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Autore: Neko no Yume    30/08/2011    5 recensioni
Giugno era per eccellenza il mese dell'anno in cui gli studenti si dedicavano a lavoretti estivi frustranti e poco remunerativi, nel tentativo disperato di racimolare qualcosa, ma la piatta noia che pervadeva il locale dove Leo aveva trovato impiego sarebbe presto stata sconvolta da una felpa con su scritto l'irritante slogan "Don't talk to me".
(Elliot\Leo)
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Elliot Nightray
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Giugno era per eccellenza il mese dell'anno in cui gli studenti si dedicavano a lavoretti estivi frustranti e poco remunerativi, nel tentativo disperato di racimolare qualcosa e, magari, riuscire a farsi un viaggetto da qualche parte, invece di rimanere cementati nella giungla urbana e uggiosa di Londra.
Leo sbuffò infastidito, rimboccandosi le maniche della camicia e alzando lo sguardo perennemente adombrato dalla lunga frangia irregolare sul viso allegro e fastidioso di una cliente.
Quella ragazzina non aveva ovviamente bisogno di guadagnarsi da vivere con le sue sole forze, si vedeva dai vestiti costosi che indossava con disinvoltura, dalla borsa che avrebbe fatto gola a parecchi criminali della City e dalle unghie lunghe e perfette che tamburellavano irritanti sul bancone.
Il ragazzo trattenne a stento la voglia di schiacciarle con il registratore di cassa,  per poi rivolgere alla giovane un sorriso tutt'altro che cordiale.
Il commesso accanto a lui gli pestò un piede, quante volte doveva ripetergli di essere gentile con i clienti?
Tuttavia la ragazzina parve non accorgersi di nulla e ordinò con voce acuta due frappuccini, uno per lei e uno per la sua amica seduta al tavolo, non che lei volesse berne due, di frappuccini.
Leo avrebbe volentieri risposto che non gliene fregava assolutamente nulla di quanti frappuccini volesse ingurgitare con quelle labbra cariche sino all'inverosimile di rossetto, ma dalla sua bocca uscì un semplice "Grazie e arrivederci" mentre le porgeva le bibite e sistemava i soldi nel registratore.
Lavorare da Starbucks era come una prigione per lui.
Una prigione fatta di sorrisi falsi, pretese assurde, informi grembiuli verdi e tavolini da ripulire da schizzi di caffè e briciole di biscotti.
E, cosa peggiore di tutte, una prigione rumorosa.
Le voci concitate dei gruppetti di ragazzi seduti ai tavoli, il rumore della macchina per il caffè, lo sbattere dei vassoi... Era un caos cacofonico che strideva contro le orecchie del Baskerville, così amante della tranquillità e dell'isolamento.
Tuttavia il pensiero della sospirata busta paga lo spingeva a non demordere e tenere per sé le risposte caustiche.
Mentre si occupava di un altro cliente, lo sguardo svogliato gli cadde su un ragazzo seduto in un angolo del locale, a un tavolino vicino a un'ampia finestra.
Vedeva le spalle chine sul tavolo, probabilmente nell'atto di leggere qualcosa, e ciocche irregolari di capelli biondo cenere gli ricadevano sulla nuca chiara.
Notò che sul retro della felpa dello sconosciuto c'era scritto "Don't talk to me" in caratteri ampi e sfrontati e non poté fare a meno di pensare con disappunto che quella fosse la felpa più irritante e sfacciata che avesse mai visto, poi uno scrollone del suo collega lo riportò alla realtà.
-Insomma, novellino! Qui ci sono dei clienti che aspettano!-, berciò contrariato.
Leo mormorò una scusa appena udibile, ricacciando indietro il tono sarcastico che smaniava di esplodere, ma concedendosi un'occhiataccia ben poco rassicurante, per poi tornare a servire.
Ogni tanto gli occhi fuggivano verso il cliente seduto alla finestra, inspiegabilmente incuriositi e allo stesso tempo sferzanti, per poi tornare imbarazzati e seccati al bancone.
Il giovane cliente si alzò dal tavolo nello stesso momento in cui il turno del commesso era giunto al termine, raccolse lo zaino da terra, se lo gettò su una spalla e uscì dal bar, scomparendo tra la folla incolore di Londra.
Leo si sfilò il grembiule, per avvolgersi in una felpa sformata e leggera, adatta al clima instabile del Giugno inglese, poi si avvicinò al posto dov'era seduto il ragazzo.
Sul vassoio di plastica c'erano i resti di un succo di mela e un muffin al cioccolato mezzo mangiucchiato, assieme a dei fogli bianchi.
Il Baskerville sollevò il bicchiere del succo con aria critica, chi mai poteva andare da Starbucks, il regno di caffè, cappuccini e frappé in tutte le salse e prendersi un succo di mela?
Pensava che bevande come quella stessero nel menù solo per rappresentanza.
Le labbra gli si incurvarono in un sorrisetto ironico, poi la sua attenzione fu attratta dai fogli accanto al vassoio.
Evidentemente l'altro li aveva dimenticati lì dopo averli tirati fuori dallo zaino.
Li prese delicatamente tra le mani, avvicinandoli al viso, notando delle linee sottili e parallele che li attraversavano.
Erano degli spartiti musicali, per giunta anche pieni di note scribacchiate, ammonticchiate, scarabocchiate in una grafia allungata e spigolosa.
La mente di Leo iniziò a riprodurre interiormente i suoni che leggeva sul pentagramma, creando una melodia approssimativa ma incredibilmente dolce, calma.
Il ragazzo notò che alla fine di ogni spartito, nell'angolo destro, c'era scritto "Elliot Nightray", con gli stessi caratteri affilati delle note.
Sbuffò, non poteva certo lasciare che il lavoro di un musicista, per quanto sconosciuto, finisse nel cestino della carta straccia del locale, quindi li infilò nello zaino e si diresse verso casa, sperando di riuscire a liberarsi presto di quella strana seccatura e poter restituire i pentagrammi al signor Elliot Nightray.

Elliot aveva messo a soqquadro l'intera, ampia camera da letto, completamente nel panico.
Aveva svuotato il cestino, i cassetti della scrivania, gli scaffali della libreria, aveva persino spostato il letto e tolto le lenzuola, con l'unico risultato che adesso il pavimento era coperto di cartacce, fogli, libri e coperte, sua sorella voleva ammazzarlo e non era comunque riuscito a ritrovare i suoi preziosi spartiti.
Dove poteva averli lasciati?
Eppure era sicuro di averli rimessi nello zaino, dopo averli tirati fuori da Starbucks...
Alla sola idea di averli lasciati su quel tavolino, alla mercé di inservienti ignoranti, che probabilmente si sarebbero limitati ad accartocciare il frutto di mesi di lavoro e gettarlo nella spazzatura, le gambe gli cedettero e il ragazzo si lasciò scivolare per terra con un mugolio sconfortato.
-Tutto il mio lavoro... Perso!-, gemette, il viso sepolto tra le mani -Vanessa! Devo dare un'occhiata anche in camera tua, forse sono rimasti lì-.
-Te lo puoi scordare, moccioso!-, berciò di rimando la sorella -Non lascerò che tu distrugga anche la mia povera stanza, sei peggio di un ciclone-.
-Come se tu fossi una persona ordinata!-.
-Beh, io non semino in giro le cose importanti!-.
-...Ti odio-.
Un ragazzo dai loro stessi occhi azzurro cielo si affacciò dalla porta con un sorrisetto tanto incoraggiante quanto ironico.
-Su, non litigate-, li rimbrottò paternalistico -Sono certo che quegli spartiti salteranno fuori quando meno te lo aspetti-.
Elliot lo fulminò con uno sguardo sconsolato.
-La fai facile tu, Ernest-.
Il fratello ridacchiò, per poi scomparire in corridoio, seguito da una Vanessa ancora borbottante.
Il più giovane dei Nightray rimase solo col suo disordine, il nervosismo che aumentava di secondo in secondo.
Il giorno dopo sarebbe andato di corsa il bar e, se non avesse trovato gli spartiti, avrebbe svuotato direttamente sulla testa dei camerieri ogni singolo cestino.
Il mattino seguente si alzò prima del solito e sgusciò fuori di casa in punta di piedi, cercando di non farsi sentire dalla madre e la sorella, che di sicuro l'avrebbero obbligato a fare colazione con loro e tartassato di domande su dove stesse andando a quell'ora del mattino e quale ragazza di facili costumi stesse per incontrare.
Si infilò sulla maglietta a maniche corte una giacca leggera, poi uscì e si diresse con passo battagliero verso lo Starbucks del giorno prima.
Spalancò la porta con un po' troppa veemenza, attirandosi gli sguardi di parecchi clienti e di uno dei ragazzi che lavoravano lì, ma non ci fece troppo caso e si diresse con ampie falcate verso il suo tavolo.
Non c'erano.
I suoi spartiti erano svaniti nel nulla.
Anzi, nella carta straccia.
Per un attimo lo sconfortò si impadronì di lui, mentre le possibilità di recuperare il suo lavoro andavano in fumo, ma lo scoramento fu presto rimpiazzato dalla rabbia.
Stava per attirare l'attenzione di quegli inetti dei camerieri con un grido assai poco gentile, quando una mano gli posò davanti un vassoio.
-Elliot Nightray?-

Leo aveva riconosciuto immediatamente il ragazzo del giorno prima, anche se non indossava più la felpa irritante e aveva visto il suo volto solo di sfuggita.
Gli era bastato notare, non senza una sottile punta di divertimento, l'aria disperata con cui era entrato e con quanta fretta si era diretto al tavolo dove aveva lasciato gli spartiti per avere la conferma che davanti a lui c'era Elliot Nightray.
Ed era un Elliot Nightray sull'orlo di una crisi di nervi.
Represse a stento una risatina, rendendosi conto di avere tra le mani la risposta ai problemi che affliggevano l'altro, poi posò gli spartiti su un vassoio e sopra di loro mise un bicchiere di succo alla mela e un muffin al cioccolato.
Poi, approfittandone di un momento di distrazione del collega, intento a flirtare senza ritegno con una turista spagnola che voleva solo sapere come arrivare al Big Ben, scivolò oltre il bancone e si diresse verso Elliot, posandogli sul tavolo il prezioso vassoio.
-Elliot Nightray?-, chiese, reprimendo a stento l'ilarità che gli venava la voce.
L'altro si voltò verso di lui, inchiodandolo con due iridi di un azzurro terso, ghiacciato.
-Con chi ho l'onore di parlare?-, chiese aspramente, le sopracciglia inarcate in un cipiglio sospettoso.
Leo sostenne il suo sguardo da dietro le spesse lenti degli occhiali, senza scomporsi.
-Solo un cameriere che le ha portato la sua ordinazione, signore-, replicò in tono falsamente pomposo, per poi voltarsi e affrettarsi a tornare al suo posto dietro il registratore di cassa.
Il Nightray stava per ribattere che lui non aveva ordinato assolutamente nulla, quando lo sguardo gli cadde sui fogli chiari posati sul vassoio.
Per poco non gli sfuggì un grido soffocato dalle labbra, mentre afferrava i suoi amati spartiti e li stringeva al petto come una madre fa col figlio scappato di casa.
Alzò gli occhi verso il commesso, che aveva osservato di sottecchi l'intera scena e si concesse un sorriso appena accennato, senza sapere che altro dire o fare, per poi uscire dal locale con il muffin in bocca, il succo di mela in una mano e le partiture nell'altra.
Corse immediatamente a casa, per poi catapultarsi sul pianoforte e ricominciare a lavorare febbrilmente alla sua composizione.
Eppure, per quanto si concentrasse, non riusciva a levarsi dalla testa l'immagine dell'inserviente mingherlino e in disordine che gli aveva restituito gli spartiti.

Passò qualche giorno di calma piatta in cui Leo si dedicò svogliatamente al normale lavoro, immerso nella monotonia delle richieste dei clienti.
A volte si chiedeva con una punta di disdegno che razza di ringraziamento fosse un semplice sorrisetto e se non avrebbe fatto meglio a dar fuoco a quegli spartiti per arrostire qualche delizioso marshmallow e danzare sulla loro cenere.
Si era ormai arreso a ritornare alla solita vecchia routine, senza più irritanti ragazzini dagli occhi azzurri che gironzolavano per il locale dimenticandosi gli spartiti, quando una mattina la porta si aprì con la stessa veemenza con cui si era aperta qualche tempo prima.
All'ingresso troneggiava la figura slanciata di Elliot, incurante come al solito degli sguardi dei curiosi attratti dalle sue teatrali entrate in scena degne del miglior Otello shakespeariano e con lo sguardo fisso in quello del Baskerville.
I due si scrutarono per un attimo, poi il giovane pianista si lasciò cadere sulla solita sedia con aria d'attesa, continuando a fissarlo con insistenza, come un micio in placida attesa dei croccantini.
Leo lanciò un'occhiata al collega, in quel momento impegnato a sgridare un ragazzino da poco assunto per aver rovesciato un'ordinazione e inzaccherato il pavimento troppo vicino agli stivaletti griffati di una cliente, e svicolò verso il Nightray con il solito menu sul vassoio.
Era incredibile come la semplice noia di una giornata lavorativa lo stesse portando a rischiare il posto in quel modo.
E, soprattutto, era incredibile come si sentisse le gambe leggere mentre camminava verso il tavolino alla finestra, schivando abilmente un cartello che metteva in guardia sul pavimento bagnato, ormai quasi isolato dal fastidioso ronzio del bar.
Le labbra dell'altro si incurvarono in un sorrisetto sarcastico, vedendo cosa c'era sopra il vassoio.
-Hey, non sei obbligato a portarmi sempre qualcosa da mangiare, non sono un gatto randagio-, commentò.
Il primo istinto di Leo fu quello di rovesciargli il succo in testa e ficcargli il muffin in gola, ma si trattenne solo perché così avrebbe potuto attirare l'attenzione del suo odioso superiore.
Ed essere licenziato.
Si forzò quindi in un sorrisetto falso e strinse la stoffa del grembiule tra le dita, sino a conficcarsi le unghie nei palmi.
-Lo faccio per vendere qualche povero succo di mela a chi è così strano da prendersene uno-, ribadì con calma.
Il viso di Elliot si imporporò paurosamente, per un attimo parve sull'orlo di esplodere e far saltare in aria l'intera città.
-Almeno non contiene strani impiastri come il resto della vostra roba-, sentenziò, cercando di mantenere un tono di voce basso.
-E il muffin allora?-.
-...Ugh. Quello è un'altra storia!-.
-Certamente, signor Nightray-.
I due rimasero in silenzio per un attimo, poi Leo ridacchiò vittorioso ed Elliot sbuffò contrariato, affondando i denti nel morbido impasto del dolcetto.
-Comunque-, riprese dopo aver mandato giù il boccone -Volevo ringraziarti per avermi restituito gli spartiti sani e salvi-.
Il Baskerville si limitò a inclinare il capo e abbozzare un sorriso.
Allora anche un ragazzo che portava una felpa con su scritto "Don't talk to me" era capace di essere gentile!
-E... Mi chiedevo se ti andrebbe di andare a mangiare qualcosa che non sia un intruglio di caffè e sostanze chimiche, ecco-, biasciò tutto d'un fiato, rosso in viso.
Per un attimo Leo si chiuse in un silenzio immobile, quasi lugubre, poi si aggiustò gli occhiali sul naso con aria noncurante.
-Solo se offri tu-, decretò con un ghigno.
Il cliente parve illuminarsi, ma un attimo dopo la voce tonante dell'altro commesso riportò entrambi alla realtà, oltre a far strozzare un paio di ragazzine col cappuccino.
-Scansafatiche che non sei altro, vieni qua!-, tuonò.
Il Baskerville borbottò qualche imprecazione tra i denti, poi si voltò verso il bancone.
-Il mio turno finisce alle 16:00, vedi di esserci-, sussurrò mentre ritornava al suo posto.
Le labbra di Elliot si distesero in un ampio sorriso trionfante, subito smorzato dal panico che si faceva largo dentro di lui.
Dove poteva portarlo?
Aveva proclamato con aria terribilmente spavalda che sarebbero andati in qualche posto dove si mangiasse bene, ma lui stesso era più un tipo da fastfood e adorava i muffin, a dispetto delle sue farneticazioni sulla sana alimentazione.
Uscì in gran fretta da Starbucks e iniziò a vagare senza meta per le strade del centro di Londra, in cerca di qualcosa di carino in cui portare una persona nel primo pomeriggio.
La City era una metropoli gigantesca e piena di turismo, quindi non sarebbe stato un problema, no?
Girovagò per qualche ora tra lo smog nebbioso della capitale, lo sconforto che gli opprimeva il petto al pari dell'afa, poi i suoi occhi si fermarono su un'insegna.
Hard Rock Café.
Come aveva fatto a non pensarci prima?
Tre semplici parole intrise di buon cibo inglese, buona musica e un prezzo avvicinabile.
Elliot alzò un pugno al cielo in un gesto vittorioso, per poi notare inorridito sull'orologio che le 16:00 si stavano avvicinando e che se non si fosse dato una mossa avrebbe mancato l'appuntamento.
Si mise a correre a perdifiato e si perse più volte tra i vicoli del centro, nel vano tentativo di imboccare qualche scorciatoia, ma riuscì ad arrivare davanti allo Starbucks un attimo prima che Leo varcasse la soglia.
Il quale Leo lo scrutò con un misto di preoccupazione e divertimento mentre ansimava sfinito, in spasmodica ricerca di ossigeno, le mani posate sulle ginocchia e la schiena china.
-Tutto okay, fautore dello stile di vita sano, carote lesse e companatico?-, chiese scherzoso.
L'altro berciò qualche insulto tra un respiro e l'altro, poi riuscì a raddrizzarsi e piantò le iridi azzurro cielo direttamente in quelle glicine dell'altro.
-Ho trovato il posto adatto, spiritoso-, mugugnò, per poi voltarsi e iniziare a camminare.
Mosse qualche passo incerto lungo il marciapiede, senza sapere come comportarsi, come riempire il silenzio imbarazzante che stava lentamente impregnando l'aria tesa attorno a loro.
Non era sicuro che la loro uscita si potesse definire effettivamente un vero e proprio "appuntamento" e d’altronde Leo gli camminava accanto con passo leggero e l'aria assorta, quasi come se la situazione gli fosse del tutto indifferente.
Elliot trattenne a stento un gemito esasperato, poi inspirò a fondo e lasciò che la mano sfiorasse delicatamente quella dell'altro, avvertendo un lieve brivido a quel contatto.
Inaspettatamente sentì le dita affusolate del Baskerville intrecciarsi appena con le proprie, scivolando con naturalezza negli spazi fra l'una e l'altra, come se fosse stata la cosa più semplice e ovvia del mondo.
-Allora, è tanto lontano il posto?-, chiese Leo burbero -Mi fanno male i piedi a furia di stare impalato dietro un bancone-.
L'altro deglutì, cercando di ricordare con esattezza la strada fatta all'andata, poi la stessa insegna di poco prima lo salvò nuovamente.
-Eccolo lì, siamo arrivati!-, esclamò, trattenendo a stento un sospiro sollevato.
Il Baskerville alzò lo sguardo con un misto di nero terrore e curiosità verso il fantomatico locale dove il ragazzo aveva deciso di portarlo, ma l'aria interessata si smorzò via via che i grandi occhi violacei risalivano la facciata del pub, sino a incrinarsi del tutto e spezzarsi nel leggere la scritta a caratteri cubitali "Hard Rock Café", sostituita da un cipiglio accigliato.
-...Tutto qui?-, commentò laconico.
Poteva sentire la mano del Nightray diventare calda e umidiccia contro la sua per il sudore e l'agitazione.
-Tutto qui?! Hey, stiamo parlando dell'Hard Rock-, sbottò alla fine Elliot -Mica quell'insulso bar dove lavori tu-.
-Si dà il caso che quell'insulso bar abbia filiali in tutto il mondo-.
-Anche l'Hard Rock-.
I due si scambiarono un'occhiata obliqua, come a volersi studiare, soppesando le parole, indecisi se continuare o no la deliziosa digressione su quale fosse il miglior locale, poi a entrambi sfuggì una risatina soffocata.
-Su, entriamo-, ridacchiò alla fine Leo -Prima che collassi esausto sul marciapiede-.
Appena varcata la soglia, i due si ritrovarono immersi in un ambiente calmo, reso quasi soffuso dalla musica dal vivo che proveniva da un angolo e dall'arredo in legno chiaro, e fresco.
Si diressero al bancone per ordinare e il Baskerville si puntellò coi gomiti sulla tavolata, scrutando con occhio critico il menu e i cibi dolci e salati che occhieggiavano con occhi di cioccolato e olive da dietro il vetro.
-Per me una birra alla spina-, ordinò Elliot, la vicinanza dell'altro gli chiudeva lo stomaco.
-Per me invece dei brownies e un tè al limone, tanto paga lui-, ghignò Leo, per poi avviarsi verso un tavolino fischiettando la melodia che stava suonando la band in quel momento e lasciando all’altro il compito di portare il cibo.
-Sei un ubriacone-, sentenziò ironico mentre il compagno si portava alle labbra il boccale di birra, facendolo tossicchiare e arricciare il naso.
-Non è vero!-, berciò lui appena smise di strozzarsi con la birra -Sei tu che ti sei preso la solita robaccia-.
-Dato che i dolcetti al cioccolato ti piacciono tanto, volevo capire cos'hanno di speciale-, rispose Leo laconico, per poi prendere tra le dita un morbido brownie e addentarne uno spigolo.
Masticò in silenzio per qualche istante, conscio del paio di iridi azzurre fisse su di lui, assaporando il gusto dolce e soffice del piccolo pasticcino sulla lingua.
Senza proferire parola, ne morse un altro angolo, per poi mandare giù anche quello.
-...Com'è?-, si azzardò a chiedere Elliot.
-Giudica tu, sommo esperto del cacao e i suoi derivati-, gli rispose, infilandogli in bocca ciò che restava del brownie senza troppi complimenti, rischiando di farlo strozzare per la seconda volta in pochi minuti.
Il Nightray inghiottì a fatica, per poi afferrare nuovamente la birra per aiutarsi a mandare giù il boccone, ma Leo gli strinse il polso in una morsa delicata e ferma, protendendosi verso di lui.
-Prima devi assaporare e darmi un giudizio-, decretò a bassa voce, gli occhiali calati sul naso sottile e il volto seminascosto dalla frangia che vi ricadeva sopra disordinata -E poi non mi piace il sapore della birra, è troppo amaro-.
L'altro stava per ribadire contrariato che non gliene importava un bel niente, dato che nessuno lo stava obbligando a berla, ma le sue labbra incontrarono all'improvviso quelle del Baskerville e ogni protesta si dissolse come la schiuma del suo alcolico.
Fu un bacio breve, qualche attimo appena, ma dolce come il cioccolato, morbido e avvolgente come l'impasto di un pasticcino, poi Leo tornò a sedersi al suo posto, aggiustandosi gli occhiali per nascondere il diffuso rossore che gli aveva imporporato le guance.
-T-ti era rimasta una briciola sulle labbra-, borbottò a disagio, agitandosi sulla sedia -Ora puoi bere la tua birra-.
Elliot rimase in silenzio per un istante, ancora stordito da quel gesto così improvviso, sospeso in uno stato di euforia incredula e leggera, poi allungò un braccio lungo il tavolo, sino ad allacciare le dita a quelle dell'altro.
Si concesse ancora un momento per perdersi nelle sue iridi pervinca, che ora apparivano sgranate, lucide, quasi spaventate, poi sorrise.
-Non credo che lo farò-, bisbigliò, il pollice che gli accarezzava la superficie liscia e levigata del polso, soffermandosi nel punto dove dalle sottili vene azzurrine vibrava il battito del suo cuore -Perché ho intenzione di mangiare altri dolcetti che facciano briciole-.
-Mh, credo di averne lasciata una, proprio lì nell'angolo-, ridacchiò Leo, per poi baciarlo di nuovo.




Yu's corner.

Zolfo a tutti, miei cari~!
 Bene, dato che sono tremendamente fissata con Elliot e Leo, volevo rompere ancora una volta con una loro fanfiction.
Ma questa volta non angs, non ce la facci più.
Il mio povero cuore si rifiuta di farsi ancora del male. Ergo, ho optato per questa AU completamente priva di senso, yea (ah, io amo i muffin e i brownies...).
Che dire, spero vi sia piaciuta e ringrazio in anticipo chiunque leggerà, recensirà o gradirà tutto questo.
Bye bye, Yu.
  
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