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Autore: atlanta    06/09/2011    2 recensioni
rimasi affascinata quasi violentemente da un altro, ben più oscuro, personaggio. Nella mia mente la strega cattiva era un simbolo di grande potenza femminile.
Un po’ come Sharon Stone in Basic Instinct.
La sua immagine, indomita misteriosa e contraddittoria, mi aveva catturata.
Non avevo pensato nemmeno per un secondo al suo essere malvagia. Per me era solo una figura terrificante ed attraente allo stesso tempo.
Non sapevo ancora quanto tutto questo mi avrebbe influenzata.
Genere: Dark, Horror, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando ero bambina mia madre mi leggeva sempre la stessa favola. Biancaneve e i sette nani.
Penso che tante donne più o meno della mia età possano raccontare la stessa cosa, questo suppongo mi renda uguale ad una grande moltitudine di giovani nate all’inizio degli anni Ottanta e non solo.
Ma  quante hanno sognato il principe? Quante hanno desiderato salire sul cavallo bianco e galoppare verso il castello? Troppe.
 
Beh, io no. All’epoca rimasi affascinata quasi violentemente da un altro, ben più oscuro, personaggio. Nella mia mente la strega cattiva era un simbolo di grande potenza femminile.
Un po’ come Sharon Stone in Basic Instinct.
La sua immagine, indomita misteriosa e contraddittoria, mi aveva catturata.
Non avevo pensato nemmeno per un secondo al suo essere malvagia. Per me era solo una figura terrificante ed attraente allo stesso tempo.
Non sapevo ancora quanto tutto questo mi avrebbe influenzata.
 

~
 
“Prego, entrate.” sorrisi alla giovane coppia e mi feci da parte per lasciarli passare. Quando furono all’interno chiusi la porta e vi piazzai un cartello che recava la scritta “Chiuso”, tirai la tenda verde e mi dedicai ai miei ospiti.
 
“Cosa posso fare per voi?”. I due rimasero assorti per qualche istante, catturati dal profumo d’incenso e dalle luci tremolanti delle candele, poi posarono gli occhi su di me, come ad ispezionarmi.
Cercai di mantenere il mio sorriso di circostanza, consapevole del mio aspetto trasandato.
Sentii i loro sguardi arruffare i miei capelli ramati e stopposi, scivolare sulla mia pelle scura, avvolgersi attorno alla mia veste rossastra e cadere fino ai miei piedi nudi, le unghie dipinte di un delizioso verde acqua.
Ovviamente evitarono i miei occhi.
 
 
Restituii lo sguardo, quasi incuriosita. In realtà di loro mi importava molto poco, ma indugiai piacevolmente sui capelli biondi e puliti di lei e sulle scarpe nuove di lui.
Stefania e Paolo. Questi erano i loro nomi, già lo sapevo
 
Leggermente seccata dal silenzio imbarazzato che era calato allungai la mano “Piacere, Maggie.”. I due si presentarono e poi ci sedemmo a terra sul parquet opaco.
“Cosa posso fare per voi?” chiesi, ripetendo con forza la mia domanda.
Non ascoltai nemmeno la loro risposta, la mia attenzione era tutta per lui, Paolo. Quando gli avevo stretto la mano avevo sentito un brivido passarmi per la schiena. Lui lo avrei tenuto per ultimo, c’era un’energia particolare sulla sua pelle.
 
Sorrisi come inebetita e annuii, senza saper bene cosa mi era stato detto “D’accordo, d’accordo.” evitai volutamente i loro sguardi perplessi e mi alzai, frugando tra gli scaffali della piccola libreria addossata al muro.
Finalmente trovai ciò che cercavo e lentamente mi voltai verso i miei ospiti, curandomi di avere sempre impresso sul volto il mio sorriso.
“Siamo quasi pronti.” mormorai compiaciuta, poi mi persi nei miei preparativi mentre cercavo di pescare l’animaletto che si dibatteva nel barattolo di vetro.
“Lei è…?” la voce di Paolo spezzò il silenzio.
“Maggie.” risposi, quasi meccanicamente.
“No, ma, mi chiedevo, è una maga, una chiromante…”
Scoppiai a ridere. Una risata secca e aspra “Chiromante? Io sono una bruja.”.
Quella parola risuonò per un istante di troppo nella stanza e sentii, palpabile, il disagio dei due. Improvvisamente seppi che nessuno dei due mi avrebbe più importunato con ulteriori domande. Ridacchiai tra me e me.
 
Uno scampanellio attirò la mia attenzione. Era Estrella, la mia gatta bianca e nera.
La chiamai, lei trotterellò verso di me con un miagolio sommesso e la ricompensai immediatamente con una carezza, poi le porsi la falena che stringevo tra le dita.
Sentivo nella mia mano la potenza della vita che pulsava, pulsava quasi con violenza, più forte che mai.
Un attimo dopo era tutto finito.
 
Estrella miagolò di nuovo e proruppe in un eccesso di fusa. Sorrisi e la accarezzai nuovamente “Mi bonita Estrella.” mormorai dolcemente alla gatta.
Incrociai lo sguardo schifato di Stefania e le riservai una lunga occhiata.
Un attimo dopo la giovane mi sorrise, le palpebre socchiuse e gli occhi rovesciati.
Paolo parve non accorgersi di nulla. Tanto meglio.
 
Mi schiarii la voce richiamando l’attenzione dei due.
C’era una strana inquietudine nell’aria, la sentivo, era palpabile. Una scarica elettrica attraversò l’aria della stanza quando estrassi il coltello.
La lama era molto fine, decorata con incisioni colorate mandava leggeri bagliori, colpita dalla luce fioca delle candele.
La guardai quasi con affetto materno poi mi concentrai su quello che stavo facendo.
 
Frugai nella tasca della veste e trovai l’amuleto che cercavo.
Un dente di gatta racchiuso nella morsa dell’ambra. Lo strinsi nella mano sinistra.
Il dente era appartenuto alla nonna di Estrella, Leche si chiamava, l’amuleto invece l’aveva costruito mia madre, per me.
Intenerita da quei ricordi alzai lo sguardo sulla coppia. Entrambi mi fissavano, come ipnotizzati.
Bene. Stefania, vero? Vieni qui.
 
I miei erano solo pensieri, ma sapevo che potevano udirmi.
La giovane infatti sobbalzò sorpresa, riscuotendosi dal torpore, ma non fece domande e si sporse in avanti, verso di me.
 
Fu un attimo, un istante rapidissimo. Il sangue gocciolò sul pavimento e per un momento sentii il pulsare del cuore, come se quella ferita leggera avesse aperto una finestra su un altro mondo, un universo, in cui le sensazioni e le emozioni erano amplificate.
Tutto era diventato improvvisamente più potente. Lo sfrigolio del sangue che cadeva lo potevo udire solo io, ma improvvisamente seppi che il mondo crepuscolare che circondava la stanza si stava svegliando. Aveva avuto il suo tributo.
Stefania ritrasse il braccio con un grido e mi lanciò uno sguardo tra il perplesso e lo spaventato.
 
“Che cazzo fai?” a udire quella domanda mi lasciai scappare un sorriso. Quante volte l’avevo già sentita? Troppe. Eppure non era mai abbastanza, quella nota di paura, era come una droga.
La guardai intensamente e vidi la sua sicurezza vacillare, forse avrebbe voluto rimangiarsi le parole.
Senza perdere il contatto visivo mi protesi verso di lei e le afferrai il polso, portando lentamente il suo braccio ferito alla mia bocca.
 
Le baciai delicatamente la pelle e poi posai le labbra sullo squarcio che avevo fatto nella carne. Con lentezza quasi esasperante leccai via il sangue che colava.
Il suo sapore agrodolce mi arrivò direttamente al cervello.
Sublime.
 
Paolo, che fino ad allora era rimasto seduto, come paralizzato, si irrigidì e fece per  scattare in piedi, ma una mia occhiata lo bloccò.
Avevo perso il contatto visivo con Stefania, ma sentivo che aveva troppa paura per fare qualsiasi cosa. Lo sentivo dal sangue che pulsava rapidamente nella ferita e dal tocco quasi alcolico che il suo succo di vita stava assumendo.
 
Li avevo entrambi in mio potere.
Ero sicura che nessuno dei due avrebbe più tentato di sfuggirmi, la situazione era perfettamente sotto controllo. Sogghignai alzando il volto, stringendo la morsa delle mie dita scarne sul braccio di Stefania che gemette per il dolore; non le prestai ascolto ed aspettai.
Non ci volle molto, improvvisamente la sentii, con la potenza di un fulmine che si abbatte sulla terra era arrivata, la Paura era entrata in quella stanza.
 
Si arrampicava sui mobili, scompigliava i capelli dei miei ospiti e faceva tintinnare i monili.
Finalmente la vidi penetrare nella piccola ferita che avevo praticato sul braccio della giovane donna.
 
E la Paura, la Paura è come una droga. Quando ti entra in circolo ti scombussola totalmente e poi non puoi più farne a meno.
Gli occhi di Stefania si adombrarono e improvvisamente un grido liberatorio le proruppe dal fondo del petto.
Accompagnai quell’urlo primordiale con una risata che somigliava allo schiocco di un albero che cede alla forza del vento. Un rumore sconvolgente che provoca una rottura profonda nel cuore di chi ascolta. E’ il gemito straziante della natura che si libera, che si mostra con il suo viso peggiore, scatena la sua forza più nascosta e terrificante.
Il momento era giunto, strinsi maggiormente il braccio della mia vittima e vi affondai nuovamente il coltello, una volta, due.
Il sangue mi imbrattò i volto, ma non ci feci molto caso, continuai a colpire finché le urla non divennero quasi assordanti, allora affondai il volto nella voragine di carne e ossa e strappai un grosso lembo di pelle con i denti.
Sentivo l’orrore, lo Paura e il sangue mescolarsi in un unico, inebriante profumo.
Senza curarmi del parquet ormai sporco, brandii il coltello e lo piantai nella pancia di Stefania, strappandole direttamente le viscere che scivolarono a terra. La poveretta cercò di raccattare gli intestini e di ricacciarli all’interno del suo corpo martoriato in un ultimo tentativo disperato.
Risi sguaiatamente e posai lo sguardo sul suo fidanzato, convinta che ormai Stefania non avesse alcuna speranza di sopravvivere.
 
Paolo aveva lo sguardo fisso, gli occhi strabuzzati di chi non crede alla scena che sta vedendo, un lungo urlo silenzioso che gli usciva dalla bocca spalancata.
Gli afferrai il volto costringendolo a guardarmi e gli conficcai senza pietà le unghie nelle guance.
Sentendo un sorriso farsi strada sul mio volto lo spintonai e quando lui cercò di sgattaiolare via gli salii a cavalcioni e lo immobilizzai con il mio, non indifferente, peso.
 
Brandii il coltello senza ripensamenti e glielo pestai di piatto sul petto, disegnando un cerchio sul tessuto della maglietta che scomparve, come divorato da un miliardo di tarli invisibili.
Subito dopo afferrai l’impugnatura dell’arma e guardai la lama scomparire nella carne del poveraccio che non smise un secondo di gridare.
 
La Paura si insinuò anche lì, era come una fragranza che, rapidamente, si diffonde nell’aria.
Non so quante volte affondai il coltello nel suo petto, ma quando smisi tutto era nuovamente silenzioso.
Mi piegai sul ragazzo e ascoltai il suo respiro strozzato rallentare fino a spegnersi del tutto. Stefania era senz’altro già morta dissanguata.
Mi alzai dal corpo ancora caldo di Paolo e mi stiracchiai come dopo un lungo sonno. Ripensai alla strega di Biancaneve e ricordai con estrema precisione le parole del racconto di mia madre: Si cibava, semplicemente mangiandola con gli occhi, della paura della giovane principessa, in attesa di assaporarne il profumo.
 
Sorrisi tra me e me e poi mi chinai nuovamente sui due cadaveri. Assaggiai il loro sangue mescolato e avvertii il sapore agrodolce della Paura che ancora fremeva nelle loro vene squarciate.
Delizioso.
Qualche ora dopo avevo ripulito praticamente tutto, non era avanzata nemmeno una goccia di sangue. Erano rimasti solo loro, pallidi, dissanguati e sventrati, riversi sul pavimento del mio piccolo negozio.
 
Ciarlatana, strega, puttana da quattro soldi, meretrice. Mi avevano chiamata in molti modi. Ma nessuno sapeva cosa avveniva veramente nel retrobottega di quello che pareva solo un negozietto di cianfrusaglie e candele profumate.
Sorrisi e mi passai la mano sulle labbra pulendomi dal sangue. Mi leccai le dita compiaciuta, come se stessi assaggiando la migliore delle primizie, chiamai Estrella che accorse miagolando come al solito. Mi chinai ad accarezzarla.
Il parquet era ancora opaco. E la mia veste ancora rossa. 
 
  
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