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Autore: OperationFailed    06/09/2011    10 recensioni
Ora John – come lo hanno chiamato sulla Terra – aspetta che il vecchio giorno raccolga le stelle e faccia fagotto, sfrattato dal tempo con uno schiocco di dita impietose. E’ solo un bambino con una pecora di carta e una museruola tra le mani, ma avrete davvero il cuore di dire solo, dopo quello che leggerete?
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Nickname: OperationFailed
Titolo: The little prince
Fandom: Sherlock BBC
Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Rating: Pg13
Avvertimenti: Crossover
Conteggio parole: 2012  ( fiumidiparole )
Note:  questa fic partecipa allo Sherlockfest_it ed è opera di una mente malata che trova associazioni improbabili tra meraviglie letterarie che dovreste proibirle di leggere.
Prompt: John, Il Piccolo Principe
Disclaimer: I personaggi di John Watson, Sherlock Holmes e Mycroft Holmes non mi appartengono, per loro fortuna, in quanto sono stati ideati da Sir. Arthur Conan Doyle, senza il quale noi non saremmo qui a consumarci cuore e cervello. Il Piccolo Principe appartiene ad Antoine de Saint-Exupéry e io mi sono solo permessa di maltrattarne un po' l'opera, con la speranza di non venire duramente punita in futuro.
Questa fanfiction non è a scopo di lucro (anche perché ci guadagnerei ben poco) e non intende offendere la sensibilità di nessuno.









Non aveva mai guardato indietro, nonostante fosse tornato al principio di tutto. Era stato un cerchio, un anello di guance timide rosso vestite, e incontri, e strette al cuore tali che a volte diventava difficile impedire alla vista di oscurarsi. Era curiosa la conclusione di quel viaggio, che sarebbe finito lì dove ancora la sabbia cullava la conca della sua caduta, come se non ci fosse stato vento o tempesta a modellare le dune.

Ora John – come lo hanno chiamato sulla Terra – aspetta che il vecchio giorno raccolga le stelle e faccia fagotto, sfrattato dal tempo con uno schiocco di dita impietose. E’ solo un bambino con una pecora di carta e una museruola tra le mani, ma avrete davvero il cuore di dire solo, dopo quello che leggerete?

Ora il Piccolo Principe – come lo chiamiamo noi – attende il serpente e il suo morso, promessa di liberazione da un corpo troppo pesante, che gli impedisce di tornare al suo asteroide.

Al suo piccolo mondo fatto di tramonti, arbusti, vulcani.

Al suo fiore.

Un anno fa il Piccolo Principe se n’è sceso dal cielo, dopo un lungo viaggio appeso ad una migrazione di uccelli selvatici. Sulla Terra è venuto dietro consiglio di un vecchio geografo, ignorante del mondo eppure suo grande studioso. Aveva bisogno di una pecora, una bestiola docile che si cibasse degli arbusti del suo piccolo pianeta. I baobab crescevano in fretta e oramai il Piccolo Principe non riusciva più ad estirparli al momento opportuno, prima che crescessero e rischiassero di sbriciolare l’asteroide. Così era andato in cerca di qualcuno che lo potesse aiutare, prima sui pianeti a lui vicini, poi sulla Terra, dove aveva trovato un pilota buonanima che gli aveva disegnato una cassetta di legno chiusa, con dei buchi per far respirare la pecora che – non dubitatene – lì dentro sonnecchiava in attesa di raggiungere la nuova dimora.

La strada era stata lunga, molteplici i visi che aveva incontrato, ogni paio d’occhi con le sue storie incastrate dentro. C’era stato l’ubriacone, che beveva per dimenticare la vergogna del bere, intrappolato in un circolo vizioso che sarebbe finito solo con l’ultimo tramonto del mondo. C’era stato il re, che esisteva solo perché comandava – che non ci fosse nulla su cui regnare non lo turbava affatto – e poi il vanitoso che non aveva occhi che per sé. C’era stato l’uomo d’affari che contava le stelle, perché convinto che intrappolandole in un numero, quelle gli sarebbero appartenute come monete in una tasca, e più ne contava più poteva acquistarne. C’era stata la Terra, alla fine, con i suoi serpenti benedetti, e i fiori così terribili – quanto dolore può provocare la vista di una rosa… - e poi le volpi che si lasciavano addomesticare con una lacrima inginocchiata sugli occhi, e i controllori di treni e i mercanti di pillole d’acqua, risparmiatori di mezz’ore avanzate di cui si fa quel che si vuole.

Se chiedeste al Piccolo Principe il perché del suo lungo viaggio, vi risponderebbe con una pennellata d’acquerello sulle guance, nessuna parola arrotolata in bocca. Lui è così, alle domande degli altri non risponde mai, ma osservandolo bene capireste che quel rossore sulle gote ha il suono di sibilante affermazione.  , vi direbbe, , e basta, come se non ci fosse un motivo del suo navigare per l’infinito senza meta, dettata di ora in ora dalla brezza universale. Chi mai chiederebbe alle foglie perché cadono, o al sole perché tramonta? Succede, e non importa che le foglie non vogliano accartocciarsi al suolo o che il sole desideri rimanere sveglio ancora un po’. Succede e basta, perché certe cose devono succedere.

In realtà il perché di quel lungo viaggio è lo stesso che ha spinto tutti noi – voi indistintamente, e purtroppo anche me – ad intraprendere una strada di cui tutt’ora non vediamo la fine. Sogni in tasca e futuro come fumo negli occhi, arriva l’età in cui il mondo ti sboccia di fronte – che lo si voglia o meno – e tu non hai abbastanza spazio per farlo entrare tutto. Così si prova a farcelo stare, ma è un po’ come voler fare passare un elefante per l’apertura di un imbuto, e si capisce a proprie spese che tutto quel mucchio di mondo non potrà mai essere chiuso in un barattolo, appoggiato sopra una mensola della cucina tra le spezie e il sale grosso.

Il Piccolo Principe stava crescendo, ed era tempo per lui di esplorare l’universo, avanzando a tastoni, saggiando il terreno, guardando sotto i tappeti, come fa chi non si aspetta nulla da nessuno eppure è pronto a tutto.  

Adesso è su quel muro a secco che dondola le gambe, issato su un ammasso di pietre ordinate ed irriverenti, che sbeffeggiano l’assenza smisurata di ogni granello di deserto. Aspetta che la luna sussurri al serpente, pregandolo di preparare il suo miglior veleno. Il Piccolo John ne ha bisogno per uccidere la mancanza, per evaporare dal corpo e modellare l’anima come plastilina, così da non avvertire più il tunnel scavatogli dentro da una formica di nome malinconia.

Per il suo fiore.

Non ha grandi pensieri nella mente, quel Principe bambino che ad ogni battito del cuore si sente più sereno. E’ un respiro in meno alla ricongiunzione, un secondo in più affogato nella sabbia. La verità  è che a sei anni sei troppo preso a rincorrere le farfalle e i tramonti, e non ti accorgi che un fiore vermiglio ha tanto bisogno di te. Poi, per un soffio di vento – ma gli uomini lo chiamerebbero destino – il filo rosso che tutti si srotolano appresso per non perdersi lungo la via, si intreccia da qualche parte, e il petto viene strattonato, continua la sua corsa per un istante ancora – come fanno i passeggeri sulle macchine che inchiodano – indietreggia, poi si cheta, inginocchiato sul proprio dolore. Bisognerebbe tornare indietro e sciogliere il nodo, ma a volte non si ha cuore di farlo. A volte si sente il bisogno di arrotolare la propria vita addosso a un altro filo rosso, a un'altra esistenza incagliata, e lasciarla lì per un po’, a leccarsi le ferite a vicenda.

Il Piccolo Principe era solito curare con devozione ogni centimetro del suo pianeta. Spazzava i camini dei suoi due vulcani in attività, sui quali ogni mattina riscaldava la colazione. Non immaginate quanto sia comodo averne uno per fornello! Dopo i camini venivano i germogli di baobab, che andavano estirpati con cura, senza l’irruenza dei contadini che strappano via le erbacce dal campo, ma piuttosto con la grazia di un giardiniere che dà il buongiorno alle sue più tenere piantine.  Anche il giorno prima della partenza, il Piccolo Principe aveva portato a termine i suoi incarichi, e se possibile lo aveva fatto con ancora più attenzione del solito, come se avesse voluto preparare il tutto per quando poi sarebbe tornato.

La cosa più dolorosa però era stata dare l’addio al fiore.

Dovete sapere che tra gli arbusti che erano germogliati sull’asteroide, ce n’era uno tutto sbagliato. Non era bitorzoluto, non aveva il muso lungo e tantomeno dava segno di voler metter su corteccia. Ben presto aveva smesso di crescere e aveva cacciato fuori un bocciolo vermiglio, impettito in cima ad uno stelo ondeggiante, che lanciava cenni a destra e a manca. Aveva continuato ad infoltire le corolle, a scegliere con cura i colori, fino a che non gli era venuta fuori una testa ricciuta di petali scarlatti. Si era schiuso insieme al sole sotto agli occhi del Piccolo Principe, che da giorni non allontanava da lui la fronte aggrottata, impegnato a capire se fosse un nuovo tipo di baobab o piuttosto un innocuo fiorellino. Ma un fiore così, sull’asteroide B612, mai nessuno lo aveva visto.

Dopo uno sbadiglio ancora sonnacchioso, il fiore si era scusato per i suoi petali così spettinati, appena schiusi in una maestosa corona. Come sei bello aveva sussurrato il principe, sentendosi rispondere che era vero, e che aveva bisogno di caffè e latte per iniziare la giornata. Commosso da quel fiore per niente modesto, un confuso Piccolo Principe aveva riempito l’annaffiatoio di acqua fresca e l’aveva versata in testa al fiore, con la sgraziata sbadataggine di chi ha appena fatto la scoperta più preziosa del mondo ed ancora è frastornato. Gonfiati i petali di sfacciato color collera, il fiore lo aveva scongiurato di non farlo annegare nella colazione – per amor del cielo! – e il Piccolo Principe si era incurvato di vergogna, ammaliato da quella corona di velluto attorniata di spine nient’affatto minacciose. Così era proseguita la conoscenza tra il Piccolo Principe e la stramba pianta, così bella e così distante, sempre in cerca di attenzioni, esigente e tanto vanitosa, che faceva la voce grossa da dietro quelle spine presuntuose. Non era raro che il fiore lo facesse indispettire, ma poi con una parola dolce, o con un palpito di petali che inebriava l’intero pianeta, la testa ricciuta si faceva sempre perdonare, senza però mai chiedere scusa.

Come detto in precedenza, separarsi dal fiore era stata la cosa peggiore. La corolla vermiglia lo aveva salutato bruscamente, rifiutando la protezione della campana di vetro –il principe gliela faceva indossare ogni notte per salvaguardarlo dalle correnti d’aria – e pregandolo di andarsene in fretta, addio, vai, perché la verità è che non voleva che lo vedesse triste.

Voi lo avete capito quanto era pazzo l’amore del fiore?

Il Piccolo Principe no, ed era partito con il cuore sotto alle costole, ammosciato sul fondo come una stella marina sulla battigia. Non concepiva come quel fiore maestoso potesse essere diventato suo pensiero giornaliero e suo sogno ricorrente, ogni attenzione che ruotava intorno a lui. Lo ha capito dai gesti e non dalle parole, nei mesi a seguire, che il fiore ha un disperato bisogno di lui. Gliel’aveva suggerito in sordina, con il profumo vibrante dei petali e le richieste di attenzione. Ma il Principe era ancora troppo piccolo per capire l’amore.

Ma il Principe era tranquillo, pensava che le spine bastassero a proteggere un amore dalle grinfie del mondo.

Era stato il geografo a dirgli che i fiori non vengono annotati nelle carte geografiche, mica come i vulcani e gli oceani e i grattacieli, un fiore è effimero, dura il tempo di un soffio e poi se ne va! Rammaricato, il Piccolo Principe aveva così scoperto l’orrore di aver abbandonato il suo piccolo amico, indifeso – se non per quelle quattro spine in cima allo stelo. La volpe invece gli aveva fatto capire che il fiore lo aveva addomesticato, perché addomesticare significa creare dei legami, e se tu mi addomestichi sarai per me l’unico al mondo, e io sarò per te l’unica al mondo.

Ogni giorno di quello strano viaggio, il Piccolo Principe rivolgeva al suo pianeta un malinconico pensiero, ma doveva continuare a cercare una pecora, lui. Doveva continuare a crescere. Terribile era stato il giorno in cui poi aveva scoperto che le pecore non fanno distinzione tra baobab e fiori dalla testa ricciuta. Era scoppiato in lacrime davanti al pilota buonanima, che lo aveva messo a parte di quella terribile scoperta. Le spine non servono a niente, sono solo cattiveria da parte dei fiori! aveva detto il pilota. L’uomo poi, commosso dall’amore del bimbo per il suo fiore, gli aveva disegnato una museruola per la pecora, da farle indossare una volta svegliatasi, così che il tuo fiore potrà continuare a brontolare come prima.  

Quanto gli mancavano quei brontolii, però.

Così ora, con una pecora in una mano e una museruola nell’altra, il Piccolo Principe sorride al serpente gentile, sgonfiandosi tra la sabbia come un palloncino ormai stanco. Forse non ricorderà nulla del suo viaggio, delle sue avventure, ma certamente non dimenticherà il suo fiore. La prima cosa che farà una volta tornato sarà scaldargli la colazione sul più bel camino del pianeta, e ascoltarlo in silenzio mentre elencherà i quattordici modi di spazzolarsi il vestito. Stropicciato o meno, il Piccolo Principe sarà sempre innamorato di quel fiore vanitoso, e lo asseconderà in ogni capriccio di bimbo viziato. Lo ha capito tardi, ma come piace dire agli umani, meglio tardi che mai

Domani quarantatrè tramonti li coglieranno vicini, impegnati nella scoperta dell’unico mondo di cui hanno bisogno.

Quello dell’altro.







_

Sono decisamente esausta, questa storia mi ha succhiato l’anima e adesso tutto quel che mi ritrovo è una pallida ombra di ciò che avevo in mente, tanto odio per i tempi verbali, e una tristezza infinita per il nostro Piccolo John. Cercherò di farla breve ora, ma vorrei che per qualsiasi chiarimento vi rivolgeste direttamente a me. E’ una storia a cui tengo molto, forse proprio per la difficoltà di portare avanti un intreccio tra Sherlock BBC e “Il Piccolo Principe”, che è riuscito nell’insano intento di far accartocciare il cuore ad un’acida diciottenne che non ha mai creduto alle fiabe. Ma forse Exupéry ce l’ha fatta perché questa è più di una fiaba. Infinitamente di più.


1.    Non ho detto nulla di nuovo in questa fic. Tutti i personaggi e gli incontri che il Piccolo Principe fa, sono narrati nell’opera originale, in cui l’autore sussurra all’orecchio la follia degli uomini con una dolcezza che fa male. Perché quando le cose sono vere, fanno anche male.

2.    Ora John – come lo hanno chiamato sulla Terra… – ma sì, autocitiamoci! Questa è l’ombra di una riflessione che mi ha preso qualche tempo fa. Se qualcosa non si chiamasse nel modo in cui si chiama, perderebbe forse le sue proprietà? Io non credo proprio, e la mia è una sorta di critica verso l’essere umano, che ha sempre bisogno di catalogare, contare, accumulare maree di dati solo per provare che qualcosa esiste e ha il tal nome. Per questo, una volta arrivato sulla Terra, anche al Piccolo Principe hanno affibbiato un nome. Io continuerò a non chiamarlo John – o Giuseppe, Guglielmo o vattelappesca – perché so che da qualche parte, su un asteroide galleggiante tra milioni di altri asteroidi galleggianti, un Piccolo Principe riscalda la colazione per il suo amore fiorito, senza che ci sia bisogno di sapere quanto è grande il pianetino, quanti insetti popolano la superficie o in che modo il sole ne illumina le vette.

3.    Non starò qui a citare i vari pezzi da cui ho tratto spunto, perché spero che – se la storia vi è piaciuta – abbiate voi la voglia di prendere un paio d’ore di tempo per sognare leggendo l’opera originale, alla quale chiedo scusa per il livello di maltrattamenti a cui l’ho sottoposta.

4.    Tempi verbali, questi sconosciuti! E’ stato tremendo scegliere il tempo verbale, a tal punto che arrivata alla fine mi sono accorta di aver usato qualunque tempo esistente nella lingua italiana. O quasi. Il fatto è che il principino è nel deserto, aspetta il serpente, e questo è presente. Nell’attesa, un narratore che non ci è dato sapere chi sia – scegliete voi quello che più vi fa comodo – ripercorre la vita del bambino, che coincide per la maggior parte con il viaggio. E qua ho fatto tanto uso di imperfetto e trapassato prossimo, che non è che sia proprio un tempo che mi piace molto… Credo però che in questo contesto sia più appropriato, che renda meglio lo scorrere delle azioni, della routine che il Piccolo Principe quotidianamente affrontava. E affronterà, una volta liberatosi dall’ingombro del corpo e tornato all’asteroide.

5.    Voi lo sapete chi è il fiore, vero? VERO? Eh? In caso non lo sapeste, mentite. Ditemi che avete capito e che non è terribilmente OOC. Ditemelo, così eviterò di buttarmi giù da un ponte con l’intenzione di andare a trovare Principe e fiore per chieder loro scusa.

6. Avrei voluto trasmettervi la dolce tristezza che ha avvolto me nello scrivere questa storia, nel constatare che siamo sempre incredibilmente lenti, che non ci accorgiamo mai di nulla fino a quando non ce ne siamo allontanati, e che spesso l'unico modo per capire qualcosa è non capire affatto. Avrei voluto trasmettere queste e tante altre cose. Avrei voluto, ma non ce l'ho fatta. E allora prendete questa fanfiction per quello che è, un ammaso di parole che tentano di seguire un ordine più o meno valido.
Quello che posso dire con certezza è che so di essere peggiorata man mano che la storia prosegue. So che il finale non è degno di questo nome, e che la buona metà della narrazione non ha un senso. Lasciate allora che vi chieda scusa, e che prometta di legarmi le mani e buttare la chiave, la prossima volta. E lasciate che vi ringrazi, per la pazienza. E’ venuto fuori un lavoraccio, ma è stato quasi un piacere. 

Grazie.   

   
 
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