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Autore: cabol    29/08/2011    1 recensioni
Il salvataggio di una fanciulla in difficoltà scaraventa due viandanti nel cuore di un sanguinoso mistero.
Perché terrificanti ululati si levano dai boschi?
Perché sono scomparse alcune persone?
Cosa sparge il terrore in una tranquilla campagna?
Quale perversa oscurità sta avvolgendo la rocca di Luna Splendente?
Mille e mille sono le leggende che i bardi raccontano, sull’isola di Ainamar. Innumerevoli gli eroi, carichi della gloria di imprese epiche. Eppure, in molti cantano anche le imprese di un personaggio insolito, che mosse guerra al suo mondo per amore di giustizia.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I misteri di Ainamar'
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Il Processo

La Rocca di Luna Splendete


 

Il pesante portone del tempio si era appena richiuso e Lucy rivolse lo sguardo avvilito sui compagni di prigionia. I due profughi, pesti e laceri, sedevano su una panca, apparentemente troppo provati dalle percosse subite durante l'interrogatorio sostenuto poco prima, forse schiacciati dal timore per la propria sorte e quella dei loro cari dei quali non erano probabilmente stati capaci di proteggere il nascondiglio durante le torture inflitte loro dagli aguzzini di sir Mordred.

Sir Raoul era appena stato scaraventato dentro il santuario, legato mani e piedi. La ragazza aveva provato una fitta al cuore nel vederlo. Si chiedeva cosa mai avesse detto o fatto quel gentiluomo per condividere la sorte sua e dei due giovani ribelli. Era pesantemente caduto sul pavimento, forse privo di sensi. Per quanto la cosa potesse apparire inverosimile, appariva evidente che l'aristocratico giovane era ritenuto più pericoloso degli altri, cui era stato risparmiato di essere legati.

Fu sollevata nel constatare che Robert non era con loro. Quel coraggioso che aveva eroicamente tentato di difenderla dal worg era riuscito a sfuggire alla cattura. Sperava ardentemente che fosse ormai in salvo, lontano da quell’incubo che era diventata la casa dove lei aveva vissuto tanti anni che aveva creduto sereni. Riflettendo e rievocando il tempo passato, ebbe la netta sensazione che, dietro l'apparenza tranquilla, qualcosa di minaccioso e angosciante avesse sempre aleggiato su quei luoghi. Un’altra fitta al cuore: i suoi genitori? Dov’erano? Cosa stava accadendo loro? L’angoscia la opprimeva in modo terribile. Avrebbe voluto piangere, sentiva che questo l’avrebbe aiutata ma le lacrime non riuscivano a salire agli occhi. Semmai sentiva lo stomaco stretto da una morsa crudele. Le mani corsero al ventre per comprimerlo e cercare sollievo.

Poco sotto l’ombelico sentì la presenza di qualcosa che pareva un disco metallico. Immediatamente comprese di cosa si trattasse. Corse in un punto sufficientemente buio per cercare sotto le vesti. Frugò un poco, poi estrasse il simbolo di Sergaries. Un profondo senso di pace la pervase.

Si riscosse quando avvertì una presenza alle sue spalle. Rimase stupita nel vedere sir Raoul libero dalle corde, che le sorrideva amabilmente.

«Andiamo, Lucy, c’è molto da fare, prima di stasera».

***

Robert correva rapido, lungo il sentiero indicatogli dallo stalliere. Nella semioscurità della foresta, faceva fatica a riconoscere i punti di riferimento e temeva continuamente di perdere la direzione. Eppure non osava rallentare. Troppo dipendeva dalla sua capacità di raggiungere il villaggio velocemente e senza essere visto. Le istruzioni impartitegli con poche concise parole dal suo padrone erano molto chiare ed era di vitale importanza che tutto fosse pronto entro il pomeriggio. Il processo si sarebbe svolto quella sera stessa e la vita dei prigionieri dipendeva dalla sua abilità e dal suo tempismo. Doveva parlare con il cerusico e poi raggiungere i profughi. Tutto nel più breve tempo possibile.

***

Sir Mordred gongolava letteralmente. Sebbene gli seccasse dover ammettere il contributo di lord Cardekon nell'arresto di Blackwind, sentiva di aver piazzato un colpo risolutivo. Aveva catturato l'avventuriero che aveva fatto letteralmente impazzire la Guardia di Elos, la grande compagnia militare che manteneva l'ordine a Elosbrand. Adesso vantava un credito nei confronti del Senato ed era certo che questo avrebbe rafforzato in modo decisivo la sua posizione. Aveva ordinato a Bond di mandare immediatamente un messaggero in città ed era certo che qualche ufficiale cittadino avrebbe presenziato al processo, quella sera. Sarebbe stata un'apoteosi. Peccato che non avrebbe potuto impiccare quel bandito, perché lo avrebbero certamente voluto appendere in qualche piazza della città ma sarebbe stato un piccolo prezzo da pagare in confronto alla gloria che ne avrebbe ricavato. Sì, sir Mordred Galehaut era veramente soddisfatto.

***

Dama Lavinia era decisamente perplessa. Seduta nella sua stanza, guardava distrattamente fuori dalla finestra, seguendo i suoi pensieri turbati. Le cose erano cambiate con troppa rapidità per i suoi gusti e non aveva avuto modo di analizzare adeguatamente gli eventi. C'era qualcosa, nell'arresto di sir Raoul che le pareva inverosimile. Se veramente quello era il leggendario ladro capace di sfuggire per anni alla caccia di gente esperta e potente, di beffare i migliori investigatori della Repubblica, allora aveva commesso una leggerezza incredibile. Acchiappato da un nobilastro di campagna, come un qualsiasi rubagalline, tradito dai suoi stessi inganni.

No, dama Lavinia continuava a non vederci chiaro e temeva che, nell'ansia di catturare l'inafferrabile Blackwind, fosse stato commesso un errore madornale. Aveva cercato di esternare a Mordred i suoi dubbi ma questi non l'aveva affatto considerata.

Detestava Mordred quando si comportava così. Era un uomo notevolmente in gamba nella maggior parte delle situazioni ma era troppo vanitoso e si era circondato di troppi ruffiani che avevano finito per peggiorare quel lato del suo carattere. Lavinia decise che avrebbe dovuto dare una sfoltita a quella corte di adulatori.

***

Sandy Bond era lo sceriffo più felice del mondo. Si prefigurava un trionfo per il suo signore. I traditori catturati, il più famoso bandito dei dintorni intrappolato, i profughi ben presto dispersi e ricacciati colà da dove erano arrivati. E una piccola parte di quella gloria si sarebbe riflessa su di lui. Aveva spedito Hull in città con l'ordine di tornare con qualche ufficiale della Guardia di Elos.

Come era ottuso quel giovane! Anziché partire immediatamente, aveva cercato ostinatamente di dirgli che mancava qualcosa. Qualcosa di ovviamente inutile. Possibile che quel ragazzo avesse voglia di chiacchierare davanti a eventi di quella portata?

Scosse la testa, con un sorriso di commiserazione. Hull non sarebbe mai diventato un bravo sceriffo.

***

Le ultime luci del giorno stavano morendo quando il portone del tempio si spalancò e le guardie irruppero nel silenzio di quel luogo sacro. I prigionieri, ordinatamente seduti sulle panche, apparivano assolutamente tranquilli e addirittura sorrisero agli armigeri arrivati per tradurli al processo. Lo sceriffo Bond osservò un po' sconcertato quegli individui. Sir Raoul sembrava assolutamente a suo agio e, sebbene avesse ancora le mani legate dietro la schiena, si alzò agilmente in piedi e fece un inchino al suo indirizzo.

«Buonasera sceriffo! Sono lieto di vedervi in gran forma. Siete pronto per il processo?».

Bond spalancò gli occhi davanti a tanta insolenza.

«Sappiate che ho sempre dubitato di voi, bandito!».

«Ma davvero? E pensare che io, invece, non ho mai nutrito alcun dubbio nei vostri confronti! Spero che troverete divertente la commedia che andrà in scena stasera».

«Commedia? Ne riparleremo quando penderete dalla forca, furfante!».

Sir Raoul rise allegramente.

«Via, come siete cupo, sceriffo! Addirittura la forca! Siete di un’ingenuità disarmante, mio caro Bond... ma davvero non avete ancora capito nulla?».

Bond arrossì di rabbia.

«Non m’incanti con questa commedia, miserabile brigante!».

Il gentiluomo rispose con una risatina ma i suoi occhi divennero minacciosi.

«Ora diventate insolente, sceriffo, mi date addirittura del tu! Bene, dubito davvero che abbiamo mai militato sotto la stessa bandiera o condiviso un’impresa o... nemmeno una bevuta... dovrò insegnarvi un po’ di educazione, quando questa faccenda sarà finita».

Sir Raoul s’inchinò nuovamente, poi si voltò, dirigendosi verso l’uscita del tempio, dove i suoi compagni di prigionia erano già stati spinti con malagrazia dalle guardie.

***

La grande sala del castello era illuminata a giorno da innumerevoli torce e da due enormi lampadari che proiettavano ombre grottesche sul pavimento e sulle pareti. Un’autentica folla si era radunata nel cortile della rocca ma solo i personaggi più autorevoli e ricchi erano stati ammessi all’interno dell’imponente maschio del castello.

Un grande tavolo era stato sistemato in vicinanza del fondo della sala, su un palco alto circa un metro. Una grande gabbia metallica era appoggiata alla parete, nelle vicinanze del tribunale. A qualche metro di distanza erano state allineate alcune poltrone, destinate ad accogliere le autorità ammesse. Dietro di loro si sarebbero ammassati quanti fossero riusciti a entrare dei tanti curiosi che erano accorsi.

I notabili del paese presero posto sulle poltrone, vestiti con la massima eleganza, riconoscendo l’importanza e l’eccezionalità dell’evento. Lord Cardekon era accompagnato dall’austera consorte, una dama alta e robusta che riusciva nella non semplice impresa di apparire ancor più altezzosa del marito. Un paio di ricchi agricoltori fecero per sedersi accanto all’aristocratica coppia ma uno sguardo rovente della nobildonna li indusse a cercar posto nella fila retrostante.

Dama Lavinia, invece, splendida più che mai, si accomodò senza esitazione alcuna accanto all’arcigna ospite che, pur a disagio, dovette accettare quella presenza di lignaggio inferiore. Un giovane ufficiale della Guardia di Elos in alta uniforme giunse accompagnato da Hull e sedette, un po’ rigidamente, nell’ultima poltrona della fila, fingendo di non vedere gli sguardi insistenti di dama Lavinia che lo avrebbe voluto accanto.

Il borgomastro entrò con passo esitante, lanciando occhiate torve verso il palco. Rifiutò di sedersi sulla poltrona che gli era stata riservata e rimase in piedi in mezzo alla folla.

Sir Mordred, accompagnato dal sacerdote di Fenesbrand, fece il suo ingresso nella sala. Elegantemente e severamente vestito, manteneva un aspetto austero, degno di un signore del suo lignaggio. Ogni movimento, ogni espressione erano permeati della saggia gravità di chi adempie un compito che gli compete in virtù del suo ruolo ma che, in fondo al suo cuore generoso, non desidera. Solo gli sguardi soddisfatti che, di tanto in tanto, esploravano la platea di fronte a lui e quelli, quasi famelici, che lanciava verso la gabbia facevano dubitare della vera natura dei suoi sentimenti.

Patrick Gordaukon, avvolto nella sua veste talare, pre posto sullo scranno che per anni era stato occupato dalle sacerdotesse di Sergaries, apparentemente trovandosi a suo perfetto agio. Il suo volto appariva illuminato dalla gloria del suo dio, tanta era la gioia di potergli procurare un po’ di anime da giudicare.

Ultimo giunse sir Ernest, causando un mormorio nella sala. Indossava la sua armatura di Cavaliere dell’Aquila, perfettamente tirata a lucido, con la possente spada cinta al fianco. La testa eretta e gli occhi brillanti testimoniavano come la sua salute fosse tornata apparentemente quella di un tempo. Si diresse verso lo scranno centrale, occupato da sir Mordred, seguito dagli sguardi stupiti della gente e da quelli palesemente sconvolti di sua moglie e suo cognato.

«Il tuo posto è quello accanto, Mordred. Qui il signore sono ancora io».

L’intero arcobaleno dipinse il volto di sir Mordred, mentre la mandibola rimaneva ostinatamente calata, quasi a sfiorare il tavolo. Infine, prevalse una sfumatura grigia mentre, meccanicamente, lasciava il suo posto per sedersi accanto a quello che, inaspettatamente, era tornato a essere il suo signore.

I suoi occhi sgranati si fissarono in quelli altrettanto sbalorditi di dama Lavinia per correre poi a cercare quelli persi nel vuoto del sacerdote. Sir Ernest si voltò verso Patrick Gordaukon.

«Patrick, hai cambiato sesso e ti sei convertito alla fede di Sergaries, per caso?».

«Ma... cosa? No, certo che no... io sono un servitore di Fenesbrand... sono qui per celebrare la sua gloria...».

«Allora togliti di torno. Quello è il posto delle sacerdotesse».

Nessuno osava fiatare, nella sala.

«Ma non ci sono sacerdotesse!».

«Appunto. Quando ce ne sarà una, sederà lì. Tu vai accanto a mia moglie, invece».

La voce del cavaliere era tornata quella autoritaria di un tempo. La gente che era riuscita a entrare nella sala lo guardava con stupore misto a riverenza. Pareva di essere tornati ai tempi dello splendore della rocca. Negli occhi di lord e lady Cardekon brillava qualcosa che, forse, era solo maligna soddisfazione nel vedere lo scorno di Mordred e Lavinia ma che poteva, addirittura, essere scambiata per commozione. Commozione che, invece, scendeva copiosa dalle ciglia di August e Frida Thornbow, mescolati alla folla raccolta in fondo alla sala.

Una porta si spalancò improvvisamente e i prigionieri furono condotti nella sala. Li conduceva un impettito Sandy Bond che, nel vedere sir Ernest, si arrestò improvvisamente, rischiando di essere travolto dalle figure incatenate che lo seguivano.

Il capitano della Guardia di Elos, quando sir Raoul gli passò di fronte, balzò in piedi.

«Lord Windström? Che ci fate qui? Che farsa è mai questa?».

Il gentiluomo si voltò verso l’ufficiale, elargendogli un sorriso cordiale.

«Oh, capitano Tyron, che bella sorpresa! Perdonatemi se non vi do la mano ma queste catene mi impacciano alquanto».

«Catene? Signori, cosa significa questo? Sir Ernest, esigo una spiegazione».

Il capitano pareva una volta di più interdetto e indignato. Sir Ernest non perse la calma, pur apparendo anch’egli decisamente disorientato. La sala cominciava ad essere invasa da espressioni stupite e motti di sorpresa.

«Ne so quanto voi, capitano... ma come avete chiamato quel gentiluomo?».

«Questo è lord Bailey Windström, uno dei gentiluomini più ricchi e stimati di Elosbrand. E, mi dispiace dirlo, è di un lignaggio superiore a quello di chiunque in questa sala, dunque, nessuno ha il diritto di giudicarlo. Quali sono le accuse?». Il mormorio della sala aumentò bruscamente d'intensità.

Sir Mordred, scattò in piedi, paonazzo per l’ira.

«Questo è il famigerato Blackwind! Si è introdotto qui sotto falso nome... chiedete a lord Cardekon, potrà confermarlo!».

La sua voce sdegnata aveva immediatamente riportato un minimo di silenzio nell'uditorio che, sempre più incuriosito dalla piega presa dagli eventi, pareva ormai più interessato ad ascoltare che a commentare.

«Cosa? Blackwind? Ma state scherzando?».

Il capitano non sapeva più se indignarsi o mettersi a ridere.

«Si è spacciato per...». 

La voce calma e musicale del gentiluomo interruppe l’iracondo sir Mordred.

«Quando questi signori mi consentiranno di spiegarmi, credo che le cose appariranno in tutt’altra luce, capitano. Spero di poterlo fare, finalmente».

Sir Ernest si alzò in piedi, maestoso e autorevole come non era più stato da tanti anni.

«Allora cominceremo da voi, lord Windström. Conducete i prigionieri nella gabbia e liberate questo gentiluomo».

Immediatamente, una delle guardie aprì il lucchetto che chiudeva le manette del giovane che si inchinò verso il cavaliere.

«Perdonatemi, sir Ernest ma credo che dovrete liberare tutti, stasera. Sono altri che meritano di finire in quella gabbia».

«Voi siete libero, il vostro lignaggio ve lo concede, ma gli altri dovranno attendere la fine del processo. Comunque avete la mia parola che sarà un giudizio equo».

«La parola di un Cavaliere dell’Aquila è la massima garanzia. Non ho dubbi, sir Ernest. Vi prego solo di ascoltarmi».

«Non chiedo di meglio, milord».

La sala si era fatta assolutamente silenziosa.

«Bene. Giunsi in queste terre per caso, di ritorno da una battuta di caccia col mio maggiordomo. Ci imbattemmo in una ragazza cui si era imbizzarrito il cavallo e la salvammo. Quella fanciulla era Lucy, ora prigioniera come me e accusata di tradimento. Sulle prime, pareva un banale incidente ma, quando tolsi la sella all’animale imbizzarrito, scoprii che sotto di questa era stato nascosto un ramoscello spinoso che aveva lentamente piagato la giumenta. Era chiaramente un tentativo di omicidio. Decisi di indagare ma ritenni prudente presentarmi sotto falso nome. Ecco svelato l’arcano».

«Questo sarebbe plausibile ma potete provarlo?». Il paladino parlava con voce calma e autorevole, pienamente padrone del suo ruolo di Signore e giudice della Rocca.

«La giumenta è ancora nella stalla ed è ancora piagata. Potete chiedere allo stalliere».

«Molto bene. Si direbbe che la vostra posizione sia definitivamente chiarita. Lord Cardekon avete qualcosa da obiettare?».

«No, sir Ernest. Quanto ci racconta lord Windström è più che sufficiente a spiegare le sue azioni ma... credo ci sia dell’altro, non è vero?». L'anziano nobiluomo aveva ripreso la sua consueta espressione da faina e lanciava occhiate maligne intorno a sé.

Lord Windström intravide, fra la gente accalcata in fondo alla sala, lo sguardo allegro di Robert che gli strizzò l’occhio. Il bravo giovane aveva svolto adeguatamente la sua parte.

«Sì, milord. C’è molto altro. Permettetemi di andare avanti...».

Un clamore proveniente dall’esterno lo interruppe. Una guardia piombò nella sala, paonazza in volto per aver corso a lungo.

«Che diavolo accade? Come osate irrompere così?».

Sir Ernest si era alzato in piedi. L’armigero lo guardò interdetto, poi parlò, esitando.

«Ho notizie urgenti per sir Mordred».

«Parlate, dunque, e pregate che siano notizie davvero importanti da interrompere così un processo».

Il soldato guardò timidamente sir Mordred che, cupamente, gli fece cenno di proseguire.

«La villa dei Cipressi Neri è stata svaligiata».

La confusione che seguì fu indescrivibile. Un brusio che si trasformò rapidamente in un rombo sul quale la voce esasperata di sir Mordred faticò molto a farsi intendere.

La villa era stata svaligiata nonostante fosse stata aumentata la sorveglianza e nessuno aveva visto entrare o uscire chicchessia. Per di più, nessuna porta o finestra appariva forzata. Un classico colpo nello stile di Blackwind. Mentre sir Ernest tentava, con molta fatica, di far tornare il silenzio nella sala, dama Lavinia si alzò dalla poltrona. I suoi occhi lampeggiavano d'ira e la voce si era fatta leggermente stridula.

«Lord Bailey... ho molto sentito parlare di voi... spero che perdonerete mio, ehm, fratello... è stato indotto in quest’equivoco da...».

«Non dovete scusarvi, dama Lavinia».

Il gentiluomo si avvicinò per baciare galantemente la mano alla castellana, poi le pose le mani sulle spalle spingendola delicatamente sulla sua poltrona.

«Sedetevi, mia signora, credo che questa storia sia interessante anche per voi».

«Un momento! Questo può spiegare la posizione di lord Windström ma non giustifica affatto il tradimento degli altri».

Sir Mordred, esasperato dagli ultimi eventi pareva sul punto di scoppiare e non rendersi conto che l'ira della sorella era prevalentemente rivolta verso di lui. Lord Bailey sorrise.

«Permettetemi di proseguire, sir Ernest. Posso garantirvi che troverete quanto vi racconterò molto interessante e... istruttivo».

«Bene, proseguite, allora».

«Fra il villaggio e la rocca, ebbi modo di raccogliere numerose informazioni e ora posso tranquillamente dire di avere svelato la trama oscura che da anni avvolge questi luoghi».

«Cosa? Che scherzo è questo?».

Sir Mordred pareva indignato ma il castellano lo ignorò.

«Svelatelo anche a noi, dunque».

«C’era una volta un paese felice, retto da una saggia sacerdotessa di Sergaries. Ella, come coloro che l’avevano preceduta, amministrava saggiamente le terre circostanti e aveva accumulato un leggendario tesoro, destinato a sostenere il clero della loro dea e ad aiutare i bisognosi della regione, aumentando la diffusione del culto di Sergaries...».

Sir Mordred si era alzato in piedi, guardando minacciosamente il gentiluomo che si limitò a sorridergli e a continuare nel suo racconto.

«La chiesa di Engwhir decise di colpire quel pericoloso centro di culto e inviò un proprio emissario per contrastare la sacerdotessa. Questo emissario si rese conto di non poter agire frontalmente sicché decise di avvalersi dell’inganno e cominciò a tramare nell'ombra. Un giorno, un giovane e affascinante cavaliere, con l’emblema dell’Aquila di Mirpas, giunse al paese. Egli riuscì a far breccia nel cuore della sacerdotessa e la sposò...».

Sir Ernest taceva, respirando affannosamente e guardando con occhi sbarrati il gentiluomo che continuava a parlare. Non si accorse, o non si curò, del fatto che tutti lo stavano osservando.

«Poco dopo, l’emissario di Engwhir si stabilì nelle vicinanze e fece in modo di frequentare la coppia di sposi, guadagnandosene la fiducia. Intanto, la sacerdotessa iniziava una difficile gravidanza».

«Signore, dove intendete arrivare?».

Patrick Gordaukon pareva allibito e guardava sir Mordred e dama Lavinia come se attendesse un loro intervento che però tardava a venire. Lord Bailey gli lanciò un sorriso e proseguì.

«Durante il parto, in una notte di luna piena, l’emissario fece bere una pozione sedativa alla sacerdotessa, con la scusa di alleviarle le sofferenze. Mentre la sacerdotessa di Sergaries era incosciente, questa persona sottrasse la bambina appena nata e la consegnò a un complice, perché l’abbandonasse nella foresta, in modo da eliminarla senza sporcarsi le mani; quando la sacerdotessa si riprese, le dissero che la bambina era nata morta».

«Ma queste sono fantasie di una mente malata!».

Sir Mordred era pallidissimo e fremeva sotto lo sguardo infuocato del cognato. Lord Bailey lo ignorò e continuò a raccontare.

«In realtà, la luce della luna guidò un cacciatore, nel luogo dove era stata abbandonata la bambina e il cacciatore la allevò come se fosse stata sua figlia».

Un mormorio si levò dal fondo della sala, dove tutti si erano voltati verso August e Frida che ascoltavano abbracciati senza staccare gli occhi dal gentiluomo che procedeva imperterrito.

«Un mese dopo questi eventi, dama Erika era fortemente provata da quanto le era successo ma aveva recuperato le forze ed accettò il consiglio di andare a fare una passeggiata a cavallo. L’agente di Engwhir, però, aveva nascosto un ramoscello spinoso sotto la sella del cavallo di Erika. Questo finì con l’imbizzarrirsi provocandone la caduta da sella. Così dama Lavinia la trovò agonizzante per quello che a tutti parve un incidente».

«Il Cavaliere dell’Aquila fu gravemente provato dalla morte dell’adorata moglie. Eppure, trascorso un anno, si risposò per dare una discendenza alla rocca. Dopo il nuovo matrimonio, cominciò a distaccarsi dai suoi doveri di signore di quelle terre. Ma non per ignavia o stoltezza. Il suo cuore e la sua mente erano stati lentamente avvelenati... da questo».

Alzò la mano nella quale era comparso un piccolissimo oggetto scuro, di un’oscurità tragica e angosciante.

«Cosa? Milord, fatemi vedere!».

Sir Ernest era balzato in piedi e si era avvicinato al gentiluomo che gli porse l’oggetto. Gli occhi febbrili si fissarono su un piccolo disco nero simile a una moneta di ossidiana sulla quale spiccava la spirale di un serpente. Un minuscolo emblema di Engwhir, il dio delle malattie e dell’intrigo.

«Dove l’avete trovato?».

«Era nascosto all’interno del vostro anello, sotto il castone. L’ho scoperto per caso quando, perdonatemi, vi ho sottratto un attimo il sigillo, durante il nostro primo incontro, approfittando del vostro sonno... pesante. Fu un moto di curiosità che, forse, è stato ispirato da Sergaries».

«Sì... forse è proprio così ma... allora...».

«Allora... qualche anno fa, una sacerdotessa di Sergaries giunse in quei luoghi, determinata a riaprire il tempio della rocca. Sulle prime le fu semplicemente rifiutata udienza poi, visto che non demordeva, fu fatta sparire. Sceriffo Bond, avete deciso voi di non ucciderla e tenerla segregata? Una compassione che vi fa onore».

Bond divenne bianco come un cadavere. Crollò a sedere, con gli occhi bassi, non osando levarli a incrociare quelli del suo signore e di dama Lavinia che l’avrebbero potuto incenerire.

«Cosa? Una sacerdotessa? Ma di che state parlando?». Sir Ernest era sconvolto.

«Ovviamente siete stato tenuto all’oscuro di tutto, sir Ernest. Ma posso provare quanto affermo».

A quelle parole, il borgomastro Bellingham e il cerusico si spostarono, permettendo a una figura ammantata dietro di loro di avanzare. Keira Perthil, pallida ed emaciata ma con lo sguardo fiero e pieno di energia, si portò in prima fila.

«Confermo parola per parola quanto ha raccontato lord Windström. Posso aggiungere solo che l’ordine di uccidermi l’ha dato Lavinia Galehaut, sacerdotessa di Engwhir».

Dama Lavinia, pallidissima, si era alzata in piedi, mormorando alcune parole misteriose. La sua mano sinistra corse sul bel décolleté e un’esclamazione di stupore le sfuggì, interrompendo la cantilena.

«Cercate questo, mia signora? Spero perdonerete il mio piccolo gioco di prestigio». Nella mano del gentiluomo era comparso, come per magia, un medaglione a forma di disco, nero, con un serpente purpureo a formare il bordo. Il simbolo di Engwhir attraverso il quale la sacerdotessa avrebbe potuto invocare il potere del suo dio. Le dame ebbero un moto di orrore, mentre gli uomini impallidirono e alcuni si esibirono in gesti di scongiuro.

Sandy Bond uscì rapidamente dalla sala. Lord Cardekon balzò in piedi, pallido di furore. Clarence Bellingham si avvicinò cautamente all'uscita.

«Maledetta!».

Il cavaliere balzò in piedi, cercando di raggiungere la moglie, col volto stravolto dall’ira. Sir Mordred gli si parò dinnanzi mentre dama Lavinia indietreggiava verso la porta della sala, accompagnata dall’anziano sacerdote di Fenesbrand.

«Fermatevi, signori. La rocca è circondata dai profughi e nessuno potrà andarsene...».

La voce di lord Bailey fu soffocata da mille altre voci che si levarono, indignate contro la diabolica coppia.

«Fammi passare, Mordred. Levati!».

La voce tonante del Cavaliere dell'Aquila echeggiò nella sala, sovrastando il clamore della folla. Il suo avversario non si mosse, guardandolo con aria di sfida.

«Dove credi di andare? Vuoi vendicare il tuo onore? È troppo tardi, non credi, vecchio mio?».

Sir Ernest lo guardò senza capire, con gli occhi iniettati di sangue. Rimase un attimo immobile, lo sguardo perso, poi si riscosse e sguainò la spada.

«È troppo tardi, Ernest. Troppo tardi».

Sir Mordred fece un passo indietro, estrasse il pugnale e lo piantò nel ventre del suo rivale. L’anziano cavaliere guardò il suo avversario con un odio indicibile. Poi sollevò la sua arma, nonostante la tremenda ferita, e colpì con incredibile violenza il suo assassino, paralizzato dall’orrore. Un attimo dopo, i due guerrieri caddero uno sull’altro, senza più vita.

Lord Bailey, visto balenare il pugnale, era scattato sulla tavola per raggiungere i due contendenti ma non fece in tempo. Si fermò davanti ai due cadaveri, pallidissimo, senza parole. Urla provenienti da fuori lo riscossero.

«La strega è scappata!».

Qualcuno, nella folla, diede l’allarme riscuotendo i presenti, ancora sconvolti dalla scena cruenta che si era appena svolta davanti ai loro occhi. Il gentiluomo fu il più lesto a riprendersi e a lanciarsi fuori dalla porta. Gli altri lo seguirono lentamente, quasi camminando in un incubo. Lo trovarono impietrito, di fronte a Clarence Bellingham che brandiva una spada lorda di sangue.

Dama Lavinia giaceva al suolo, trafitta, in un lago di sangue. Patrick Gordaukon rantolava accanto a lei.

«Che tragedia! Che orribile, disgustosa tragedia». Lord Bailey non sorrideva più. Il suo piano, tanto accuratamente congegnato, si era risolto in un dramma.

«Ha ucciso lei Erika. Erano servitori del Dio Oscuro. Ora l’hanno raggiunto». 

Il borgomastro piangeva.

***

Sandy Bond raggiunse la massiccia porta della fortezza ma si arrestò nel vedere un gruppo di individui che la presidiavano. Le guardie erano state evidentemente sorprese e sopraffatte praticamente senza violenza. Un uomo anziano dal portamento fiero guidava quegli individui. Per nulla contento di aver finalmente trovato gli inafferrabili immigrati, lo sceriffo si voltò per cercare un'altra uscita. Lord Bailey lo intercettò, col solito amabile sorriso, stavolta velato da un'insolita tristezza negli occhi.

«Bene, sceriffo, quale migliore occasione per quella famosa lezione di educazione?». La spada del gentiluomo balenò minacciosa davanti al corpulento soldato. Bond si guardò intorno poi, non vedendo via d'uscita, sguainò l'arma e si avventò sul giovane, spinto dalla rabbia e dalla disperazione.

Lo scontro durò pochissimo. Sebbene lo sceriffo fosse decisamente più robusto e la sua arma più pesante, il gentiluomo non indietreggiò di un passo davanti al suo assalto, parando con disinvoltura le sue stoccate e contrattaccando in maniera micidiale. Al secondo assalto, la spada di Bond volò via dalle sue mani sudate e la lama dell'avversario piombò famelica sulla sua cintura, tranciandola di netto. Lo sceriffo balzò all'indietro, spaventato ma inciampò nei suoi stessi pantaloni, non più sorretti, cadendo goffamente all'indietro, fra le risate degli astanti.

***

«Davvero un piano diabolico... degno del Signore Oscuro... ma come avete capito?».

Robert sedeva accanto al suo padrone, cercando di riprendere l’abituale inappuntabilità, con scarso successo. Il giovane tremava visibilmente e la sua mano destra era stretta in quella di Lucy, pallida al punto di far temere uno svenimento improvviso. Davanti all'antico camino, decorato dai simboli argentei della luna, i tre giovani parlavano sommessamente, sebbene la Rocca fosse ormai deserta.

«Quando ho trovato il simbolo di Engwhir nell’anello di sir Ernest ho subito sospettato della moglie. Chi altri avrebbe avuto la possibilità di impadronirsi di quel sigillo?».

«Ma, davvero sono la figlia di dama Erika e sir Ernest? Era sempre... così gentile, quasi affettuoso... forse lo sospettava anche lui...».

«Non so, la sua mente era tormentata da Engwhir. Ma il suo cuore, forse, riusciva a parlargli ancora. Voi assomigliate molto a vostra madre e lui lo ripeteva sempre... chissà... A me il dubbio è sorto vedendo i ritratti delle antiche castellane. Non è difficile ravvisare la notevole somiglianza fra loro e voi. Immagino sia stato questo il motivo che ha indotto dama Lavinia a cercare di eliminarvi, prima col sistema che aveva impiegato con vostra madre, poi coi worg».

Il gentiluomo sorseggiava una coppa di vino, lo sguardo perso fra le braci rosseggianti nel camino.

«A questo serviva la scomparsa dei vostri stivali. Per farli annusare a quei mostri e sguinzargliarli sulle vostre tracce».


«Ma come avete svelato l’enigma del tempio? Quando avete aperto il passaggio credevo che foste uno stregone!».

«Oh, no, dama Lucy. Credetemi, la magia non c’entra affatto».

«Chiamatemi Lucy, signore... sono un’ancella».

«Siete la legittima signora di queste terre. Keira si prenderà cura della vostra formazione e diventerete una sacerdotessa della Luna, come vostra madre. E chi conquisterà il vostro cuore, sederà al vostro fianco».

Lo sguardo malizioso del nobile si posò sul volto paonazzo di Robert.

«Temo che perderò un valido maggiordomo... peccato. Sei stato bravissimo a raggiungere il signor Thorton».

«Come avete capito che era anche lui un informatore dei profughi?».

Il gentiluomo sorrise.

«Nulla di più facile, ieri sera non era in casa e, quando dama Lucy ha raggiunto i profughi, questi sapevano già delle mosse di Mordred e Bond. Collegare i due fatti è stato banale».

Lucy strinse più forte la mano di Robert, lanciandogli un sorriso tanto affascinante da fargli riacquistare di colpo il suo colore abituale.

«Spiegatemi l'enigma del tempio, milord, ve ne prego».

«L’enigma del tempio era racchiuso nelle quartine... ricordate che la preghiera che voi conoscevate era più breve?».

«Sì, certo».

«Bene, se leggete attentamente quelle quartine, noterete alcune peculiarità. Alcune sono scritte in un linguaggio decisamente più arcaico e hanno un ritmo regolarmente scandito. Le altre hanno un ritmo vario e sono scritte con termini ed espressioni più moderne. Era chiaro che queste erano state aggiunte».

Il gentiluomo fece una pausa, sorseggiando un altro po’ di vino, gli occhi persi nel fuoco che guizzava nel focolare.

«In realtà, anche i versi antichi facevano pensare che l’altare conducesse da qualche parte: apre la via al mistero il disco della fide, nel core ov’è merzide la luce di Sergaries... vedete, ho finito per impararla quasi a memoria... ma, se leggete le altre quartine, vi renderete conto che la soluzione è banale. Prendete le prime lettere di ogni quartina moderna. Viene fuori poni luna dove fede vive. Insomma, il disco della luna, il medaglione che avete trovato in circostanze tanto strane, è la chiave per aprire il passaggio che si trova sotto l’altare. Qualsiasi sacerdotessa di Sergaries avrebbe trovato l'enigma piuttosto semplice da risolvere, dama Keira me l'ha confermato. Per chiunque altro avrebbe rappresentato una notevole sfida».

Robert lo guardava con gli occhi spalancati. Faceva fatica ad articolare le parole. Conosceva le doti di intuizione e deduzione del gentiluomo ma stavolta aveva superato ogni sua aspettativa.

«Ma... come facevate a sapere... che il passaggio esisteva... e dove conduceva?».

«La rocca, la villa, che in realtà è un castelletto, e il villaggio sono quasi in linea retta e facevano parte di un unico antico sistema difensivo. Ovvio supporre che esistesse un collegamento per permettere ai difensori di raggiungere in sicurezza i punti nodali di questa linea. In superficie non c'è nulla, era chiaro che il passaggio andava cercato sottoterra. Ecco perché avevo assoluta necessità di entrare nel tempio e quando ho saputo che l’avevano trasformato in prigione, l’unica soluzione possibile era di farmi arrestare».

«Ma come facevate a sapere dove sbucava?».

«Facile. Arrivava dove erano incise le quartine... c’erano al villaggio, nella torre dello sceriffo e... ovviamente nella villa. Così, mentre qui preparavano il processo, noi abbiamo svuotato la villa, creandomi un alibi perfetto per fare cadere ogni accusa... devo dire che mi hanno aiutato anche loro, invitando proprio Tyron ad assistere al processo».

«Mi dispiace che sia finita così». Lucy pareva pensierosa, gli occhi persi fra le fiamme.

«Anche a me... sospetto che Lavinia e Mordred non fossero neppure fratelli, probabilmente erano amanti oltre che complici. Anzi, ne sono praticamente certo pur non disponendo di alcuna prova. L’unica cosa che mi consola è che quest’ennesima umiliazione sia stata risparmiata a vostro padre... era un cavaliere davvero valoroso».

La giovane si voltò e sedette davanti al gentiluomo.

«Allora il tesoro non esiste?».

«Esiste eccome, Lucy, ed è vostro. Potrete riportare Brightmoon all’antico splendore. È nella sala dove si apre il passaggio, subito sotto il tempio. Non ho perso tempo a controllare ma direi che sia più che sufficiente per i vostri scopi».

«Blackwind passa davanti a un tesoro e non si ferma neppure a guardarlo?».

Gli occhi della ragazza si erano fissati in quelli del gentiluomo che le rivolse un affascinante sorriso.

«Chi è passato davanti al tesoro era un improvvisato paladino di Sergaries... pensate che Blackwind sia solo un volgare ladro?».

«Non conosco Blackwind. Ma conosco un uomo il cui coraggio e valore sono degni dei paladini più celebri».

«Davvero? Qualche volta me lo presenterete, allora».

  
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