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Autore: KH4    31/08/2011    4 recensioni
Quando Nami aveva espressamente detto di non combinare alcun guaio, intendeva cose del tipo “Non attirate troppo l’attenzione con le vostre buffonate”, “Non fatevi vedere dalla Marina” o “Evitate di scatenare l’ennesimo pandemonio”. Insomma, i classici avvertimenti che non mancavano mai di essere ripresi e ripassati. Ma tra questi e l’infinita serie di avvertimenti da lei elargiti, nessuno aveva mai parlato di ragazze isteriche trasportanti in spalla, come sacchi di patate, fratelli mezzi dissanguati e seguite a ruota da innocenti bambine con grandi occhi azzurri. Un evento decisamente più normale del solito, umano, per dirla nella giusta maniera, ma, sicuramente, non privo di sorprese, se si teneva conto del fatto che, a portarli sulla nave, era stato proprio Rufy. (estratto del capitolo quattro).
 
Il Nuovo Mondo è pronto ad accogliere Rufy e la sua ciurma, tornati insieme dopo due anni di separazione; lasciatisi alle spalle l'isola degli Uomini Pesce, i pirati approdano su di un'isola, dove incontreranno un piccola amante della pirateria, bisognosa di aiuto. Spero di aver stuzzicato la vostra curiosità, ragazzi!
Seguito di “Giglio di Picche.”
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Monkey D. Rufy, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Salve a tutti! A dispetto delle mie aspettative, vi porto il secondo capitolo con regolarità! (A stento ci credo, perché, ho le mani prese un po’ da tutte le parti). Prima di lasciarvi, voglio ringraziare chi ha lasciato delle recensioni per il mio primo capitolo: quattro recensioni non me le aspettavo di certo, eh eh! Spero me ne arriveranno molte altre col proseguire della storia!
 
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“Dannazione! Ma che diavolo ho fatto per meritarmi questo?!”
 
Era il colmo. Una situazione più insopportabile di quella, non le poteva capitare!
 
Sbuffando sonoramente, Azu poggiò le mani ai fianchi, continuando a camminare lungo l’ampio viale con passo inviperito.
Il suo umore, già poco incline all’essere paziente, era diventato più nero della pece stessa e man mano che continuava ad avanzare per quelle cavolo di vie, che fra l’altro, sembravano tutte uguali, le possibilità che si calmasse, divenivano sempre più inesistenti. Quando si arrabbiava, era pressoché impossibile instaurare una dialogo con lei: in quei casi, la sua irascibilità raggiungeva livelli spaventosi, mostruosamente sfioranti la morte. E dire che il suo aspetto, tutto fuorché brutto, le conferiva un’aria radicalmente diversa da quella di una iena in procinto di sbranare anche prede ben più grosse di lei: alla gente comune, appariva come una seducente ragazza dalla pelle nivea, alta, con capelli molto corti e scalati, attaccati alla base del collo, di un inconsueto ma intrigante color argento, che valorizzavano moltissimo i suoi occhi perlacei, dove facevano capolino un paio di sfumature azzurre. Ciò, unito a un corpo atletico, indossante abiti scollati e provocanti, era sufficiente ad attirare certi uomini vogliosi, i cui desideri venivano stroncati da un calcio in mezzo alle gambe, non appena questi tentavano di allungare troppo le mani.
 
Non che le attenzioni le dispiacessero, affatto. Ma se doveva divertirsi, voleva almeno che i suoi pretendenti fossero gradevoli fisicamente e che le comprassero regali adeguati, non certo delle paccottiglie di terza mano! Se c’era una cosa che la mandava veramente in bestia, era il ricevere della bigiotteria scadente: tanto valeva che le regalassero della plastica, se proprio non ci tenevano a spendere un soldo! Il suo bel visino meritava molto di più che semplici complimenti – anche se di quelli, comunque, non si stufava mai –
Ed era bene ricordare, che lei non si presentava come una volgare prostituta: erano gli uomini che, attratti da lei, si avvicinavano: tutto quello che faceva, era usare il suo charme femminile, evitando così di spendere preziosi denari. Fino a quel momento, aveva raccolto un considerevole numero di cene in ristoranti lussuosi, ma mai veri gioielli e la cosa un po’ la irritava.
 
A tali pensieri, scosse la testa nervosamente. Non era il caso di rinvangare sui appuntamenti passati, non in quell’istante. Stava perlustrando la città da troppo tempo e ancora non aveva trovato Shion e quell’idiota di suo fratello, che aveva avuto perfino il coraggio di farsi ferire come un pivello!
 
“Tutta colpa di quei pirati della malora!” sbottando così rumorosamente, finì per essere guardata da alcuni passanti “La prossima volta, anziché lasciarli in fin di vita, li ammazzo tutti!”
 
Furente, aumentò la propria andatura, picchiettando con foga il tacco delle scarpe sulla strada e borbottando frasi sconclusionate. Quei maledetti le avevano pure rovinato i suoi vestiti preferiti! Non osando toccare con più profondità l’argomento, stoppò la camminata, estraendo dalla tasca dei pantaloncini verdi, un piccolo foglio di carta bianco: rilassando i muscoli facciali, l’albina osservò attentamente il minuscolo oggetto muoversi nel palmo della sua mano, sino a spostarsi, con fare più tremolante, verso sinistra. Volgendo gli occhi nella medesima direzione, la ragazza assottigliò lo sguardo, placando in un sol colpo l’aggressività che l’aveva mandata su di giri fino a pochi secondi prima: la vivrecard di Shion stava puntando verso i bassifondi.
 
Bene, non è lontana.
 
Prendendo atto che la bambina non fosse lontana, l’animo di Azu si liberò di un grosso peso.
Nonostante fosse ancora piccola, Shion era una bambina piuttosto indipendente, a differenza di molti suoi coetanei. Non che i genitori la trascurassero, ma il suo voler agire anche a costo di sembrare più cocciuta del solito, era sufficiente da farle prendere ogni genere di iniziativa, senza che qualcuno le dicesse cosa fare. Si trattava di capacità ancora acerbe, data la sua tenera età, mosse per lo più dalla curiosità e dalla voglia di fare, ma molto ben avviate per una bambina che, vista la famiglia, sarebbe potuta anche passare per una rampolla capricciosa e viziata. Capacità a cui Azu aveva sempre attribuito una gran fiducia, la stessa che Shion, puntualmente, non mancava mai di farle sentire. Tuttavia, benchè fra loro ci fosse questo meraviglioso rapporto, basato su tanti di quei elementi che avrebbero fatto invidia a chiunque, niente poteva cancellare la preoccupazione che, in quel momento, stava ossessionando la ragazza dai capelli argentati: dopotutto, era la sua guardia del corpo ed era suo compito proteggerla da chiunque volesse farle del male. Cosa che Lars aveva fatto egregiamente, usando il suo corpo come scudo.
 
Spero almeno che non si sia fatto troppo male, quello scemo!
 
Lasciando momentaneamente da parte i possibili rimproveri che avrebbe scaricato senza troppi problemi sulle spalle del fratello, la ragazza balzò sul tetto più vicino e iniziò a correre verso la zona bassa di Hanbai, con la speranza di trovare la piccola il più velocemente possibile.




“Da questa parte! Ci siamo quasi!”
 
La strada in discesa si era fatta misteriosamente ripida e scivolosa, come se qualcuno l’avesse cosparsa d'olio. Shion correva a perdifiato, seguita a ruota dai nuovi amici, senza preoccuparsi di rallentare. I muscoli delle sue gambe e dei polpacci, erano talmente tesi da essere diventati duri quanto il marmo, infuocati a sufficienza, da farle percepire un consistente bruciore. Sebbene indossasse dei vestiti leggeri, il corpo della bambina era agitatissimo, lo specchio perfetto del suo animo ingarbugliato, ma ciò non le importava: aveva come il presentimento che, a breve, sarebbe successo qualcosa.
Non sapeva spiegarselo, ma come aveva convinto i ragazzi a venire con lei, una sorta di nodo inestricabile aveva iniziato a darle fastidio a livello del torace. Immediatamente, il viso di Lars si era fatto strada nella sua mente, con la stessa velocità di un lampo e, fra secondi interminabili e ansie crescenti, aveva compreso di dover tornare subito da lui. Sentiva che era in pericolo e più quella sensazione cresceva, più i suoi occhi azzurri si inumidivano.
 
Che quei pirati li avessero seguiti? Se fosse stato così…..
 
No! Sono sicura che Azu-chan li ha sconfitti! Pensò nel serrare ermeticamente le palpebre.
 
Che fossero in cento o in mille, nessun pirata o marine poteva competere con Azu quando si arrabbiava. L’averla vista più volte in azione - che si trattasse di un allenamento o di un vero e proprio combattimento-, aveva consentito alla certezza di far evaporare ogni forma di preoccupazione nei confronti della ragazza, ma il suo cuore di bambina, non le permetteva di guardare in faccia uno scontro reale, senza una nota di timore ad appesantirle l’animo. Anche in quel preciso frangente, il muscolo cardiaco batteva all’impazzata, esattamente quanto quello di un topolino pietrificato davanti a un gatto desideroso di papparselo: indubbiamente, se Azu fosse stata lì, non si sarebbe sentita tanto schiacciata dalla paura, ma, essendo sola, l’unica scelta che le rimaneva, era correre con tutte le sue forze verso quella locanda dove aveva lasciato Lars, con tanto di ferite tamponate provvisoriamente con una camicia scura.
 
“Ecco, ci siamo!!” esclamò, nel riconoscere la zona.
 
La frequenza dei loro passi aumentò non appena la piccola diede quell’annuncio.
Rufy l’affiancò subito, cercando di capire quale fosse la locanda menzionata. I muri sporchi e i tetti mezzi sfasciati si assomigliavano tutti, salvo qualche eccezione che, tuttavia, non si allontanava troppo dalla condizione di disgustosa miseria che caratterizzava quella zona della cittadella. Decisamente un mondo diverso da quello lindo e colorato da cui si erano appena allontanati.
 
Nello svoltare l’ultima curva, la bambina indicò un’abitazione incastrata fra altre due, appena più alte d’essa, con finestre strette e un porta piuttosto malandata. Fu sul punto di dire qualcosa, quando, improvvisamente, un botto assordante spaccò il muro della locanda, gettando macerie ovunque.
 
“Whaah! Ma che…!”
 
Fermatisi bruscamente, i quattro videro un agglomerato di polvere coprire il punto esatto dell’esplosione. Il muro si era come gonfiato dall’interno, per poi esplodere come un palloncino, disintegrandosi senza fatica e sollecitando le grida dell’oste, che subito si fecero sentire.
 
“Accidenti, che botto!” esclamò Rufy, sistemandosi il cappello di paglia, cadutogli sulle spalle per via della frenata.
“Sembra che l’esplosione sia partita dall’interno”, constatò Robin.
 
Anche aguzzando la vista, la polvere impediva a chiunque di vedere cosa fosse successo esattamente, ma la fortuna di avere una renna con un olfatto sopraffino nella propria ciurma, era un vantaggio che poteva tornare molto utile, in occasioni come quelle. Senza aspettare un solo secondo di più, Chopper mosse il piccolo nasino blu, annusando l’aria con minuziosità e scartando l’odore fastidioso della polvere, col fine di trovare quel che si nascondeva dietro ad esso. Anche a distanze considerevoli, il suo olfatto era comunque in grado di percepire la presenza delle persone e quante fossero. Come in passato, non gli fu difficile verificare se nei dintorni ci fosse qualcuno, ma come individuò un odore ben più pungente rispetto ai altri, alzò la testolina verso i suoi compagni, piuttosto allarmato. Seppur al momento fosse molto lieve, l’aveva riconosciuto all’istante.
 
“Chopper, che cosa senti?” gli domandò l’archeologa.
“Sniff, sniff….ci sono tre persone”, rispose lui, continuando ad annusare “Però, non so come, una sembra essere sparita.”
“Sparita?”
“Si, e….” si fermò un attimo, annusando con più attenzione. L’odore pungente era nuovamente comparso e, da semplice scia sfuggente, era divenuto più consistente, inspessendo così il sospetto del dottore “Ecco, adesso lo sento bene: c’è odore di sangue!” confermò.
 
Alla parola “Sangue”, gli occhi di Shion si allargarono per il terrore.
Il cuore mancò dolorosamente un battito, creando una mastodontica voragine, che subito si riempì di puro panico. Pareva che la sua piccola speranza si fosse appena frantumata a terra, ma con un rumore più sottile e cristallino del solito, completamente diverso da quello violento e rombante dell’esplosione appena udita. Alla fine, il brutto sentimento che l’aveva assillata fino a quel momento, aveva deciso di rivelarsi per quello che era: un pericolo abbastanza grande da intimorirla a tal punto, da paralizzarla fisicamente. Sapeva perfettamente quale fosse la stanza dove aveva lasciato Lars a riposare, lo sapeva perché, delle quattro stanze che avevano la finestra affacciata sulla strada, lei aveva preso quella in alto a destra. Non appena aveva svoltato il vicolo con i suoi nuovi amici, l’aveva subito individuata e lì, si era sentita rincuorata, nel constatare che tutto fosse ancora perfettamente normale. Ma il suo sollievo si era dissolto senza neppure avere il tempo di aggrapparvisi: l’esplosione aveva distrutto la finestrella, insieme a tutto quello che la circondava. Le voci di Rufy e dei altri avevano smesso di raggiungerla, a malapena riusciva ad udirle, talmente erano ovattate. Eppure..la parola “Sangue”, chissà perché, l’aveva sentita perfettamente.
 
“Lars…..Lars!”
 
Urlò il nome dell’amico con voce acuta, riprendendo possesso del suo corpo e decisa a correre verso la locanda con tutta l’intenzione di scoprire che cosa gli fosse successo, ma come si vide sfrecciare davanti a sè l’ombra azzurra e rossa di Cappello di Paglia, si fermò subito.
 
“Rufy?”
“Shion, resta con Robin e Chopper. Vado a vedere io.”
 
Fu un ordine serio e conciso, quello del ragazzo di gomma, del tutto inusuale, se si considerava il carattere vispo e la personalità ingenua rasentante l’idiozia, ma chi aveva avuto il privilegio di conoscere Monkey D. Rufy, poteva tranquillamente affermare che quel ragazzo, era tutto fuorché normale. In fondo, un semplice essere umano non sarebbe mai stato in grado di guadagnare una taglia di quattrocento milioni di Berry, senza aver fatto qualcosa di assolutamente fuori dal comune. Il carattere di Rufy era troppo dinamico perché si potesse controllare o addirittura modificare: se decideva di fare una cosa, la faceva senza il benché minimo ripensamento e questo suo modo fare, molte volte, aveva portato una considerevole valanga di guai ai suoi compagni, anche se alla fine, erano sempre riusciti a cavarsela egregiamente. Anche in quel frangente, se qualcuno gli avesse espressamente ordinato di fermarsi, lui non ci avrebbe badato: conosceva quella bambina di nome Shion da nemmeno un’ora e già era pronto ad aiutarla a salvare un suo amico. Solo lui poteva comportarsi in quella maniera.
 
Avanzando rapidamente, superò le macerie, i detriti, e anche una strana figura che si rivelò poi essere un pirata svenuto, con il sangue che gli usciva dalla bocca e gli occhi rivoltati dall’insù. Senza neppure chiedersi cosa ci facesse lì, allungò le braccia sino ad afferrare con le mani i bordi del buco creatosi, per poi lanciarsi dentro la stanza, incurante sul cosa ci fosse dentro.
 
“Ehilà? C’è nessuno qui?”
 
La stanza era nel caos più completo. Pareva essere stata ribaltata come un calzino e tutto lasciava presagire che li si fosse appena svolto uno scontro. La porta oscillava pigramente a destra e a sinistra grazie all’unico cardine che ancora la ancorava al muro, il solo armadio presente, era stato ridotto ad un ammasso di legname, nemmeno buono da riciclare come legna da ardere. Che dire poi dei muri: sembravano sul punto di ripiegarsi, tanto erano molli. Rimanendo sul ciglio dell’entrata, Rufy fece scorrere i propri occhi un po’ dappertutto, finché, non dischiuse la bocca in un espressione di puro ebetismo, nel vedere qualcosa che prima era occultato dalla polvere, la quale, finalmente, si stava degnando di sparire. Come aveva messo piede in quella stanza, la sua pelle di gomma era stata solleticata da un gelo tipico delle terre invernali, come se all’interno di quel piccolo spazio, la temperature si fosse abbassata senza preavviso. Non si trattava di semplici spifferi, ma di una presenza che si era instaurata lì dentro senza alcuna fatica e che aveva fatto rizzare i capelli a Rufy, tanto era gelida. Che si trovasse ancora lì o nelle vicinanze, niente aveva comunque impedito al pirata di accorgersi di quella stranezza appena emersa dal polverone: dopo aver mosso qualche passo, si fermò davanti a una statua di ghiaccio, che quasi arrivava a sfiorare il soffitto. Le sue pareti erano lisce e bagnate, fredde quanto bastava per ghiacciare il palmo di una mano con un semplice sfioramento, di un colore cristallino, simile in tutto e per tutto all’azzurro. I piccoli sbuffi biancastri che emergevano da essa, erano ben visibili all’occhio umano, così come lo era il pirata imprigionato al suo interno, completamente immobilizzato e con tanto di braccio armato di spada, alzato in aria.
 
“Accipicchia!” esclamò con occhi luccicanti “Che forza!”
 
Prese a toccare il blocco di ghiaccio da ogni angolazione, come a volerci trovare qualcosa di nuovo, sparando i suoi soliti commenti che, puntualmente, non mancavano di farsi sentire davanti a qualcosa che fosse estraneo al suo cervello. Fu nel sentire un flebile tintinnio proveniente alle sue spalle, che Rufy si gettò in un angolo della stanza, prima di essere investito da quello che era un fendente di spada. Il blocco di ghiaccio contenente il pirata, venne sbalzato via e lanciato nel corridoio senza alcuna fatica, dove si schiantò rumorosamente contro qualcosa che, inevitabilmente, andò in frantumi. Cappello di Paglia si issò immediatamente in piedi, vedendo che la porta e il muro che la circondava, erano stati completamente tagliati a meta, insieme a un quarto del pavimento. Se non fosse stato tanto veloce a spostarsi, pure lui, a quest’ora, sarebbe stato diviso in due.
 
“Fiuuu….ci è mancato poco”, sospirò sollevato, nel ripulire dalla polvere il prezioso tesoro prestatogli da Shanks.
“Già, ci è mancato veramente poco.”
 
Chiunque, nell’udire una voce sconosciuta, sarebbe sobbalzato, visto che fino a quel momento, l’assoluta certezza di essere soli, li aveva protetti ermeticamente. Era impossibile che qualcuno potesse essere sopravvissuto al mini tornado scatenatosi in quella stanza, rimasta in piedi per puro miracolo. Eppure, pareva proprio che lì ci fosse qualcun altro oltre a Rufy, un qualcun altro che, sicuramente, era l’artefice del fendente scagliato e che, con maestria impeccabile, aveva celato la propria presenza. Nonostante quella sorpresa, l’espressione del ragazzo di gomma rimase impassibile: la voce appena udita, indubbiamente maschile, stanca e strascicata, come se il proprietario facesse fatica a stare in piedi, era vicinissima a lui, alle sue spalle. Come posò lo sguardo sull’unico angolo della stanza rimasto fuori dalla sua visuale, Cappello di Paglia vide chiaramente che in esso c’era un letto, incredibilmente intatto.
 
Seduto su di esso, vi stava un ragazzo, con le gambe larghe e i gomiti appoggiati alle ginocchia, di modo tale che uno degli avambracci penzolasse nel vuoto. Il secondo arto era allungato in avanti, con le dita ben strette attorno ad un’impugnatura di spada finemente intarsiata, di un color grigio scurissimo e incatenata da un collana di perline violacee, partente dal pomo. I minuscoli disegni presenti, creati per abbellire la parte superiore dell’arma, rappresentavano dei sottili  fili d’erba, che si intrecciavano fra di loro con piccole foglioline, arrivando a coprire anche l’elsa, le cui punte arricciate – una rivolta in basso e una verso l’alto – imprigionavano due perline azzurre.
Il busto e la testa del giovane ciondolavano in avanti con fare stanco, come privi di sostegno. Una zazzera scalata e scompigliata di capelli argentati copriva parzialmente il viso del ragazzo, lasciando scoperta soltanto la bocca, leggermente piegata all’ingiù. Era affaticato, lo si vedeva bene: il tonico torace, si alzava e si abbassava ritmicamente, seguito da tutto il corpo, coperto da una leggera patina di sudore che ne metteva in risalto il pallido color roseo. I muscoli delle braccia erano così rigidi, che le venature quasi gli uscivano dalla pelle, tanto erano visibili. Per Rufy, non fu difficile individuare la causa di tutta quella spossatezza: attorno al suo fianco sinistro, era stata legata una camicia, che ora riluceva del sangue che aveva assorbito voracemente. Era difficile affermare con certezza quanto la ferita fosse profonda, ma il ragazzo non pareva risentire del dolore: sembrava più seccato per l’essere stato disturbato, che per il dolore che questa gli stava provocando.
 
“Ero convinto che di scocciatori ce ne fossero soltanto due”, proferì questo, tenendo sempre il capo ben abbassato “Come al solito, quella testona Azu non presta mai attenzione a ciò che fa..”, continuò.
“Eh?” Rufy non capì a chi si stesse riferendo e lo guardò con fare enigmatico.
 
Quel tipo sembrava sul punto di svenire, ma una vocina interiore lo esortò a non dare troppa fiducia a tale convinzione. Nonostante il pericolo esercitasse un certo fascino in persone che non vedevano l’ora di buttarsi a capofitto in quella che poteva essere un’avventura con i fiocchi, il pirata percepì nella voce di quello sconosciuto, qualcosa per cui valesse la pena calcare il cappello di paglia in testa sufficientemente perché gli occhi assumessero una sfumatura quasi scura. Quel piccolo gesto, venne interpretato dal secondo come un chiaro consenso e, nello stringere con più foga l’impugnatura della propria arma, sollevò il viso quanto bastava per scoprire gli occhi: due minuscoli pezzi di ghiaccio, socchiusi e animati da un magnetico luccichio.
 
“Bene”, disse con voce debole ma decisa “Vediamo di farti raggiungere i tuoi compagni.”




Quando la tensione schizzava alle stelle, il silenzio diveniva forse una delle cose più odiabili che potessero esserci. Era una sorte di quiete prima della tempesta, l’ultimo spicchio di sole prima del grande buio. Decisamente un momento che soleva dilungarsi troppo per chi invece, preferiva che si arrivasse subito al dunque. Durante quei minuti interminabili, le orecchie di Chopper erano sempre rimaste ben alzate, insieme al naso, pronto a cogliere ogni singola novità di quell’ambiente malmesso. Accanto a lui, Nico Robin confortava Shion, tenendola dolcemente per le spalle e rassicurandola con occhi materni. Non faceva che guardare lei e la locanda – o quel che ne rimaneva-, senza mai fermare la testa.
 
“Vedrai che il tuo amico sta bene. A modo suo, il nostro capitano sa quello che fa”, le disse nel leggere un ulteriore nota di preoccupazione nel viso della piccola.
 
La bambina avrebbe voluto rispondere, ma riuscì solo ad annuire e a volgere immediatamente la testolina verso l’edificio. Teneva le manine congiunte strette in petto, come a voler placare il potenziale spavento che, sicuramente, le sarebbe piombato addosso, non appena quella situazione di stallo fosse degenerata. Lo sentiva eminente, ma, nonostante ciò, sobbalzò violentemente nel vedere in prima persona il muro della locanda esplodere una seconda volta.
Il locandiere e quei pochi clienti che erano rimasti dentro, fuggirono via, senza neppure curarsi di sapere chi stesse facendo tutto quel casino, ma la piccola Shion aveva già intuito chi ne fosse la causa, almeno in parte: quel bagliore azzurrognolo, appena visibile dietro la coltre di polvere appena sollevatasi….. non poteva che appartenere a Saphira, la spada di Lars. Le sue emissioni possedevano un fascino e una potenza che, col tempo, era riuscita a contraddistinguere da qualunque altro colpo assomigliante, ma, seppur le avesse viste varie volte, l’incanto che quell’arma produceva, sapeva sempre come intrappolarle l’animo in uno stato di piena e profonda contemplazione. Tutto il suo corpo andava a intorpidirsi, come privato della sua massa, rinchiuso in una dimensione sospensoria, dipendente in una maniera totalmente assurda da quello spettacolo di luci e fendenti, rapidi quanto il vento. Ancora una volta, il suo potere di avvolgere ogni cosa, polvere compresa, e di imprigionarla così in una bara di ghiaccio, stava perfettamente funzionando su di lei, ora completamente immobile, nel mentre osservava coi suoi occhietti azzurri quei bagliori farsi più concreti, riempiendosi di sfumature cristalline e scintille biancastre. Combattevano e respingevano delle insolite fruste elastiche color pelle, che non erano altro che le braccia di Rufy, costretto a rispondere agli attacchi.
 
“Rufy!” il grido di Chopper si disperse in mezzo ai rombi che si agitavano a poca distanza da loro.
“Si direbbe che ci sia qualcuno con lui.”
 
Seppur la visuale non fosse delle più nitide, Nico Robin aguzzò la vista per poter osservare con più attenzione l’avversario del capitano.
Era un ragazzo alto, con un fisico asciutto e proporzionatamente ben scolpito. Le linee sottili del suo corpo scendevano verso un paio di jeans larghi e scuri, con l’orlo infilato dentro a dei scarponi neri aperti. Salvo una camicia stretta in vita, il busto era completamente scoperto, così come le spalle, sopra cui pareva tener appoggiato un oggetto dall’aspetto pesante. Come l’ultimo straccio di polvere si dissolse, la Bambina Diabolica colse la natura del misterioso oggetto con apparente passività, tipica del suo carattere tranquillo, ma nel far scorrere i suoi occhi azzurri su tutta la lunghezza d’esso, aggrottò le sopracciglia con fare guardingo: la spada di quel ragazzo – perché era una spada –, possedeva una lama che non poteva, in alcuna maniera, essere stata forgiata con del comune metallo. Di forma identica a quella di una sciabola, ma molto più grande, era di un azzurro intenso, lucente, quasi fosse bagnata. Identica in tutto e per tutto al ghiaccio. Emanava vapori freddi, visibili all’occhi umano, che si disperdevano in ogni direzione; la scanalatura era bianca, con insolite ramificazioni corte, che davano l’impressione che l’arma fosse viva, proprio come un cuore pulsante. Per quanti libri avesse sfogliato e per quante informazioni avesse immagazzinato nei suoi lunghi anni di studio, l’ultima archeologa di Ohara si ritrovò spiazzata davanti a quell’arma: le rifiniture sull’elsa, le decorazioni, il taglio della lama… nessuno di quei particolari le era noto, ogni centimetro di quella spada rappresentava un’incognita in districabile.
 
“Rufy, fa attenzione! Quella spada è pericolosa!” lo avvisò Chopper.
 
Come a voler concretizzare la sola certezza della compagna e senza sprecare ulteriore tempo, il Tenero Peluche avvertì il capitano del rischio che stava correndo. L’istinto animalesco gli consentiva di percepire con più sensibilità qualsiasi cambiamento circostante e il pericolo era uno di questi. Chopper se ne era sempre avvalso, in qualunque situazione potesse tornargli utile: bastava un minuscolo cambiamento nell’aria per fargli rizzare le orecchie, un niente per rompere l’equilibrio dell’ambiente circostante e dunque sollecitarlo a guardarsi intorno. Era sbigottito, con i zoccoli delle zampe ben calcati a terra, ma, a incutergli timore, non era quel ragazzo che ora si stava apprestando a scostare i propri capelli dal viso, bensì l’arma che reggeva con una facilità sulla spalla. La lama tagliente e bagnata riluceva come a voler dimostrare ai nuovi arrivati ,che con lei non si scherzava e che chiunque avesse provato a contestare le sue capacità, ne avrebbe pagato le conseguenze.

Cappello di Paglia, dal canto suo, era già ben conscio che quella spada azzurra, oltre a essere incredibilmente figa, fosse molto pericolosa. La manica destra della sua camicia rossa era stata tagliata e c’era mancato pochissimo che perdesse il braccio. Squadrò il suo avversario senza dimostrarsi arrabbiato o innervosito per quell’attacco fulmineo, ma lasciando che le gambe non perdessero la giusta elasticità, per un ulteriore scatto: seppur quel tipo non gli sembrasse cattivo, evidentemente ai suoi occhi, lui doveva esserlo. E a giudicare dall’ulteriore sguardo affilato che gli aveva appena lanciato, le cose stavano per peggiorare.
 
“Sei veloce, Cappello di Paglia”, mormorò quest’ultimo “Quasi non ti avevo riconosciuto. Questo mal di testa mi sta uccidendo…”
 
Nel passarsi una mano sul viso, tirò all’indietro i capelli ricadutigli in avanti, mostrando definitivamente il suo viso ai presenti. A incorniciare i due occhi blu ghiaccio, vi erano dei lineamenti pressoché perfetti, sottili, ma, al tempo stesso, marcati sugli zigomi, come a voler mettere in risalto ogni sua espressione mascolina. Le ciocche argentee sfioravano con delicatezza la pelle chiara delle guance, solcate da alcune perline di sudore che, nel loro discendere, delineavano i contorni e le linee del collo. Nico Robin e Chopper, da lontano, non potevano scorgere tutti quei particolari, così come non potevano immaginare cos’altro ci fosse. Shion non aveva certo bisogno di avvicinarsi per conoscere ciò che già aveva appreso tempo addietro: lei ormai ci si era abituata, tutte le sue domande avevano ricevuto una risposta che non implicasse ulteriore approfondimenti, almeno in quelle consentite, eppure, ogni tanto….le capitava di guardare il viso di Lars con una piccola nota di dolore.
 
E a scatenare tale sentimento, era quell’enorme cicatrice che squarciava il viso del suo amico. La ferita era diagonale, partiva poco più in basso dell’angolo destro della bocca, aprendosi nella risalita e tagliando così lo spazio che divideva gli occhi, per poi terminare sul lato sinistro della fronte. La pelle lì era rovinata, di un colore scuro e i ciuffi argentei la coprivano solo in parte. Le ragazze che spesso si avvicinavano a Lars, vedevano nella sua ferita qualcosa di irresistibilmente affascinante, un che di magnetico e provocante, come le diceva sempre Azu, ma lei, oltre a ciò, spesso ci scorgeva anche un frammento dell’anima dell’amico, quella particina di sé che ancora non era riuscita a svelare completamente. Era piccola, decisamente troppo per pretendere di sapere tutto, ma il non conoscere completamente una persona a lei cara era frustrante, la rendeva triste. Ancora una volta, fu la preoccupazione a destarla, facendole notare, che la camicia utilizzata come bendaggio provvisorio, oramai, era agli sgoccioli: seppur a distanza, non era così cieca da non notare che sui pantaloni di Lars si era formata una chiazza scura alquanto sospetta e questo la inquietò moltissimo. Fortunatamente, non era la sola ad averlo notato.
 
“Se sei venuto a cercare rogne, sappi che ho già dato il benservito ai due balordi di poco fa”, riprese Lars, poggiando la punta della spada per terra “E che non ti basterà allungarti per sfuggire ai miei attacchi. Ferito o meno…..” dovette sopprimere il dolore di una fitta per continuare “Sono uno a cui non ti conviene dare le spalle.”
 
Era evidente che il dolore e la fatica stessero consumando le sue ultime energie: il colore dei suoi occhi era sbiadito, sintomo che preannunciava un possibile svenimento, ma c’era la pura verità nelle sue parole e non avrebbe permesso a niente, perfino al suo stesso fisico, di venir meno a queste.
 
“Oi! Guarda che io non voglio mica combattere con te!” esclamò Rufy, raddrizzandosi “Sono qui per cercare un persona.”
 
Un Lars in piena forma, non sanguinante, e con tutti i sensi ben svegli, non avrebbe mai estratto dal fodero la sua preziosissima Saphira, senza prima aver compreso la ragione della situazione e tutto ciò che essa comportava. Se gli era concesso, preferiva non utilizzare la sua arma per futili ragioni: in fondo, il corpo a corpo era una lotta che non gli dispiaceva, ma, d’altro canto, essendosi allenato per diventare uno spadaccino, l’utilizzare la spada era un bisogno impellente quanto l’ossigeno. Era come un richiamo, un flebile sibilo, leggero quanto il tocco di una foglia. Resistere era impossibile, ma l’albino non era una persona che cedeva così facilmente al fascino dell’arroganza e dell’orgoglio, non si sarebbe mai permesso di fare sfoggio dei propri allenamenti come fossero dei numeri da circo.
 
Improvvisamente, i suoi occhi vacillarono per qualche secondo e rischiò di perdere l’equilibrio.
 
Dannazione…così rischio di morire dissanguato.
 
I colori e le linee dell’ambiente circostante si erano come liquefatte. I giramenti di testa si fecero sempre più incisivi e la tentazione di tenersi la testa, non fu mai tanto tentatrice. Non poteva cadere così facilmente, ma non poteva neppure pretendere che combattesse senza tener conto del buco che aveva al fianco. Percepì i propri muscoli vacillare, diventare molli, e se tale afflosciamento fosse arrivato a inibirgli le braccia e le dita, sarebbe stato spacciato.
Mille pensieri gli si accavallarono nella testa, ma non ebbe il tempo per riordinarli: come le palpebre divennero più pesanti, avvertì qualcosa di strano impadronirsi del suo corpo, privandolo, in un solo colpo, della volontà che esercitava su di esso.
 
Trois Fleur!
 
In un battito di ali, senza neppure avere il tempo di rendersene conto, si ritrovò con le braccia bloccate dietro la schiena, la spada a terra e il collo circondato da quello che era un braccio umano.
 
“Ma che diavol….ugh!”
 
Come aveva cercato di liberarsi, le braccia che lo tenevano fermo, avevano iniziato a spingere, costringendolo a contorcersi in una posizione scomoda e dolorosa. Troppo indebolito, finì per cadere a terra, con un’evidente smorfia di dolore dipinta sul viso.
 
Che diavolo è successo? Queste braccia…sono spuntate dal nulla!
 
Era incredulo: un conto era l’essere bloccato da una persona, un altro venire imprigionato da delle braccia spuntate magicamente sui gomiti e sulla schiena. Se fosse stato qualcuno, poco ma sicuro, non si sarebbe lasciato sorprendere così facilmente, anche se ferito. Domandarsi il “Come” e il “Perché”, forse, sarebbe servito a fare un po’ di luce sulla situazione, ma non ci voleva certo un genio per capire che, per Lars, la priorità era rimanere calmo e non compiere movimenti bruschi: la ferita gli bruciava da matti e più tempo rimaneva esposta, più aumentava il rischio di contrarre un’infezione. Il contatto con l’asfalto non servì a farlo stare meglio, ma, perlomeno, quelle misteriose braccia erano sparite e l’essere riuscito a rimanere seduto, poteva quasi considerarsi come un punto a suo vantaggio. Benché gli occhi lo stessero letteralmente pregando di potersi chiudere, si costrinse ad alzare la testa quanto bastava, per vedere chi gli stava davanti: la sua vista incrociò Cappello di Paglia, avvicinatosi senza alcuna paura di venire tagliato in due, una donna alquanto seducente, un curioso ammasso di pelo con le corna e…..
 
“Lars!! Stai bene?!”
 
Avrebbe riconosciuto quella vocina fra mille suoni senza senso. Non gli occorreva voltarsi per esserne sicuro, ma mosse ugualmente il capo, per infine guardare quella testolina bionda dai grandi occhi azzurri, che, a stento, tratteneva le lacrime: Shion era seduta al suo fianco, con le ginocchia premute contro la strada, le manine strette attorno al suo avambraccio e il labbro affondato nei denti. Il tremore dei suoi piccoli polpastrelli rosa toccò l’animo dell’albino, che non potè fare a meno di dischiudere le labbra in un sorriso rassicurante: quella bambina era tanto esuberante quanto sensibile, un cucciolo appena nato, che cercava di reggersi sulle proprie zampe senza l’aiuto di nessuno, ma comunque bisognoso delle dovute attenzioni, per crescere adeguatamente. Decisamente una creaturina adorabile, specie quando sorrideva o gonfiava le guance con fare indispettito. Non si meravigliò nel vedere dei grossi lacrimoni rigarle la pelle di quest’ultime: doveva essersi spaventata non poco per quello che era capitato, ragione per la quale, provò un forte senso di colpa nei confronti della sua protetta. Era pur sempre una bambina, ancora molto piccola per quelle responsabilità tipiche degli adulti e, per quanto cercasse di non dare a vedere la sua immensa preoccupazione, il suo corpo la tradiva in ogni suo gesto.
 
“Ehi, piccolina…..cominciavo a temere che non saresti più tornata”, mormorò, sorridendo.
“Mi…Mi dispiace, ma non sapevo cosa fare!” esclamò lei, piangendo “Nessun dottore voleva venire qua, avevano tutti da fare, e….e i-io….sigh….”
“Calmati, va tutto bene”, la rassicurò il ragazzo, accarezzandole la testolina “ Sei stata bravissima.”
 
Per qualche istante, il ricordo di Shion e della sua ricerca di un dottore, si era volatilizzato dietro una grossa e densa nube di fumo bianco. La spossatezza fisica e mentale, lo stavano trascinando in un baratro senza fondo e a malapena riusciva a stare in piedi sul ciglio. Ragionamenti, pensieri, immagini…tutto si stava ammucchiando o rompendo, senza che lui lo volesse realmente. Stavolta, non potè fare a meno di immergere la testa nei palmi delle mani e chiudere gli occhi, beandosi di quel poco sollievo sortito. Stoppò la mente, scordando quanto aveva presente in quel momento e rilassò i muscoli, espirando pesantemente nel mentre delle voci ovattate lo raggiungevano a fatica.
 
“Allora, Shion, è questo il tuo amico?” domandò Rufy.
“Si, è Lars”, confermò la piccola, scuotendo il capo vigorosamente “Non so perché ti abbia attaccato, ma ti assicuro che è una bravissima persona! Non farebbe del male nemmeno a una mosca!”
“Probabilmente deve aver scambiato Rufy per un complice di quel pirata”, ipotizzò la corvina, lanciando una veloce occhiata al farabutto poco distante da loro. “Un errore del tutto giustificabile, considerando il fatto che quello deve aver tentato di finirlo nel sonno.”
 
Se ne avesse avuto la possibilità, Lars avrebbe appoggiato la teoria di quella donna senza battere ciglio. Non era stato difficile per quel farabutto immaginare dove le sue prede si fossero andate a nascondere: Hanbai era l’isola più vicina della zona e, una volta chieste le dovute indicazioni, scoprire il necessario, era risultato più facile che forzare una cassaforte. Shion non aveva minimamente sospettato o pensato di essere stata seguita, ma, ormai, il problema non gravava più sulle loro esistenze, almeno quello: ora l’importante, era portare Lars in un luogo tranquillo e sicuro, dove potesse essere curato a dovere. Peccato soltanto, che Azu non si fosse fatta ancora sentire.
 
Azu-chan…dove sei?
 
Se prima non aveva nutrito alcun dubbio sull’incolumità dell’amica, ora il cuore della piccolina, stava iniziando nuovamente a battere con più insistenza. Nonostante si fosse ripetuta non poche volte che, per mettere i piedi in testa a una come lei, sarebbe servita la Marina intera, quella certezza che aveva di lei, stava venendo spintonata da dubbi maligni.
 
Inoltre Lars, seppur si stesse sforzando di non perdere definitivamente i sensi, non riusciva più a seguire il filo del discorso instaurato. La sua testa oscillava come fosse il pendolo di un orologio e tutto ciò che lo circondava, si era ridotto a una monotona spirale, che gli stava facendo venire la nausea. Tale era lo stordimento, che non percepiva neppure gli zoccoli di Chopper su di sé, seppur questi fossero freddi e gli avessero srotolato la camicia dal fianco.
 
“Allora, Chopper? Cosa ci dici?” domandò Robin.
“Uhm….la ferita non è profonda, ma si è allargata sui lati”, rispose la renna, con lo sguardo fisso sul buco, nel mentre, coi batuffoli di cotone, lo puliva “Non credo ci siano pericoli di infezione, ma ha perso molto sangue: devo portarlo subito in ambulatorio prima che peggiori.”
“Bene, allora è deciso”, decretò Rufy, nel guardare la piccola “Tu e il tuo amico Lars verrete con noi.”
“Eh? Ma, io……”
“Uh? Che c’è? Qual’ è il problema?”
 
Con fare titubante, Shion si fermò, abbassando lo sguardo. Se da una parte era contenta di spostarsi in un luogo più sicuro, dall’altra, sapeva di non potersi allontanare troppo.
Quel particolare le era sfuggito di mente e il ricordarsene, minò la sua sicurezza in un sol colpo. Come avrebbe fatto Azu a trovarla? Anche se quest’ultima avesse deciso di rovesciare l’intera isola, di certo non sarebbe arrivata a pensare che, fra tutte le persone a cui poteva chiedere, si fosse rivolta a dei pirati. Neanche a volerlo, si trovò a dover fare i conti con un nuovo bivio; era lampante che Lars necessitasse di cure, ma era altrettanto vero, che lei non poteva allontanarsi troppo, nel caso Azu fosse arrivata. Tra un colpo e l’altro, nonostante i botti fossero assordanti e gli spari costanti, la ragazza si era raccomandata di trovare un posto vicino al porto e se ora lei fosse andata addirittura dall’altra parte dell’isola……..
 
Non posso allontanarmi…Azu-chan mi ha detto di rimanere nelle vicinanze. Ma, Lars…..
 
L’indecisione le bloccò le parole all’altezza della gola, facendola tremare. Si chiese cosa potesse fare, in che modo potesse agire, se ci fosse una qualche alternativa, ma era evidente che non poteva prendere una cosa, senza prima rinunciarne ad un’altra. Per l’ingiustizia, strinse i pugni, corrucciando le labbra, come a voler trattenere un urlo. Se solo fosse riuscita a spiegarsi…
 
“Deve forse arrivare quella tua amica di nome Azu?” le domandò improvvisamente Robin, inginocchiandosi vicino a lei.
“Eh?”
“La tua amica Azu”, ripetè la donna, inclinando la testa “ Poco prima di venire qui, l’hai citata. Era con voi?”
 
Se non si fosse subito destata, Shion sarebbe rimasta con la bocca spalancata per un lasso di tempo indeterminato. Non ricordava di aver pronunciato il nome dell’amica, ma se l'archeologa glielo aveva appena detto, evidentemente doveva averlo fatto senza accorgersene. Come per magia, il blocco che aveva in gola scomparì, insieme a un piccolo pezzo di quel peso che le opprimeva l’ingenuo animo e questo la fece sentire meglio. Tuttavia, il sentire pronunciare il nome dell’albina, le fece tornare in mente ciò che esso comportava e la ragione per cui le sue gambe, non si erano ancora decise a muoversi.
 
“Io…le ho promesso che sarei rimasta vicina al porto”, spiegò “Se mi allontano, lei non riuscirà a trovarmi.”
“Ora è tutto chiaro.”
“Shion, ma chi è questa Azu?” domandò poi Chopper, finendo di disinfettare col cotone la ferita di Lars.
“E’ vero. Non ce l’hai ancora detto”, si aggiunse Rufy.
“Beh, come dire, Azu-chan è…”
 
Nell’alzare lo sguardo verso il cielo, in quel veloce attimo di raccoglimento, qualcosa catturò la sua attenzione. Immediatamente, anche Rufy, Chopper e Nico Robin posarono i loro occhi verso l’alto. L’immenso mare azzurro che stava sopra le loro teste e i tetti della parte bassa di Hanbai, era solcato da soffici nuvole color panna, che sguazzavano con fare insonnolito, nel mentre il sole si divertiva ogni tanto a sparire dietro ad esse. Si poteva perfino udire il flebile fischio del vento che si infilava fra le strette vie, sollevando qualche panno appeso. Sarebbe stato tutto perfettamente normale se, nel mezzo di quel cielo limpido, non ci fosse stato quel singolare puntino nero urlante.
 
“Ma che cos’è?” domandò la renna, muovendo le sue orecchie.
“Punta dritto su di noi”, mormorò Robin.
“Non sembra un cosciotto di carne”, borbottò Rufy, con faccia delusa.
“E’ arrivata….”, biascicò Lars, mezzo moribondo.
 
Guardarono l’albino, cercando di capire di che cosa stesse parlando, ma quello non si mosse o aggiunse altro. Il puntino nero si fece più grande, incurvandosi e assumendo una forma assomigliante al corpo umano, con strane urla ad accompagnarlo. Era ancora difficile capire cosa fosse, benché questo si stesse avvicinando ad una velocità inaudita: assottigliare lo sguardo era completamente inutile. Soltanto quando l’eco divenne più chiaro, Shion inclinò la testa, spalancò gli occhioni e indicò con l’indice il puntino urlante.
 
“Ma quella è….!”
“IMMMMMMBECIIIILLLLLEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!”
 
SBADABADAM!!
 
Ci fu un botto. Un esplosione tanto potente da distruggere la strada e spazzare via i presenti, assieme al polverone sollevatosi. Esclusa Nico Robin e Shion – aggrappatasi alla donna -, Rufy e Chopper finirono a gambe all’aria, insieme alle macerie. Le finestre degli edifici si ruppero in mille pezzi, le tegole di qualche tetto finirono per essere scaraventate in aria e la strada si ripiegò su sé stessa come fosse stoffa. Era stato tutto molto rapido, dinamico, abbastanza da portare alla totale distruzione l’intera parte bassa di Hanbai. Un terremoto non avrebbe potuto reggere il confronto con la furia distruttiva che era piombata dal cielo, ma nessuno avrebbe mai creduto che, a combinare un tale disastro, fosse stata una ragazza. Nessuno tranne il povero Lars…..
 
Se a quel mondo esisteva una persona che conosceva sotto ogni aspetto quella iena scatenata che, con la forza di un pugno, aveva disfatto mezza isola, quella era proprio lui.
 
“Eccoti qua, dannato idiota….”, sibilò Azu, avanzando a grandi passi verso il malcapitato, avente ancora la faccia spiaccicata nel terreno.
 
La sua voce femminile si era irrobustita per la rabbia, arrivando quasi a ruggire, enfatizzando le nervature pulsanti sulle tempie e sui vari muscoli delle braccia. Quando l’irascibilità della ragazza prendeva il sopravvento – il che avveniva molto spesso -, i tratti estetici che la identificavano come una graziosa fanciulla sparivano all’istante, ingrossandosi o cambiando radicalmente forma, il che rappresentava un serio pericolo per chi si trovava a stretto contatto e Lars lo sapeva meglio di chiunque altro…..
 
Chi mai avrebbe potuto conoscere Azu in tutte le sue isterie, se non il suo caro e “Adorato” fratello maggiore?
 
Con un grosso e fumante bernoccolo in testa – degno regalo della suddetta -, l’albino, ancora steso a terra, udì perfettamente i tacchi a spillo della parente farsi più acuti e frenetici. Quando poi essi si stopparono, avvertì tutto sé stesso venire tirato su con malagrazia; lì, la testa gli vorticò tre o quattro volte, moltiplicando la faccia incavolata della sorella, pronta a spaccargli i timpani con la sua squillante voce.
 
“Sei la solita irruenta”, le disse con la testa ciondolante all’indietro “Guarda che hai combinato…”
 
Che fosse in punto di morte o meno, per qualche insano motivo, la forza di rimbeccarla, non gli mancava mai.
 
“E SAI CHE ME NE FREGA! HO PASSATO UNA NOTTE INFERNALE E TUTTO PER COLPA TUA, CHE TI SEI FATTO FERIRE COME UN FESSO DA UN PIRATUNCOLO DA STRAPAZZO!!!” urlò lei, scuotendolo.
 
Dai suoi occhi perlacei, fuoriuscirono saette infervorate, che resero l’aria talmente elettrica da rizzarle i capelli.
Anche se avesse decapitato tutta Hanbai, sicuramente non si sarebbe sentita soddisfatta, non fino a quando il collo del suo amabile fratellone, non le fosse finito fra le mani. Non tenne minimamente conto del fatto che questo fosse ferito e sanguinante: i suoi denti erano talmente acuminati che, se solo lui avesse pronunciato una parola di troppo, lo avrebbe ucciso a morsi. Venire attaccati di sorpresa nel bel mezzo di una attraversata non era di certo una sorpresa coi tempo che correvano, ormai era quasi un’abitudine, ma quello che a lei stento sopportava, era il fatto che si fosse dovuta accollare tutto il lavoro pesante, perché il suo partner, che, per disgrazia, era anche suo fratello, si era fatto colpire come un novellino. Erano quelli i momenti in cui la sua irascibilità si faceva più sentire: lì, il desiderio di prendere quella sua testolina e di fracassarla contro una qualsiasi superficie solida, era incontenibile. Suo fratello aveva sempre da ridire sul suo comportamento e su quanto dovesse provare a essere un pochettino meno impulsiva. Non mancava mai di farle notare qualcosa e quando succedeva, volavano vasi, mattoni e, a volte, anche soldati. I rimproveri e le frecciatine erano una delle cose che più detestava a quel mondo: non sopportava di essere rimproverata o, peggio ancora, di essere trattata come una bambina. D’accordo, ogni tanto esagerava, ma era pur sempre umana e gli esseri umani, si sa, non sono perfetti!
 
“Quanto esageri….non eri tu quella che amava essere circondata dagli uomini?” le domandò sarcasticamente il fratello, ormai ridotto a un lenzuolo, tanto era bianco.
“Non sfottere, idiota!” e lo malmenò nuovamente "Quei bastardi schifosi mi sono rimasti incollati al sedere per tutta la notte!Avrei voluto vedere te, al mio posto!!”
“Non c’è bisogno di farne una tragedia. Sei qui ora, no?”
 
SBAM!
 
Un secondo bernoccolo si unì al primo e il bel viso di Lars, finì nuovamente nella polvere.
 
“Io faccio quello che mi pare e piace, E TU NON SEI NELLA POSIZIONE DI CRITICARMI!” strillò nel scuoterlo freneticamente avanti e indietro “E’ GIA TANTO CHE NON TI STIA IMPALANDO CON LA TUA SPADA! ADESSO DIMMI DOV’E’….!!”
“Azu-chan!”
 
Sentitasi chiamare, l’albina si fermò di colpo. La rabbia circolante nel sangue venne congelata e il torace di lei smise di alzarsi e abbassarsi ritmicamente, lasciando così che il viso riassumesse i suoi delicati contorni. Fu un cambiamento repentino e tempestivo, soprattutto per Lars, ancora ancorato a lei, ma, almeno, non più in pericolo di vita. Mollando la presa sul fratello – che cadde a terra come un sasso-, Azu si raddrizzò e posò gli occhi al di fuori del cratere creato: in mezzo alla confusione, vide colei che stava cercando.
 
“Shion! Stai bene, men…..ma chi sono quelli?”
 
Rimessisi in piedi, dopo essere stati sbalzati via bruscamente, Cappello di Paglia e i suoi compagni erano rimasti pietrificati nel vedere quella pazza dai capelli quasi bianchi, sballottare qua e là il ragazzo peggio di un povero e inutile straccio per pulire i pavimenti. Chopper, per la paura, si era nascosto dietro le gambe di Rufy, mentre Nico Robin, impassibile come sempre, aveva osservato la scena senza lasciar trapelare alcuna emozione dai suoi occhi azzurri. Soltanto la biondina aveva guardato il tutto con la faccia tipica di chi già sapeva come sarebbe andata: se tralasciava i vestiti corti e i tacchi, soltanto una come Azu poteva piombare giù dal cielo, colpire in testa il fratello, ridurre il quartiere peggio di un campo di battaglia e sbraitare come una forsennata, senza curarsi minimamente di tenere bassa la voce. Il suo essere indiscreta era instabile quanto il suo umore.

La felicità di Azu nell’aver ritrovato finalmente la piccina, si interruppe a metà strada non appena il suo sguardo si incrociò con quello del ragazzo col cappello di paglia: quei grandi e tondi occhi neri la stavano fissando come se fosse un’aliena e tale sensazione, raggiunse subito l’animo della ragazza, che squadrò male il tipo, storcendo la bocca e portando le mani ai fianchi.
 
“Che diavolo hai da guardare a quel modo? Non hai mai visto una ragazza?”
 
Odiava che la si guardasse con facce ebeti. Mica era una stralunata! L’avrebbe anche lasciato perdere, se non avesse notato che questo e gli altri due presenti, erano vicini alla piccola.
 
“Shion.” e tornò dalla bambina “ Mi dici chi sono questi e che ci fanno con te?”
“Loro? Sono i miei nuovi amici!” esclamò tutta contenta lei “ Lui e Rufy e questi sono i suoi compagni: Nico Robin e Chopper.”
 
Rufy? Nico Robin? Chopper? Com’è che quei nomi non le erano nuovi?
 
“Uhm….ma dov’è che li ho sentiti nominare?” si chiese nel mentre faceva tamburellare l’indice sulle labbra, con lo sguardo rivolto verso il basso.
“Sono i pirati della ciurma di Cappello di Paglia! Lui è il capitano!” rivelò la bambina, indicando Rufy.
“Ah, si, è vero”, disse l’albina nel darsi un leggero colpetto in testa “I pirati………….I PIRATI DI CHE COSA?!?!?!?”
 



Ho realizzato dei disegni di Azu e Shion grazie a delle basi su DA, spero vi piacciano!
http://ciril09.deviantart.com/#/d4881le         Shion.
http://ciril09.deviantart.com/#/d45nz9b        Azu.
  
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