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Autore: dahlia variabilis    30/08/2011    9 recensioni
«Avevo proprio bisogno di una cioccolata calda.» Mi interruppi per bere un po' della cioccolata che avevo davanti, giusto per restare in tema. «Non avevo però messo in conto una cosa importantissima: avevo finito lo zucchero.»
Ridacchiò. «Avevi finito lo zucchero?»
Annuii. «Già, allora sono andata a chiederne un pochino ai vicini, solo che...»
«Solo che cosa?»
«Mi hanno dato sale al posto dello zucchero.»
***
Ecco a voi, signore e signori, la prova inconfutabile che sono proprio un'ingenua e che dovrei smettere di dare infinite possibilità a tutti.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Passeggiavo lungo la strada principale della città. Al mio fianco c'era lui.
Non mi abbracciava, non mi teneva la mano, passeggiavamo e basta. Non come amici, perché definire il nostro rapporto come amicizia era esagerato, ma neanche come due sconosciuti. Eravamo conoscenti. Sì, credo che "conoscenti" fosse la parola esatta per descrivere il nostro rapporto. Gli parlavo un po’ di me a volte, ma non gli dicevo quello che avrei potuto dire ad un amico.

Guardavamo distrattamente le vetrine dei negozi che ci scorrevano accanto, in silenzio.
«Allora ehm...»mormorò imbarazzato,«Cosa vuoi farti tatuare?»

Il tuo volto.
Il tuo nome.
La tua data di nascita.
Lo stesso tribale che hai sul braccio sinistro.
La stessa rosa che hai sulla spalla destra.

«Una data.» risposi io, sorridendo.
«Una data.» ripeté lui, meditabondo. «Perché una data? Insomma, con tutto quello che potevi scegliere... Proprio una data?»
«Esattamente.»

Lui mi guardò, socchiudendo leggermente gli occhi, come fanno a volte i gatti. «E dove vorresti farti tatuare questa data
Gli brillavano gli occhi. Bene, era un buon segno. Lo divertivo.
«Qui.» Dissi indicandomi l’interno del polso destro.
«Lì.» Ripetè lui, sempre con gli occhi che gli ridevano.
Era strano vederlo allegro con me, non me lo sarei mai aspettato: io mi dichiaro, lui dice che ha apprezzato molto, ma che non ricambia il mio sentimento. Insomma, la solita frase “Restiamo amici”. Una promessa impressa a lettere di fuoco sul cuore, che raramente i maschi mantengono. Ma lui era stato diverso.
Me l’aveva detto che lui non era “I maschi”.
Aveva mantenuto la sua promessa, ed era venuto al mio compleanno senza che ci fossimo mai parlati dal vivo. Mi aveva fatto estremamente piacere.
«È una data speciale?»
Ridacchiai, divertita. «Una data speciale. Forse.»
«Forse.» Ripetè nuovamente lui, reprimendo una risata, «Ed è possibile sapere di quale data si tratta?»
Ridussi gli occhi a due fessure. Certo, mi facevano piacere tutte quelle attenzioni, ma non riuscivo a capire se dietro a tutte quella domande ci fosse solo curiosità o altro.
«Che importanza potrebbero avere per te otto stupidi numeri?»
«Di sicuro non la stessa che quegli otto stupidi numeri hanno per te.» Mi sorrise, «Ma vedi, si dice che ogni tatuaggio ha la sua storia. Evidentemente quindi, questa storia ha per te molta importanza, altrimenti non avresti scelto proprio questa data.»
«Ogni storia è importante, ogni oggetto racconta una storia, solo che non tutti sanno ascoltarla. Un tatuaggio invece è diverso. Un tatuaggio è una storia.»
«Un tatuaggio è una storia,» il suo sguardo si perde su una fontana vicina, meditabondo, «E il tuo che storia ha?»
Lo squadrai, non potevo raccontargliela, non potevo davvero. Fu in quel preciso momento che la mia razionalità decise di andare a farsi una nuotata nella fontana. «È come una cioccolata calda, ti riscalda il cuore, è dolce, ma al contempo un po' amara.»
«E cos'ha questa cioccolata calda di diverso? In cosa differisce dalle altre cioccolate calde?»
«È semplice,» risposi io, alzando leggermente le spalle, «È mia. L'ho assaggiata solo io. Ho visto bollire l'acqua, aggiungere il cacao, ho assistito all'intera preparazione. Ma poi è successo l'inevitabile: lo zucchero è stato scambiato col sale. Faceva schifo. Eppure mi era sembrata così buona mentre la preparavano, già pregustavo il calore che mi avrebbe riscaldato in mezzo a tutto quel freddo.»
«Falla assaggiare anche a me.» Sebbene il tono con cui mi si era rivolto fosse divertito, sapevo perfettamente che quella non era una proposta, era un ordine.
«Perchè dovrei? Cos'hai tu di diverso dagli altri? Perchè dovrei raccontare questa storia proprio a te?»
Alzò le spalle e mi guardò negli occhi. «Mi vuoi bene,» mi interruppe prima che potessi dire qualsiasi cosa, «No, non negarlo. So che mi vuoi abbastanza bene da raccontarmi una storia come questa, io lo so, è inutile che tu lo neghi.»
Dannazione! Perchè finivo sempre per fare tutto quello che mi chiedeva? Ero davvero così sciocca da mettere da parte i miei desideri per andare incontro ai suoi?
La risposta era alquanto semplice: sì, ero davvero così sciocca, perchè, diciamocelo, l'amore ci rincretinisce tutti. Ero convinta che, sebbene mi piacesse un sacco anche prima, in quel momento lo amavo. Lo amavo perchè stavo finalmente imparando a conoscerlo, a decifrare la sua ironia e a non arrabbiarmi quando le sue risposte erano esageratamente sarcastiche. Lo amavo in quel momento preciso in cui portavo piano piano alla luce le diverse sfaccettature del suo caratere, perchè non si può amare qualcuno che non si conosce
Quando finalmente mi decisi a rispondergli, la mia voce era roca.
«Dopo.»

  Quando uscimmo dal negozio del tatuatore, l'aria si era raffreddata un po'.
Erano solo le cinque, ma faceva già freddo. Lui mi osservava con la coda dell'occhio, le mani sprofondate nelle tasche della felpa, i capelli scompigliati dal vento di dicembre. Precedentemente mi aveva incuriosito parecchio il fatto che, anche d'inverno, lui non indossava mai il giacchetto, al massimo una felpa. Solo una volta gli avevo visto un giacchetto: nevicava. Il suddetto giacchetto non era nè un piumino, nè un parka, nè qualunque altra cosa una persona sana di mente indosserebbe con una tempesta di neve e meno sette gradi. Era una giacca di pelle.
«Allora... È arrivato il "dopo"?» Alzò leggermente il sopracciglio sinistro.
Ci rimuginai un po' sopra, e poi sorrisi dopo aver trovato un modo in cui proporgliela. «Credo di sì.»
«Bene. Allora, mi racconti cos'è successo il...» Si fermò per osservare il tatuaggio, «Il venticinque maggio duemiladieci?»
Sorrisi ancora. «Ho messo a bollire l'acqua.»
«Hai messo a bollire l'acqua.» Aveva sempre avuto la pessima abitudine di ripetere le cose che dicevo, soprattutto quando doveva ragionarci su.
«Già. Però qualcun altro mi aveva rubato il ciottolino, quindi mi sono dovuta arrangiare in un altro modo.»
«Mmh.» Fu la sua unica risposta.
«Poi è arrivata l’estate e faceva davvero troppo caldo per continuare a far bollire l’acqua. Quindi ho, diciamo così, abbssatola fiamma del fornello. Quelle piccole fiammelle continuavano comunque a far bollire l'acqua, seppur in minor modo.»
Entrammo in un bar e, guarda caso, lui ordinò due cioccolate calde; una volta seduti, continuai a parlare. «Poi venne l'autunno e arrivarono i primi freddi. Cominciai a tremare, sia dentro che fuori, e avevo un immenso bisogno di qualcosa che mi riscaldasse: così alzai di nuovo la fiamma del fornello, trasferendo però l'acqua nel ciottolino che, durante l'estate, mi era stato sostituito. Di tanto in tanto aggiungevo piccole quantità di cacao, ma sempre pochissimo alla volta, per fare in modo che si amalgamasse bene con l'acqua. Ho continuato ad aggiungerne fino ad un giorno di agosto. Faceva caldo, ma io continuavo a sentire freddo dentro e a tremare. Avevo proprio bisogno di una cioccolata calda.» Mi interruppi per bere un po' della cioccolata che avevo davanti, giusto per restare in tema. «Non avevo però messo in conto una cosa importantissima: avevo finito lo zucchero.»
Ridacchiò. «Avevi finito lo zucchero?»
Annuii. «Già, allora sono andata a chiederne un pochino ai vicini, solo che...»
«Solo che cosa?»
«Mi hanno dato sale al posto dello zucchero.»
«Quindi dopo aver aggiunto quello che pensavi fosse zucchero, la cioccolata faceva schifo, giusto?»
«Esatto. Mi sentivo terribilmente triste, come se non avessi fatto altro che sprecare il mio tempo, perchè non era bastato averla preparata con cura, con dolcezza, con amore...»
«E, dimmi, tenevi di più alla cioccolata oppure al ciottolino?»
Alzai gli occhi dalla tazza, atterrita. Che avesse intuito la storia vera, quella celata dietro al pentolino, all'acqua e a tutto il resto?
«Molto probabilmente al pentolino. Sai, nonostante tutto continuo a conservarlo con l'acqua dentro, pronto all'uso, però non oso accendere nuovamente il gas.»
«Hai paura di bruciarti.» Concluse lui.
«Credo di sì. Però so, nel caso in cui dovessi accenderlo nuovamente, che non avrei bisogno dello zucchero.» Gli sorrisi. «Vedi, il mio cacao era diverso dagli altri, non era amaro, era già zuccherato. Purtroppo l'ho capito troppo tardi.»
Uscimmo dal bar e ci incamminammo per le vie del centro, lui non aveva ancora spiccicato parola e io di certo non mi azzardavo a rompere quel silenzio.
«Adesso però raccontami la storia vera. Ho già capito quasi tutto, ma ancora non riesco a torvare qualche tessera per completare il puzzle.»
Mi morsi il labbro, stavo davvero per raccontargli tutto? Era davvero la cosa giusta da fare? Insomma, mi aveva già rifiutata una volta... «Ne sei veramente sicuro?»
«Sì.»
Sospirai. «Faceva abbastanza caldo il venticinque maggio del duemiladieci, eppure io non lo sentivo. Lo vidi per la prima volta quella mattina e, in quel momento, credo di essere stata sicura che fosse lui quello giusto. C'era solo un problema, lui era già di un'altra. Ci rimasi un po' male lì per lì. Poi credo che mi passò, perche quell'estate non ripensai più a lui. A settembre lo rividi, non stava più con la ragazza con cui l'avevo visto a maggio. Non so, forse qualche Dio aveva ascoltato le mie preghiere. Il sentimento che avevo provato inizialmente, e che avevo creduto spento durante l'estate, cominciò a crescere, diventò più grande e più forte di me. Non potevo più contrastarlo, ormai ero completamente in sua balìa. Ad agosto mi sono decisa ad esporlo, a mostrargli un po' di luce. Ma la luce che ha visto non era quella del sole, bensì quella di una speranza totalmente vana, che l'ha rinchiuso in una gabbia in cui la luce non riesce proprio ad entrare. Adesso è incatenato. Eppure... Io sento che è ancora lì, e non aspetta altro che il carceriere si addormenti per rubargli le chiavi e uscire. In libertà vigilata però.»
«Ancora non hai detto chiaramente cos’è successo quel venticinque maggio, anche credo di averlo capito.»
Presi un respiro profondo e lo guardai negli occhi. «Quel venticinque maggio, mi sono innamorata.» Io ero seria, ma lui scoppiò a ridere. «Perchè ridi?» La sua risata mi feriva terribilmente.
«Scusami, è solo che non riesco a credere che qualcuno sia stato tanto stupido da consegnarti il sale al posto dello zucchero, doveva essere proprio un imbecille!»

Ecco a voi, signore e signori, la prova inconfutabile che sono proprio un'ingenua e che dovrei smettere di dare infinite possibilità a tutti.

Mi ero sbagliata, di nuovo. Eppure ero così sicura che avesse capito tutto, e invece... Nada, l ui si stava dando dell'imbecille da solo. «Non avrei dovuto raccontartelo, dimentica tutto.»
Affrettai il passo, consapevole che sarei scoppiata a piangere in tre, due...
Improvvisamente, si fece di nuovo serio. «Come potrei mai dimenticare-» Mi guardò con dolcezza, «Qualcosa che è inciso a lettere cubitali sul mio cuore?»

Ok, qualcosa non andava.
Qualcosa decisamente non andava, mi ero forse persa qualche passaggio? Fino a pochi secondi prima era lui che non aveva capito. Adesso invece, mi ritrovavo a fissarlo, probabilmente con un'espressione da ebete in faccia. Mi stava forse dicendo che... No, non era possibile.
Mi accarezzò una guancia.
«Sai, se non ti avessi conosciuto, probabilmente ti avrei chiesto un po’ di zucchero, perché l’ho finito. Ma ho scoperto che il mio cacao è diverso da quello degli altri. E’ già zuccherato. Quindi..»Si grattò un orecchio, imbarazzato, «Ti va di essere la mia cioccolata calda?»

   
 
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