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Autore: Ashleigh    30/04/2006    6 recensioni
Missing Moment di HBP – “…Oh, che cosa orribile, un bambino di nove anni è stato arrestato per aver cercato di uccidere i nonni, pensano che fosse sotto la Maledizione Imperius…”
Genere: Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Elliot Redthorne

Elliot Redthorne

 

Missing Moment di HBP – “…Oh, che cosa orribile, un bambino di nove anni è stato arrestato per aver cercato di uccidere i nonni, pensano che fosse sotto la Maledizione Imperius…”

 

*

Sei stato bravo, Elliot.

 

Elliot Redthorne è sempre bravo. Io, sono sempre bravo.  In tutto quello che faccio.

 

Ma il vecchio respira ancora.

 

Non dovrebbe farlo. Ma sono stato bravo, no? Come quando mamma mi fa leggere i libri. Non sbaglio nemmeno un parola. Però, non dovrebbe respirare.

 

Uccidilo.

 

Uccidere Nonno. Però è sempre gentile. Mi regala sempre i dolci. Mi ha regalato pure la scopa giocattolo.

 

Devi solo dire ‘Sectusempra’. E allora sarai il più bravo in assoluto.

 

E cosa succede?

 

Vedrai tanta tanta vernice rossa. Succo di pomodoro. Seta rossa.

 

Bello. Però, a Mamma non piacerebbe. Sporcano quelle cose.

 

Sectusempra.

 

E avrò la stella del più bravo? La stella sul petto. Quella che danno sempre a Jimmy.

 

Sectusempra! Avrai tutte le stelle che vuoi! Sectusempra!

 

*

 

Ottimo, pensò Mary Redthorne mentre sbucciava le patate con cui avrebbe accompagnato il suo magistrale roastbeef.

 

Cucinare senza bacchetta era rilassante. Inoltre, seduta al tavolo, poteva ammirare dalla grande finestra della cucina il suo giardino, che, dopo le pioggie insistenti degli ultimi giorni, era più rigoglioso che mai.

 

E di quei giorni serviva veramente tanto, ‘rilassarsi’.

Con un marito impegnato in quell’associazione segreta…l’Ordine…un figlio Auror e tutti gli avvenimenti degli ultimi mesi…tutti avevano bisogno di rilassarsi.

 

Fu un attimo. La lama la tagliò, e il sangue iniziò a fuoriuscire, rosso e denso, giù per la sua mano, sporcandole la manica della veste.

 

Velocemente, posò la ciotola con le patate e prese la bacchetta provvidenzialmente posta sul tavolo – di quei giorni non ci si poteva allontare molto dalla propria bacchetta -.

 

Bastò semplicemente toccare la ferita e sulla ferita comparvero due grossi cerotti.

 

Sospirò.

 

Prima che potesse ritornare alle sue patate, suonarono alla porta.

 

Di quei giorni era molto raro che qualcuno bussasse alla porta dei Redthorne. Con tutta l’incertezza in giro era difficile che qualcuno si avventurasse nell’aperta campagna della contea di York per venire a trovare due anziani, che peraltro non figuravano in nessuno dei registri che i Babbani erano sempre così ansiosi di compilare. Le comunicazioni avvenivano per lo più attraverso il camino, con la polvere Floo, o con i gufi, o nel ritrovo del Ministero.

 

Asciugandosi le mani con una pezza, Mary si alzò dal tavolo, e si avviò lentamente verso l’ingresso. Lentamente, perché l’età aveva lasciato i suoi segni, e camminare ogni tanto le faceva male.

 

Suonarono di nuovo.

 

“Chi è?”

 

“Sono io, Vivien,” disse la voce femminile oltre la porta, chiaramente appartenente alla nuora. Ma non ci si poteva fidare. Poi, però, sentì Vivien aggiungere, con tono piuttosto stizzito “Fermo Elliot. Zitto e buono. Mi hai fatto impazzire, oggi.”

 

“Qual è il colore preferito di Alabard?”

 

“Che…? Senti, Mary, fammi entrare, Elliot…” Poi la voce fece una pausa. “Stupide regole ministeriali. Rosso.”

 

Mary aprì prontamente la porta, scoprendo la nuora e il nipote.

 

Non riuscì ad evitare di considerare l’aspetto della prima. I capelli scuri erano disordinati, raccolti in uno chignon frettoloso, la veste era stropicciata e la faccia stanca.

 

“Oh, Vivien, cosa ti succede?” chiese accorata Mary mentre si sporgeva per abbracciare la nuora. “Stai male? Entra, forza.”

 

Vivien entrò, la mano sempre posta fermamente sulla spalla del nipotino, Elliot, che aveva sul viso uno strano sguardo determinato.

 

Mary si chinò e abbracciò il nipote, che le concesse una brevissima stretta prima di allontanarsi. Ma lei non ci penso oltre.

 

“Che è successo?” chiese, preoccupata. “Hai un’aria terribile…”

 

“Oh, lo sai, le preoccupazioni…” disse vagamente lei. “John…sono sempre così preoccupata…e Alabard… ed Elliot. Non mi ha dato pace. Da stamattina alle sette continua a ripetere che vuole venire qui. Sono esausta. Dice che voleva la torta. Quella di mele.”

 

Strano, pensò Mary, occhieggiando il nipote, che guardava verso il soggiorno. Di solito Elliot era un ragazzino dolce e tranquillo. Mai un rimprovero, una punizione…solitamente era la sorella Millicent, già ad Hogwarts, a essere più vivace.

 

“Lo sai come sono i bambini…attivi. Di solito è a quest’età che iniziano ad essere più vivaci. Non c’è nulla di male.”

 

Vivien annuì. “Te lo posso lasciare, allora? Un paio d’ore.”

 

“Naturalmente, naturalmente,” disse subito Mary, abbracciando la nuora. “Ci vediamo dopo.”

 

Vivien annuì e dopo un bacio veloce sulla testa ricciuta del figlio uscì dalla porta e si Smaterializzò velocemente. Poverina, la situazione probabilmente era troppo, per lei.

 

“Allora, giovanotto, vuoi la torta di mele?”

 

Elliot non disse nulla, ma annuì, con uno dei suoi grossi, infantili sorrisi stampati sul volto. Poi, se ne andò verso il soggiorno, sempre silenzioso.

 

Con una vaga sensazione di confusione, Mary ritornò in cucina.

 

Anni di esperienza le avevano insegnato che si deve sempre avere in casa una torta per i vari nipotini che potevano far visita. Con sua soddisfazione, vide che aveva fatto proprio una bella torta di mele.

 

Puntò la bacchetta alla torta e una grossa fetta si posò automaticamente su un piattino di porcellana assieme a un cucchiaino, volandole direttamente in mano.

 

Preso un tovagliolo di stoffa, uscì dalla cucina, verso le grandi porte di legno che chiudevano il salotto.

 

Strano che fossero state chiuse, le ante. Di solito non venivano mai chiuse, perché tutti i Redthorne soffrivano di claustrofobia.

 

Uno strano senso di ansia si impossesso di lei. Le porte chiuse non le piacevano. Potevano celare di tutto, e, in quel periodo, quelle sorprese potevano essere terribilmente spiacevoli. E poi…Elliot!

 

“Elliot!” chiamò, aprendo le ante di legno scuro, rivelando il soggiorno.

 

Quando vide la testa del bambino posata su uno dei grossi cuscini lasciò andare il fiato che non sapeva di aver trattenuto. Elliot era perfettamente tranquillo, la testa biondo cenere posata sul cuscino, gli occhi azzurri chiusi, il colorito roseo, un sorriso deliziosamente tenero sul viso.

 

Sono solo una vecchia suggestionabile, ormai.

 

Posò il piattino sul vecchio tavolino vicino al sofà, e si allontanò il più silenziosamente possibile.

 

Spense la radio che trasmetteva l’ultimo successo di Celestina Warbeck a Exmoor.

 

Mentre andava, non riusci a trattenersi dal porre un incantesimo Anti Chiusura sulle due ante. Per sicurezza.

 

Doveva distrarsi. Doveva ritornare a cucinare. Le patate.

 

Tornò in cucina e si accorse che aveva macchiato le patate di sangue. Era rappreso, scuro sul colore giallo di esse.

 

Le buttò, ne prese altre, e si sedette di nuovo al tavolo, per pelarle. Era diventata brava ad usare il coltello.

 

Si accorse che aveva ricominciato a piovere. Di nuovo. Si chiese se questo periodo sarebbe finito, prima o poi. Erano giorni, e giorni, che pioveva.

 

Erano dieci minuti, più o meno, che Mary si era seduta che davanti a lei si parò, silenziosamente e non notato, il nipote.

 

“Nonna?”

 

Mary sobbalzò, il cuore perse un battito. “Elliot…”

 

“Dov’è Nonno?”

 

Il suo sguardo era strano. Solitamente Elliot non aveva quel tono di voce. Mary era confusa.

 

“Al lavoro, Elliot. Dove dovrebbe essere?”

 

“Lo voglio vedere.”

 

Quasi involontariamente Mary guardò il grosso orologio. Mezzogiorno meno un quarto. Doveva arrivare in pochissimo tempo.

 

“Fra poco lo vedrai. Hai mangiato la torta?”

 

“Adesso,” mormorò Elliot con forza. “Lo voglio vedere adesso!”

 

Non riusciva a credere alle sue orecchie. Elliot non si era mai permesso di esigere qualcosa, tantomeno a lei?

 

“Elliot Redthorne, non osare parlare mai più così verso di me. Mai più!” esclamò con tono duro Mary, alzandosi e squadrandolo.

 

Elliot non era impressionato. Anzi, si sedette. E Mary sentì di nuovo quella strana sensazione di ansia impossessarsi di lei.

 

“Nonna?”

 

“Cosa vuoi, Elliot?”

 

“Mi prendi un libro?”

 

“Non puoi prenderlo tu?”

 

“No, è troppo in alto. Nello scaffale più in alto. Lo voglio leggere.”

 

“E come si chiama?”

 

La Storia di Miss Ellis.”

 

Mary sospirò.  Quel giorno Elliot era strano. Di solito Elliot Redthorne era un ragazzino allegro, vivace, pieno di energia, e molto educato. Un vero angioletto. Quel giorno invece…non era stato molto maleducato, in fondo, ma c’era qualcosa nella sua espressione –stranamente piatta- e nel suo tono che non la convincevano, la confondevano e in un qualche modo la turbavano.

 

“E perché vuoi leggere quel libro? A te piacciono le storie di draghi, di Merlino…”

 

“No, Nonna. Voglio leggere quel libro. Per favore.”

 

E con quelle parole il bambino scese dalla sedia e si avviò con passo lento e misurato fuori dalla cucina.

 

L’anziana donna sospirò. Probabilmente stava esagerando. Era solo preoccupata perché suo marito non era ancora arrivata e…

 

La porta della cucina sbattè. Il vento.

 

Le pareti color crema della stanza erano diventate grigiastre, man mano che il cielo diventava sempre più cupo e torvo. Quella delicata sfumatura plumbea era svanita, e adesso il cielo era color metallo, grigio scuro.

 

Le goccie di pioggia cadevano più copiosamente contro la finestra.

 

Una strana sensazione aleggiava nel suo petto, una sensazione che non sapeva identificare. Non voleva più stare in cucina.

 

Prese la bacchetta e, come un direttore d’orchestra dirige gli strumenti, iniziò a far condire, salare, disporre, pepare il pezzo di carne che doveva essere il pranzo e le patate sbucciate. Posò la bacchetta attentamente sul tavolo mentre questa dirigeva da sola l’intera operazione ed uscì, verso il salotto, alla ricerca del libro.

 

Stranamente, il bambino non era nel salotto.

 

Dov’era adesso? Non le piaceva. Era tutto strano. Non era successo nulla di male, ma nell’aria c’era uno strano sentore che non le ispirava nulla di buono. Era come se le pareti, ingrigite dalla luce scura che entrava dalle finestre, le stessero dicendo qualcosa.

 

Ma quello che la pressava di più era: dov’era Elliot?

 

“Elliot?” chiamò nel vuoto, ricevendo come risposta solo le ultime vibrazioni della sua voce.

“Elliot, tesoro, dove sei?” ripetè ancora, non riuscendo ad evitare una nota d’isteria.

 

Forse è in bagno, disse una voce stranamente fredda dentro la sua testa. Probabilmente era così. In fondo, la casa dei Redthorne era piuttosto grande. Era probabile che fosse andato nel bagno delle stanze superiori e adesso era meglio che prendesse il libro che Elliot le aveva chiesto e lo lasciasse sul tavolino.

 

Il tavolino…la fetta di torta era ancora la. Non l’aveva nemmeno toccata. Ma era la sua preferita…ed Elliot era sempre ghiotto di torta di mele.

 

Stai esagerando, Mary, cara.

 

Sì, adesso era meglio prendere il libro. Il libro…

 

La Storia di Miss Ellis…era un libro vecchissimo. Alabard le aveva detto che era il libro che sua madre gli leggeva quando era bambino. Doveva avere qualcosa come una sessantina d’anni. Ma dov’era? Era passato tanto tempo da quando aveva aperto quel libro…

 

Salì sulla pesante scala di legno posta ad un angolo della libreria, una di quelle pesanti scale di legno scuro usate per prendere i volumi posti più in alto nelle librerie più importanti.

 

Sulla scala era posto un semplice incantesimo di Scorrimento. Semplice spostamento di peso da una parte o dall’altra e la scala si muoveva a tuo piacimento. Fece avanti e indietro più volte, alla ricerca del libro, ma sembrava che questo fosse sparito. Inghiottito dalla polvere, il cuoio ingrigito e quasi irriconoscibile, le lettere dorate ormai sbiadite in un giallo paglierino coperto dalle ragnatele…

 

Sentì uno strano suono al piano superiore.

 

Strano.

 

Tutte le finestre erano chiuse e…

 

Erano dei rumori leggeri e ripetitivi. Non era lo sbattere di una finestra o la caduta di qualche oggetto.

 

Passi. Erano inconfondibilmente passi. C’era qualcuno che camminava sopra di lei.

 

Realizzare questo quasi la fece svenire.

 

Scese velocemente le scale, maledicendo l’altezza della libreria e il fatto che suo nipote fosse sperduto da qualche parte in quella dannata casa troppo grande per un paio di anziani.

 

“ELLIOT!” esclamò, uscendo fuori dal soggiorno, verso l’ingresso. “Dove sei Elliot!”

 

Non si rese nemmeno conto di star girando in tondo per l’ingresso, quando, racimolando tutto il coraggio possibile, decise di salire le scale.

 

Ventiquattro gradini, ecco quello che doveva fare.

 

Li salì, finò a metà strada, velocemente, dimenticando tutti i dolori, ma si ricordò di una cosa importantissima. La bacchetta.

 

E se là sopra c’era veramente qualcuno? Qualcuno che non aveva buone intenzioni? Cosa poteva fare una povera vecchia?

 

Dov’era la bacchetta?

 

La risposta era semplicissima: in cucina, a cuocere.

 

Si volto, come per scendere, ma si sentiva terribilmente vulnerabile al volgere le spalle al piano superiore dove c’era qualcuno (o qualcosa) che camminava.

 

“Elliot!” gridò, ancora una volta, verso nessuna direzione.

 

Silenzio.

 

“Elliot, per favore, vieni fuori, amore!”

 

Silenzio.

 

“Elliot!” e mentre lo diceva gli occhi si stavano riempiendo di lacrime d’ansia.

 

Silenzio, ancora una volta.

 

“Cosa c’è, Nonna?”

 

La voce di Elliot veniva dal piano superiore. Si voltò così velocemente che sentì un caratteristico dolore alla base del collo, ma lo ignorò.

 

Lui era lì, in piedi, perfettamente composto.

 

“ELLIOT!” gridò, correndo verso di lui, gettando le braccia al collo del bambino e stringendolo, quasi cercando di non farlo andare mai via, cercando di non lasciarlo più andare. “Mi sono spaventata così tanto…Dov’eri? Cosa stavi facendo?”

 

“Stavo cercando il libro, Nonna,” disse con voce candida, ma insolitamente piatta, mostrandole il libro che teneva dietro la schiena. “Era nella camera di papà.”

 

Mary si mise quasi a piangere per il sollievo, e lo abbracciò di nuovo.

 

Ma Elliot non stava rispondendo all’abbraccio. Aveva le braccia rigide e distese ai suoi fianchi, e guardava altrove.

 

Mary gli prese il mento e gli girò il volto verso il suo, così che potesse guardargli gli occhi. Questi erano stranamente cupi. Quasi grigi.

 

“Che c’è, tesoro?” chiese allora, preoccupata. “Cosa ti sta succedendo? Oggi non sei il solito…e…”

 

“Perché, Nonna, come sono di solito?”

 

Il tono con cui il bambino espresse questa domanda era calmo e pacato, ma aveva una nota inquisitiva, quasi avida, che non le piaceva.

 

“Come mi comporto?” chiese ancora Elliot. “Sono io, Nonna, sono Elliot. Chi dovrei essere?”

 

Mary smise di abbracciarlo e si alzò, involontariamente arretrando di un passo. C’era qualcosa nello sguardo di Elliot che la confondeva e le dava quasi ansia. Prima aveva voluto guardargli gli occhi, adesso voleva che questi smettessero di guardarla, fissarla.

 

Questo è tuo nipote.

 

Mary concordò con la voce. Adesso dovevano solamente andare in cucina, lei gli avrebbe servito una fetta di torta e gli avrebbe letto il libro. Nulla di strano, tutto come al solito. Ma dov’era Alabard?

 

Allungò quindi la mano verso Elliot, che la prese mestamente e insieme scesero giù per le scale e andarono in cucina, il bambino guardandola ancora intensamente.

 

“Allora, tesoro, la vuoi una fetta di torta? Quella di mele, che ti piace tanto?”

 

Elliot scosse la testa, e guardava oltre la finestra.

 

“Perché Nonno ci sta mettendo così tanto?”

 

“Lo sai che il nonno ha molti impegni al Ministero. Ma torna fra poco, vedrai. Allora, la vuoi la torta?”

 

Elliot scosse le spalle e si sedette al tavolo, posando il libro sul tavolo. “Non ho fame.”

 

“Ah, d’accordo,” Mary cercò di pensare a qualcosa per intrattenere il bambino. “Vuoi che ti leggo il libro?”

 

“No, Nonna. Lo leggo io. Da solo. Mamma mi da le stelle.”

 

“Ah,” mormorò Mary, asciugandosi nervosamente le mani con uno straccio. “Fai pure.”

 

Il bambino prese il libro, lo aprì e iniziò a leggere, gli occhi azzurri che scorrevano da parte a parte sulle larghe pagine ingiallite, il rumore occasionale dello sfogliare delle pagine.

 

Fu un attimo.

 

E la domanda che era scomparsa nel sollievo di aver ritrovato il nipote riaffiorò dai recessi della sua mente.

 

 Il forno. Il roast-beef stava cuocendo. Nulla di strano. Ma dov’era la bacchetta? Ricordava vividamente il momento in cui aveva lasciato la bacchetta lì, sul tavolo, ad amministare il pranzo nella sua operazione di auto-preparazione. Dov’era? Senza la bacchetta si sentiva vulnerabile, indifesa. E assieme a lei c’era suo nipote.

 

Cercò franticamente in giro per la cucina, non destando nemmeno una domanda da parte di Elliot, che sembrava immerso totalmente nella lettura.

 

“Senti, tesoro, non hai visto la mia bacchetta?”

 

Mary vide che gli occhi di Elliot avevano smesso di scorrere le parole del testo quasi immediatamente, ma il bambino alzò le spalle e scosse la testa.

 

“Sei sicuro?”

 

“Sì, Nonna,” ma lui non alzò la testa per guardarla. “Non l’ho vista. Cercala da qualche altra parte.”

 

Mary cerco altrove, nonostante fosse quasi sicura che la bacchetta fosse rimasta sul tavolo: nel soggiorno, nell’ingresso, anche nel bagno, e sulle scale, ma la bacchetta non c’era. E quando ritornò in cucina Elliot non era più lì.

 

Sentì di nuovo i passi sopra la sua testa, la piano superiore. Erano passi leggeri, ma ben udibili. Sembravano andare avanti e indietro, nella camera da letto di lei e Alabard. Cos’era? Chi era? E perché Elliot continuava a sparire? E perché la sua bacchetta era sparita? All’improvviso le cose andarono a posto. La bacchetta era in mano a chi stava camminando sul pavimento della sua camera da letto. Adesso doveva trovare Elliot. E andarsene. Sarebbero andati direttamente al Ministero. Il Ministero. Sì, sarebbero andati lì.

 

Lì sarebbero stati al sicuro.

 

“Elliot! Vieni! Andiamo dal nonno!”

 

Non venne nessuna risposta.

 

“Tesoro, per favore, andiamo! Vieni qui!”

 

Doveva trovarlo. Non ci fu da cercare molto: Elliot era sulla poltrona del salotto, compostamente seduto, leggendo il libro.

 

La radio era di nuovo accesa. Celestina Warbeck.

 

“Elliot?”

 

“Sì, Nonna?”

 

“Dobbiamo andare da Nonno, d’accordo?”

 

Il bambino annuì docilmente, chiuse il libro e lo posò sul tavolino.

 

Mary non riusciva più a nascondere a sé stessa di aver paura.

 

“Devi aggrapparti forte forte al mio braccio, d’accordo?” gli spiegò lei con il respiro affannato.

 

Elliot annuì mestamente, il viso quasi annoiato.

 

“Uno, due, tre!”

 

Chiuse gli occhi, fece una mezza piroetta e…non successe nulla. Si trovavano ancora lì, nel salotto di casa Redthorne.

 

Provò una volta, e un’altra ancora. Ma non successe nulla.

 

E le possibilità erano solo due: o lei aveva perso anche la forza per Smaterializzarsi o qualcuno aveva posto un Incanto Anti-Smaterializzazione sulla casa.

 

Provò ad aguzzare l’udito, così da poter captare qualche possibile passo, ma non venne nessun rumore.

 

“Senti, Elliot, adesso devi stare qui, buono buono, finchè non ti dico di venire da me, d’accordo?”

 

Il bambino annuì e si risedette a leggere il suo libro.

 

La donna quindi uscì immediatamente dal soggiorno, via nella cucina, al camino, dove avrebbe potuto utilizzare la polvere Floo. Il sacchetto pieno di polvere era accanto al camino, e in quel momento significava praticamente la salvezza nella mente di Mary.

 

E poi ricordò. La casa era stata scollegata dalla rete della polvere della Floo per sicurezza. L’Ordine aveva provveduto a fare questo. I Mangiamorte ti potevano entrare in casa pure dal camino, sotto false spoglie.

 

Erano isolati.

 

E pioveva ancora…

 

Mary neanche lo notò. Perché stava succedendo tutto quello? E perché, se c’era veramente qualcuno lì sopra, non aveva già provato ad attaccare?

 

E dov’era la maledetta bacchetta?

 

Un mago senza la bacchetta era come un bambino: abituato ad avere sotto mano un modo per risolvere qualunque problema, il ritrovarsi sprovvisti, così all’improvviso, in una casa dannatamente grande, con un nipote che sembrava malato in un’altra stanza era come essere bambini in balìa degli avvenimenti.

 

Ma prima che potesse pensare ulteriormente alla questione il campanello suonò. Quasi cadde su una delle sedie nella foga di andare ad aprire, perché quello era sicuramente Alabard.

 

Aprì immediatamente la porta, non badando nemmeno alle regole ministeriali di riconoscimento.

 

Era lui. Lui, con quella vecchie veste sempre grigia, con quei capelli bianchissimi e la pelle rugosa. Lui, che sorrideva, che rappresentava la salvezza adesso.

 

“Buongi…!”

 

“Tesoro, tesoro, c’è qualcuno in casa…ho sentito dei passi…di sopra…”

 

L’aveva stordito, infatti lui le risollevò il mento da quella piega nel vestito in cui aveva nascosto il viso, gli occhi castani indagatori e confusi.

 

“Che cosa è successo, Mary?”

 

“C’è Elliot, di la…e la mia bacchetta non c’è, ed è tutto strano…” Mary prese un respiro profondo. “Dobbiamo controllare.”

 

“Dov’è Elliot?”

 

“In soggiorno…sta leggendo un libro,” spiegò la donna, indicando le porte del soggiorno. “Ho provato a Smaterializzarmi al Ministero…ma siamo completamente isolati…”

 

“Non sei riuscita a Smaterializzarti?”

 

“No.”

 

Alabard non disse altro, correndo verso il salotto, mentre Mary rimaneva nell’ingresso, spaventata. In attesa.

 

Sentì il marito che chiamava Elliot.

 

Sentì anche la voce di Elliot.

 

Si avvicinò. Dovevano stare insieme in quel momento. Anzi, doveva avvertire l’Ordine. Il Patronus. Ma lei non sapeva congiurare un Patronus.

 

Doveva dirlo ad Alabard.

 

“Alabard!” esclamò tenendo il tono di voce il più tranquillo e basso possibile mentre entrava nel salotto per avvisarlo.

 

Il marito aveva la bacchetta puntata verso la porta, in posizione di difesa, Elliot dietro di lui, il libro ancora in mano, ma l’espressione stranamente piatta.

 

“Entra, Mary. Vieni qui.”

 

“Tesoro, devi mandare un avviso all’Ordine!” disse lei, la voce quasi un sussurro. “Verranno e…ALABARD!”

 

L’uomo era stramazzato a terra come se avesse conficcato nella schiena un pugnale.

 

Dimenticando ogni paura, ogni precauzione, ogni voce nella sua testa che gli diceva che l’aggressore doveva essere vicino, si getto vicinò al corpo del marito, piangendo, scuotendolo, mentre Elliot, il nipote, guardava la scena con occhi impassibili.

 

“Nonna?”

 

Mary alzò velocemente gli occhi e vide la bacchetta in mano al bambino. La sua bacchetta.

 

“Oh, tesoro, la mia bacchetta!” esclamò, tendendo la mano per prenderla, ma lui si scostò, guardandola con un misto di repulsione e odio negli occhi che la terrorizzarono.

 

“Elliot, dammi la bacchetta. Nonno ne ha bisogno. Così chiamiamo aiuto, e Nonno starà bene!”

 

Ma il bambino non aveva intenzione di aiutarli.

 

Invece, alzò di più la bacchetta, puntandola direttamente verso di lei.

 

“Nonna?”

 

Perché stava facendo così…?

 

“Come si comporta di solito Elliot?”

 

E capì. Tutto prese posto nella sua mente, tutto trovò il proprio posto in quel puzzle complicato che era stata quell’ultima ora. Alzandosi in piedi, allontanandosi da lui, mentre il mondo girava attorno a lei, guardandolo come se fosse un mostro, invece che il nipotino tanto bravo e diligente, che era sempre buono e dolce, e non aveva mai fatto male a nessuno, disse, con un tono che rendeva perfettamente tutto il suo stupore e terrore e confusione e orrore, “Chi sei tu?”

 

Elliot sorrise, e un momento dopo Mary Redthorne giaceva a terra esanime.

*

 

 

Spero che vi sia piaciuta questa mia one-shot in cui ho esplorato un particolare dell’universo Harry Potter – non ho letto storie sull’argomento, e così mi è venuta questa idea, spero originale. Adoro i missing moments.

Per chi se lo stesse chiedendo, l’input era un articolo letto da Hermione a pagina 417.

Ah, è lunga vita al C.R.C.!

  
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