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Autore: xsunsetbeauty    02/09/2011    0 recensioni
Ciao. E' una parola semplice e piccola, ma è come l'amore comincia.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Istituto Mcqueen. Becca. Terzo banco a sinistra. »
«Ehi, tu, con le scarpette rosse», qualcuno di terribilmente irritante sembrava voler ironizzare sul mio senso di stile già dalla prima ora.
Dio, quanto odiavo quella scuola. Piena zeppa di figli di papà, e come se non li odiassi abbastanza, dovevo pure fare parte di quella cerchia.
« Sai, le persone nascono e viene dato loro un nome, rileggiti il registro di classe> sibilai a denti stretti, senza alzare gli occhi dalla mia agenda scolastica, sul banco.
«Mi scusi tanto, signorina McCullers.. il suo compito» Mi si gelò il sangue nelle vene. Afferrai il plico di fogli e mi misi subito a sedere, senza batter di nuovo ciglio. Sentii la classe ridacchiare. Succedeva sempre, ormai c'ero abituata.
Detti un'occhiata. Il mio tema sul regno di Elisabetta I d'Inghilterra si era meritato un'altra A. Papà sarebbe stato contento, ma mai quanto mamma. Mia madre era il tipo di persona che conta e che sa di farlo. Era la direttrice di varie emittenti televisive e per lei l'apparenza era tutto. Sebbene molti dei suoi colleghi ancora si stupivano di venire a sapere che avesse una figlia, mia madre era convinta che tutto nella nostra famiglia dovesse essere perfetto, anche i voti della figlia a scuola. Mio padre invece era un brav'uomo. Era il direttore di una delle più grandi banche newyorkesi e.. mi voleva bene. Mi focalizzai nuovamente sul foglio e mi chiesi come il risultato potesse essere diverso dal momento che da tre anni a questa parte, i miei genitori mi tenevano segregata in casa. O meglio, mia madre.
***
«Driiiin» il suono della campanella.
«Grazie a Dio» sussurrai alzandomi e radunando la mia roba. Quella giornata era finita. Sarebbe stata l'ultima, almeno per me. Avevo deciso di andarmene. Non avrei resistito ad un altro brunch del sabato, dove mia madre invitava tutti i parenti e si dava a lunghi sermoni riguardanti il lavoro, la casa e sua figlia. Ai dettagli non avevo ancora pensato, ma avrei avuto tempo.
«Ciao ciao, scarpette rosse!» cantilenò allegra Regina, una delle ragazze più egocentriche ed odiabili in tutto l'istituto, passandomi davanti con il suo gruppetto di seguaci, altrettanto egocentriche ed odiabili. Anche stupide, oserei dire.
Le feci un sorrisino antipatico e tornai alla mia roba. In ogni caso non l'avrei più rivista, non valeva la pena di sprecare energie cercando di formulare una qualche frase pungente. Dunque, abitando a New York non sarebbe stato difficile svignarsela, sarebbe bastato spostarsi di due isolati per sparire completamente, in una città come quella.
Attraversai il corridoio in un attimo e mi ritrovai nell'ampio giardino d'ingresso, che costeggiava l'intero edificio. Orde di ragazze riunite in capannelli facevano la cosiddetta 'prova check up', ovvero controllare che tutto di loro fosse perfetto, dalla pulizia dei denti al risvolto della gonna, prima di spostarsi di qualche metro, andando a fare le svenevoli con i ragazzi del McKing, il collegio maschile dall'altra parte della strada. Non avevo mai capito il senso di costruire due enormi edifici praticamente identici uno di fronte all'altro, dividendo il corpo studentesco in base al sesso e sbatterli dentro come in una galera. Come se non sapessero che ci fosse gente che scavalcava il muro sul retro e attraversava la strada nelle ore buche. Ma a detta del preside, l'uomo che aveva architettato tutto ciò era un genio, quindi non mi sentii in dovere di puntualizzare quanto invece quel piano fosse ridicolo, nemmeno alla prima assemblea della scuola, tre anni prima. Tornando a noi, non mi asterrò nel dire che anche io ero una di quelle ragazze qualche tempo fa. Mia madre fin da piccola mi aveva insegnato che il segreto del successo è di ingraziarsi le persone che contano, e cercare di essere come loro. Arrivata all'istituto McQueen, dove i miei genitori mi avevano iscritta dicendomi che "quella è la scuola dove vanno i figli con genitori come noi" feci come mi aveva detto mia madre, o almeno ci provai. Tempo due mesi nel gruppo delle 'butterfly', così si facevano chiamare (ridete pure, non sarò certo io a fermarvi) e avevo violato almeno un centinaio di regole: mai venire a scuola in tuta, il giovedì ci si veste di rosa, il rossetto deve essere sempre perfetto, mai restare senza ragazzo per più di due settimane.. e via dicendo. Quindi abbandonai l'idea di essere una 'farfalla' e mi rintanai nel mio buco. Da allora sono in cima alla lista delle persone più odiate e ritenute sfigate dalle butterfly, ero addirittura dopo Millington, la ragazza di 2c, più larga che alta, piena di brufoli e costantemente piena di germi a cause della sinusite acuta che la affliggeva in ogni momento della sua giornata. Non che mi importasse.
Mi avviai verso il grande cancello in ferro battuto e una volta attraversato mi guardai in giro in cerca di Paul, il mio autista. Mia madre me l'aveva affidato il primo giorno di scuola al McQueen, dicendo che ogni ragazza in che si rispetti ha il suo autista personale. Paul era un anziano signore che aveva servito mia madre per tanti anni e che si rifiutava di andare in pensione. Alla proposta di farmi da autista aveva reagito con così tanto entusiasmo che pensai ci fosse rimasto secco. Al contrario di molte delle ragazze del mio istituto io trattavo bene il mio personale. Paul era un grande amico. Quando lo vidi sventolare il solito fazzoletto rosso, mi scappò un sorriso, e subito gli corsi incontro.
«Signorina, temevo non mi avesse visto!» disse infilandosi il ritaglio di stoffa nel taschino. Sempre la stessa storia, pensai sorridendo. La verità era che non riusciva a fare a meno di quel gesto, guadagnando l'attenzione dei suoi simili, seduti in altrettanto lussuose macchine tirate a lucido, ma quasi mai altrettanto felici come lui. «Su, salga in macchina o faremo tardi al brunch del sabato»
Prima di salire in macchina mi voltai un'ultima volta a guardare l'enorme edificio stile '800 che troneggiava sulla strada. «Addio istituto McQueen» dissi.
Aprii la portiera e mi catapultai sul sedile posteriore, grata di sentire un po' di aria fresca, nel torrido mese di maggio.
«Coraggio piccolina, la rivedrà presto»mi disse accennando alla scuola. «Io non ne sarei così sicura» dissi con un sorriso furbo. Paul mi guardò stranito, evidentemente divertito dalla mia affermazione che ai suoi occhi, non doveva aver affatto senso.
Lasciai perdere e scrollai le spalle, guardando fuori dal finestrino. Per la prima volta in tre anni provai una sensazione nuova, estremamente positiva.
"Rebecca McCullers, diamo il via alla tua nuova vita!" Pensai divertita.
  
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