Videogiochi > Fallout
Segui la storia  |       
Autore: Bel Riose    31/08/2011    1 recensioni
Fanfic ambientata nel mondo di Fallout 3 dopo lo svolgimento della quest principale, integrato con il mod "Mothership Zeta Crew".
In un mondo devastato da un'antica guerra nucleare, una nuova luce di speranza illumina il genere umano: si tratta del Terran Starship Command, una potente organizzazione militare, dotata di tecnologie avanzatissime di provenienza non terrestre, che aspira alla riunificazione dell'umanità e alla restaurazione della civiltà. Ma quando il comandante del TSC viene colpito da alcune strane radiazioni, tutte le risorse dell'organizzazione vengono deviate su di una pericolosissima missione apparentemente senza senso. Finchè la comparsa di una ragazza senza nome non sconvolge nuovamente le carte in gioco.
Chi è? Qual è il suo collegamento con la misteriosa Cheryl che tanto ossessiona il comandante del TSC? E fin dove può spingersi un uomo per raggiungere un passato ormai scomparso?
Genere: Guerra, Malinconico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

"Non è vero come dicono molti che si può seppellire il passato, il passato si aggrappa con i suoi artigli al presente."
 

Khaled Hossein

L’immensa insegna al neon faceva bella mostra di sé dinanzi l’ampia finestra.
Oltre, dopo qualche edificio, si intravedeva, già visibile alla luce dell’alba, una delle tante lande desolate di cui ormai la Terra era piena.
- Strano orario per vederci.- disse un uomo, elegantemente vestito di nero, seduto su di una poltrona, mentre osservava il panorama.
Alle sue spalle, nella penombra, un’altra voce replicò, quasi divertita:- Suvvia, non mi dica che stava dormendo.-
Anche l’uomo assunse un tono più divertito, e le sue labbra accennarono un sorrisetto:- Certo che no. Sarei davvero uno stupido.-
- Felice di non averla disturbata, allora. Ma passiamo al vero motivo della sua venuta.-
- Perfetto.- disse l’uomo, facendo un cenno con la mano, come a ordinar qualcosa.
Dalla penombra emerse un robot che manteneva sulle sue mani metalliche un vassoio con sopra una bottiglia ed un bicchiere.
L’uomo li prese entrambi, e lanciò un’occhiata all’etichetta sulla bottiglia:- Whiskey d’annata. I miei complimenti.-
La voce sembrò quasi compiaciuta, ma non mutò di tono:- Solo il meglio.-
Il robot scomparve di nuovo nell’ombra mentre l’uomo iniziava a versare il liquido nel bicchiere e a sorseggiarlo con evidente gusto:- Allora….mi dica tutto.-
- Ho parlato con il nostro comune amico, ieri sera….-
- Le ha detto quello che volevamo sapere?-
- Precisamente: il pacchetto arriverà a destinazione quanto prima.-
L’uomo sembrò soddisfatto della nuova rivelazione:- Direi che rientriamo perfettamente nei tempi previsti.-
- Per il momento si, ma non possiamo sapere gli imprevisti che ci si pareranno davanti. Il mondo, di questi tempi, è imprevedibile.-
- Devo darvene atto.-
- Dunque ora non ci resta che aspettare…-
- Ed è quello che faremo.-
 
 
 
 I cumuli di pietrisco cedevano sotto gli incessanti colpi dei piedi che freneticamente li risalivano, uno dopo l’altro, tentando di evitare le buche dell’antica strada quasi completamente dissestata, accompagnati nel loro movimento dal continuo respiro quasi spasmodico.
Uno spuntone di ferro emergente da ciò che restava di un muro precipitato sulla strada lacerò d’un tratto la caviglia del piede destro, che cedette.
Il dolore lancinante provocò un urlo soffocato di voce femminile.
La ragazza cadde a terra, riparando appena il viso con le mani, salvo poi usarle per alzarsi immediatamente e riprendere la corsa disperata.
I corti capelli castano scuro, sporchi e pieni di polvere come i vestiti consunti, avevano perso quasi il loro colore, divenendo cinerei. Dal viso, contratto dal dolore e dalla fatica, i lineamenti femminili sembravano quasi scomparsi.
Un sibilo riempì per un velocissimo istante l’aria attorno alla fuggitiva, ed ella potè vedere il proiettile che si frantumava su di un muro vicinissimo a lei.
C’era mancato poco.
Un grugnito in lontananza, gutturale, inumano, rivelò la delusione del cacciatore per il colpo fallito.
I sinistri scheletri degli alti edifici in rovina iniziavano a farsi via via più fitti, mano a mano che la giovane procedeva sulla via verso la costa.
Sentiva il sangue scorrere copioso dalla ferita alla caviglia, il dolore a malapena tenuto a bada dall’adrenalina, insieme a quello di una decina di altre ferite su tutto il corpo.
Un altro sibilo, un altro proiettile; ancora una volta il colpo la mancò di poco.
Il relitto di un autobus sbarrò improvvisamente la strada.
Senza neppure fermarsi, la ragazza si infilò nello stretto passaggio  tra di esso ed un edificio, mentre un nuova gragnola di colpi si dirigeva implacabile verso di lei.
Poco dopo aver superato l’ostacolo, poté sentire il bus venire crivellato e perforato; pochi attimi, ed i proiettili raggiunsero l’antico motore atomico.
Il boato dell’esplosione fece tremare le rovine silenti, mentre l’onda d’aria calda sbalzò nuovamente la giovane fuggitiva per terra, rovinosamente.
Mentre si accorgeva di avere un braccio fratturato, e tentava di rialzarsi penosamente da terra, il dolore al piede ormai insostenibile, sentì dietro di lei un ruggito, evidentemente una sorta di grido di vittoria.
Era ormai perduta. Mentre delle lacrime di paura le bagnavano il viso pieno di ferite, si decise a voltarsi, ancora per terra, ad affrontare un fato ineluttabile.
Dinanzi a sé vide la mostruosa mole verdastra del supermutante dirigersi verso di lei con il consueto passo pesante intriso di morte.
Il rivoltante volto del mostro era coperto da quello che sembrava essere un grosso ghigno.
- Sei mia.- grugnì il mostro, ad alta voce, le parole appena percettibili in quell’ammasso di suoni gutturali.
Dietro di lui, altri due supermutanti si appressavano alla preda inerme.
Il fumo dell’esplosione ancora volava alto disperdendosi nell’opprimente cielo grigiastro.
Il mostruoso vincitore raggiunse finalmente la ragazza, e allungò il possente braccio per metà senza pelle, con solo i muscoli ingrossati in vista, verso di lei.
Ma si ritrasse immediatamente, reclinando la testa come se fosse stata colpita da qualcosa.
La ragazza lo guardò, e vide una ferita sulla fronte: un foro di proiettile.
Un altro colpo, silenzioso come il primo, ed il gigante arretrò di qualche passo, ruggendo per il dolore.
La giovane era incredula, ma non perse tempo. Raccogliendo le ultime forze rimastegli, si rialzò, digrignando i denti nel tentativo di reprimere il dolore, e iniziò a trascinarsi verso l’edificio più vicino.
Nel frattempo, nuovi colpi, stavolta ben udibili, andavano a segno, e ben presto la zona fu immersa nel boato di una vera e propria battaglia.
Ancora una volta, la ragazza cadde a terra, ormai quasi priva di conoscenza.
Si voltò nuovamente verso i supermutanti: uno di loro, quello che l’aveva quasi presa, giaceva a terra, morto, mentre gli altri due si difendevano scatenando una tempesta di fuoco in direzione dei loro assalitori.
Con la vista annebbiata, cercò di capire chi fossero: vide almeno cinque soldati, in uniformi verde e nere che non aveva mai visto prima, sparare dai loro ripari verso i supermutanti.
Un secondo supermutante cadde abbattuto al suolo.
Poi comparve un altro uomo, che indossava quella che sembrava essere una vera armatura atomica. Brandiva una pistola, e la puntò verso l’ultimo superstite.
Tra la nebbia sempre più fitta che le calava sugli occhi, in mezzo allo stordimento provocato dal dolore, la ragazza vide un raggio di luce blu scaturire dalla pistola e colpire in pieno volto il mostro.
Anche l’ultimo dei suoi inseguitori era così morto.
La preda ormai sfuggita si accasciò definitivamente per terra.
Fece appena in tempo a vedere il volto dell’uomo in armatura atomica, biondo scuro, dai lineamenti abbastanza dolci e dai penetranti occhi grigi, chinarsi su di lei e sussurrarle qualcosa, mentre altre ombre iniziavano ad avvicinarsi, prima di chiudere gli occhi.
 
 
 
- Gli uomini sono ansiosi di tornare sulla Olympus, signore.-
La voce dell’uomo, in uniforme verde-nera, risuonò tra la pareti metalliche arrugginite, ferma, e senza alcuna particolare intonazione. Era chiaramente la voce di un soldato.
- Non posso certo biasimarli, maggiore: una settimana intera nel cuore della Zona Contaminata della Capitale da molti è ritenuta alla stregua di un suicidio, e di questo sono perfettamente consapevole.-
L’interlocutore indossava l’uniforme completamente nera da ufficiale. Il berretto era posato sul tavolo, accanto ad un bicchiere vuoto. Su di esso campeggiava il simbolo di una spada alata, rivolta verso il basso.
- Così come è consapevole, spero, che i miei uomini si sono posti più di una domanda sul motivo di questa nostra “scampagnata”. E non sono gli unici….-
L’ufficiale, ad un primo sguardo sulla quarantina, non esitò a replicare con tono piatto:- Sono ordini diretti dell’Ammiraglio Supremo. Lui stesso ha guidato la missione, o sbaglio? Mi dispiace che sia toccato ai suoi uomini, stavolta, ma la squadra Thunderfist era già impegnata.-
Il maggiore sembrò punto nell’orgoglio dalle parole del suo superiore:- I miei uomini sono la miglior squadra di marine del TSC.- rispose, mal celando i suoi sentimenti.
- E dal rapporto che ho letto hanno mantenuto fede alla loro reputazione, maggiore.- sospirò:- Sa com’è: gli ordini sono ordini. Comunque, lei ed i suoi uomini avrete un po’ di tempo da passare sulla Olympus. Verrete trasferiti domani stesso.-
Il maggiore stavolta non nascose la soddisfazione:- Grazie, signore.-
- Non ringrazi me, l’Ammiraglio Supremo se ne è fatto personale garante. Tornerete su con uno dei nostri mezzi, portando con voi la ragazza che avete salvato ieri.-
Il maggiore assunse un’aria pensierosa, annuendo:- E’ stata davvero una fortuna per lei che capitassimo proprio da quelle parti. Mi sorprende che sia ancora viva: quando l’abbiamo portata qui a Rivet City era conciata parecchio male. D’altronde, non riesco a capire perché mai una ragazza si sia avventurata da sola proprio tra le rovine della Capitale.-
- Non possiamo sapere se fosse sola o meno, quando vi è entrata, maggiore.- l’ufficiale si alzò, aggiustandosi appena il colletto dell’uniforme:- Inoltre, la sua vita è ancora a rischio. Qui non hanno le strumentazioni e le conoscenze adeguate, per questo verrà portata sulla Olympus. Sono sicuro che il Dr. O’Farrell la rimetterà a nuovo, e questo è ciò che crede anche l’Ammiraglio.-
Prese il berretto dal tavolo e se lo sistemò sui capelli castani, tagliati corti.
Il maggiore si alzò in segno di rispetto.
- Ci rivedremo a bordo.- disse l’ufficiale, dirigendosi verso l’uscita, mentre il maggiore lo salutava militarmente.
- Certo, comandante Harkin.-
Aprì la vecchia porta a tenuta stagna cigolante, quindi si ritrovò all’aperto.
Il ponte di lancio dell’antica portaerei che in seguito alcuni coloni intraprendenti trasformarono in Rivet City era ancora ingombro dei relitti dei suoi numerosi aerei, rimasti parcheggiati, per sempre attendendo di combattere una guerra ormai finita da trecento anni.
Ma accanto ad essi, vi era ora qualcosa di decisamente più avanzato: un grosso velivolo, dalle forme arrotondate e dalla colorazione rosso-nera, con ben in vista sulle ali il simbolo della spada alata: si trattava di uno dei diversi velivoli da combattimento e da trasporto Valkirye del TSC
La spina dorsale del Terran Starship Command, pensò tra sé il comandante.
Poco più in là, diverse tende militari ospitavano le attrezzature ed il sistema di teletrasporto per la Olympus.
Alcuni soldati, supervisionati dal loro ufficiale, facevano esercizi fisici a pochi metri dal comandante.
Oltre il ponte, le vaste rovine di Washington D.C. si mostravano in tutto il loro sinistro splendore.
Un improvviso turbamento prese Harkin; gli succedeva spesso quando ripensava al passato.
- Comandante Harkin!-
Una voce lo chiamava da dietro.
Harkin si voltò, e vide il volto della dottoressa Li.
- Dottoressa.- disse:- Notizie della paziente?-
La donna annuì:- E’ per questo che la cercavo. Siamo riusciti a stabilizzare le sue condizioni abbastanza perché possa sostenere il viaggio, ma le condizioni restano critiche.-
Harkin annuì:- Benissimo. Farò preparare immediatamente tutto l’occorrente.-
 
 
 
Due paia di occhi color porpora risaltavano nel buio, fissi nel loro puntare verso di lei.
La ragazza si guardava attorno, preda di una angoscia indescrivibile, ma solo il buio impenetrabile l’avvolgeva.
Delle voci iniziarono ad emergere da esso, tutt’attorno a lei.
Non riusciva a capire cosa dicessero, ma erano concitate, quasi emozionate. E pronunciavano continuamente un nome. Un nome a lei sconosciuto.
Gli occhi continuavano a fissarla.
Poi sentì la fredda presa di guanti di metallo sulle sue braccia. Non poteva vedere di chi si trattasse, ma iniziò a dimenarsi disperatamente.
La presa si faceva più stretta, e lei emise un grido di terrore.
Ma divenne un circolo vizioso: più urlava, più la presa si faceva stretta; lentamente, il buio iniziò a schiarirsi ed una innaturale, accecante luce bianca ne prese pian piano il posto.
 
 
 
Il primo urlo aveva preso di sprovvista O’Farrell ed i suoi assistenti che in quel momento erano completamente presi dall’improvvisa irruzione dell’Ammiraglio Supremo nella camera d’osservazione dove la giovane paziente era stata portata, sedata, dopo essere stata sottoposta ai delicati interventi che la sua situazione disperata richiedeva.
Immediatamente, essi si precipitarono verso di lei. Controllando nei sofisticati monitor la situazione.
La ragazza emise un altro urlo, alzando la testa e mettendosi quasi a sedere.
L’Ammiraglio le si fece accanto, cercando di trattenerle le mani, che si dimenavano nell'aria, e fissando il suo sguardo negli occhi scurissimi di lei, che sembravano persi nel vuoto.
- Calmati.- le sussurrò, mentre O’Farrell completava i suoi accertamenti.
La ragazza respirava affannosamente, ma lentamente si accorse di essere fuggita dal suo incubo.
Si guardò attorno, spaesata, osservando la camera in cui si trovava, bianca, e piena di attrezzatture che lei non aveva mai visto prima.
Poi si accorse dell’uomo in uniforme che le parlava, e si ricordò di aver già visto quegli occhi grigi. Lo riconobbe.
- D-dove mi trovo?- gli chiese, tra le lacrime.
- Sei al sicuro, adesso.- fu la risposta. L’Ammiraglio lanciò una veloce occhiata interrogativa in direzione di O’Farrell, che annuì in segno di rassicurazione: tutto era nei parametri, relativamente.
- Ma che posto è questo?- continuò lei, riprendendo a guardarsi attorno, lentamente calmandosi mano a mano che riprendeva contatto con la realtà.
- Sei a bordo della Olympus, nave ammiraglia del Terran Starship Command.- rispose finalmente lui.
All’inizio lei sembrò non capire, ma poi protese una mano, esile e pallida, verso di lui. Lui gliela strinse, cercando di rassicurarla il più possibile.
La ragazza sorrise: era al sicuro, finalmente.
Dopodiché, svenne.



Nota: ringrazio di cuore Nylonathathep, creatore del mod "Mothership Zeta Crew" per l'ottimo lavoro che ha fatto, e per la sua disponibilità nell'autorizzarmi ad usare il suo mod per questa mia fanfiction.
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Fallout / Vai alla pagina dell'autore: Bel Riose