Bhè … In realtà vorrei saperlo anch’io!” 
L’uomo rimase un attimo in silenzio. Pensava fosse una battuta  ma notò che la donna aveva un’espressione preoccupata. Sembrava disorientata.
 “Cosa, il nome o cosa stava facendo?”
“Fa differenza?”
Jack non capiva perché quella donna continuava ad evadere le sue domande. O forse lo sapeva, ma non voleva ammetterlo per via che gli piaceva. La conosceva da pochi minuti eppure già aveva uno strano effetto su di lui. Si sforzò di tornare lucido e continuò a farle domande.
 “Evitiamo giochetti inutili e mi dica cosa ci fa qui.” Pensò di essere stato troppo brusco, ma era tardi e non aveva alcuna intenzione di perdere tempo. Perlopiù stare in quella zona non gli piaceva affatto.
“Quali giochetti?” La donna aveva un’aria sempre più confusa e preoccupata.
‘E’ molto brava a mentire!’ Pensò.
 “La prego signora è tardi e vorrei tornare a casa. Ma non ce ne andremo di qui fino a quando non mi avrà detto il suo nome e cosa stava facendo.”
“Io vorrei poterglielo dire, ma proprio non posso.”
Jack era sempre più sospettoso e innervosito. “Senta le ho già detto che non ho voglia di fare stupidi giochetti. O risponde alle mie domande o sarò costretto a portarla con me in centrale.” La donna sembrava sul punto di mettersi a piangere.
“Gliel’ho già detto anch’io agente. Non posso.” Così disse e scoppiò a piangere.
A questo punto Jack pensò che la donna potesse essere coinvolta in qualche brutta faccenda  e che, perciò, avesse paura. Cercò di calmarla per capire cosa stesse accadendo. “Si calmi, la prego.” Disse poggiandole una mano sulla spalla. Nel sentire quel tocco, la donna alzò la testa, senza smettere di piangere, e ascoltò quello che il poliziotto avesse da dirle. “Le ho detto che il mio lavoro è quello di aiutare le persone. Se lei mi dice qual è il suo problema, io posso aiutarla.” La donna cercò di calmarsi e con una voce tremante disse “Davvero può?”
“Certamente. Ma lei deve dirmi tutto.”
La donna sembrava sul punto di parlare, ma quello che disse non era ciò che Jack si aspettava. “Io non credo possa davvero aiutarmi, agente.”
Stava davvero perdendo la pazienza, ma si sforzò di non farlo notare e cercò di conquistare la fiducia della donna. “Se non sbaglio doveva chiamarmi Jack e non agente.” Disse sorridendo.
Mi scusi. Ha ragione, Jack.” Sorrise a sua volta.
“La prego mi dica quello che le ho chiesto e lasci decidere a me se posso aiutarla.”
“Va bene, ma io davvero non so in che modo potrebbe visto che non lo ricordo.” Nel sentire quella giustificazione Jack sembrava confuso. “Cosa non ricorda?” Le chiese cercando ancora una volta di restare calmo.
Tutto..” Fece un profondo respiro e continuò. “Ricordo solo che stavo camminando, poi un rumore. Credo sia stata quella cosa a farlo” E indicò l’auto.
Sì, è stata l’auto.” Confermò Jack.
Poi la donna continuò a parlare.“Poi di nuovo il vuoto e infine mi sono trovata davanti a lei. Ecco questo è quello che so. Non so cosa stessi facendo o dove stessi andando. Mi dispiace, ma non so dove sono e nemmeno come mi chiamo. Proprio non lo ricordo.” Stava di nuovo sul punto di piangere. Questa volta riuscì a trattenersi. Mandò giù il groppo che aveva in gola e disse. “Ora che le ho detto quello che voleva sapere, può aiutarmi?”
Jack, pensieroso, non rispose.
Non mi crede, vero?”
“Sinceramente, non so se farlo o no.”  Effettivamente Jack non lo sapeva. In dieci anni di lavoro, aveva imparato a capire quando le persone mentissero  o quando dicessero la verità. Ma aveva anche incontrato persone molto brave a nascondersi dietro le proprie bugie, facendo credere agli altri che fossero la verità. Pensò per qualche istante a cosa potesse fare. Poi gli venne in mente una soluzione.
Okay. Farò in questo modo. La porterò in ospedale per farla visitare e capire se potrebbe essere vero che lei abbia perso la memoria. Nel frattempo cercherò di capire la sua identità. Ma sia chiaro: se scopro che mi sta mentendo e la sua è solo una scusa, e le assicuro che lo scoprirò, la sbatto dentro!” Disse Jack cercando di darle un’ultima possibilità di dirgli la verità.
Ospedale?....E che vuol dire che mi sbatte dentro?”  Chiese la donna confusa.
Vuol dire che la rinchiudo in una cella per aver detto il falso!” Rispose.
Rinchiudete le persone?” Sembrava davvero spaventata.
Se necessario si.”
“Correrò questo rischio, allora. Non le sto mentendo. Magari lo stessi facendo. Almeno saprei chi sono!”
Nel sentire quelle parole, Jack, si convinse, almeno in parte, che stesse dicendo la verità. Pensò che la perdita di memoria potesse essere stata causata dallo spavento che la donna si era preso poco prima. L’aveva vista in uno stato di shock  che l’aveva spaventato. Non era un dottore, ma quella donna le era sembrata come morta e, forse, aveva davvero bisogno di essere visitata.
Bene. Allora andiamo!” L’uomo allungò un braccio per farle strada, ma la donna, spaventata, fece un passo indietro. “Dove?” Chiese.
“In ospedale?”
“Anche se non so cosa sia, va bene. Pensavo volesse sbattermi dentro, come ha detto lei.” Così disse e seguì il poliziotto, che accennò un sorriso e aprì la portiera posteriore per invitarla a salire. Jack vide che la donna non sapeva cosa fare, perciò glielo mostrò. Si sedette nell’auto. “Deve sedersi qui in auto come sto facendo io adesso.” La donna sembrava non capire. “L’auto serve a spostarsi da un posto all’altro. Così le persone possono andare dove vogliono in tempi brevi. Altrimenti camminando ci impiegherebbero molto più tempo.”  Stavolta le sue parole fecero effetto e la donna si sedette nell’auto.  Jack si mise alla guida e si diresse verso l’ospedale. Durante il tragitto i due rimasero in silenzio, ognuno assorto nei propri pensieri. 
  
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