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Autore: JolietteTheGothicorn    31/08/2011    0 recensioni
Non era la prima volta che disobbedivo a mia madre, ma sicuramente, in un modo o nell'altro, sarebbe stata l'ultima.
La mia disobbedienza era più che giustificata.
Non era un fatto di “Voglio farmi i capelli verdi-non te lo permetto-allora scappo di casa”. Era un fatto di “Io voglio vivere la mia vita senza pesi ulteriori sulla schiena-no tu diventerai la nuova matriarca del clan Callahan e il capo della congrega celtica irlandese-allora scappo in America.”.
Genere: Azione, Demenziale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jacob Black, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
Capitoli:
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[Selina]

 

Capitolo 1: PIOVE

 

Finalmente avevo deciso.

Mi sarei trasferita in America.

Dopotutto nei primi del ‘900 un sacco di altri irlandesi ci si erano trasferiti, e non si erano pentiti. Quindi feci la mia valigia e ci misi dentro più cose possibili. Poi ne feci un’altra. E un’altra. E un’altra ancora.

Finii con l’avere 7 valigie, un ombrello, uno zainetto, un porta computer e un vaso in cui avevo messo i semi e i bulbi dei miei fiori preferiti.

Ero pronta a partire.

A dire addio all'Isola di smeraldo, a Dublino, ai pub, alle leggende.

Alle tradizioni che mi avrebbero voluta erede della matriarca del clan Callahan.

Scappai dalle responsabilità.

Presi tutto ciò che avevo e lo infilai nel bagagliaio della mia Cadillac nera.

Premetti lo stivale sull'acceleratore e schizzai via dal mio luogo di nascita, diretta al porto.

Destinazione? Washington, penisola di Olympia.

Arrivai al porto appena in tempo, salii sulla nave e guardai la costa allontanarsi.

Vedevo solo una macchiolina verde che rimpiccioliva, contornata da innumerevoli litri d'acqua scura.

L'oceano atlantico si stava mangiando piano piano la mia terra natale.

Chiusi gli occhi e andai a cercarmi un posticino comodo all'interno della mia mente.

Non era la prima volta che disobbedivo a mia madre, ma sicuramente, in un modo o nell'altro, sarebbe stata l'ultima.

La mia disobbedienza era più che giustificata.

Non era un fatto di “Voglio farmi i capelli verdi-non te lo permetto-allora scappo di casa”. Era un fatto di “Io voglio vivere la mia vita senza pesi ulteriori sulla schiena-no tu diventerai la nuova matriarca del clan Callahan e il capo della congrega celtica irlandese-allora scappo in America.”.

Chiunque sano di mente sarebbe scappato da quella prospettiva!

Insomma, un clan antico e potente come il clan Callahan?

Perché non potevo nascere nel clan dei Colfer, che sanno volare a meraviglia?

O nei Donnelly, che possono mutare?

Mi andava anche nei Fitzpatrick, tanto sanno far crescere i fiori!

Ma, no! Sono dovuta nascere nel clan reggente, con il retaggio più pulito. Linea diretta dagli antichi druidi celtici.

Va che fortuna, eh?

E così mi ero ritrovata con un'eredità pesante 80 tonnellate sulla schiena, dei poteri bizzosi e legati all'umore (ed essendo un adolescente, ce l'avevo piuttosto nel....ahem....) e il desiderio di vivere una vita normale (per quanto ad una strega sia concesso, ovvio).

Se non l'avete ancora capito, si, sono una strega.

E ne vado anche piuttosto fiera, a volte.

Non sono una di quelle streghe delle favole, ovvio.

Quelle non sono mai esistite!

In realtà noi discendiamo dai sacerdoti druidi e ci dividiamo in tre famiglie: celtici, gallici e germanici.

Io faccio parte di una congrega (una società composta da un tot di famiglie stregonesche) celtica, quella irlandese.

Ogni congrega ha la sua famiglia reggente, decisa tramite i legami sanguigni con i druidi. Più sangue druido ti scorre nelle vene, più rischi di beccarti sul groppone una responsabilità come la mia.

Io sono druida celtica per la bellezza del 97% (non chiedetemi come abbiano fatto i miei a fare le percentuali!).

Inoltre, se fossi nata maschio, non avrei avuto problemi: i nostri sono matriarcati. Potere alle donne!

Però è dura, perché la matriarca del clan reggente diventa la “presidentessa” della congrega.

Mia madre Penny lo era in quel periodo, e prima di lei c'era stata mia nonna Diana.

Ma io, come ho già detto, non volevo sentire ragioni.

Mi risvegliai dal mio semi-coma da riflessione che già tutti i passeggeri della nave erano nella sala del buffet.

Mi diressi anche io verso il cibo, presi solo una bistecca al sangue ed una mela, e andai a sedermi vicino alle finestre che lasciavano spaziare lo sguardo sul sereno spettacolo dell'oceano nelle prime ore della sera.

Il capitano della nave girava fra i tavoli, compiaciuto.

Se avesse saputo che c'era una strega adolescente in fuga sulla sua nave, non avrebbe avuto quel sorriso ebete sul volto.

Diceva che il giorno dopo, nel pomeriggio, saremmo attraccati in America. Stato di Washington...

Finii di cenare, masticando ogni boccone della tenera carne come se lo odiassi e volessi vederlo soffrire.

Mi ritirai nella mia cuccetta, improvvisamente calmissima.

Mi sdraiai sul lettino vagamente scomodo e mi accoccolai fra le coperte, ancora vestita.

Mi addormentai guardando il soffitto, vuota d'emozioni.

Mi svegliai a mezzogiorno, tutt'altro che affamata.

Mi feci una veloce doccia e mi cambiai i vestiti.

Tempo di aver finito, la voce squillante di una delle assistenti risuonò negli altoparlanti: - Stiamo per attraccare. I gentili passeggeri sono pregati di prepararsi allo sbarco. - .

«Sia ringraziato il cielo!» sussurrai a me stessa.

Il viaggio mi aveva sfibrata.

Appena attraccammo, mi ripresi la Cadillac.

Affondai il piede sull'acceleratore e sfrecciai verso Seattle.

Mi fermai davanti ad un agenzia immobiliare.

Parcheggiai (si, lo so che sembra un miracolo, ma trovai parcheggio), scesi e mi misi a scorrere gli annunci in vetrina.

Uno catturò la mia attenzione: “Vendesi casa arredata a due piani, ottime condizioni, bagno, 2 camere da letto, ampia cucina abitabile, salotto e soffitta. Prezzo ragionevole.”.

Lessi il prezzo, ed era veramente ragionevole!

Non avrei speso tutti i miei soldi in una volta!

Presi la macchina e andai verso la prima banca, facendo il cambio.

Nessuno si accorse della mia età perché usai il vecchio trucchetto del “fascino”, una specie di incantesimo che intontiva tutti i presenti in una stanza.

Uscii con i miei dollari e andai a comprare la casa.

L'agente immobiliare me la vendette senza storie (di nuovo il fascino).

Mi mise in guardia su un paio di cose ininfluenti come il tempo e le cose strane che accadevano da quelle parti.

Non me ne preoccupai.

Con le chiavi in tasca e una cartina dello stato in mano, mi misi in marcia nuovamente.

Imboccai la 101 e passai davanti ad vari cartelli.

Prima di vedere quello che mi interessava vidi quello di Port Angeles.

Dopo ci avrei fatto un salto, mi ripromisi.

Ed eccomi arrivata alle porte della mia nuova città.

Appena arrivai rimasi scioccata: una densa coltre di nubi si era addensata sulla penisola e impediva la vista del cielo.

Poco prima ero passata per Seattle a controllare le offerte per gli affitti e lì risplendeva il sole!

Ma dopotutto mi era stato detto: «Troverai il tempo leggermente umido, da quelle parti...» aveva sorriso l'agente immobiliare.

Avevo affittato una casa a Forks, la città più piovosa e annuvolata degli Stati Uniti!

Solo quando arrivai in città capii perché una casa del genere costasse così poco!

La pioggia era incessante, l'aria era fredda e umida, la vegetazione arrivava quasi a coprire le strade.

Già adoravo quel posto.

Era così verde da assomigliare alla mia vecchia casa.

La casa che ora vedevo davanti a me aveva i muri dritti e il tetto solido. Tanto bastava.

Aprii la porta piena d'agitazione quando poi mi sciolsi nella felicità: la casa era arredata e accogliente.

Salii le scale fino alla camera: era perfetta.

Pareti chiare, pavimento in moquette soffice, un letto ad una piazza e mezza...splendido!

Aprii la valigia e cominciai a riempire di vestiti l'armadio.

Ci misi tre ore.

Feci una doccia e mi rivestii, entusiasta della lavatrice funzionante appostata in bagno.

Dovevo andare a fare la spesa.

Non conoscendo la zona, mi diressi verso Port Angeles con il portafoglio alla mano.

L'andata fu quasi piacevole, con il sole dietro le nubi che sembrava volesse squarciarle ma non lo faceva.

Arrivata a Port Angeles, mi accorsi che era un posticino alquanto pittoresco, con il suo vecchio molo e i negozi piccoli dall'aria antiquata.

Quel giorno decisi che avrei avuto solo il tempo di fare la spesa alimentare.

Allo shopping, ci avrei pensato poi.

Riempii il bagagliaio di borse.

Il ritorno si prospettava tremendo ma meraviglioso: le nuvole erano pesanti, annunciavano pioggia e tuoni e lampi.

Purtroppo la pioggia mi impediva la vista e il lungo rettilineo bagnato svoltava in una curva pericolosa.

Provai a girare il volante ma le ruote slittarono sull'asfalto bagnato e l'auto cominciò a sbandare.

Stavo per morire, ne ero convinta.

Chiusi gli occhi, attendendo lo schianto.

Che arrivò meno violento di quanto pensassi.

Ero stordita, un odore sconosciuto che mi solleticava il naso.

Era un odore naturale, selvatico, caldo. Divino.

Assieme all'odore, un rumore.

Come denti che lacerassero del metallo.

Gli stessi denti li avvertii mentre squarciavano i vestiti.

Mi strattonavano fuori dalle lamiere, sotto la pioggia.

Riuscii a vedere un lupo dal pelo rossastro, alto al garrese come un cavallo, ma molto più robusto.

Mi addormentai, stranamente cosciente che non voleva mangiarmi, ma salvarmi la vita.

Poco tempo dopo aprii gli occhi, in preda al caldo.

Qualcosa dalla temperatura elevata mi stringeva in una morsa senza scampo.

Mi riaddormentai.

Qualcosa di gelato mi sfiorò la pelle, e mi svegliai.

Chino su di me c'era un uomo biondo e giovane, il cui sguardo ambrato mi rilassava. Era davvero bello, quasi troppo. Decisamente NON il mio tipo.

Quando vide che ero sveglia, sorrise.

«Jacob, è sveglia. Sta bene.» disse con una voce TROPPO impostata.

Il suo viso era quello di un angelo.

Ma, quando mi girai, vidi che il volto del suo interlocutore era quello di una divinità.

Alto ad occhio e croce quasi due metri o più, il corpo scolpito, la pelle bronzea, i capelli neri e lucidi come seta.

Uniche note stonate, i pantaloncini di una tuta e un'espressione preoccupata sul viso splendido.

Due occhi scuri mi guardavano preoccupati. Arrossii.

Le labbra piene di quell'insolita divinità si schiusero, pronunciando delle parole con una voce roca ma calda: «Carlisle, ne sei sicuro? Sembra così debole e infreddolita...».

L'angelo biondo parlò: «È normale, Jacob. Non siamo tutti forti come te. E poi deve essere colpa mia se trema, per le mani fredde.».

Nemmeno mi ero accorta di tremare.

«Lascia che me ne occupi io.» disse il giovane dio.

Mi si avvicinò con grazia innaturale e mi appoggiò una mano sulla fronte.

Era così calda che mi lasciai sfuggire un sospiro.

«Grazie» mormorai «mi hai salvato la vita».

Con lieve orgoglio, il ragazzo sorrise: «Non è niente...io sono Jacob Black, tu come ti chiami?».

«Selina Callahan.» sorrisi di rimando.

Il mio pensiero volò all'incidente e mi drizzai sul lettino: «La Cadillac!!! com'è messa la Cadillac?».

Jacob sorrise, dispiaciuto: «Abbastanza male. Ci tenevi molto, vero?».

«Sì...era unica...l'avevo ricevuta per i miei 15 anni...e mi è durata solo per 2...che pena....».

L'angelo biondo, che mi pareva si chiamasse Carlisle, sorrise: «Ti forniremo un altro mezzo di trasporto...».

Io alzai la testa, scioccata.

«G-grazie!» balbettai.

Jacob annuì: «Hanno delle belle macchine. Ti divertirai a scegliere. Comunque ho mandato un amico a recuperare le tue cose nell'auto.».

Io arrossii: «Mi dispiace per il disturbo...».

Lui ribatté: «nah, nessun problema. È tutto apposto.».

Era così gentile da mandarmi in orbita.

Il suo bellissimo viso ora sorrideva e si rilassava.

Non avevo mai visto nessuno così bello.

Improvvisamente, chissà perché, mi ricordai del lupo che mi aveva tratta in salvo.

«Che fine ha fatto?».

«Che fine ha fatto cosa?» chiese Carlisle.

«Il lupo. Un enorme lupo dal pelo rosso. È l'ultima cosa che ricordo dell'incidente. Mi ha tirata fuori dall'auto con i denti.» affermai, balbettando.

I due uomini mi guardarono interdetti.

Si guardarono fra loro, come ci si guarda quando si ha un segreto importante da proteggere.

Avevo ancora quell'odore selvatico e dolce nel naso, che fungeva da anestetico.

Inspirai e il profumo mi rilassò.

I due mi stavano ancora guardando.

«Non ci sono lupi rossi nella penisola di Olympia, Selina.» disse calmo e controllato l'angelo dalle mani fredde.

Alzai gli occhi al cielo: «Sì, certo, e la fatina dei denti è la mia vicina di casa! Non sono pazza, quel lupo l'ho visto bene. Era grande quanto le linci dei Donnelly. Non era un lupo normale.» mi lamentai.

Le linci Donnelly...che ricordi...

Marcy, Byron e Dylan.

Tre pazzi che scorrazzavano per i prati Irlandesi con le sembianze degli omonimi felini.

Naturalmente nessuno se ne curava, dato che accanto ai Donnelly vivevano il mio clan, il clan dei Colfer e quello dei Fitzpatrick. Tutti matriarcati stregoneschi.

Quindi non ci faceva caso nessuno.

Ma non credevo che in natura esistessero animali di quella stazza! Per non parlare di LUPI!

Rilassati, i due mi sorridevano.

Io mi alzai, furiosa e indignata, per andarmene.

Appena il mio piede toccò terra vidi la stanza girarmi intorno.

Jacob mi afferrò e mi mise in spalla, come un sacco di patate.

«La porto a scegliere la macchina, prima che cominci a tirare calci.» sorrise spavaldo.

Carlisle sorrise e annuì: «Le chiavi sono appese al gancio. Divertitevi. Ah, Selina, riposati, ok? ».

Io annuii stancamente, mentre Jacob mi trascinava fuori dalla grande casa bianca fino al garage.

Quel ragazzo era INCREDIBILMENTE FORTE.

«Decidi» mi disse, appoggiandomi su un tavolo da lavoro «abbiamo Porsche, Ferrari, BMW...credo che tu possa prendere quella che vuoi.».

Io piagnucolai:«Non voglio una Ferrari! Voglio la mia Cadillac! Conosci qualcuno che possa ripararla?».

Lui ci pensò su.

«Forse potrei farlo io» sorrise «Non è messa TANTO male».

Io ero commossa.

Ero felice come non mai.

Mi fiondai giù dal tavolo e lo abbracciai.

Fu come schiantarsi contro un muro ricoperto di gommapiuma rovente.

Ma stranamente piacevole.

Sentivo ogni rilievo del suo corpo a contatto con la mia pelle.

Il mio corpo si modellava sul suo, come a ricalcarlo.

Mi strinsi a lui sempre più forte, strofinando la mia pelle infreddolita sulla sua, così calda.

Sorrisi, il mio viso sul suo petto.

Improvvisamente, in preda all'imbarazzo, mi scostai.

«Scusa. Tendo ad essere espansiva nei momenti di felicità....» mi giustificai.

Rimasi esterrefatta.

Lui era fermo, guardava nel vuoto, scioccato.

Mormorava qualcosa tipo “Nessuno aveva mai...nemmeno Bella...”.

Scosse la testa.

Mi guardò negli occhi, senza vedermi, e disse: «Aspetta qui. Vado a prendere la mia auto e torno.».

Trema, pensai in quel momento, avrà qualcosa contro di me?

Mi chiesi chi fosse questa tale “Bella”.

Una sua amica? La sua ragazza?

Ma dopotutto ci eravamo appena conosciuti, non potevo pretendere di sapere tutto e subito.

Comunque, mi sentivo già gelosa.

Tornò pochi minuti dopo, indossando dei pantaloncini diversi.

Mi accompagnò silenzioso fino alla sua auto (una carinissima Golf rossa), mi allacciò le cinture e, dopo aver premuto l'acceleratore, mi chiese, pacato: «Dove abiti?».

Glielo dissi e il suo viso divenne una misto di sorpresa, malinconia e gioia.

«Bene» sorrise «saluterò una vecchia conoscenza...».

Poi, non disse altro.

Guardai fuori dal finestrino e, sconsolata, mormorai: «...piove...».

 

 

 

Capitolo 2: BENVENUTA A FORKS

 

«Jacob!» disse una voce sorpresa, quando scendemmo dalla Golf rossa.

L'uomo che aveva pronunciato quel saluto era una persona come un'altra.

Non troppo alto, sulla quarantina, capelli che un tempo erano ricci e baffi neri.

Solo dopo mi accorsi che era un poliziotto.

Jacob, che fino a quel momento se n'era stato zitto, strinse l'uomo in un abbraccio e lo salutò a sua volta: «Charlie! Come stai?».

Il poliziotto sorrise: «Bene Jacob, grazie. Era da tanto che non ti facevi vedere in giro! Come sta Bella? Hai sue notizie?».

«Bella sta...bene. In questo momento dovrebbe essere in “campeggio” con il resto della “famiglia”. Renesmee è con loro. Cresce continuamente. È una bambina d'oro.».

«Già, già. Ma dimmi, perché sei passato da queste parti?».

In quel momento mi schiarii la voce.

Jacob mi indicò, con aria colpevole: «Lei è Selina. Si è trasferita qui stamattina ma ha avuto un incidente. L'ho portata da Carlisle e ora l'ho riaccompagnata a casa. Selina» si girò verso di me «questo è l'ispettore capo Swan. Se ti serve qualcosa puoi chiamare lui.».

L'ispettore mi guardò e sorrise: «Chiedi pure quello che vuoi, Selina. Siamo a disposizione. Quanti anni hai?».

Io arrossi, come ogni volta che qualcuno mi chiedeva l'età.

«17...» mormorai.

Charlie, il poliziotto, mi scrutò: «E sei qui da sola? Dove vivevi prima?» mi interrogò.

Io alzai gli occhi al cielo e mi preparai alla ramanzina: «Sì, sono qui da sola e i miei LO SANNO. Comunque sono di una piccola città dell'Irlanda.».

Charlie annuì: « E là che titolo di studio hai conseguito?».

«Dovrei essere all'ultimo anno. Non ho ancora preso il diploma. Dovrei iscrivermi.».

«Già, dovresti. Vedrò di fare in modo che entro l'inizio del nuovo anno scolastico tu sia iscritta. Inoltre credo che avrai bisogno di un lavoro part-time.».

«Credo proprio di sì. Anche perché Jacob ha detto che mi può riparare la macchina, e dovrò pur pagarlo! Inoltre vorrei affittare un'auto nel frattempo. O almeno una moto. So che su queste strade è pericoloso, ma non ho certo intenzione di andare a piedi!» alzai gli occhi al cielo.

Jacob ridacchiò: «Attenta! Rischi di sfracellarti contro un muro!».

Mi riavviai una ciocca bagnata e lo guardai storto.

Non era divertente.

Ci stavo per lasciare la pelle!

Naturalmente senza Jacob e il lupo non sarei sopravvissuta, ma non era il caso di prendermi in giro!

Pensai all'eventualità di un altro incidente.

Non avrei più visto mamma.

E le mie sorelline.

E i Donnelly.

E i Fitzpatrick.

E tutti gli altri.

Non avrei più rivisto casa....

Non li avrei rivisti mai più.

Avvertii il magone in gola, e tutta la disperazione della rivelazione, la paura di non sopravvivere all'incidente e tanto altro si condensarono in un torrente di lacrime dense e singhiozzi.

Jacob e Charlie, scioccati, si fissarono.

«Ehi, ehi, era solo uno scherzo, così, per dire! Tirati su, dai!» disse Jacob.

Ma io non VOLEVO smettere di piangere.

Volevo SOLO scaricarmi, ma lui sembrava così preoccupato che la smisi di frignare e mi asciugai una lacrima con la manica semi lacerata.

In quel momento, la pioggia lieve, ritornò temporale.

Ahimè, era tutta colpa mia!

Non avrei voluto scatenare ulteriori disgrazie su Forks, ma era involontario.

Se trattenevo le lacrime e la mia tensione nervosa saliva, bé, ecco fatto il temporale.

Il diluvio che distrusse la metà del raccolto della zona adiacente a Kilkenny nel 2006?

La morte di Rufus, il mio gatto.

Questi scatti di nervosismo mi accadevano spesso, da quando avevo deciso che me ne sarei andata.

Era una scelta ardua, ma io non volevo diventare la matriarca dei Callahan.

Era un compito troppo gravoso per una ragazzina che non sapeva nemmeno volare.

Il mio cuore invece, in quel momento, batteva come le ali di un colibrì.

Guardai l'uomo in uniforme davanti a me e gli sorrisi.

«Scusate» dissi a bassa voce «mi capita spesso di essere triste, in questo periodo. È solo stanchezza repressa.».

Evitai il contatto visivo con Jacob, per evitare di iniziare a ridacchiare e sembrare schizofrenica.

«Poverina...» sussurrò il capo Swan, credendo che stessi per scoppiare nuovamente a piangere.

Jacob mi mise una mano rovente sulla spalla e io sorrisi girandomi verso di lui: non volevo che si preoccupasse..

l'avevo conosciuto da nemmeno tre ore e già mi ero affezionata a lui.

Non credo fosse per quella bellezza sovrumana, per il corpo perfetto o per la voce suadente.

Era qualcosa di più.

Era un sentimento tanto dolce quanto potente.

Ed era dolce come zucchero filato coperto di miele e cosparso di zucchero a velo.

O forse zucchero di canna, però, perché era quello il colore della sua pelle.

Caramellato.

Sublime.

Lui, a disagio, guardò altrove.

Mi accorsi che probabilmente lo stavo guardando come una maniaca dello shopping senza soldi guarda il capo più costoso della nuova collezione della sua firma preferita: adorante e conscia di non poterlo avere.

Il capo Swan mi sorrise, provando ad essere cordiale: «Bè, Selina, quando hai bisogno di qualcosa, non esitare a chiamarmi. Dopotutto, siamo anche vicini.».

Rientrò in casa sua e, prima di chiudere la porta, si girò: «Benvenuta a Forks!».

Bè, almeno le autorità locali sapevano della mia presenza.

Che gioia.

Mi girai verso Jacob: «Grazie per avermi salvata e accompagnata a casa, Jacob. Sei stato gentile...».

Lui, imbarazzato, si avvicinò alla porta: «Non ti preoccupare. Comunque ho le tue cose nel bagagliaio. Ti do una mano a portarle dentro. Ah, e non chiamarmi Jacob. Mi fa sentire vecchio. Chiamami Jake.».

«Grazie...Jake.» mormorai, aprendo la porta.

Jake aprì il bagagliaio e prese tutte le borse della spesa.

Per miracolo non si era rotto nulla, nemmeno le uova!

Sorrisi, contenta di non dover fare di nuovo la spesa.

«Vieni, ti faccio vedere dov'è la cucina.» lo diressi io.

Arrivammo nella cucina spaziosa.

Sembrava quasi piccola con Jacob là dentro.

Due metri di ragazzo li noti facilmente.

Aprii le buste della spesa e sistemai tutto nel frigo e nei pensili di legno chiaro, probabilmente di betulla.

Canticchiai durante tutto il lavoro.

«Hai una bella voce.» notò Jacob.

Nessuno lo notava, di solito.

Io notai il brontolio del suo stomaco: «Hai fame?» gli chiesi con un sorriso.

 

 

 

[Jacob]

 

Capitolo 3: FAME DA LUPO

 

 

 

Il mio stomaco brontolava, quel giorno non avevo mangiato nemmeno da lupo.

«Hai fame?» mi chiese lei, con un sorriso enorme stampato sul volto.

Mi incantai a fissarla per qualche secondo.

Stava pensando alla mia fame e non ai suoi vestiti stracciati e fradici.

Wow, che altruismo.

«Si, ma non ti disturbare...» le dissi, rassicurandola.

Lei si impuntò: «Eh no! Mi hai salvato la vita, come minimo ti devo preparare qualcosa! Ora vado a cambiarmi. Torno subito e ti cucino qualcosa....».

Ora andava meglio.

Salì le scale e mi ritrovai solo in casa sua.

Mi guardai in giro, quella casa così anonima non la rispecchiava.

L'avevo conosciuta da poco, ma mi era bastato per capire che se ne avesse avuto il tempo avrebbe trasformato quella casa in un posto da favola.

C'era solo un unico problema, con lei.

Aveva visto il lupo. E non ne aveva paura.

Anzi, ne sembrava....elettrizzata! Quasi come se avesse ritrovato un vecchio amico.

Aveva balbettato qualcosa a proposito di delle linci di Donnelly.

Non ne sapevo nulla di felini, e non mi preoccupai.

Selina tornò al piano di sotto, con i capelli legati in una coda e una vecchia tuta da ginnastica addosso.

«Con tutta questa umidità, mi verranno i reumatismi a trent'anni!» rise lei, aprendo il frigorifero.

«Che ti andrebbe di mangiare? Non mi sembri un vegetariano...ma non si può mai dire...» disse, squadrandomi.

«Non so...ho solo...fame. E no, non sono vegetariano....hai fatto centro.» risi anche io.

Si mise a frugare fra i ripiani e tirò fuori un pacco con delle bistecche e un cartone di uova. Tirò fuori anche del formaggio.

«Omelette e bistecca? Con tutti i muscoli che hai, scommetto che sei uno con la dieta iperproteica!».

«E hai ragione...sì...vanno benissimo bistecca e omelette...» accettai io.

Avevo così fame che mi sarei potuto mangiare un cinghiale.

Cosa che avrei anche fatto se in quel periodo ce ne fossero stati nella penisola.

Selina si stiracchiò e cominciò a cucinare, rompendo le uova, insaporendo la carne e facendo tante di quelle cose insieme che non ci capivo più niente.

Mentre il cibo era sul fuoco, cominciò ad apparecchiare.

Squadrò la tavola con occhio critico e aggrottò le sopracciglia sottili.

«Se solo avessi un vaso e dei fiori...» pensò ad alta voce.

«Non importa, mica devi trasformare la cucina in un ristorante! Con la fame che ho mangerei anche in una ciotola...» risi con me stesso per la battuta. Rosalie avrebbe apprezzato.

Selina si intestardì: «No, è proprio una mia fissazione. Senza un centro tavola mi sembra di non aver apparecchiato bene...».

Uscì dalla cucina e tornò al piano superiore, scendendo di nuovo: «Ecco fatto!» disse poggiando un soprammobile al centro del tavolo rotondo.

Era un gufo intagliato nel legno e dipinto a mano.

«Carino.» risi «L'hai fatto tu?».

«Quasi.» disse lei, sorprendendomi «L'ho dipinto. L'intaglio lo ha fatto mia nonna...».

Sembrava triste. Probabilmente sua nonna non c'era più...

«Mi è dispiaciuto lasciare anche lei, ma DOVEVO andarmene.» mormorò, quasi con rabbia.

Tirò via dal fuoco la bistecca e l'omelette, li mise nel piatto e me li servì: «Buon appetito.».

Tagliai la bistecca e ne assaggiai il primo pezzo.

Alzai la testa e chiesi spiegazioni: «DOVEVI andartene? Che è successo?».

«Loro» disse, probabilmente parlando della sua famiglia «mi volevano caricare di responsabilità. Dalle mie parti, se nasci in certe famiglie hai delle incombenze che ti piombano addosso come grandine d'acciaio.».

Cominciai a capire dove voleva arrivare.

Era scappata di casa.

«Ti capisco...» le risposi, fra un morso e un altro «...anche nella nostra tribù è così.».

«Uhm.» fu l'unica cosa che disse. Probabilmente non ci credeva.

Non poteva sapere che io, essendo un erede di Ephraim Black, ero stato costretto (in un modo o nell'altro) a diventare il maschio Alfa del branco.

E che la capivo molto più di quanto non pensasse.

Ma quanto doveva essere stato duro ciò che le era stato imposto, per scappare in un altro continente?

Decisi di non chiedere.

Finii il pasto così velocemente che lasciai Selina stupefatta: «Se hai ancora fame, dimmelo!».

«Nah, è solo che mangio sempre in fretta.» dissi, alzandomi e posando il piatto sul lavandino.

«Probabilmente hai sempre una fame da lupo...» scherzò lei.

Quanto aveva ragione!

Poi un pensiero le tornò a galla: «Prima hai detto “la mia tribù” giusto?».

«Già» risposi «io sono della tribù Quileute. La nostra riserva è sulla costa.».

Interessata, mi guardò bene: «Lo sapevo che con la pelle di quel colore non potevi essere sudamericano o qualcos'altro. La tua pelle è di un colore magnifico.» disse toccandomi un braccio.

Istintivamente, contrassi un muscolo, e lei trasalì.

Scoppiai a ridere.

«NON RIDERE! Ma quanti anni hai per avere un fisico del genere? Ti darei almeno vent'anni, ma non sembri così grande...» si insospettì lei.

«Ne ho 17. Come te. Solo che mi tengo in forma...» provai a giustificarmi.

«Uhm...e...vai ancora a scuola?» mi chiese, lavando i piatti.

«Sì, a quella della riserva...devo cominciare anche io l'ultimo anno.».

Sembrò delusa della risposta.

«Oh. Speravo di poter entrare e conoscere già qualcuno.» mormorò.

La seconda volta in vita mia che una ragazza mi diceva le stesse parole.

«Hey, però nel tempo libero, se vuoi, ci sono sempre.» la tirai su. O almeno ci provai.

«Grazie Jake.».

«Ti scrivo il mio numero da qualche parte?» le chiesi.

Mi fece cenno di aspettare e mi portò un blocchetto di carta con una penna.

«Ok, ecco qui.» le dissi, tendendole il foglietto con il numero.

Lei lo intascò e si sedette su un ripiano della cucina, facendo dondolare le gambe: «Jake...com'è che sei mezzo nudo? Cioè, si gela!» disse, sfregandosi le braccia alla sola idea di uscire messa così.

«Uh...io...ah! Guarda l'ora! Mio padre mi starà cercando, scusa! Devo andare! Ci vediamo, Selina!» dissi io, facendo per uscire.

Lei corse velocemente al piano superiore e scese con una cosa morbida fra le braccia: era una copertina di lana bianca.

Me la mise sulle spalle, con grande sforzo, e mi salutò: «Ecco. Così non prendi freddo. Trattala bene quella coperta, ce l'ho da quando sono nata! Ok, puoi andare...e sappi...» disse con tono minaccioso «...che ti chiamerò.».

Io risi e la salutai, salendo sulla Golf.

Mentre facevo retromarcia per uscire dal vialetto, la vidi che mi salutava dal portico.

Sorrisi mentre l'odore dolce di frutta e fiori emanato dalla lana mi avvolgeva.

 

 

 

Capitolo 4: CHI HA PAURA DEL GRANDE LUPO CATTIVO?

 

 

Scesi dalla Golf e entrai in casa.

Mi vidi in uno specchio: patetico.

Con la coperta sulle spalle, sembravo un idiota totale.

Me la levai dalle spalle, ma prima di posarla sul letto, la annusai.

Non avrei scordato mai più quel profumo.

Mi scrollai di dosso quel pensiero.

Mi tornò in mente che, prima di imbattermi nella macchina di Selina che sbandava, stavo tornando dal branco.

Uscii di casa senza scarpe e mi infilai fra gli alberi.

Mentre correvo, mi levai i pantaloni.

Me ne erano rimasti pochi.

Quel pomeriggio, dopo che mi aveva abbracciato, mi ero trasformato ricordandomi solo di levare le scarpe.

Mi aveva sconvolto.

L'unica volta che una ragazza mi si era avvicinata così tanto e in modo spontaneo...bé...quasi non la ricordavo. Probabilmente fu quando Bella mi chiese di baciarla. E lo fece perché non voleva che morissi.

Mi trasformai e affondai le zampe nel terreno umido.

Sentivo la terra scorrere sotto di me e i pensieri degli altri componenti del branco si unirono ai miei:

-Hey, Jake, dove sei stato?- chiese Seth.

-Troppo lunga da spiegare...leggila da solo la storia.- gli risposi, lasciando fluire i ricordi.

-Jake e Selina, seduti sotto un albero, che si ba-cia-no!- mi prese in giro Leah, dopo aver rivisto il mio pomeriggio.

-Non la ascoltare, Jake. Questa Selina sembra simpatica. Credi che...?- si intromise suo fratello.

Seth era sempre inopportuno.

Perché doveva farmi certe domande?

Non avevo forse promesso a me stesso che dopo Bella non avrei più nemmeno provato a frequentare una ragazza?

-Calmati, amico- rise Quil.

-Già, dovresti ricominciare a farti una vita. Dopo che Bella è diventata la “signora Cullen” sei diventato più depresso del mar morto!-.

-Grazie per la comprensione, Leah. Dovresti capire come mi sento, no?-.

-Sì, ma io sto provando a passarci sopra.-.

-Bè, per me non è così facile. E comunque non vedo perché dovrei provarci proprio con Selina. Se uscissi con lei si insospettirebbe. È sveglia e fa TANTE domande.-.

-Dici che potrebbe scoprirlo?-.

-Sì, Seth. E poi cosa le direi? “bella passeggiata! Ah, lo sai che sono un lupo?”-.

-Chi ha paura del grande lupo cattivo?- latrò una risata.

-Sicuramente non lei...-.

-Tsk, chiunque rimarrebbe terrorizzato, Jake. Credi che una ragazzina, per quanto sveglia, non lo sarebbe?-.

-Mi dispiace ammetterlo, ma mia sorella ha ragione. Sappiamo tutti come ha reagito Charlie, e lui è un uomo piuttosto forte!-.

-Eppure...quando ha parlato di aver visto un lupo enorme estrarla dalle lamiere, sembrava che parlasse di un unicorno e non di uno di noi...era tutta un “-Credetemi, l'ho visto!- e -Quel lupo non era normale!-”. Una bambina allo zoo...-.

Pensai ancora a lei, al profumo insolito che avevo percepito quel pomeriggio.

Era raro che un odore preciso arrivasse così chiaramente a colpirmi mentre pioveva.

Lo seguii fino alla fonte e vidi una Cadillac nera, una SPLENDIDA Cadillac nera, slittare sull'asfalto umido e rischiare di avere un incontro mortale con un muro di pietra.

Corsi in mezzo alla strada e piazzai le zampe anteriori sul cofano, facendo sobbalzare l'auto.

La portiera aveva preso già un colpo e non si sarebbe mai aperta.

Non sapevo se l'auto fosse in procinto di esplodere, non sentivo nemmeno il solito odore di benzina.

Sentivo solo il dolciastro profumo di fiori e frutta che mi aveva attirato fin lì.

Era quasi appetitoso.

Mi vergognai di me stesso, era la prima volta che pensavo ad un umano come a del cibo.

Io ero ciò che ero proprio perché dovevo proteggere gli umani dalle creature che se ne nutrivano.

Rabbrividii e con i denti strappai la portiera come se fosse stata di plastica.

Nell'abitacolo c'era una ragazza minuta, con un'enorme quantità di capelli castano-rossastri.

Sembrava semi-cosciente.

Lacerai le cinture di sicurezza e provai a tirarla fuori, pinzando solo i vestiti fra le mascelle.

In quel momento le palpebre della ragazza sbatterono e lei aprì gli occhi.

Mi ritrovai con due enormi occhi verdi davanti, lei che cercava di capire cosa stesse succedendo.

Sorrise leggermente e svenne, fidandosi.

Non potevo portarla in giro sotto forma di lupo.

Mi ritrasformai, mi rivestii e la presi in braccio, tenendola stretta.

Mentre ripercorrevo mentalmente la strada che avrei dovuto seguire per andare a casa dei Cullen, la ragazzina mugolò e piombò nuovamente nell'incoscienza.

Corsi come un matto.

Non sarei mai riuscito a capire se avesse ferite interne.

Non feci in tempo a bussare che Carlisle mi aprì la porta e mi accompagnò al piano superiore.

La ragazza aprì finalmente gli occhi in preda ai tremiti, conseguenza alle mani ghiacciate del vampiro.

E così mi ero ritrovato di nuovo due fari verdi che mi squadravano, imbarazzati e riconoscenti.

E così, avevo conosciuto Selina....

Avevo ancora il suo odore addosso, nonostante la trasformazione.

Mi riscossi dai pensieri, realizzando che tutti avevano rivissuto l'episodio e che eravamo arrivati nella radura dove, quasi ogni giorno, il branco Uley e il branco Black si riunivano per aggiornarsi sulle novità.

Come al solito, niente di nuovo.

Nessuna minaccia all'orizzonte.

Mi incuriosì solo il fatto che molti altri, anche nell'altro branco, avevano fiutato l'odore dolce e invitante di Selina.

Non ero il solo ad essersi vergognato di quell'istinto e di quella fame.

A quanto pare, gli unici a non aver notato la fragranza erano quelli che avevano avuto l'imprinting e le femmine (negli ultimi mesi a Leah si era aggiunta anche un'altra ragazza, Mia, cugina di Sam).

Liquidammo il fatto come poco importante e sciogliemmo la riunione.

Tornai a casa rimuginando, le zampe che affondavano nel fango più il mio passo rallentava.

In quel momento, mi tornarono in mente le parole di Selina.

«Ok, puoi andare...e sappi...che ti chiamerò.».

Non ci credevo.

Sicuramente si sarebbe scordata di me nell'esatto momento in cui avesse incontrato delle altre persone a scuola.

Magari avrebbe usato il foglio con il mio numero per buttare via una gomma.

Non che me ne importasse.

Però....

Mi aveva dato la coperta, e aveva detto che la rivoleva indietro....

Il dubbio mi addormentò il cervello.

Entrai in casa, ricordandomi a malapena di tornare umano, e mi addormentai immediatamente sul letto, coperto solo da quella piccola coperta bianca.

I miei sogni erano intrisi di profumo.

Il mattino dopo mi svegliai, sapendo che avevo qualcosa da fare: dovevo riportare in vita una Cadillac.

 

 

Capitolo 5: MOMENTO DEL NERVOSO PROVOCATO DAL NON-SQUILLARE DEL TELEFONO...

 

Uscito da casa, chiamai gli altri e li riunii tutti sulla strada.

Non avevo i soldi per chiamare un carro attrezzi e fare portare la Cadillac di Selina fino al mio garage, quindi la risposta più logica mi era parsa quella: far sollevare e portare via l'auto dal branco.

Dopo aver ringraziato tutti per lo sforzo, presi ad esaminare l'auto.

Mi accorsi che non era una Cadillac classica, ma una vecchia Eldorado modificata e personalizzata.

Mi pianse il cuore a pensare che ero stato io a straziare quella povera macchina.

Sul fianco era stato impresso il nome dell'auto.

Quella Cadillac bastardina era stata battezzata “Broomstick”, manico di scopa.

Effettivamente, quella macchina aveva la potenza sufficiente a “volare” sulle strade.

Mi misi a lavorare, valutando i danni.

Il cofano e la portiera sinistra andavano riparati se non sostituiti.

Le gomme anteriori erano scoppiate per la pressione che avevo esercitato con le zampe.

Le cinture di sicurezza erano da sostituire, sicuramente.

Il paraurti era ammaccato e i fanali erano rotti.

I danni interni non li sto a elencare tutti.

La conclusione era una sola.

Dovevo ricostruire quell'auto quasi daccapo.

Mi augurai che Selina avesse PARECCHI soldi perché io non ne avevo.

Non riuscivo a darmi pace.

Senza vampiri da smembrare, la mia missione in quel momento era resuscitare la macchina che avevo ucciso.

E adesso? Pensai.

Adesso dovevo aspettare che mi chiamasse lei, anche perché il suo numero io non l'avevo.

Non potevo certo andare là e chiederle dei soldi così, su due piedi!

Non ero mica così maleducato!

Così tornai in casa e mi sedetti sul divano, aspettando che il telefono suonasse.

E aspettai.

Aspettai ancora.

E ancora.

L'attesa mi stava rendendo nervoso.

Ero così nervoso che per calmarmi mi misi a fissare il pavimento.

Era un po' sporco.

In casa mancava da tempo una mano femminile che desse una bella ripulita.

Sbadigliai.

E mi guardai le mani.

Riuscivo a vedere le vene e i tendini sotto la pelle.

Cosa aveva detto lei della mia pelle?

Lo sapevo che con la pelle di quel colore non potevi essere sudamericano o qualcos'altro. La tua pelle è di un colore magnifico!”.

E poi mi aveva toccato un braccio.

Ed era trasalita quando io, per riflesso, avevo contratto il muscolo.

Le si erano spalancati gli occhi.

Aveva trattenuto il respiro per qualche breve secondo.

Forse era anche arrossita.

Non riuscivo a capire che tipo di persona fosse.

Prima, nel garage dei Cullen, mi aveva abbracciato in un modo che definire intimo era poco.

E poi era arrossita mentre mi toccava un braccio.

Mi ricordai del colore della sua pelle.

La classica pelle di chi ha i capelli rossi, pallida e con le lentiggini sul viso.

Le lentiggini la facevano sembrare più piccola di quanto fosse.

O forse era di altezza normale.

Non potevo giudicare, essendo alto 2m precisi.

Effettivamente mi arrivava a malapena al petto...che più o meno doveva significare che era alta 1,60m....

Un'altezza normale, per una ragazza....immagino.

Guardai per qualche secondo l'orologio.

Ero sveglio da 3 ore.

Mentre ero fuori Billy era uscito con Charlie per andare a pesca.

C'era il sole, fuori.

I Cullen probabilmente erano tutti nascosti.

Ancora facevo fatica ad accettare che dei succhiasangue fossero miei amici.

Bé...amici era una parola grossa...

Diciamo che...ci si sopportava semi-pacificamente.

Dopo che Bella era diventata una di loro, ero diventato un guscio vuoto, senza scopo.

E adesso...

E adesso quella ragazzina mi aveva dato da fare.

Quella cavolo di Cadillac così dannatamente piena di profumo.

Piena di quell'essenza delicata e appetitosa.

Fame.

Mi faceva venire una fame tremenda.

Ogni volta che pensavo a Selina l'acquolina mi riempiva la bocca.

Lei...lei profumava di cibo.

Ma era strano.

Insomma, era una normale ragazza umana!

E che diamine, ero diventato cannibale?

Eppure non stavo impazzendo, anche gli altri avevano sentito quell'odore.

Che mistero nascondi, Selina? Mi chiesi.

Piccola com'era me la sarei potuta mangiare in tre bocconi.

Ma perché?

Perché non potevo essere...che ne so....normale?

Mi alzai dal divano.

Era inutile aspettare.

Era mezzogiorno e di sicuro il telefono non si sarebbe messo a squillare.

Non oggi.

Che nervi!

Che nervoso mi stava salendo!

Stupido profumo di fiori, frutta e zucchero filato!

Stavo per entrare in cucina quando il suono più liberatorio del mondo si fece largo fino alle mie orecchie.

Un drin-drin che non mi aspettavo.


 

  
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