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Autore: bianfre    05/09/2011    2 recensioni
Ho fatto uno sbaglio.
Ho fatto uno sbaglio enorme.
Genere: Generale, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland, Nord Italia/Feliciano Vargas
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ho fatto uno sbaglio.
Ho fatto uno sbaglio enorme.
 

 
Sapete quando vi capita di stare a stretto contatto con una persona, di vederla continuamente, la quale vi viene a trovare spesso…
E voi all’inizio non capite proprio bene perché lo fa.
Si siede sulla vostra poltrona, vi sorride, vi chiede com’è andata la vostra giornata, restando serenamente composto ad ascoltarvi, paziente.
E mentre gesticolate e vi inforverate ripensando a quel povero gelato sprecato, spiaccicato sul l’asfalto della strada, vi ritrovate beoti a fissare quelle profonde polle azzurre come foste degli infanti.
Perché io ero un bambino, e mica tanto stupido.
 
Capitava soprattutto nel tardo pomeriggio, dopo aver finito una giornata di duro lavoro- giustificava così i graffi e le bende sulle braccia- che, scompigliandomi piano i soffici capelli ramati, raggiungeva il mio tutore nella stanza adiacente.
E io davvero non capivo perché, se la sua giornata fosse stata realmente così estenuante, passasse comunque a casa nostra.
 

 
Capitava proprio in quei momenti.
Quando quella stessa persona che non fa che cercarvi, passare il proprio tempo con voi, vi fa regali, vi bacia piano sulla guancia…
Succede qualcosa.
 

 
Oh, nulla di preoccupante, intendiamoci. Il mio cervello da ragazzino non si arrovellava ancora così tanto da poter capire appieno ma— lo stomaco pizzicava.
 
E non era sempre dovuto all’indigestione di dolci che furbamente rubavo alla nostra vicina.
 
 
Perché avevano un fascino strano quelle lunghe ciocche dorate, legate leggere in una bassa coda.
E le sue mani, oh le sue mani, volta per volta sempre più vicine, sempre più presenti.
Ma io sinceramente non afferravo, davvero, e mi limitavo a sorridere felice.
Perché lo ero infondo, Felice.
Inquietato, ma allegro.
 
Perché finalmente avevo trovato qualcuno con cui stare, con cui sentirmi a casa, qualcuno da chiamare fratellone (pace all’anima sua di quel mio caro fratello che ancora stava sotto la conquista spagnola –ma infondo Antonio non mi preoccupava più di tanto).
E lui mi stringeva, mi accarezzava, mi parlava con quel suo gracchiare roco, che quando bisbigliava il mio ciuffetto prendeva a muoversi nervoso. E le gote mi s’imporporavano un po’ di più e lui rideva, reclinando indietro il capo.
 
 
Bene o male le giornate avevano preso a girare così, in perenne attesa di quella manciata di ore da passare assieme al fratellone Francia.
Si, era davvero successo qualcosa.
 
Solo che un giorno di fratelli se ne presentarono due.
La figura di Francia venne surclassata da una più minuta persona, dagli occhi dello stesso colore delle fronde e… sembrava proprio che un cespuglio gli fosse cresciuto sopra di queste.
Sguardo corrucciato, bocca storta e a passo pesante si era introdotto nell’atrio della casa.
Austria-san non ne sarebbe stato contento.
E sebbene lo sapessi non feci nulla per scacciarlo. Me ne ero rimasto immobile a fissare il suo sguardo antracite, ritrovandomelo a pochi centimetri dal naso.
Mi raggelò.
 
“Beh, è questo qua!?” ringhiò volgendo lo sguardo dietro di se, incontrando le plumbee pupille del francese, che ignorando il biondino mi sorrise rassicurante. Lo fissai ansioso.
Chi era questo ragazzo? E cosa intende con ‘questo qua’?
Ma la mia mente, ribadisco, lavorava troppo piano.
In due mosse lo straniero richiamò la mia attenzione, spaventandomi.
“HEY YOU!” urlò schioccando le dita, fissandomi malevolo “portami da bere”.
E senza replicare mi precipitai in cucina a passi svelti, incespicando appena. Mentre svoltavo nel corridoio potevo sentire ancora la sua voce fastidiosa dire ma che bravo, ha obbedito subito.
 
Riempii la brocca di un dolce vino rosso trovato nel fondo della cantina, portandolo piano fino al soggiorno.
Quello che però vidi non mi piacque affatto.
Perché il fratellone stava abbracciando lo straniero? Questo neanche voleva.
Si dimenava, urlava, diceva di smetterla e perché, perché non lo lasciava?
Aperti i suoi occhi cerulei lo vidi sorridermi, sciogliendo finalmente l’abbraccio con il bruco che ancora inveiva, correndomi incontro ad aiutarmi. Sfiorò le mie piccole manine con amore, poggiandomi al contempo un dolce bacio sulla fronte.
 “Hey, muoviti che non ho tutta la giornata da spendere qui con te” lo richiamò stizzito l’inglese, scoccandomi un’occhiataccia severa mentre andava a sedersi sul sofà.
Francis annuì, voltandosi di nuovo verso di me, sorridendo.
Piano lo tirai per la camicia, vedendo ora il suo sguardo sorprendersi.
C-chi è…?” chiesi con un filo di voce per paura di essere sentito.
Francia chiuse le palpebre, accucciandosi e passandomi una mano tra le ciocche brune.
 
C’est mon amour…”e sorrise triste mentre mi baciava sulle labbra, lasciandomi ora a fissare la sua ampia schiena allontanarsi a raggiungere l’inglese brontolante.
Era triste... per me?
 
Le lacrime sgorgarono da sole, come per magia, e il petto prese a farmi così male mentre lui sorrideva allo straniero.
Proprio come aveva fatto con me fino all’altro giorno.
 
 
  

Lui non è il mio fratellone.
Non è neanche un lontano parente.
 
Romano non mi avrebbe mai fatto così male.
 

   
 
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