Nickname – Pocahontas@Effie (forum), EffieSamadhi (EFP)
Titolo della storia – Troubles [Problemi]
Personaggio scelto –
Luke Danes
Rating – Verde
Generi – Introspettivo, Sentimentale
Avvertimenti – Het,
One-shot
NdA – Tutti sappiamo che
Lorelai è un personaggio un po’… ‘particolare’.
Ma che cosa ha pensato di lei Luke la prima volta che l’ha
incontrata?
E la sua opinione sarà cambiata, nel corso del tempo?
Troubles
Lui
l’aveva capito dal primo momento, che quella non avrebbe portato altro
che problemi.
Ce
l’aveva scritto in faccia, ce l’aveva scritto sui vestiti, ce l’aveva scritto
sulla carrozzeria dell’auto. Tutto di lei diceva: “Giratemi alla larga,
sono un problema vivente”.
Se lo
ricordava alla perfezione, il giorno in cui l’aveva vista arrivare a Stars
Hollow.
***
Era
d’inverno, mancavano poco più di due settimane a Natale. Lei era arrivata in
città con la sua jeep, aveva parcheggiato davanti alla bottega di Taylor Doose
ed era scesa. Per un paio di minuti si era guardata attorno con aria curiosa,
scrutando la piazza completamente deserta e coperta di neve. Beh, proprio completamente
deserta no. Lui era in piedi su una scala e stava sostituendo un chiodo
arrugginito dell’insegna con uno nuovo. Aveva litigato ancora con Taylor, che pretendeva
la rimozione di quell’insegna.
“Questo
era il negozio di ferramenta di mio padre, Taylor, e non toglierei
quell’insegna nemmeno se me lo chiedesse il presidente degli Stati Uniti!”
“Avanti,
Luke, sii ragionevole. Gestisci una tavola calda, non puoi continuare ad
esporre quella stupida insegna! Confonde la gente!”
“I
cittadini di Stars Hollow sanno benissimo che questa è una tavola calda.”
“Beh,
pensa ai turisti.”
“Turisti?
Taylor, siamo a Stars
Hollow, non a Miami.”
Finito
di sostituire il chiodo, era sceso ed era tornato dentro il locale, vuoto e
silenzioso come la città. Era passato dietro il bancone per riordinarlo, ma non
riusciva a fare a meno di tenere d’occhio quella strana ragazza appena scesa
dalla jeep. Non doveva avere più di vent’anni, e anche da lontano sembrava
essere molto carina.
Un paio
di minuti più tardi, la ragazza era risalita in auto e si era allontanata, e
allora Luke era tornato a concentrarsi sul proprio lavoro.
Aveva
rialzato la testa nel sentire la porta aprirsi. Sospettando che si trattasse di
nuovo di quello stupido grassone petulante che voleva costringerlo a cambiare
insegna aveva iniziato a dire, in tono arrabbiato: “Taylor, vattene
immediatamente oppure…”
“No,
non sono Taylor. Anche se mi chiedo cosa possa aver fatto di male quella
poverina per essere trattata così duramente…” lo aveva interrotto una voce
sconosciuta.
“Oh, mi
scusi, io…” aveva iniziato, la gola improvvisamente asciutta. Si era schiarito
la voce e aveva ripreso a parlare. “Taylor Doose è il nostro sindaco. Ed è
un’autentica spina nel fianco. Che cosa posso fare per lei?”
La
ragazza della jeep lo aveva guardato con un sorriso timido. “Vorremmo mangiare
qualcosa, se possibile.”
Vorremmo?, aveva
ripetuto Luke a se stesso. Soltanto in quel momento era riuscito a staccare gli
occhi dalla ragazza, posandoli sulla bambina che teneva per mano. “Ma certo.
Accomodatevi, arrivo subito da voi.”
L’aveva
osservata togliersi il cappotto, e poi svestire la bambina. A giudicare dai
vestiti, dovevano provenire da un ambiente piuttosto agiato. Insomma, non che
se ne intendesse, ma quello non era assolutamente il genere di abiti che
indossavano le donne di Stars Hollow.
Non
aveva potuto fare a meno di chiedersi che rapporto ci fosse tra le donna e la
bambina.
Erano
sorelle?
Babysitter
e assistita?
Sì,
avrebbe potuto avere un senso, vista la jeep scassata con la quale erano
arrivate in città.
Ma
perché diavolo una babysitter dei quartieri alti avrebbe dovuto portare una
bambina di quell’età in una tavola calda di Stars Hollow, di sera, nel bel
mezzo di una nevicata?
Magari
la ragazza aveva rapito la bambina per chiedere un riscatto: succedeva in
continuazione.
E poi, quella
aveva l’aria di una che portava guai. Un sacco di guai. L’avrebbe
pensato anche Taylor, se l’avesse vista.
Luke si
era avvicinato al tavolo con la caffettiera. “Caffè?” aveva domandato, con il
tono più cordiale possibile.
“Grazie,
sarebbe davvero gentile.”
Mentre
riempiva la tazza, Luke aveva deciso di indagare. “Ma che bella bambina… come
si chiama?” aveva osservato, cercando di dimostrarsi entusiasta, anche se i
bambini non lo avevano mai affascinato.
“Grazie.
Si chiama Rory. E’ mia figlia” aveva aggiunto, dopo un paio di secondi di
silenzio.
Luke si
era immobilizzato. “Come?”
“Rory.
E’ mia figlia” aveva ripetuto la ragazza. “Lo so, sembra impossibile, ma ho
imparato che è meglio specificarlo subito, prima che la gente pensi che l’ho
rapita ad una famiglia ricca per chiedere un riscatto.”
“Sua
figlia?”
“Mia
figlia, sì.”
“Ma lei
è…”
“…una
ragazzina?”
“Stavo
per dire giovane” l’aveva corretta Luke. “Insomma, quanti anni può
avere?”
“Non si
chiede l’età ad una signora, lo sa?”
Lui
aveva indicato la mano di lei, priva di qualsiasi anello o monile. “Non c’è un
anello, sono libero di pensare che non sia sposata, il che non fa di lei una
signora. Quindi, le posso chiedere quanti anni ha.”
“Ne ho
venti” aveva risposto lei, dopo una breve pausa. “Li ho compiuti ieri.”
“Avevo
ragione, è giovane.” Aveva finito di riempire la tazza. “E Rory, quanti anni
ha?”
“Ne
compirà tre in primavera. E’ molto precoce. Andrà ad Harvard.”
“Precoce
davvero” aveva scherzato lui. “Che cosa posso portarvi?”
“Oh,
non ho ancora guardato il menu, mi scusi.”
“Si
figuri. Se vuole un consiglio, le suggerisco la zuppa di pomodoro. E’ la
specialità dello chef.”
La
ragazza aveva sorriso. “Vada per la zuppa di pomodoro.”
“Per
due?”
“Che
posto è Stars Hollow?” gli aveva domandato, una volta finita la zuppa. “Per
viverci, intendo.”
“Tranquillo”
aveva risposto lui. “Nella scala delle città più tranquille d’America, siamo al
livello ‘mortorio’. Sta cercando casa?”
“Una
specie” aveva risposto evasiva.
“Da
dove arriva? Se posso chiedere…”
La
ragazza aveva stretto i grandi occhi azzurri e aveva aggrottato la fronte, nel
formulare una risposta a quella domanda. “Da un posto in cui spero di non dover
ritornare più.”
“Ha un
posto dove stare?”
“Non
esattamente.”
“Se può
esserle d’aiuto, c’è un albergo, a un paio di isolati da qui. Si chiama Independence
Inn. Beh, più di un albergo, è una specie di pensione. Non costa molto, ma
è pulita e accogliente. Come essere a casa.”
“Spero
di no” aveva sospirato lei, porgendo alla bambina un tovagliolino con il quale
pulirsi gli sbaffi di zuppa.
“Situazione
difficile?”
“Genitori
difficili” lo aveva corretto. “Diciamo che è ora di lasciare il nido.”
“E il…”
aveva iniziato Luke, accennando alla bambina.
“Il
padre di Rory?” La ragazza aveva ridacchiato. “Credo sia in… Ecuador, o
quell’altro Paese… com’era? Ah, Bolivia.”
“Non
vuole occuparsi di sua figlia?”
“Oh,
no. Lui è entusiasta di Rory.”
“E
allora perché…”
“Perché
non stiamo insieme?” Aveva riflettuto in silenzio per qualche secondo. “Non lo
so. Fa sempre così?”
“Cosa?”
“Lei.”
“Io?”
“Sì,
lei. Insomma, indaga su tutti quelli che entrano nel suo locale?”
No,
Luke non era mai stato il tipo di uomo che ficca il naso nella vita e nei
problemi degli altri solo per godimento personale. Al diavolo, non si occupava
nemmeno dei problemi della propria famiglia, perché accidenti avrebbe
dovuto ficcare il naso nelle magagne altrui? No, lui non faceva mai cose del
genere. Taylor si comportava così. Ed era esattamente quello il
motivo per cui lui e Taylor litigavano, il più delle volte. “No, no. Sono un
tipo abbastanza riservato, di solito. Non mi piace parlare degli altri, e non
mi piace che gli altri parlino di me.”
“Eppure
lo sta facendo.”
“Cosa?”
“Sta
parlando di me.”
“Sì, è
vero. Sto parlando di lei.”
“Perché?”
Luke
aveva osservato a lungo la ragazza, confermando la propria prima impressione:
era davvero molto carina. “Non lo so. Mi ha… incuriosito, credo.”
“Incuriosito?”
“Incuriosito.”
“In che
senso?”
“In che
senso cosa?”
“In che
senso l’ho incuriosita?”
“In
quanti sensi si può incuriosire una persona?”
“Beh,
esistono parecchi modi di incuriosire una persona.”
“Davvero?”
“Davvero.”
“Beh,
non saprei. Ha l’aria di essere una persona con molto da raccontare.”
“La
ringrazio.”
“E di
che?”
A quel
punto, una voce nuova si era introdotta nella conversazione. “Mamma, ho finito”
aveva detto la bambina, porgendo alla giovane donna il tovagliolino usato per
pulirsi.
“Sei
stata bravissima, Rory. Che dici, andiamo a cercare un posto per dormire?”
Rory
aveva annuito, e allora si erano alzate e rivestite. La ragazza aveva chiesto
il conto, e mentre pagava, a Luke era saltato in mente di presentarsi. “A
proposito, mi chiamo Luke” aveva detto, tendendole la mano. “Luke Danes.”
La
ragazza aveva ricambiato la stretta, sorridendo. “Lorelai. Lorelai Gilmore.”
“Allora,
magari… ci si vedrà in città.”
“E’
probabile. A presto.”
“A
presto.”
Poi,
Lorelai Gilmore e sua figlia erano uscite dal locale, e Luke era rimasto a
guardarle mentre raggiungevano l’auto. Quando la jeep si era allontanata, lui
aveva scosso la testa, senza riuscire a capire che diavolo gli fosse preso:
insomma, lui era Luke Danes, non socializzava nemmeno con chi vedeva tutti i
giorni, figuriamoci con una ragazza appena incontrata! Ma quella Lorelai era…
era diversa dalla gente di Stars Hollow.
E pur non
conoscendola, Luke era certo che fosse anche migliore della gente di
Stars Hollow.
***
Lui
l’aveva capito dal primo momento, che quella non avrebbe portato altro
che problemi.
Aveva
capito dal primo istante che Lorelai avrebbe avuto lo stesso effetto di un
tornado. Ce l’aveva scritto in faccia: “Sono un uragano potenzialmente
distruttivo, non lasciatemi avvicinare.”
Lui era
stato il primo a cadere nella trappola, e pian piano tutta Stars Hollow lo
aveva seguito. C’erano voluti più di quindici anni, ma finalmente Lorelai
Gilmore era riuscita a far innamorare di sé un’intera città.
Anche
se continuava a combinarne di tutti i colori: lo aveva chiamato appena cinque
minuti prima, in preda al panico, chiedendogli di correre subito a darle una
mano. Conoscendola, Luke immaginò che avesse incendiato il divano,
oppure incastrato le chiavi della macchina nella serratura della porta del
bagno, o magari investito il gatto dei vicini – oppure i vicini.
In
fondo, lui lo aveva capito dal primo momento, che Lorelai avrebbe portato
soltanto guai.
Aprì la
porta d’ingresso con la chiave nascosta nella tartaruga di terracotta vicino
allo zerbino ed entrò. “Lorelai, sono qui. Sei ancora viva? Ho chiamato
un’ambulanza e la polizia. È sufficiente, o devo avvertire la Guardia
Nazionale?” la prese in giro, raggiungendo la cucina.
Era
tutto buio e silenzioso, e niente in casa di Lorelai era mai silenzioso.
Dopo una breve ispezione del piano inferiore, Luke salì le scale. “Lorelai,
dove diavolo sei? Stai bene?”
La
trovò in bagno, inginocchiata davanti alla tazza del gabinetto. E non aveva
l’aria di stare bene. “Luke, hai problemi di cuore?” gli domandò, voltandosi a
guardarlo.
“No,
non che io sappia.”
“Istinti
suicidi?”
“Solo
omicidi, e solo nei confronti di Taylor e Kirk.”
“Soffri
di cali di pressione?”
“No.”
“Caviglie
deboli?”
“Lorelai,
vuoi arrivare al punto?”
“E’
meglio se ti siedi.”
“Sedermi?”
“Sì,
siediti” ripeté, agitando una mano per incoraggiarlo. “Se alzo la testa per
guardarti mi viene da…” Non concluse la frase, ma si limitò a sporgersi sulla
tazza e a rimettere una parte della colazione. “Appunto.”
Luke si
avvicinò al lavandino, bagnò un’estremità dell’asciugamano e le rinfrescò la
fronte e i polsi. “Lorelai, che succede?”
“Sicuro
di essere perfettamente sano?”
“Non ho
mai avuto nemmeno un raffreddore, Lorelai. Vuoi dirmi che succede?”
“Prometti
che non ti arrabbierai?”
“Ok.”
“Prometti
che mi proteggerai dalla furia assassina di mia madre?”
“Ok,
prometto.”
“Prometti
che vorrai ancora bene a Rory come gliene avrai sempre voluto?”
“Che
c’entra Rory, adesso?”
“Le
sorelle maggiori sono sempre gelose delle sorelle minori” rispose lei, con uno
dei suoi soliti sorrisi, un attimo prima di sporgersi di nuovo sulla tazza.
D’istinto,
anche Luke sorrise. Lui l’aveva capito dal primo momento, che Lorelai avrebbe cambiato
tutto.