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Autore: L i a r    31/08/2011    1 recensioni
“Saresti potuto morire – mormorò l’altro, con una vibrazione nella voce che faceva intendere tutta la rabbia repressa – stavi per morire e non te ne sei nemmeno reso conto.”
Per il festival dell'AU @ wolfstar ita ( http://wolfstar-ita.livejournal.com )
Genere: Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Per l'AU fest @ Wolfstar Ita
Prompt

Last second chance.









Sirius si lasciò cadere sulla sedia, sfatto, la testa che gli girava leggermente.
Erano anni che non combatteva e nonostante fosse riuscito a mantenere il ritmo dei Mangiamorte sentiva l’adrenalina scuoterlo ancora, rendendolo affannato e nervoso.
Si alzò di scatto Appellando una bottiglia di whisky e versandosi da bere; abbandonò il bicchiere sul tavolo senza nemmeno sfiorarlo con le labbra e si affacciò alla finestra, perlustrando la stradina buia e deserta, col cielo che andava pian piano schiarendosi.
Chiuse gli occhi inspirando: in quello stesso istante una decina di Mangiamorte – tra cui la carissima Bellatrix - stavano per essere trascinati ad Azkaban; fu scosso involontariamente da un brivido e desiderò, per un attimo, di trasformarsi in cane e correre fino al Ministero, o di raggiungere Harry ad Hogwarts.
Sentì la porta di ingresso aprirsi e si irrigidì, capendo dai passi che si trattava di Remus.
Si voltò dopo aver atteso – sapendo già che non sarebbe successo – che l’altro prendesse parola, e poi sbottò “Remus.”
Lupin annuì, secco, e si diresse verso il focolare spento, le spalle tese e le braccia immobili lungo i fianchi; Sirius si trattenne dall’afferrarlo per farlo voltare e sospirò, passandosi una mano fra i capelli “Stai bene?” intuì che c’era qualcosa che non andava e si concentrò per capire cosa fosse: non poterlo guardare in faccia, comunque, non aiutava affatto.
Rispose dopo due minuti buoni “Sì.”
Non era qualcosa che riguardava Harry o qualcuno dell’Ordine. Bene.
Ciò significava che Remus era in collera con lui.
Sospirò di nuovo, più rumorosamente; non aveva la forza di discutere “Che ho fatto?”
“Saresti potuto morire – mormorò l’altro, con una vibrazione nella voce che faceva intendere tutta la rabbia repressa – stavi per morire e non te ne sei nemmeno reso conto.”
L’Animagus spalancò gli occhi “Stavamo combattendo” ragionò, cercando di non suonare troppo stizzito.
“Sai cos’era quella 'tenda' che avevi alle spalle?” il lupo mannaro si voltò, il volto contratto.
L’altro scrollò le spalle, senza capire.
“Un Lethifold – deglutì – che, sai, sarebbe un animale mortale che avvolge le vittime fino a inghiottirle.”
Sirius trattenne il fiato, portandosi una mano al collo. Sedette di nuovo tremante sulla sedia, di nuovo solo.


“Cos’è?”
“Non ti interesserebbe.”
“Come lo sai? – sospirò – Remus, per quanto ancora vuoi tenermi il broncio?”
Il licantropo chiuse gli occhi, inclinando la testa “Non ti tengo il broncio.”
“Sì, invece.”
Remus sbuffò e Sirius capì di essere appena stato perdonato; stiracchiò le labbra, sciogliendo le spalle nel sollievo.
“Non posso dirtelo, in ogni caso-” cominciò, guardandolo di sbieco.
“… perché Dumbledore ti ha impedito di farlo.” Continuò l’Animagus, roteando gli occhi.
“Mh” annuì, tornando a scrivere sulla pergamena piena della sua scrittura ordinata e minuscola.
Si sentiva un po’ tornato ai vecchi tempi, Sirius, seduto a guardare il suo miglior secchione – sentì da qualche parte una risata che spingeva per uscire – far scattare la piuma sulla carta, uno sbaffo di inchiostro sul mignolo, le sopracciglia leggermente corrugate, i denti che tormentavano il labbro inferiore.
O forse era lui a cercare il passato ovunque; Remus aveva i capelli ingrigiti e lui era solo un ragazzo invecchiato col corpo e deteriorato nella mente, intrappolato nel senso di colpa, nell’angoscia, nella nostalgia.
C’era sempre quel momento dopo che s’erano riappacificati in cui Sirius sentiva il bisogno di toccarlo per verificare se l’avrebbe respinto; una volta James, quand’erano ancora ad Hogwarts, sbottò esasperato “Perché non vi baciate?!” e dopo un attimo stavano ridendo tutti e tre, Remus rosso in volto e Sirius con una mano bloccata a mezz’aria.
L’Animagus inspirò rumorosamente immaginando l’amico entrare nella stanza e ripetere quella frase, dicendogli ch’era un coglione e che Remus, come al solito, aveva secchionamente ragione.
Avrebbe potuto baciarlo. In quel momento, così tutto sarebbe tornato come prima.
Non sapeva se si stava auto-convincendo di amarlo ancora perché continuava ad aggrapparsi a qualunque cosa risalisse ai tempi d’oro dei Marauders o perché era davvero così; desiderava solo abbracciarlo fortissimo e annusargli il collo, e chiudere gli occhi e soffiargli sulle labbra aspettando che Remus schiudesse le labbra e – scosse la testa ritornando alla realtà. Era solo un rottame.
Era vecchio e rattrappito e Remus l’avrebbe respinto.
“Ciao cugino! – Tonks entrò rumorosamente nella stanza, inciampando nella credenza – ciao, Remus.” Sorrise stropicciandosi il mantello, mentre Remus arrossiva e la salutava con un cenno.
Sirius si alzò, uscendo dalla stanza. Il passato doveva mettersi da parte, come lui.


“Hai letto la Gazzetta?”
Sirius annuì accennando alla sua copia abbandonata ai piedi del materasso; Remus gli si sedette accanto, poggiando la schiena alla testata del letto, spalla contro spalla dell’altro.
“Dumbledore ha raccontato ‘la vera storia di Peter Pettigrew e l’eroicità di Sirius Black’” rispose apatico, continuando a stropicciarsi le mani e a fissare le tende consunte ma fresche di bucato alla finestra.
“Potrai andartene da Grimmuld Place, Sirius” incalzò il lupo mannaro, sporgendosi in avanti per intercettare il suo sguardo. Sembrava realmente contento.
Sirius fece un minuscolo sorriso, annuendo ancora.
Ci fu un attimo di silenzio, di quelli piacevoli, e l’Animagus fece scivolare distrattamente la mano sul lenzuolo.
“Sai, stavo pensando… - esitò solo un attimo, le dita che sfioravano appena il dorso dell’altro – ti ricordi quell’appartamento che avevamo a Camden Town?”
Remus chiuse gli occhi “Certo che mi ricordo.”
“Ce l’abbiamo ancora? Mi piacerebbe… mi piacerebbe tornare. Indietro- voglio dire, tornare lì.”
“Non l’ho venduta nemmeno, cioè, dopo. Mentre eri lì- ad Azkaban - quindi sì, è nostr- è ancora- puoi usarla.”
“Remus…?”
“Non posso rimanere in un solo posto molto a lungo – si affrettò ad aggiungere – mi trasferisco ogni, uh, sei mesi. E ora con Tu-sai-chi che è ufficialmente tornato lo farò anche più spesso.”
“Non dovresti dar conto a nessuno, Remus. È casa nostra!”
Remus scosse la testa, portandosi le mani in grembo e scostandosi di qualche centimetro “Sirius, non posso. Ti prego, capiscimi…”
Sirius chiuse gli occhi, la bocca asciutta “Ho capito, sì. Ho capito. Fa niente. Io- non dovevo nemmeno- fa niente.”
Il lupo mannaro fece per ribattere, ché non aveva capito nulla, ma pensò fosse meglio così. Si alzò senza dire una parola cercando di non voltarsi indietro.


“Sono rammaricato, Sirius, ma devo oppormi alla tua proposta.”
“Dumbledore, lui odia stare lì! Lo sai bene!” Sirius strinse i pugni, cercando in tutti i modi di non urlare.
“Sirius, comprendo le tue ragioni e sono consapevole che Harry non consideri piacevole il soggiorno dai suoi zii. Ma è necessario- anzi, azzarderei vitale la sua permanenza in casa Durlsey durante l’estate. – il mago sollevò una mano per zittire altre proteste – non ne discuteremo più.”
Sirius abbassò la testa, inghiottendo la risposta che gli pizzicava la gola, e si rese conto che sarebbe stato ancora una volta solo come un cane – divertente, davvero.
Remus gli strinse una spalla quando il preside uscì dalla stanza e gli sussurrò “Mi dispiace.”
Prima di imboccare la porta per raccogliere le sue poche cose l’Animagus disse, a voce alta per essere sicuro che l’altro lo sentisse: “Salutami Nymphadora.”
Nella sua stanza si avvicinò con sicurezza alla parete, fissando la foto che lo ritraeva con le persone che più aveva amato e amava nella sua vita.
Mormorò “fatto il misfatto” e quella si staccò di colpo, cadendo nelle sue mani: se la infilò in tasca e si stropicciò il volto, avvicinandosi all’armadio per svuotarlo.


Harry, appena sceso dall’espresso sul binario nove e tre quarti individuò la sua figura ed esplose in un sorriso raggiante, sforzandosi con poco successo di non corrergli incontro. Dopo aver passato un minuto buono nella stretta della signora Weasley gli puntò gli occhi pieni di aspettativa sul volto e Sirius lo strinse in un abbraccio.
“Mi dispiace, Harry, Dumbledore non mi ha permesso di farti venire da me. Ti scriverò tutti i giorni, cercherò di venirti a trovare… Mi dispiace tanto, Harry…”
Harry fece un piccolo sorriso che trasudava delusione “Ho capito. Non fa niente, davvero.”
Mentre Moody minacciava il signor Durlsey Sirius mise su la sua peggior faccia da criminale evaso, stringendo protettivo il suo figlioccio con un braccio attorno alle spalle; guardarlo andare via coi suoi zii gli lasciò addosso la sensazione di abbandono che sembrava essere diventata la sua compagna di vita.


Caro Harry,
mi dispiace non poter venire per salutarti prima che tu parta per Hogwarts; sono in missione per l’Ordine, quindi non posso nemmeno contattarti con lo Specchio. Appena tornerò a casa lo farò, quindi tienilo d’occhio.
Va tutto bene? Come sono stati questi giorni alla Tana? Spero ti sia divertito e abbuffato abbastanza – e sono quasi certo che sia così.
Ora devo andare. Fa’ attenzione e scrivimi per qualsiasi cosa, intesi?
Sirius


Camden Town era chiassosa e piena di colori, ancora di più di come la ricordava; da quando si era ri-trasferito lì non aveva avuto molto tempo per passeggiare – né per fare alcunché: la sua roba era ancora ammonticchiata in un angolo a prendere polvere, assieme a tutto ciò che aveva lasciato lì durante la convivenza con Lupin.
Un pomeriggio di fine Ottobre miracolosamente limpido si strinse nel cappotto babbano e si addentrò nei mercatini, fermandosi a qualche bancarella e comprando della roba fritta in un ristorante accanto alla stazione della metro.
Ricordava che c’era un parco, lì vicino, e prima che facesse buio vi si inoltrò sedendosi sull’erba, la schiena poggiata a un tronco. Non molto lontano sentiva il rumore dei remi che si immergevano nel lago.
Ci era venuto con Remus, una volta, costringendolo a staccarsi dalle cartacce e dai libri per una qualche ricerca che stava facendo da tre giorni senza uscire di casa; era una giornata d’estate e avevano passato il pomeriggio a camminare, a chiacchierare, fino a pomiciare dietro una macchia di piante enormi per non essere visti.
Era felice; lo erano entrambi. Una sensazione che gli sembrava talmente lontana da diventare surreale.


“E io ti ho detto un milione di volte che sono troppo vecchio per te, troppo povero… troppo pericoloso…” Remus faceva di tutto per non incrociare il suo sguardo, perché tutti e due le ricordavano come fosse ieri, parole simili tanti anni prima, rivolte a un’altra persona: a Sirius.


Sirius,
ho bisogno di parlarti. Immagino tu abbia capito cosa di cosa si tratta ma non ho intenzione di scrivertelo in una lettera.
Rispondimi, ti prego.
Remus


“…lo so che è chiederti molto, ma vorrei che tu ci fossi. Sei il mio migliore amico.”
Sirius annuì, sospirando “Sono felice per te. Davvero, lo sono. E so che Tonks ti è corsa dietro per un sacco di tempo, ve lo meritate” sbuffò: la perseveranza dovevano avercela nel DNA.
“Sirius. – Remus si stropicciò le mani, chiudendo gli occhi – so che abbiamo qualcosa in- in sospeso, non so come definirlo. Ma non riesco- non sarei riuscito a recuperare quello che avevamo. È complicato. Non… Perdonami.”
“Non ho niente da perdonarti. Smettila di prenderti tutte le colpe come al solito, Moony.” Lasciò qualche zellino sul tavolo, ignorando le proteste dell’altro e si alzò infilando il mantello.
Remus sollevò lo sguardo, smarrito; quel nomignolo aveva fatto male anche a lui. Lo vide deglutire e prendere uno sguardo fermo, le spalle diritte.
“Io sono ancora innamorato di te.”
L’Animagus spalancò la bocca, un dolore sordo nello stomaco. “Non hai il diritto di-” ringhiò, voltandogli le spalle, il fiato corto. “Cosa devo pensare del tuo matrimonio, allora?”
“Non mi fraintendere. Io sono- sono molto affezionato a Dora e…”
Affezionato?! Per Godric, Remus!”
“Non siamo più dei ragazzini, Sirius! Non è tutto come prima, e non puoi tornare indietro con un colpo di bacchetta!”
Sirius imboccò la soglia del Paiolo Magico senza rispondere, Smaterializzandosi subito dopo.


Fece qualche passo in avanti incerto, lasciando cadere la Passaporta a terra, e prima che potesse dire qualcosa Remus lo afferrò per la giacca, puntandogli la bacchetta al collo e mormorando: “Qual è la nostra parola d’ordine?”
“Fatto il misfatto.”
Il lupo mannaro lasciò la presa, sospirando “Ci hanno tradito.”
“Lo so. Stai bene? Harry?”
“Sta bene. George ha perso un orecchio.”
“Perso un…?” Hermione impallidì, la voce tremula.
“Cos-”
“È stato Snape.”
“Bastardo” sibilò Sirius, digrignando i denti
Harry spalancò la bocca, tremando “Snape? Non me lo avevi detto…”
“Gli è caduto il cappuccio durante l’inseguimento. Il Sectumpsempra è una sua specialità. Vorrei poter dire di averlo ricambiato ma…”
“Non è stata colpa tua. Quello stronzo è- Hai fatto tutto quello che potevi.”
Hagrid si sbracciò dalla porta della Tana in cui era incastrato “Harry, dammi una mano!”
Mentre i ragazzi aiutavano il Mezzogigante ed entravano in casa Sirius mormorò “Tonks non è ancora tornata?”
Remus scosse la testa, stringendo le labbra; l’altro senza pensarci lo abbracciò e Remus si irrigidì, sussurrando “Sirius, non-”
Gli carezzò il collo prima di lasciarlo andare del tutto, senza abbandonare però i suoi occhi.


Aveva rimandato per un mese intero trovando scuse di ogni sorta; poi Remus gli mandò una foto che lo ritraeva assieme a una Tonks raggiante e un cosino minuscolo e paffuto che agitava i pugnetti.
Scrisse alla famiglia Lupin due righi di preavviso e il giorno dopo eccolo alla loro porta, cercando di ignorare quella stupida ansia che gli accarezzava le viscere: da quando si erano sposati non era mai entrato in quella casa.
Ancor prima che potesse bussare Remus lo accolse in casa “Ti ho visto arrivare”
“Ciao, Remus, Tonks.” La ragazza, i capelli color blu intenso, cullava il piccolo Ted fra le braccia.
“Ciao Sirius. Ted sta dormendo” sussurrò, avvicinandosi.
Sirius lo osservò attentamente, la boccuccia socchiusa, le manine aperte sulle dita della mamma.
Si ritrovò ad allungare le braccia, rapito, combattuto tra emozioni contrastanti; Tonks cercò lo sguardo di Remus prima di cedergli il piccolino, che si incastrò perfettamente tra le braccia dell’uomo.
Quella sensazione di calore e istinto di protezione gli era familiare, come quando aveva preso per la prima volta il piccolo Harry.
“È stupendo…” mormorò, con tono dolente. Era il figlio di Remus. Quel piccolo bimbo era il prodotto dell’amore, del legame di Remus con un’altra persona.
“Devo andare” Ted era di nuovo fra le braccia della madre e Sirius, prima di inforcare la porta e Smaterializzarsi ebbe il tempo di cogliere lo sguardo ferito del lupo mannaro.


Sirius,
non capisco il tuo comportamento. Perché non rispondi alle mie lettere? Perché alle riunioni dell’Ordine eviti in tutti i modi di parlarmi direttamente o di anche solo guardarmi?
Rispondimi, Sirius. Ti prego.
Remus


Davvero non capisci?Sei sempre stato tu il più intelligente, Moony. S.


Remus stava cadendo in ginocchio con gli occhi aperti, la bacchetta spezzata in due parti, il sangue che percorreva la ferita sulla fronte e scivolava fino al pavimento, il petto immobile e il naso da cui non passava più aria ma quello non significava niente.
Aveva ancora impresso nelle retine il lampo verde ma non significava nulla. Nulla, nulla, nulla.
Il Mangiamorte stava ancora ridacchiando, estasiato, e ora puntava la bacchetta su di lui, su Sirius, la bacchetta che prima era puntata su Remus ma non significava nulla. Niente.
Remus. Era ancora in ginocchio e ora stava cadendo di lato ma non significava niente, stava fingendo perché con la sua bacchetta menomata non poteva più attaccare.
Sirius lo amava. Lo amava. Lo amava. Sirius sentì la sua voce urlare e la sua gola far male da morire e la sua bacchetta trascinare la sua mano, e il fuoco che esplodeva e poi il Mangiamorte non esisteva più, lontano, sbattuto contro il muro.
C’era la voce di Voldermort. C’erano persone che portarono via Remus – Remus, lui che era… - e lui, senza pensare nulla, seguì il suo corpo fluttuante e si ritrovò sotto un cielo scuro sorretto da pareti di pietra. Accanto a Remus, addormentato, c’era Tonks. Vicini, dormivano vicini ed erano bellissimi. Sirius desiderò di essere con loro. Al loro fianco, al fianco di Remus, per sempre.


La battaglia finita. Voldemort, sconfitto. Harry era vivo, era salvo, erano salvi tutti.
Sirius si avvicinò di più al corpo addormentato e senza curarsi di essere visto gli baciò le labbra, le guance, i capelli, le mani, la pelle fredda come quella di un morto. La pelle sottile, la pelle piena di cicatrici, lui le conosceva tutte, le aveva tutte contate e amate, tutte, la pelle fredda che pareva cadere in pezzi al suo tocco.
Tonks dormiva e non poteva vederlo mentre abbracciava suo marito, quindi lo fece, lo strinse forte, lo cullò. Nessuno, nessuno poteva avere il coraggio di dividerli. Perché lo stavano allontanando? Chi lo stava stringendo, perché Remus non era più fra le sue braccia? Perché sentiva il desiderio di squarciarsi il petto?


Harry attese che la porta del numero dodici di Grimmuld Place si rivelasse totalmente e poi salì i gradini per bussare; quando nessuno venne ad aprire passò la bacchetta sul legno e quella si schiuse, rivelando il puzzo di chiuso e polvere che proveniva dall’interno.
Prendendo un’ultima boccata di aria fresca all’esterno spalancò la porta, entrando nell’atrio e dirigendosi con sicurezza verso la cucina.
Sirius era sulla poltrona dove l’aveva lasciato due giorni prima, le labbra secche e il fiato corto, le guance scavate e lo sguardo perso, lontano.
Harry Evocò un bicchiere e lo riempì d’acqua, avvicinandolo alle labbra del padrino che ne prese un sorso, stringendo poi le labbra e scuotendo piano la testa.
“Quant’è che non mangi?”
Sirius scrollò le spalle; il ragazzo tirò fuori dalla busta che aveva in mano un pasticcio di carne, dei tramezzini, un dolce alla frutta. “Sirius, ti prego.” Posò tutto sul tavolo e prese l’altro con la forza, costringendolo a sedersi sulla sedia.
Sirius afferrò un tramezzino e masticò disgustato un boccone, due, prima di portarsi una mano alla bocca per trattenere i conati di vomito.
“Io - Harry si stropicciò il volto, sedendosi accanto a lui – capisco che era uno dei tuoi migliori amici, Sirius. Davvero. E so cosa significa perdere una persona a cui si vuole bene ma- perché ti stai riducendo così? Sono passati tre mesi. Non riesco a-”
“Harry – la sua voce era cavernicola – non capisci. Non sai. Tutto.”
“Cosa c’è da sapere?”
“Io – deglutì – lo amavo.”
“Capisco.”
“No, no, non capisci, no. Lo amavo come- come tu ami Ginny.”
Harry trattenne il fiato e Sirius continuò a parlare come un fiume in piena “Lo amavo da quando eravamo ad Hogwarts e non glie l’ho mai detto. Dopo i M.A.G.O. abbiamo vissuto assieme a Camden Town – inspirò, chiudendo gli occhi, le lacrime che non aveva pianto finora a pizzicargli la gola – e ho scoperto che ricambiava. Ci siamo amati, Harry, in un modo così totale che non posso spiegarlo. Tutto, era tutto. Lui e tuo padre, le persone più importanti della mia vita in due modi opposti. Noi-”
Nascose il volto tra le mani, incapace di continuare.
Dopo un po’ sussurrò “Mi puoi odiare, se vuoi. O ritenermi uno schifoso, sporco-”
Harry gli fece pressione su una spalla per farlo voltare e lo abbracciò stretto.


“Sirius!” Ginny gli corse incontro, sorpresa e sorridente “Non ti aspettavamo!”
“Lo so – si passò una mano sulla nuca, sorridendo un poco di rimando – avrei dovuto avvisare…”
“Non dire sciocchezze – lo rimbrottò l’altra dolcemente – sei sempre il benvenuto, lo sai. Sono contenta che-”
“Che io sia finalmente uscito di casa?”
“Che tu sia qui.” Gli strinse un braccio e lo condusse nel giardino alle spalle della Tana, dove avevano disposto una lunga tavolata attorno alla quale c’era un considerevole numero di facce soddisfatte e allegre.
Mamma Weasley stava trasportando un’enorme torta a forma di diciotto.
“Ehi, guardate chi c’è.”
Quando furono un po’ più vicini Harry lo riconobbe e scattò in piedi per correre a salutarlo.
Sirius lo abbracciò, sospirando “Auguri, figlioccio.”
Gli occhi di Harry erano gioia pura “Grazie, padrino.”
“Non ho avuto il tempo di prenderti un regalo, io-”
“Sei qui” lo zittì Harry, sorridendo ancora di più.


“Sono passati due anni ed è la prima volta che vengo qui.” Sirius si sedette all’ombra della siepe, fissando la lapide “Mi dispiace. Ma tu mi perdoni, Moony, come sempre, quindi immagino non importi davvero.”
“Non ho portato nemmeno dei fiori. Dovrei? È strano – gettò uno sguardo al cielo nuvoloso, alla chioma dell’albero, di nuovo alla lapide – sai, ti piacerebbe qui dove ti hanno messo. All’ombra di un albero enorme- beh, non quanto il Platano. Però è enorme, wow, e potresti leggerci sotto tutti i libri che vuoi.”
“Non pensavo che i cimiteri fossero così tranquilli, sai? In certe cose sono un po’ stupido. Ora faresti una smorfia e diresti non sei stupido, è che la tranquillezza non rientra nelle tue facoltà mentali. Ho detto ‘tranquillezza’, Remus, te ne sei accorto? Secchione. Sento la tua disapprovazione scendere su di me e c’è una signora che mi guarda male forse sto parlando troppo forte. Come al solito.”
“Erano anni che non parlavo in questo modo. Mi sento di nuovo un ragazzino che fa lo spavaldo per il parco di Hogwarts. Ma succede sempre quando ti penso, Remus, di sentirmi un ragazzino. Non te lo dico da troppo tempo. Ti amo, ancora. Dopo tutto questo tempo. Non smetterò di farlo. Vorrei che-”
Fissò in silenzio la scritta Remus John Lupin. Ancora, ancora e ancora.
“Adesso vado. Ti penso sempre. Ci rivedremo. Ti rivedrò.”


“Sei stupendo!”
Harry rise, imbarazzato e felice come non lo aveva mai visto.
“Allora. È oggi.”
“È oggi” gli fece eco l’altro, sistemandosi nervosamente la cravatta.
“Nervoso?”
“Solo un po’.”
“Tuo padre vomitò prima di arrivare all’altare.”
“Cos- davvero?”
Sirius rise e Harry sì unì a lui, sorpreso di ritrovare quel suono simile a un latrato che non sentiva da anni “Sì, davvero. Fu esilarante.”
“Oh, Merlino, Ginny mi ucciderebbe. E anche la signora Weasley.”
“Decisamente – Sirius gli fece fare un giro su se stesso, guardandolo con orgoglio – quindi cerca di controllare lo stomaco, ragazzo.”


“Hai già deciso il nome?”
Harry abbassò lo sguardo, aggiustandosi gli occhiali “Avevo pensato a James Remus.”
“James Remus Potter” sussurrò, deglutendo appena.
“Mi sembra una magnifica idea, Harry.”
  
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