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Autore: Maggie_Lullaby    03/09/2011    4 recensioni
Un'altra fic su e per Diletta. Non dovete considerarle collegate alle altre shot su/per lei.
C'era un posto che Diletta, da quando viveva a Los Angeles, aveva sempre amato, ed era un enorme campo di girasoli posto in periferia, sconosciuto ai più. Andava sempre lì quando doveva pensare, sfogarsi o scrivere. Era il suo posto, e l'unica persona a cui aveva detto della sua esistenza era Joe.
[...] Tra le tanti fini che aveva immaginato della sua storia con Joe, quella non l'aveva mai considerata. Aveva sempre creduto che, se mai si fossero lasciati, sarebbe stato lui a prendere l'iniziativa, non lei. Questo dimostrava quanto si sbagliasse.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Joe Jonas, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Piccola shot. Non so come presentarla, esattamente... è quello che è, ecco u.u Come so spiegare bene oò Piccola nota: il titolo è quello qui sotto citato in corsivo al centro pagina – preso da una citazione di tumblr – ma non ho potuto metterlo “ufficialmente” perché è troppo lungo. Ufficiosamente, quindi, il titolo è Always on my mind.


Everyday we tell ourselfs we'd better off without each other,

but then every morning I wake up and realize I love you more then the day before}


«Sei un fottuto stronzo!», strillò Diletta, gli occhi lucidi per le lacrime di rabbia e i capelli scuri scompigliati.

Joe si passò una mano sul viso, con gesto stanco, cercando di tenere a freno l'ondata di insulti che gli affollavano la testa.

«Ma si può sapere cosa vuoi da me?», domandò con voce fintamente rilassata, guardando la sua fidanzata negli occhi.

Diletta lo fulminò con un'occhiataccia, le mani sui fianchi e un'espressione di pura furia omicida sul volto giovane.

«Cosa voglio da te? Cosa voglio da te? Voglio che tu la smetta di rinfacciarmi tutto ciò che non hai potuto fare a causa mia», gridò. Joe notò che le tremavano le gambe.

«Stavo solo dicendo che avrei potuto fare un concerto, la scorsa settimana, la sera che siamo usciti», sbottò il venticinquenne, camminando nervosamente per la stanza come se fosse un leone in gabbia.

«Genio, sei stato tu ad organizzare quella cena! Se sapevi di poter organizzare un concerto non avresti dovuto chiedermi di uscire!», riprese a urlare l'appena ventenne, agitando le mani.

«Era il tuo compleanno, non volevo deluderti», rimarcò per l'ennesima volta in un'ora Joseph, con aria stanca.

«Certo, perché ora non lo stai facendo», sibilò Diletta, attirando su di sé un'occhiata sbalordita del fidanzato.

Era da più di un mese, esattamente da quando Joe aveva messo l'anello al dito alla ragazza ed erano andati a vivere insieme, che le cose tra loro due non andavano più bene come una volta. Il cantante voleva credere che quello fosse solo un momento di crisi causato dai preparativi per il matrimonio e dalle lamentele dei genitori di lei che la consideravano un po' troppo giovane per diventare già una signora, ma la verità era che i rapporti, tra loro, si erano incrinati.

Diletta non ricordava un singolo giorno, nell'ultimo mese, in cui non avessero litigato. Pareva esserci sempre una buona scusa, a partire da argomentazioni stupide come il colore delle tovaglie durante il ricevimento di matrimonio a cose ben più serie, come le accuse. Tante, troppe accuse.

Joe a volte sembrava lamentarsi di aver saltato un qualsiasi appuntamento di lavoro per stare con Diletta, e lei gli rinfacciava di essere poco presente. Cosa vera, tra l'altro.

«Se mi stai dicendo di non volere che ti porti più fuori a festeggiare il tuo compleanno, negli anni che seguiranno, ti prendo in parola», la avvertì il giovane uomo, guardandola truce.

«Bene!», strillò la ragazza. «Sai cosa? Non ci saranno altri compleanni che dovremo festeggiare insieme! Se è in questo modo che devo passare il resto della mia vita insieme a te, beh, no grazie!». Le lacrime sul suo volto divennero più numerose e le rigavano le guance trascinando con sé il trucco scuro con cui si era truccata gli occhi quella mattina. Un singhiozzo proruppe dal suo petto mentre si sfilava l'anello di fidanzamento dall'anulare sinistro e lo lasciava scivolare sul parquet del salotto.

Joe la fissò, come paralizzato, rendendosi conto di non stare respirando.

«È finita!», urlò la mora, afferrando velocemente la sua borsa e le sue chiavi di casa lasciate accanto all'appendiabiti vicino all'ingresso, sbattendosi la porta alle spalle.

Joe rimase a guardare l'uscio chiuso per un tempo interminabile, sentendo nell'aria ancora l'eco delle ultime parole della ragazza. Poi, con lentezza, si chinò per terra e raccolse l'anello, stringendolo forte in una mano.

Si sedette a terra con un tonfo, mettendo la testa tra le gambe. E urlò.


Looking out for
California here we come
Right back where we started from.

(California; Phantom Planet)


Diletta poteva dire con assoluta certezza che il suo grande sogno americano era una grande, enorme, fregatura. Aveva sognato per anni il momento di mettere piede sul territorio americano e poter dire con onore di aver finalmente realizzato la sua più grande ambizione, ma non aveva mai tenuto conto dei problemi che vivere in una nuova città comportava.

In primis, cercare di ambientarsi nella grande e sin troppo caotica Los Angeles. Quando, appena tre mesi prima, la sua domanda per lo scambio culturale del quarto anno di liceo era stata accettata e aveva scoperto che la famiglia che l'avrebbe ospitata per un intero anno abitava nella Città Degli Angeli aveva strillato per la gioia. Ma anche se era arrivata da due settimane, ogni volta che andava a passeggiare da sola in giro per la città, finiva per perdersi e finire dalla parte opposta a dove sarebbe dovuta andare.

Quel giorno non aveva eccezione.

Con la cartina in una mano e una tazza di caffè americano nell'altra cercò di capire da che parte fosse Courton Place, sapendo che una volta raggiunta quella meta l'arrivo a casa era vicino.

«Vaffanculo», sbottò in italiano, fissando truce la cartina. «Hai capito? Vaffanculo. Stupido, idiota, inutile pezzo di carta».

«Hai bisogno di una mano?», domandò esitante una voce alle sue spalle.

Diletta si voltò, sorridendo allo sconosciuto che aveva davanti. Un ragazzo alto, biondo, i bicipiti scolpiti e un sorriso magnetico. Esattamente il genere di ragazzi puramente americani.

«Oh, io, grazie... sto cercando Courton Place», balbettò non tanto per la timidezza quanto al fatto che quel ragazzo aveva un sorriso meraviglioso.

Lo sconosciuto sorrise ancora.

«Sto andando lì», disse gentilmente. «Vuoi che ti faccia strada?».

«Certo!», esclamò lei, annuendo velocemente. «Grazie!».

Il biondo fece un gesto con la mano, come per dire che non c'era nessun problema.

«Ad ogni modo, mi chiamo Alex», si presentò, porgendole una mano.

«Diletta», ricambiò la diciassettenne, stringendo la presa. Nonostante i trentacinque gradi, Alex aveva la mano fredda.

«Bellissimo nome», sorrise lui.

Un mese, sette appuntamenti, tre litigate e quindici giorni passati a camminare mano nella mano, Diletta poteva dire con fierezza che Alex era il suo ragazzo, e in assoluto uno dei più belli, simpatici e romantici avesse mai frequentato in vita sua.

Era più grande di lei, aveva già finito la scuola, e faceva il musicista. Cercava di far fortuna con la sua band, i Marley's, ma la maggior parte delle sue entrate in valore finanziario derivavano dai concerti che faceva come batterista e all'occorrenza tastierista di supporto per gruppi musicali già entrati nello show business.

Fu così che Diletta conobbe Joe Jonas. In particolare, prima conobbe Nick, e di seguito Joe e Kevin.

Sei mesi dopo essere stati insieme, Alex lasciò Diletta perché aveva firmato un contratto con una casa discografica e doveva partire per un tour in Europa. E Joe era ben disponibile a porgerle una spalla su cui piangere.


I won’t hurt you
I’ll protect you
I won’t let the rain fall down
I’ll always be around.

(Butterfly; Delta Goodrem)


Quando Joe aveva conosciuto Diletta stava frequentando Ashley, faceva sesso regolare e poteva definirsi un uomo fortunato ad avere una simile ragazza accanto a sé. Le cose iniziarono a degenerare quando Ashley gli consegnò un mezzo delle sue chiavi di casa e gli disse di venire quando voleva. Poco tempo dopo, appena passato il ventiquattresimo compleanno della ragazza, l'aveva lasciata dicendo di non provare più gli stessi sentimenti di una volta. Amici come prima, ed era finita lì.

Poco tempo dopo, Alex, un musicista che aveva suonato insieme a un artista con cui suo fratello Nick aveva collaborato mesi prima, e suo attuale amico, aveva lasciato la sua ragazza, Diletta, per il lavoro, e Joe aveva sentito l'irrefrenabile desiderio di consolarla. Diletta era italiana e sarebbe dovuta rimanere in America solo un anno, ma alla fine aveva preso il diploma alla high school americana e si era trasferita definitivamente.

Si era occupato di lei, cercando di risanarle il cuore con cure a base di gelato, film horror e canzoni heavy-metal. Incredibilmente, aveva funzionato.

L'unico problema era che, man mano, si era affezionato a lei. Troppo.

«Okay, okay, San Valentino di Sangue è in assoluto il peggior film horror che io abbia mai visto», snocciolò l'italiana, mangiando pop corn e fissando i titoli di coda che scorrevano sullo schermo del televisore.

Joe le sorrise.

«È la categoria», spiegò con l'aria di chi la sa lunga. «Tutti i film horror fanno schifo, ultimamente».

Diletta annuì, prendendo un'altra manciata di pop corn. Era distesa sull'intero divano, la testa appoggiata sulle gambe del ragazzo.

«La prossima volta guardiamo un film di Dario Argento», disse.

«Non sei stanca dei film dell'orrore?», domandò Joe, a metà tra il divertito e lo sfinito.

«Ehi, sei stato tu ad avermi drogato di questo genere sino ad ora, adesso ne paghi le conseguenze».

Joe rise, iniziando ad accarezzarle i capelli dolcemente.

Diletta fece un gran sorriso sentendo le mani del ragazzo tra i suoi capelli e rimase in silenzio, godendosi quel contatto.

«Sei bellissima», mormorò Joe, quando i loro occhi si incrociarono.

Diletta ringraziò silenziosamente che la casa fosse nella semi oscurità, perché arrossì copiosamente.

«Ma smettila».

«No, Dils», fece lui accarezzandole una guancia. «Sei veramente bellissima».


Oh this is the night, it's a beautiful night
And we call it bella notte
Look at the skies, they have stars in their eyes
On this lovely bella notte.

(Bella Notte; Lady and the Tramp)


«Mi hai portato a Venezia. Siamo a Venezia!», esultò Diletta, battendo le mani per poi lanciare le braccia al collo del suo ragazzo, per poi stampargli un bacio sulle labbra.

«Ti mancava l'Italia, hai detto», spiegò lui, sorridendole.

«Sì, è vero, ma non avrei mai pensato che tu mi portassi qui», fece lei, allegramente, per poi prenderlo per mano.

Joe ricambiò forte la stretta per poi iniziare ad avviarsi lungo i viottoli stretti della città, senza avere una vera e propria meta, semplicemente per il gusto di vistare la città.

A Venezia era bassa stagione e per questo non era affollata dai turisti come durante il resto dell'anno, ma rimaneva comunque caotica.

Joe aveva affittato una stanza in un grazioso bed&breakfast appartenente a una signora sulla settantina piuttosto che in un albergo costoso, poiché i paparazzi non si aspettavano di vederlo alloggiare in un posto del genere, senza contare che Diletta iniziava a non sopportare gli alberghi lussuosi e preferiva di gran lunga la semplicità delle pensioni.

Oltre a farle un piacere e una sorpresa portandola nel suo Paese natio, un'altra ragione per cui Joe aveva fatto quel viaggio era l'anello che da circa due mesi portava con sé ovunque andasse. Sapeva che Diletta aveva solo diciannove anni – quasi venti, ma non importava – e sapeva che il bon ton gli imponeva di chiedere la sua mano prima al padre che a lei, ma la paura di sentirsi dire “Scordati di sposare mia figlia per i prossimi dieci anni” e il rifiuto di Diletta alla sua proposta, l'avevano fermato dal fare il grande passo.

Ma quel fine settimana glie l'avrebbe chiesto, se l'era imposto.

Man mano che il sole iniziò a tramontare Joe la portò verso il ristorante che aveva prenotato affacciato su uno dei tanti canali della città, ma con un particolare fascino.

Con il cuore a mille le scostò la sedia per farla sedere, le versò il vino, approfittando del fatto che in Italia si poteva bere alcool prima dei ventun anni, e facendole ancor più complimenti di quanti gliene facesse di solito.

Per tutta la cena parlarono del più e del meno, Diletta gli raccontò qualche aneddoto avvenuto a lei e a una sua amica in quella stessa città anni prima mentre Joe, preso dal nervosismo, la ascoltò e basta.

Una volta pagata la cena e arrivati su un ponticello poco distante, illuminato dalla luna, la ragazza incrociò le braccia al petto e inarcò un sopracciglio.

«Si può sapere che diavolo ti prende?», domandò con tono seccato.

«Perché?», fece confuso il ventiquattrenne.

«Non hai parlato di te, non ti sei detto quanto sei bello, divertente e affascinante per tutta la sera. È chiaro che hai qualcosa che non va».

«Va tutto benissimo», balbettò Joe, scostando lo sguardo da lei e guardando l'acqua che scorreva sotto di loro.

«Certo, certo», sbuffò lei. «Joseph?».

«Sai che odio quando mi chiami così», sbuffò lui, levando gli occhi al cielo.

«Dimmi cos'hai e smetto di chiamarti in questo modo».

Joe rimase in silenzio.

«Dai», lo supplicò Diletta, sbattendo velocemente le palpebre e parlando con tono lacrimoso.

«Vuglchiedtidisposrm», disse velocemente lui.

Diletta lo fissò confusa.

«Eh?», chiese.

«Vospormo?».

«Che diavolo stai dicendo?».

«Vorrtuspossi».

«Joseph!».

«VOGLIO SPOSARTI!», urlò lui, rendendosi conto solo dopo di aver urlato.

Diletta chiuse la bocca con un suono secco.

«Joe...», disse dolcemente.

«So che sei giovane, molto giovane, ma io ti amo», spiegò lui, senza avere il coraggio di guardarla in faccia.

«Tesoro...».

«Ti prego, non lasciarmi anche se non mi vuoi sposare. Ti prego, ti prego non posso vivere senza di te».

«Perché mai dovrei dirti di no?», rise lei, liberatoria. Joe giurò di averla sentita singhiozzare.

«Mi stai dicendo che...».

«Ti sto dicendo che ti sposo, Joe», mormorò, e poi sorrise, con un sorriso che avrebbe potuto illuminare tutta Venezia. «Cielo, certo che ti sposo!».

Joe aprì la bocca in un muto segno di stupore, prima di scoppiare a ridere e di alzarla da terra tenendola per la vita, baciandola con tutta la passione che aveva in corpo.

«Amore», sussurrò lei, tra un bacio e l'altro.

«Sì?».

«I miei sono assolutamente all'oscuro del fatto che tu volessi chiedermelo, vero?».


So tell me now where was my fault

in loving you with my whole hearth?

(White Blank Page; Mumford & Son)


C'era un posto che Diletta, da quando viveva a Los Angeles, aveva sempre amato, ed era un enorme campo di girasoli posto in periferia, sconosciuto ai più. Andava sempre lì quando doveva pensare, sfogarsi o scrivere. Era il suo posto, e l'unica persona a cui aveva detto della sua esistenza era Joe.

La ventenne camminava per il campo a piedi scalzi, le scarpe in una mano, sentendo il sole sulla faccia che le seccava le lacrime inesauribili.

Fece ancora qualche passo per poi lasciarsi cadere in uno spiazzo libero, prorompendo in un singhiozzo.

Tra le tanti fini che aveva immaginato della sua storia con Joe, quella non l'aveva mai considerata. Aveva sempre creduto che, se mai si fossero lasciati, sarebbe stato lui a prendere l'iniziativa, non lei. Questo dimostrava quanto si sbagliasse.

Amava Joe. Con tutto il suo cuore. E sapeva che Joe la amava, ma aveva quel problema che si trascinava dietro da anni che gli impediva di avere una relazione stabile senza mandare tutto a monte. Diletta aveva solo anticipato i tempi.

Si guardò la mano sinistra e sentì una nuova ondata di singhiozzi nel vedere l'anulare senza l'anello a cui si era tanto abituata.

Il lieto fine delle fiabe, quello che aveva sognato, era sfumato.

Ora non le restava più niente. Non aveva una casa in cui andare, dato che aveva venduto la sua dopo essersi trasferita da Joe, non aveva più un lavoro, non fisso per lo meno, dato che era inconciliabile che lei restasse a casa mentre Joe girava il mondo per mesi. Non era accettabile, non quando si stavano per sposare.

Non aveva niente.

Il dolore che si era formato all'altezza dello stomaco da quando si era sfilata l'anello si acuì e si piegò in due tenendosi la pancia.

Dio, perché l'ho fatto?

Maybe I didn't love you
Quite as often as I could have
And maybe I didn't treat you
Quite as good as I should have
If I made you feel second best
Girl I'm sorry I was blind

(Always on my mind; Willie Nelson)


Quando si risvegliò, era il tramonto. Si mise a sedere sul terreno polveroso, cercando di pulirsi le mani mentre la schiena si lamentava. Si era addormentata.

Si passò il dorso di una mano sugli occhi, mettendo a fuoco il paesaggio e, in particolare, una figura davanti a sé.

«Cosa ci fai qui?», ringhiò, con meno rabbia di quanto avrebbe voluto.

Joe si sedette davanti a lei.

«Vieni sempre qui a pensare».

«Che cosa ci fai qui?», ripeté lei, sprezzante.

«Mi è sempre piaciuto guardarti dormire».

«Joe!».

«Ti ho chiesto di sposarmi, hai accettato e ora mi hai lasciato. Ti rivoglio indietro, mi pare ovvio», spiegò il ragazzo, scrollando le spalle.

«Sei tu che mi hai lasciato andare».

«Ma ora sono qui. Con te. Perché ti rivoglio».

Diletta voltò lo sguardo, non voleva vederlo.

«Non riusciamo a stare insieme. Non riusciamo a convivere, l'abbiamo capito».

«Sai meglio di me che non te ne sei andata solo perché abbiamo litigato».

Diletta si morse un labbro.

Quel ragazzo le leggeva dentro.

«Allora?», la incitò lui.

«La prima volta che hai amato veramente una donna, ti ha lasciato», mormorò lei. «Ammettilo, con Camilla hai pensato di passare il resto della vita, ma poi è emerso che era una lurida bastarda traditrice, e da quel momento non hai più voluto avere relazioni stabili».

Joe spalancò gli occhi, sorpreso.

«Andiamo, Joe! Hai lasciato Demi quando lei ha iniziato a dire ai giornali che ti amava e che le cose tra voi erano serie, hai lasciato Ashley quando lei ti ha dato le sue chiavi di casa, sei andato a letto per mesi con delle perfette sconosciute solo perché avevi paura di impegnarti, di soffrire di nuovo. Fai tanto il ragazzo intoccabile e divertente, ma sappiamo entrambi che sei più sensibile di quanto vuoi far credere. Mi hai frequentato più a lungo perché sono più giovane, non ti avrei chiesto di andare a vivere insieme e non chiedevo tanto impegno. Finché non ci siamo fidanzati, e per l'appunto da quando siamo tornati da Venezia ti comporti da stronzo». Non aveva urlato, la sua voce era rimasta calma, ancora più micidiale.

«Dils...».

«Mi sto per caso sbagliando?».

Joe la fissò a lungo, aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse senza emettere un suono.

Diletta sospirò.

«Evidentemente non sei pronto per il matrimonio».

«Sì che lo sono!», sbottò Joe, rianimandosi. «Io ti amo!».

«Finché non capirai che io non vado da nessuna parte, non mi pare una decisione saggia».

«Mi hai lasciato tu!».

«Perché quello dell'ultimo mese non era l'uomo con cui voglio passare il resto della mia vita!».

Ancora una volta, Joe rimase senza parole.

Diletta lo guardò e gli fece un timido sorriso lacrimoso.

«Hai sempre detto che odi vedermi ferita, e che odi vedermi piangere. Durante l'ultimo mese tutte le volte che mi hai fatto del male, cos'hai fatto, hai chiuso gli occhi?*».

«Mi dispiace. Non volevo».

«Lo so».

Si guardarono a lungo.

«Non... non puoi perdonarmi?».

Diletta scoppiò in una risata senza gloria. «La cosa peggiore di tutta questa storia è che non riesco ad essere arrabbiata con te».

«Quindi...».

«Quindi niente. Tu non hai ancora capito che sono qui, che ho accettato di sposarti e non ho intenzione di ferirti, finché ti comporterai come hai sempre fatto sino a prima di Venezia».

Ancora silenzio. Pesante. Insieme accusatore e di perdono, un silenzio per pensare.

«Lo capirò, man mano, lo sto già capendo adesso».

Diletta lo guardò.

«Ne sei sicuro?».

«Come mai lo sono stato in vita mia», sussurrò lui, prendendole la mano sinistra e facendole scivolare l'anello al dito che aveva estratto dalla tasca dei pantaloni.

Diletta cercò di trattenere le lacrime.

«Non vai da nessuna parte, vero?».

«Da nessuna parte».


The End.


Joe Jonas non mi appartiene, ufficialmente, e con questa storia non voglio ricreare il suo vero carattere, bla bla bla, questa storia non è stata scritta a fini di lucro ma per – tentare – di rendere felice l'angelo a cui è dedicata, ovvero...

...Diletta. Di nuovo lei. Perché la amo, è la mia migliore amica, è come una sorella, mi ispira e perché la amo. Sì, di nuovo. ♥


*citazione sempre presa da tumblr anche se vagamente cambiata.

  
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