Nei giorni a venire
cercai di dimenticare quanto avevo visto nel bosco, anche se con mio fratello
sempre lì intorno, era veramente arduo. Gli sfuggivo in tutte le maniere. A
pranzo cercavo di mettermi il più lontano possibile da lui (in questo fui
aiutato da Simone, con cui parlavo spesso e volentieri), nel pomeriggio andavo
a chiudermi in camera a disegnare un po’, e la sera andavo in giro qua e là
senza farmi vedere né da lui né da Chiara, che durante tutta la vacanza
sorrideva ed era felice, motivo in più per me per starmene alla larga. Non
volevo che mi vedesse in quello stato, ma soprattutto non volevo che sapesse
ciò che io sapevo.
Penso che Ermanno
sospettasse qualcosa, ma il più delle volte non lo vedevo; combinazione, anche
Marika spariva in alcuni momenti, ed io sospettavo ciò che non volevo dire
nemmeno sottovoce. Chiara, che soltanto alcuni anni prima era stata
lungimirante e severa, sembrava non sospettare nulla.
Prendere i giorni
come sarebbero venuti, era diventato il mio imperativo. Finché non sarebbe
venuto il momento di tornarsene a Bologna…
- Come mai mi lasci
sempre da solo? –
Simone mi aveva
beccato mentre me ne stavo tranquillo e beato a guardare il cielo, sulla solita
terrazza. Lo squadrai da capo a piedi, sembrava sinceramente triste. Non
sapendo cosa dire, mi guardai intorno più volte, come cercando la risposta
negli arredi da giardino che mi circondavano. Non trovandola, il mio sguardo si
posò nuovamente su di lui.
- Eh? – biascicai io,
sgranando gli occhi.
Senza che io l’avessi
invitato, lui si sedette accanto a me. Il suo profumo era inebriante, ma
l’espressione del suo viso non mi piaceva. Non mi piaceva vederlo triste, anche
se stavo facendo di tutto per tenermi lontano da lui… per non affezionarmi
troppo.
Lui mi avvolse con un
braccio, accoccolandosi a me. Io mi irrigidii, un brivido di freddo mi percorse
la schiena.
- Cos’hai? – sussurrò
lui, dolcemente.
- Non … non vorrei
che ci vedessero. – risposi io, mormorando. Lui fece una risatina, in risposta.
Sembrava sinceramente felice di quel poco di contatto, tanto che la sua
espressione non era più triste, ma era ritornata quella di sempre, un ritratto
di felicità e spensieratezza. Il pensiero che fossi stato io a fargli tornare
il sorriso, fu una carezza per il mio ego.
- Tranquillo. Sono tutti
di sotto, a giocare a carte, a guardare film… - rispose – e poi c’è una persona
qui che sa di me. – concluse lui, facendomi l’occhiolino.
- Ah – risposi io,
senza troppo interesse – E chi sarebbe questa persona? –
- Non la conosci, è
inutile che ti dica il suo nome. – disse lui.
- Ah no…? – la mia
mano si mosse a carezzargli le cosce toniche sotto gli shorts che portava.
Credevo che quel genere di abbigliamento fosse tipicamente femminile, ma dovevo
ammettere che Simone ci stava veramente bene. Lui fece le fusa come un gatto,
avvinghiandosi ancora di più a me. – Dimmi chi è … - mormorai, e tirando fuori
tutta l’anima da latin lover che c’era in me, gli baciai il collo. Profumava di
buono, ed era lì solo per me. Lui non rispose, godendosi quella tortura… gli
massaggiai ancora i glutei, mentre lui mi baciava sulla guancia. Ora le mie
mani erano prossime ad entrargli nei pantaloni. Sentivo con le dita l’elastico
degli slip, che sembrarono aprirsi al mio contatto…
- Me lo vuoi dire…? –
ripetei io. Lui scosse la testa, mugolando di piacere. Sentii i suoi talloni
premermi contro la schiena. Si stava aggrappando a me e con il suo sederino
stava strofinando contro la mia patta, dove il mio sesso già turgido, stretto
nei jeans, mi stava facendo male.
- No. – rispose lui,
secco. – Voglio che tu mi prenda, prima. – concluse, baciandomi le orecchie e
succhiandomi leggermente i lobi.
Improvvisamente,
aprii gli occhi.
- No. – dissi io –
Non possiamo farlo. Non qui. –
Simone sbuffò,
allentando leggermente la presa su di me e scendendo dal mio grembo. Proprio
come un gatto, che non avendo ottenuto ciò che voleva, se ne va sdegnoso.
- Cerca di capire –
lo esortai io – Qualcuno potrebbe vederci. –
- Sei solo un
codardo. Uno stupido codardo. Non voglio più vederti. – rispose, continuando a
darmi la schiena, quindi se ne andò prendendo la porta della veranda. Io cercai
di fermarlo, ma riuscii a pronunciare soltanto il suo nome.
- Simon… - e la porta
della veranda si chiuse con uno schiocco secco.
Mi portai la mano
destra dietro la nuca, e pensai Forse ho
fatto una cazzata. Se da una parte ero tranquillo perché avevo scongiurato
una possibile condanna per atti osceni in domicilio non di proprietà (come si
vedeva che frequentavo giurisprudenza), dall’altra ero un po’ triste che Simone
se ne fosse andato in quel modo, dandomi addirittura del codardo.