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Autore: imtheonekeepingyoualive    07/09/2011    3 recensioni
[Post!TheGhostOfYou!Au]
Gerard torna a casa dal fronte dopo che Mikey è stato ucciso in guerra. Tutto gli sembra perduto ora che non ha più suo fratello e l'unica cosa che lo fa andare avanti è l'alcool, in cui si rifugia per dimenticare.
Dopo sei mesi in cui l'unica migliore amica è solo una bottiglia (o cinque, o sei), reincontra Frank, che a differenza sua è riuscito a far avverare il suo sogno di diventare un musicista.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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post!goy!au
Disclaimer: Tutto finto, non mi pagano, non posseggo la gente qui citata o non sarei qui a citarli, mi pare anche logico.
Note: Siccome questa è un post!TGOY direi che tutti dobbiamo aver visto il video di The Ghost Of You almeno una volta, anche se è superfluo aggiungere che sicuramente tutti l'abbiamo fatto ed abbiamo anche caragnato alla morte di Mikey. Ma sempre meglio essere precisi v.v Ho preso ispirazione da un disegno stupendo di Theopteryx che ho trovato su una community su Livejournal link alla pagina del disegno http://theopteryx.livejournal.com/14390.html  
e dal prompt anonimo annesso, dato che tutto l'insieme si sposa benissimo col mio periodo triste e plumbeo che sto passando in questo momento. Direi che mi ha fatto bene scriverne. No sex tears, purtroppo, ma immaginatele! Sono sicura che ci sono!

Thanks for reading, Xo, G.










Prologo






Agosto 1945.



Tornare a casa dal fronte insieme al corpo di tuo fratello in una bara ricoperta da una bandiera, è anche peggio della morte stessa, si ripete Gerard, prendendo un respiro profondo quando il portellone dell'aereo viene aperto ed il cemento lucido della pista d'atterraggio quasi lo acceca, riflettendo la luce del sole direttamente nei suoi occhi arrossati.
Mentre scende dalla scaletta, non riesce a smettere di pensare e ripensare a cos'è successo quando Mikey è caduto a terra sotto il fuoco nemico, in mezzo alla sabbia, il sangue scuro che gli impregnava la divisa velocemente ed il suo pallore sempre più evidente. Ancora. Mikey che imbraccia l'arma ed esce dalla copertura, gli spari, Mikey che cade. Ancora. Gli spari, Mikey che cade, la sua bocca che si apre in un grido di dolore. Ancora.
E poi tutto il resto è solo un mucchio di ricordi troppo veloci e sfocati, per aggrapparcisi. Ray mentre tenta di salvare suo fratello, il rumore delle esplosioni intorno a loro, assordanti, le sue grida di disperazione, Bob e Frank che lo trattengono con le mani e le braccia, dietro ad una delle piccole duneette, per evitare che anche lui venisse colpito da qualche pallottola, l'espressione stremata di Mikey e quella rassegnata di Ray. E poi le parole di Frank nel suo orecchio.
Così diverse dalle condoglianze senza emozione del suo superiore, accompagnate dai singhiozzi di sua madre e gli occhi umidi di suo padre; è forse la cosa più dura da sopportare, in quel preciso istante. E dire che per tutto il viaggio aveva pensato che quello fosse il momento più duro.

Allunga una mano per stringere quella dell'altro uomo, evitando di soffermarsi a lungo sugli occhi asciutti e la voce ferma, come se davvero non gli importasse che un ragazzo di ventiquattro anni abbia perso la vita combattendo per una stupida guerra, su una stupida isola, per via di una stupida pallottola al cuore.

Guarda gli altri soldati portare via la bara di Mikey con un groppo in gola che gli impedisce persino di respirare.
Senza indugiare oltre, allunga lo sguardo verso il fondo della pista, dove le famiglie dei caduti sono raggruppate e scorge i capelli chiari di sua madre immediatamente, l'unico colore chiaro in mezzo a quel mucchio di vestiti scuri e fazzoletti bagnati. Quando si avvicina a loro, nota che anche Alicia è lì. E sta piangendo silenziosamente, dietro alla retina nera del cappellino che le copre gli occhi, ma Gerard riesce comunque a vedere il trucco rovinato e gli occhi chiari pieni di lacrime.
Abbraccia stretta sua madre, che gli si aggrappa immediatamente addosso singhiozzando, ripetendogli parole su parole contro la stoffa verde della divisa. Sa che nonostante sia distrutta dal fatto che il suo piccolo Michael non ci sia più, è così felice che lui sia tornato tutto intero, che non debba dire addio ad entrambi i suoi figli, per quanto egoista possa essere. E Gerard cerca di sorridere, per mostrarle che capisce, ma non riesce. I sorrisi non esistono più in quel posto.
Quando sua madre fa un passo indietro, per asciugarsi le lacrime e lasciar che anche gli altri salutino il soldato Way, suo padre gli afferra una mano e lo avvolge con un braccio, il tipico abbraccio virile che tanto gli è mancato in quei mesi, insieme al profumo del dopobarba che gli ricorda casa e l'odore dell'auto della sua infanzia. Ed in quel preciso istante capisce veramente che è tornato, che è a casa, che la guerra per lui è terminata, ma non riesce, non può, nemmeno festeggiare perchè suo fratello è morto ed Alicia è rimasta vedova prima ancora di essere sposata. Cristo.
Dà una pacca debole sulla schiena del padre e si distacca, annuendo quando Donald dice quanto sia orgoglioso di lui e quanto sia felice che sia finalmente tornato a casa, sano e salvo, anche se dentro si sente vuoto e non capisce come possano tutti ripetergli quelle parole.
Stringe i denti e prova a non piangere, quando suo padre gli dà un colpetto leggero sul viso, come quando era bambino, e cerca di evitare di guardare gli occhi chiari di fronte ai suoi, inumiditi dalle lacrime. Suo padre non ha mai pianto, non sa se riuscirebbe a sopportarne la vista. Annuisce comunque e va verso Alicia, che non ha aperto bocca da quando è lì fra di loro e Gerard vorrebbe solo abbracciarla e dirle che gli dispiace, che avrebbe dovuto tenere al sicuro il suo fidanzato, suo fratello, ma che ha fallito. Come tutto, nella sua vita.
Si ferma a disagio di fronte a lei, accaldato nell'uniforme pesante e troppo stretta attorno al collo e semplicemente guarda a terra. Lo sguardo gli cade sull'accenno di colore sulla punta delle scarpe di Alicia, aperte davanti così che le unghie rosse siano visibili. Alza gli occhi e quasi gli viene da sorridere al fatto che è sempre stata più alta di lui di un bel pò di centimetri e, così, vestita di nero e con quelle scarpe col tacco, sembra ancora più pallida e magra ed alta, e si ritrova a pensare a quanto Mikey sarebbe stato felice di rivederla. D'altronde è bellissima anche col trucco che minaccia di colare e le labbra tremanti.
Apre la bocca per dirle qualcosa, qualsiasi cosa, ma non riesce. Il groppo in gola è ancora presente e in quell'istante, non sa nemmeno se riuscirà più a dire anche solo una parola.
E poi Alicia fa una cosa che lo lascia sbalordito. Allunga le braccia e gliele allaccia attorno al collo, appoggiandosi a lui, per stringerlo. Sospira, tremolante, e le circonda la vita sottile sentendola singhiozzare silenziosamente. Chiude gli occhi e le mormora che gli dispiace, davvero, se potesse farebbe a cambio con Michael, perchè lui non ha nessuno a casa che lo aspetta, una fidanzata con lunghi capelli neri e labbra rosse.
Alicia lo lascia andare e lo guarda, quasi arrabbiata e, per un secondo, Gerard ha paura che stia per regalargli un ceffone, ma lei semplicemente scuote la testa e gli dice "Noi siamo tutti qua per te, ci sei mancato." con un sorriso quasi impercettibile, ma c'è, è lì.
Gerard si sente quasi soffocare dalla mole di affetto che prova verso di lei e pensa, sorella. Cerca solo di evitare di ripensare al fratello che giace in quella cassa di velluto rosso e legno. Solo per qualche secondo, solo pochi secondi.

Arrivano all'auto parcheggiata fuori dall'aereoporto silenziosamente, tutti a sguardo basso e a passi incerti.
Gerard è ancora abbracciato alla madre, che sembra non avere intenzione di lasciarlo andare nemmeno per un secondo ed Alicia si siede nel posto davanti accanto a Donald, senza bisogno che nessuno glielo chieda, così che Donna possa continuare a piangere sulla spalla di Gerard e ad accarezzargli i capelli e a ripetere quanto le è mancato e per un secondo solo, Gerard chiude gli occhi e cerca di rilassarsi contro il sedile di pelle, confortato dalle braccia e dal profumo di sua madre, fintanto che può fingere di essere ancora lo stesso ragazzo che era prima di partire.
Ma non appena l'auto si ferma e riapre gli occhi, riconosce immediatamente il vecchio cimitero di Newark, con le lapidi di pietra e gli alberi pieni di foglie verdi.
Il sole è alto nel cielo ed è una tipica giornata di agosto, calda e afosa, con una leggera brezza che arriva dal mare. E' quasi offensivo, pensa, che debbano seppellire Mikey mentre tutto intorno a loro è così allegro e soleggiato. Sarebbe stato meglio che ci fosse stata la pioggia, da un certo punto di vista. Avrebbe accompagnato meglio il suo umore grigio. Nero.
Sospira e scende lentamente dall'auto, con movimenti faticosi e forzati. Si prende un secondo per sistemarsi la divisa, per stringersi nelle spalle e darsi una calmata. Sa che non appena arriverà alla buca che sarà la futura tomba del suo fratellino, scoppierà, ma fino a che riuscirà a mantenere questa maschera, sarà per il meglio.

La funzione è lunga e quasi insopportabile.
Gerard la guarda come se fosse lo spettatore estraneo di uno spettacolo di dubbio gusto. E' quasi peggio il fatto che accanto alla bara di Mikey ce ne siano altre, molte altre; che accanto a loro ci siano altre famiglie che hanno perso figli, fratelli, mariti, padri; è quasi peggio sentire tutte quelle persone piangere e sapere che non si può fare niente per migliorare ciò che è successo.
Gerard riesce solo a guardare la bandiera che viene tolta dalla bara di Michael per essere piegata, metodicamente, il tutto accompagnato dall'inno che suona intorno a loro, quasi come fosse un canto per le lacrime versate, e che verranno versate ancora. Poi un ufficiale la porge a sua madre, che l'afferra singhiozzando prima di nascondere il viso nel petto del figlio, ed è Gerard ad accettare le condoglianze del soldato al posto suo, facendo un cenno del capo. L'altro ragazzo, che non sarà più grande di Mikey, con grandi occhi scuri ed i capelli biondi che spuntano da sotto al cappello, porta la mano alla fronte e batte un tacco sul pavimento erboso, prima di tornare dagli altri compagni. Finalmente Gerard lascia andare il respiro che non si era accorto di star trattenendo e stringe di più sua madre, lasciando che gli bagni la giacca di lacrime e mascara.

Il resto della funzione è quasi troppo veloce e troppo lenta allo stesso tempo, Gerard non riesce a capacitarsene. Un momento è abbracciato a sua madre, cercando di non singhiozzare ad alta voce, ed il momento dopo Mikey non c'è più. Si copre la bocca con una mano, quando un singhiozzo troppo forte gli sfugge, e chiude gli occhi, piegandosi addosso a Donna. Non riesce, è troppo.
Alicia sta piangendo fra le braccia di Donald e, se fosse abbastanza forte andrebbe da lei e la stringerebbe, ma in questo momento non riesce nemmeno a lasciare sua madre, non riesce nemmeno a guardare mentre la terra ricopre la buca e si rende conto che non ha neanche salutato suo fratello per un'ultima volta.
Vorrebbe averlo fatto, ora, ma sa che è troppo tardi.



Non sa quanto tempo sia passato, ma poco a poco il cimitero ha cominciato a svuotarsi. Dapprima i soldati, che con passo misurato e preciso lasciano i famigliari dopo aver fatto le condoglianze a tutti; poi gli amici, i parenti, i conoscenti. Tutti se ne vanno.
Donald porta via Alicia, tenendola stretta al suo petto e mormorandole parole di incoraggiamento, Gerard li guarda andare con la coda dell'occhio ed Alicia è distrutta tanto quanto loro.
Donna viene portata via da un'amica di famiglia, la signora Giannini, la loro vicina che li ha visti crescere, giocare e diventare adulti, ed ora anche questo. A volte la vita è veramente ironica, pensa.
Gerard alla fine è rimasto solo di fronte alla tomba ancora fresca, immobile. Sta ancora piangendo, ma a questo punto nemmeno se ne accorge più, è come se le lacrime uscissero da sole e lui non fosse più in grado di controllarle. E' lì fermo, immobile, l'unico movimento è quello delle spalle rigide e tremolanti, e fissa il nome inciso nel marmo attarverso la nebbia delle lacrime. Traccia i contorni delle lettere con un dito, ancora, ancora e ancora.
Michael James Way, nato il 10.09.1921 - morto il...
Si ferma di nuovo, chiudendo gli occhi e riprendendo a singhiozzare. Quelle parole non gli sembrano giuste, ancora non crede che il suo Mikey sia lì sotto, sotto ai suoi piedi e che non lo vedrà più per il resto della sua (miserabile, triste) vita. Suonano sbagliate e persino tracciarle con le dita è come bruciarsi.
Si porta la mano al petto e prima che se ne renda conto, è in ginocchio a piangere ad alta voce, stringendosi il petto sentendolo squarciare e non c'è niente che possa cambiare, è tutto finito. Rovinato.
Appoggia la fronte alla lapide e continua a gemere e a scusarsi, ripete ancora e ancora che non doveva finire così, che è tutta colpa sua, che ha fallito come soldato, come fratello, che dovrebbe esserci lui lì sotto, che vorrebbe esserci lui.
E poi sente un paio di mani afferrarlo sotto alle braccia ed una voce, la stessa che ha sentito quando Mikey è caduto di fronte ai suoi occhi. Frank. Frank Iero, del suo stesso squadrone. Frank il chitarrista del gruppo. Frank, uno dei suoi migliori amici. "Ehy, andiamo amico, vieni."
Gerard si divincola, prova a sfuggire alla presa, vuole solo stare con Mikey ancora e parlargli, dirgli tutto quello che sente nel cuore, ma non riesce, l'altro ragazzo è troppo forte e lui è stremato. Chiude gli occhi e si lascia tirare in piedi di peso, troppo stanco per opporre ulteriore resistenza. Frank è abbastanza forte da reggerlo ed evitare che cada e poco a poco, passo dopo passo, si allontanano dalla lapide di Mikey, silenziosamente, e Gerard abbassa il capo e lascia che le lacrime continuino a cadere.
Frank si limita a stringergli un braccio attorno alla vita, senza aggiungere una sola parola, e Gerard gliene è grato. Allunga un braccio attorno al suo collo, poco dopo, per essere più comodo e Frank gli dà una pacca incoraggiante sul fianco.
E' quasi confortevole essere vicino a lui, sentire un'altra persona accanto. Quando arrivano all'auto di Frank, Gerard si lascia cadere nel sedile e cerca di respirare, lasciandosi andare contro il poggiatesta.
"Tieni."
Riapre gli occhi e si volta verso l'altro ragazzo. Anche lui è in divisa, la stessa che è troppo pesante per quel clima, e sembra accaldato e sudato, le guance rosee ed i capelli corti ed impomatati di brillantina, proprio come è sempre stato. Gerard abbassa lo sguardo sulla mano di Frank e solo allora si accorge che gli sta porgendo una sigaretta già accesa.
"Non è molto, ma tieni." Aggiunge, facendo una faccia dispiaciuta.
Il moro si asciuga le guance col dorso della mano e lentamente la prende. Le loro dita si sfiorano per mezzo secondo e Frank fa un mezzo sorriso, che Gerard non riesce a ricambiare.
"Grazie." Mormora, la voce roca dal pianto e quasi irriconoscibile.
"Figurati."
E così Frank mette in moto e Gerard si volta verso il finestrino completamente aperto, per lanciare un'ultima occhiata al cimitero. Da lì non si vede la tomba di Mikey, è oltre la collinetta, ma Gerard punta lo sguardo sulla cima dell'albero che sa essere proprio accanto alla lapide e si porta le dita alle labbra, per lasciargli un bacio.
Arrivederci, Mik.
L'albero è sempre più lontano.


At the end of the world
or the last thing I see
you are
Never coming home
Never coming home



The Ghost of You.




Febbraio 1946.


Aveva perso il conto dei giorni, ma non era una novità, ormai.
Da quando era tornato dalla guerra, era tutto uguale. Mikey era morto, sua madre piangeva quando pensava di non essere vista e suo padre aveva finito per riempirsi di lavoro per evitare di dover restare troppo in casa con l'unico figlio rimastogli, che aveva scelto di lasciarsi sopravvivere senza alcuno sforzo. Mesi e mesi di dolore e di promesse e di grida, e lettere dal fronte che in cui vi erano scritte parole inutili per Michael James Way e per il suo coraggio, che ora era solo un ricordo ed un'incisione sul marmo e nulla di più. Gerard non sapeva che farsene di quelle fesserie.
L'unica cosa che lo aiutava erano le bottiglie, l'alchool. Whiskey, rhum, vino, birra, vodka, scotch, qualsiasi cosa che aiutasse a fargli dimenticare anche solo per un pò che quella era la sua vita.
L'unica cosa per cui valeva la pena alzarsi dal letto ed indossare la sua divisa verde, ormai sgualcita, era raggiungere il salotto, aprire la credenza e cominciare a tirare fuori le bottiglie di alcoolici, per finirle piano piano sdraiato sul divano. All'inizio si sentiva perso e solo, era quasi un dolore fisico sentire tutto quel silenzio intorno a lui ma, dopo la prima bottiglia, le uniche cose che sentiva erano il rumore degli spari e le grida e si ritrovava a desiderare di essere sottoterra. Probabilmente non era l'unico.
Non sapeva neppure che fine avessero fatto gli altri, si rendeva conto, quando ci ripensava. In quei mesi aveva perso i contatti con tutti, incurante di qualsiasi cosa.
Dopo il funerale di Mikey si era chiuso nel suo appartamento, da solo, e persino i suoi genitori avevano perso le speranze di farlo uscire. Ci avevano provato, all'inizio. Suo padre gli aveva proposto di iniziare a lavorare con lui in officina, che sarebbe stato un modo per stare insieme e per smettere di pensare a Mikey, ma Gerard non voleva. Non voleva smettere di pernsare a Mikey, né aveva intenzione di lavorare o di fare nient'altro che non fosse aprire una bottiglia dopo l'altra e scolarsele. Era pur sempre un modo per allontanare Mikey, no, papà? No.

A volte si sentiva in colpa a vedere sua madre quasi crollare sotto ai suoi occhi, quando metteva piede nel suo appartamento. Era come se un macigno le crollasse sulle spalle ogni volta che apriva la porta di legno scuro, con la chiave che Gerard le aveva dato prima di andare in guerra. E Gerard stava semplicemente fermo a guardarla mentre apriva le imposte e le finestre, per cambiare l'aria; quando prendeva la mole di bottiglie finite e le buttava con le lacrime agli occhi; quando si accorgeva che suo figlio non si era nemmeno tolto l'uniforme dal giorno del funerale, per una settimana intera, né aveva dormito a letto, ancora intatto da mesi.
Quando Donna gli domandava cosa stesse facendo, Gerard non sapeva cosa risponderle. Scuoteva la testa, incapace di formulare una frase e continuava a bere.

Dopo un mese, sua madre aveva smesso di andare a trovarlo. E Gerard se n'era accorto solo dopo la terza bottiglia del giorno.

Allora aveva incominciato ad uscire di casa, quando aveva capito che il suo appartamento gli stava cominciando a stare stretto. Mentre stava pensando di andare a comprare ancora qualche bottiglia nel negozio in fondo alla strada, si era ritrovato a passare davanti al vecchio locale dove tante volte si era esibito con gli altri. La locandina di fianco all'ingresso, illuminata fiocamente, sembrava essere lì da tempo. La luce l'aveva fatta sbiadire ed i colori erano troppo chiari per poter essere distinguibili uno dall'altro.
Si fermò per qualche minuto di fronte alla porta e lasciò vagare lo sguardo sul muro di mattoni che la circondava, il vetro che rifletteva la luce delle lampadine ed infilò le mani nelle tasche pesanti del cappotto nero, prima di nascondere metà del viso nel collo alto.
Gli sembrava quasi di essere ritornato a qualche anno prima. Era come se niente fosse successo e fosse al locale per un bicchiere fra amici o un'esibizione. Si aspettava quasi, scioccamente, di sentire alle spalle i passi di Mikey o quelli di Ray, che lo raggiungevano con gli strumenti sulle spalle, pronti a suonare con un sorriso sulle labbra.
Si voltò, ma l'unica cosa che vide fu la strada affollata e gente che non conosceva.
Sospirò ed abbassò lo sguardo a terra, prima di tirar fuori una mano per aprire la porta. La prima cosa che lo colpì fu il calore. Non si era accorto che facesse così freddo, ma le orecchie gli pungevano ed il naso sembrava un blocco di ghiaccio. La seconda cosa, fu l'odore famigliare. Di legno, sigarette e polvere. Era il 1944 di nuovo.
Si guardò un pò in giro e notò che il locale era lo stesso, ma cambiato. Il palco in fondo all'enorme sala da ballo era vuoto, come tutto lo spazio di fronte. Non c'erano ragazze con i capelli legati, le labbra rosse e le scarpe col tacco sedute in attesa di un cavaliere che le invitasse a ballare; non c'erano giovani ragazzi in divisa con i sorrisi sinceri e gli occhi grandi; niente Ray, Mikey, Bob e Frank.
L'unica musica sembrava provenire dal grande juke-box nell'angolo e gli unici tavoli occupati, erano quelli più nascosti. Sembrava che tutti, ora, bevessero al bancone.
Si avvicinò anch'egli e si sedette su uno sgabello, tenendo gli occhi puntati sul legno rovinato sotto alle sue mani. Prese un respiro profondo e cominciò a slacciarsi lentamente i bottoni dorati del cappotto, e rispose all'uomo dietro al banco che voleva del whiskey. Lo sentì allontanarsi per afferrare la bottiglia alle sue spalle e si stropicciò il viso, stanco. Non alzò lo sguardo quando un bicchiere si posò di fronte al suo naso e fece un cenno all'altro uomo per ringraziarlo.
Il primo bicchiere andò giù di colpo, il bruciore dell'alcool ormai famigliare era un benvenuto. Sbattè piano il cristallo sul bancone e ne chiese un secondo, poi un terzo.
Al quarto bicchiere, cambiò con un pò di vodka. La vodka era la sua preferita. La teneva sempre per ultima perchè era quella più forte, quella che bruciava di più, così tanto da riuscire a sentirla anche quando il suo cervello stava cominciando ad addormentarsi. La vodka era perfetta.
Appoggiò il viso su una mano e fece un verso, quando alzò gli occhi per chiederne ancora, ancora, ancora. Il mondo era ormai ovattato, gli occhi gli bruciavano e, ogni volta che si muoveva, rischiava di cadere dallo sgabello.
Però era quello che voleva. Essere spento, vuoto, sedato.
"Gerard?"
Fece un verso e nascose il viso nell'incavo del gomito, facendo tintinnare i cubetti di ghiaccio nel bicchiere. Probabilmente era una delle sue allucinazioni. A volte gli capitava di avere lunghe conversazioni con Mikey, quando beveva troppo. Suo fratello era sempre seduto di fianco a lui, ogni volta che esagerava. Era per quello che continuava. Mikey lo andava a trovare e se era tutto grazie all'alcool, di certo non si sarebbe lamentato.
"Gerard Way? Gee, ehy, Gee..."
Cercò di rimettersi seduto per bene, quando sentì un paio di mani sulla schiena e barcollò pericolosamente.
"Oh, santo cielo, Gerard."
"Hmff." Borbottò, con la bocca impastata.
Le mani strinsero la presa attorno alla sua vita e lo aiutarono a rimettersi più o meno dritto. Sbattè le palpebre un paio di volte, internamente grato che la luce in quel punto del locale fosse sempre stata fioca, e si girò lentamente verso la voce.
Per prima cosa vide un paio di occhi, un paio di sopracciglia praticamente perfette unite al centro della fronte. Scoppiò a ridere a bassa voce, pensando che fosse esilarante. Le sopracciglia si mossero, facendolo ridere ancora.
"Cristo, Gerard, sono Frank. Frank Iero, mi riconosci?" Domandò l'altro.
Gerard abbassò lo sguardo lentamente verso la parte bassa del viso, soffermandosi sul naso, la bocca, prima di ritornare a fissare gli occhi, le sopracciglia ed un ciuffo di capelli castani perfettamente in piega.
Fece un verso sgraziato e digrignò i denti, prima di spingerlo via. Non era Mikey. Lui rivoleva Mikey, non Frank. Aveva bisogno di più vodka, più vodka. Stava ancora pensando troppo lucidamente, per essere abbastanza. Più vodka.
"Frankiero." Mugugnò, tornando a nascondere il viso fra le braccia.
"Gerard, come ti sei ridotto? Quanto hai bevuto?"
"Non." Iniziò a fatica, alzando la mano che teneva ancora stretto il bicchiere ormai vuoto, puntando l'indice verso di lui. O dove pensava che fosse, visto che non poteva vederlo. "Non ssono affarrri tuoi." Aggiunse, lentamente, strascicando le parole ed impappinandosi. "Va via."
"No, Gee. Siamo amici, no? Vieni, vieni a sederti con me al tavolo, parliamo." Disse Frank, cercando di nuovo di tirarlo su a sedere. "Joe, per favore, dammi un pò d'acqua per lui."
"Lasssciami!" Esclamò, divincolandosi, irritato ed offeso. Non voleva l'aiuto di nessuno. "Non toccarmi."
Piantò lo sguardo lucido sul ragazzo di fronte a sé e si sentì squarciare il petto. Frank non era più come se lo ricordava, era un'altra persona. Gli fece venire in mente che Mikey sarebbe stato così, ora, se non fosse morto. Si sarebbe sposato, avrebbe avuto un paio di jeans scoloriti come quelli che indossava Frank, i capelli con la riga di lato e la brillantina al profumo di frutta, una camicia rosa. O verde.
Mikey non avrebbe avuto nulla. Nulla di tutto ciò.
"Gerard!"
"No, non mi serve." Chiuse gli occhi e barcollò spaventosamente, quando decise di scendere dallo sgabello. Vide Frank lanciarsi in avanti per afferrarlo, ma alzò una mano per bloccarlo. "No! Non mi serve la tua... Compassione." Biascicò.
Vide Frank fare una faccia addolorata, come se gli avesse appena dato un calcio e quasi gioì, crudele. Non voleva nessuno, nessuno
Tanto valeva che l'alcool lo uccidesse, non aveva nulla da perdere. Cosa gli era rimasto?
"Gerard, ti prego. Solo. Solo due parole. Non ti vedo dal-" Prese un respiro mozzato, prima di terminare la frase.
"Dal funerale di Mikey?" Ruggì, afferrando il retro dello sgabello per tenersi in piedi. Si appoggiò con le gambe e la schiena contro il bancone e cercò di stabilizzarsi quanto bastava per uscire da lì, andare a casa e riprendere a bere sperando che prima o poi Mikey arrivasse.
Tutto quel parlare lo stava facendo tornare sobrio.
Frank allungò una mano e Gerard fissò i tatuaggi colorati sull'avambraccio, quelli sulle dita, il lembo della manica fatto su fino al gomito, la cravatta rossa allentata. Scosse la testa e si diede una spinta per allontanarsi.
Non era quello che gli serviva. No. No.
"Gee, dove stai andando?" Gli chiese Frank, preoccupato.
Ecco perchè aveva troncato tutti i rapporti, perchè nessuno lo comprendeva, tutti gli facevano domande. Domande stupide. E non capivano perchè continuasse a bere, perchè volesse lasciarsi morire, o perchè non si fosse rifatto una vita.
"A casa."
"Così? Gerard, non ti reggi nemmeno in piedi, aspetta almeno che ti sia passata la sbronza. Siediti con me."
"Smettila." Bisbigliò, giarandosi a fronteggiarlo. Frank gli afferrò un gomito quando il movimento lo fece dondolare. "Smettila di parlarmi. Smettila di seguirmi. Smettila."
Frank spalancò gli occhi e lo sentì sussultare.
"Perchè fai così?"
"Non sono affari tuoi."
"Gerard! Cristo, è così che vuoi fare? Bere, bere e bere fino a che non ti scoppierà il fegato? Fino a che non sputerai sangue? Vuoi morire?"
Non abbassò lo sguardo, lo tenne fermo, dritto, piantato in quello nocciola dell'altro.
"E se anche fosse?"
"Pensi che sia il modo giusto? Pensi che Mikey voglia questo per te?"
Le parole lo colpirono come uno schiaffo in pieno viso. Fece un movimento indietro e boccheggiò in cerca d'aria, sconvolto.
"Non ti permettere di parlare di lui."
"Gee, svegliati. Mikey era il mio migliore amico! Cosa credi, che io sia felice di quello che è successo? Che non stia soffrendo, che non abbia sofferto quando l'ho visto cadere?" Esclamò l'altro, lasciandolo andare per aprire le braccia. "Credimi quando ti dico che lo sogno tutte le notti. Dio, Gee, da quanti anni ci conosciamo? Venti? Mikey ed io siamo sempre stati assieme, fin da bambini. Ho perso un fratello, il mio migliore amico, la persona più importante che avevo. Tu e lui. Ed io l'ho perso, proprio come te."
"Tu non hai perso proprio nessu-"
"Gerard, non azzardarti a dirlo." Disse l'altro, con voce fredda.
Il moro chiuse la bocca e si limitò a respirare pesantemente, preso in contropiede dal cambiamento nell'altro. Abbassò lo sguardo verso il pavimento, soffermandosi sulle Converse rosse di Frank. Rosse, come la cravatta. Come il sangue di Mikey sulla sua divisa. Si passò una mano sul viso, stanco, e cercò di non piangere.
Sentì rumore di stoffa contro stoffa e poi il calore del corpo dell'altro che gli si avvicinava.
"Andiamo a sederci, Gee. Ti prego."
Lo guardò attraverso le dita per qualche secondo. Ora che ci faceva caso, Frank non era poi cambiato molto. Sembrava ancora lo stesso ragazzino di 21 anni che suonava la chitarra sul suo letto, che rideva di gusto sdraiato nel giardino a casa Way, le maniche arrotolate fino ai gomiti ed il sole che faceva risaltare il bianco della camicia. Ora aveva qualche lentiggine in più, qualche tatuaggio che Gerard non aveva disegnato e gli occhi più tristi.
Si chiese quanto fossero cambiati gli altri, cosa avessero fatto mentre lui annegava nell'alcool. Come fosse la loro vita.
"D'accordo."


Frank suonava ancora la chitarra. Anzi, era diventato anche abbastanza famoso in Jersey, e Gerard non ne sapeva niente.
Quando lo disse a Frank, questo si limitò a fare un sorriso triste e ad avvicinarglisi di più. "Questo è quello che succede quando l'unica cosa che ti fa andare avanti è stare attaccato ad una bottiglia."
Gerard fece un verso ed abbassò lo sguardo sul bicchiere che stava tenendo fra le mani. Un bicchiere d'acqua. Dio, da quanto tempo non accadeva? "Diciamo cinque o sei."
Frank annuì e gli appoggiò un braccio sulle spalle.
"Mi dispiace, Gee. Dico sul serio."
Il moro sospirò. "Lo so, Frankie. Lo so."
"Volevo un bene dell'anima a Mikey." Continuò l'altro a voce bassa. Gerard combattè contro l'impulso di singhiozzare e si limitò a stringersi nelle spalle. "Voglio bene anche a te, Gee. Non voglio vederti ridotto così."
Non disse nulla, ma si lasciò andare appena un pò di più contro l'altro. Frank lo strinse più forte, girando il corpo meglio verso di lui, così da poter essere più comodi.
"Perchè indossi ancora la divisa?"
"Mi ricorda Mikey."
Sentì le dita di Frank cominciare a muoversi lentamente fra i suoi capelli e senza che se ne accorgesse, si ritrovò ad appoggiare la testa contro la sua spalla.
"Ti ricorda la guerra, Gee. Se vuoi ricordare Mikey, perchè non metti qualcosa di suo? Qualcosa che ti faccia sentire che è ancora qui, come quel suo giubbotto verde." Lo sentì ridacchiare appena e sorrise, suo malgrado. Si ricordava quel cappotto. Mikey lo metteva sempre quando uscivano con gli altri ed era orrendo. Ma lui lo adorava, diceva che non l'avrebbe cambiato per nulla al mondo e che lo faceva sembrare uno del cinema, con quelle maniche bianche e la scritta lucida sul retro. "Dio, era bruttissimo, te lo ricordi?"
Annuì, le lacrime che gli annebbiavano la vista. "Sì, non ricordo nemmeno come l'avesse trovato. Forse era un regalo di nostra madre. Sicuramente, conoscendola."
Frank fece un verso singhiozzante e Gerard alzò lo sguardo.
"Oh. Ehy, Frankie." Sussurrò, quando lo vide piangere. "Frankie..." Ripetè, non sapendo cos'altro dire. Non vedeva Frank piangere da quando aveva 14 anni e la sua prima ragazza l'aveva lasciato per uno più grande che aveva già l'auto.
Afferrò il nodo della cravatta con una mano ed avvicinò il viso al suo, sentendo le lacrime bagnargli la fronte.
"Scusa..."
"Non ti devi scusare." Mormorò, con la voce rotta dal pianto.
"Mi manca così tanto." Aggiunse il più piccolo, scuotendo la testa. "A volte non mi sembra vero."
Gerard chiuse gli occhi, perchè era la stessa cosa che provava anche lui, da mesi. Non pensava che qualcun'altro potesse capirlo, qualcuno che non fossero i suoi genitori. Annuì.
"Però, Gee." Disse dopo un pò l'altro, con enfasi, facendo sì che alzasse lo sguardo. "Mikey non avrebbe voluto questo per te. Lo sai anche tu."
"A volte non so più cosa è bene per me." Confessò, la voce appena udibile.
"E' tutto l'alcool che butti giù. Ti annebbia il cervello. Ti distrugge."
"Non posso farne a meno, Frank. Ormai ne sono dipendente, senza mi sembra che sia tutto ancora peggio." Esclamò, cercando di allontanarsi da lui, ma il castano lo tenne stretto contro di sé. Non cercò nemmeno di lottare contro la presa, era troppo confortevole stare fra le sue braccia, il suo calore ed il suo profumo che lo circondavano. Era come il ricordo di un tempo passato.
"Tu sei più forte di tutto questo."
"Tsk." Non riuscì a fermare il verso sarcastico che gli uscì dalle labbra. "Non sono quello che credi tu, Frank. Non più."
"Io sono sicuro di sì. Sei ancora lo stesso Gerard Way che amava disegnare e scrivere, lo stesso che mi faceva dormire nel suo letto quando i miei litigavano o quando cadevo e mi facevo male. Quello che mi raccontava le storie più belle che io avessi mai sentito. Lo stesso ragazzo che ha sempre una soluzione per tutto e che beve caffè come se fosse acqua. Ti ricordi, Gee?"
Sorrise mesto e fece scorrere la punta del dito lungo il bordo del bicchiere. "Mi sembra tanto tempo fa."
"Scrivi ancora, Gee?"
"No. Non scrivo da quando siamo partiti."
"Ed il tuo sogno? Di fare lo scrittore?"
Scrollò le spalle e guardò gli altri avventori bere e lasciare il locale, lentamente. "Non credo di essere nemmeno più capace."
"Non dire fesserie." Lo ammonì l'altro, dandogli un colpo leggero sulla spalla. "Perchè non provi a buttare giù qualcosa?"
"No. Meglio di no."
"Gee."
"E tu Frank? Vuoi fare il chitarrista per tutta la vita?" Domandò, per cambiare discorso. Tutte quelle domande lo stavano soffocando.
Frank alzò una spalla sola e fece un mezzo sorriso. "Lo sai che è sempre stato il mio sogno."
"Hm hm." Rispose, piano.
Ci fu un secondo di silenzio, in cui l'unico rumore fu il battito del cuore di Frank ed il suo respiro che si confondevano con la musica in sottofondo.
"Sai? Quando eravamo in guerra, c'è stato un momento in cui ero sicuro che saremmo tutti morti. Un momento che ancora oggi mi fa rabbrividire e me lo ricordo perchè mi sono detto che era così che sarebbe finita; non una bomba, non il fuoco nemico, non una ferita; finiva così e poi non saremmo mai più stati insieme, le nostre vite si sarebbero divise. In quel momento ho pensato, 'Santo Dio, non sono pronto. Ho ancora tante cose da fare,' ho davvero creduto che fose la fine. Ricordi quando siamo saliti sulle barche per raggiungere la spiaggia?"
Come dimenticare? Gerard abbassò lo sguardo e si irrigidì. "Sì."
"La nostra aveva un buco nello scafo e stavamo lentamente affondando. Quando l'acqua mi ha toccato il cavallo dei pantaloni, ho seriamente iniziato a dare di matto. Ero certo che saremmo annegati. Ed è stato come se tutte le cose che non avevo potuto fare, mi stessero passando di fronte agli occhi, in un secondo. 'Non sarò mai un chitarrista, non ho detto addio alla mia famiglia, non gli ho detto che lo amo, non sa nemmeno che io provo qualcosa per lui, sarebbe stato bello almeno guardarlo negli occhi un'ultima volta...'"
Gerard aggrottò la fronte e sospirò, stranito. "Lui?"
Sentì Frank annuire. "Sono... Ero, innamorato di un uomo."
"Oh."
"Già, oh. Non smetterai di parlarmi ora, vero?" Domandò poi l'altro, freddamente.
Si rimise a sedere e lo guardò negli occhi. "No, Frankie. E' solo che non lo immaginavo."
L'altro si rilassò visibilmente e fece un sorriso che gli alzò solo un angolo della bocca. "Ma ti prego, io e te siamo sempre stati così vicini che mi stupisce solo che tu non l'abbia capito prima."
"Cosa significa, eravamo dei ragazzini."
L'altro bevve un sorso dal bicchiere appoggiato sul tavolino e scosse la testa. "Non ho mai avuto dubbi, Gerard."
"Ma ricordo che hai sempre avuto delle ragazze. Come... Come si chiamava, Jenny?"
Frank ridacchiò e gli lanciò uno sguardo. "Io e Jenny avevano quattordici anni, Gee. Non abbiamo mai fatto nient'altro che tenerci per mano."
"Sì, ma..."
"Sì, ma, niente. Ho sempre amato un solo uomo, da praticamente sempre. Me ne sono accorto, forse, quando avevo dodici anni. Lo conosci."
Aprì la bocca, stupito, e cercò di pensare. Non seppe come mai, ma il fatto di sapere che Frank amasse qualcuno da così tanto tempo, un altro uomo e che addirittura fosse qualcuno che conosceva, gli fece nascere una strana sensazione nel petto. La scacciò prima ancora di pensare di cosa si trattasse.
"Lo conosco." Ripetè.
"Hm hm. Bene." Rispose l'altro, guardandolo fisso.
"Oh."
"Già. Il bar sta chiudendo." Aggiunse subito dopo, prima che il moro riuscisse a fare una lista di tutta la gente che conosceva e di cui Frank potesse essere innamorato. Alzò lo sguardo che aveva appoggiato sulle mani strette in grembo e lo puntò su di lui. Si era già alzato ed aveva indossato quel ridicolo giubbotto da musicista, che lo facevano sembrare un poco di buono e troppo affascinante. "Ti riaccompagno a casa, vieni."
"Non ce n'è bisogno, posso benissimo tornarci da solo." Borbottò, infilandosi il cappotto pesante. "Non sono nemmeno più sbronzo."
L'altro afferrò il pacchetto di sigarette dalla tasca e gli lanciò un sorriso. "Lo so."
Gerard sospirò e lasciò i soldi sul tavolino, prima di raggiungerlo fuori. Non sapeva che ore fossero, ma il cielo era nero e le strade deserte. I lampioni la facevano sembrare più sinistra e pericolosa di quanto non fosse e si strinse di più nel cappotto, infilando le mani in tasca e nascondendo il viso nel collo. Frank buttò a terra il fiammifero e si incamminò al suo fianco, senza aggiungere una parola.
"Seriamente, Frank, non c'è bisogno che mi accompagni."
L'altro fece spallucce ed infilò una mano nella tasca dei jeans, per poi buttare fuori il fumo dall'angolo della bocca. "Lo so che non ce n'è bisogno, lo voglio fare." Rispose, mentre gli passava la sigaretta.
Gerard la fissò per un secondo e l'afferrò. Non ricordava nemmeno l'ultima volta che aveva fumato.
"Ehy, Gee."
"Hm."
"Senti... Perchè domani sera non vieni a sentirmi suonare?"
Il più alto gli lanciò un'occhiata, sentendo il tono incerto. "Hmm."
"Suoniamo al locale, sai, stasera ero lì per parlare con Joe, per sapere se era tutto a posto per domani. Quindi. Mi chiedevo se volessi venire."
Gerard alzò lo sguardo sull'edificio dall'altra parte della strada e riconobbe il suo palazzo. Gli fece cenno di seguirlo e ci pensò su, mentre attraversavano la strada deserta. Frank gli camminò alle spalle, senza aggiungere nulla.
"Forse. Io..."
"Dai, Gee. Mi farebbe piacere rivederti." Gli disse, prendendogli una mano e sorridendogli.
Gerard abbassò lo sguardo e guardò i loro palmi uniti e le dita intrecciate, prima di posarlo sui suoi occhi. La strana sensazione di prima era ritornata a fargli visita.
"Okay."
Non sapeva com'era possibile, ma il sorriso di Frank si allargò ancora e gli strinse di più la mano. Ricambiò, prima di lasciarlo andare.
"Okay. Okay. Ow, Gee, sono così contento. Domani sarà fantastico." Esclamò il più basso.
Il moro annuì e cominciò ad avvicinarsi piano all'entrata, quando un pensiero lo fermò.
"Ah, Frankie."
L'altro si bloccò e si voltò a guardarlo, curioso. "Sì?"
"Era Mikey?" Domandò piano, quasi a malincuore.
Frank sembrò non capire immediatamente, ma poi scosse la testa, sorridendo triste.
"No, non era Mikey."
"Oh, okay. Buonanotte Frankie."
"Buonanotte Gee."




Prese una boccata d'aria ed aprì la porta del locale, prima che potesse cambiare idea.
Si slacciò immediatamente i primi bottoni del cappotto e si tolse la sciarpa, quando il calore del posto lo avvolse. Sembrava un altro posto, rispetto al giorno prima. La gente aveva riempito non solo il bancone, ma anche la sala da ballo ed i tavolini. Si sentivano chiacchiere, risate, saluti e bicchieri che tintinnavano. Ora, ora sembrava di nuovo il 1944.
Si guardò in giro e cercò Frank con lo sguardo, incerto. Non sapeva se ci sarebbe riuscito. Anche solo per uscire di casa ci aveva messo delle ore e, quando l'aveva fatto, era perchè il ricordo del viso e del sorriso di Frank, non lo avevano lasciato in pace nemmeno per un secondo. Si era addormentato per la prima volta in sei mesi senza piangere, né chiamare Mikey.
Lasciò andare il respiro tremolante che stava trattenendo da quando aveva varcato la soglia e si arrotolò la sciarpa fra le mani, nervoso. Aveva voglia di bere, di fumare un pacchetto intero di sigarette, di tornare a casa, di rivedere Frank, di sapere cosa sarebbe successo da lì in poi.
Si scostò e si fece strada attraverso la folla per raggiungere il bancone. Non toccava una goccia d'alcool da ore, troppo preso a scegliere dei vestiti e ad acconciarsi i capelli, troppo lunghi persino per tenerli fermi con la brillantina, per pensare di aprire la credenza e scolarsi un goccio.
Il barman lo riconobbe e gli fece un cenno col mento. Gerard alzò una mano e scorse la fila di bottiglie sulla parete dell'altra parte.
"Cosa posso darti?"
"Io... Ehm, uno sc-"
"Gee! Sei venuto!"
Le parole furono accompagnate da Frank in persona, che gli si lanciò addosso come se fossero ancora ragazzini di sedici anni. Fece un verso stranito e si voltò, quando sentì le braccia del più piccolo circondarlo ed il suo profumo colpirgli le narici. "Per un attimo ho pensato che mi avessi dato buca."
"Ehm." Borbottò, guardandolo negli occhi, incerto. Gli stava sorridendo come se Gerard avesse appeso la luna o qualcosa del genere ed il moro non seppe cosa fare. Abbassò lo sguardo, imbarazzato, e si rigirò verso il barman. "Mi dai uno scotch, per favore?"
L'uomo annuì e si voltò per servirlo, e Frank fece un verso contrariato. "Gee."
"Cosa?"
"Basta bere." Esclamò, aggrottando le sopracciglia. "Voglio che tu sia lucido per stasera. Sarà fantastico."
Gerard sospirò ed afferrò il bicchiere che era appena comparso sul bancone, impacciato nei movimenti da Frank ancora spiaccicatogli addosso. "Questo è praticamente l'unico drink di oggi, Frank. Sono più lucido che mai."
Frank smise di respirare e Gerard lo guardò confuso. "Davvero?"
Annuì e prese un sorso, sentendo il cuore battergli forte alla vista del sorriso felice dell'altro. Rimasero fermi a fissarsi per qualche secondo, prima che il castano abbassasse il suo e poi si voltasse appena verso il palco.
"Ehm, ascolta bene, okay? Io... Io devo andare."
Prima anche solo che potesse rispondere, Frank lo aveva stretto velocemente e si era distaccato, per correre verso l'altra parte della sala. Non aveva capito l'ultima cosa, ma non ci fece caso, Frank aveva il vizio di dire cose che nessuno afferrava mai.
Si guardò appena in giro e decise di rimanere appoggiato al bancone, discoraggiato dalla folla che lo attorniava. In quel punto preciso poteva rimanere nascosto ma aveva una buona vista del palco e volendo avrebbe potuto chiedere ancora da bere, non appena fosse finito il drink che aveva in mano.
Ogni tanto qualcuno che si allungava verso il bancone per ordinare qualcosa gli strusciava contro la schiena o lo spingeva appena ma, prima che potesse dire alla terza persona che gli puntava un gomito nella schiena di stare attento, le luci si abbassarono e Frank salì sul palco.
Abbassò il bicchiere che aveva portato alle labbra, quando le luci dei faretti sopra il palco illuminarono la figura di Frank, la sua camicia bianca con i primi bottoni aperti, i tatuaggi colorati che spuntavano da sotto, i capelli lucidi ed il suo sorriso mentre percorreva i pochi passi fino al suo posto di fronte al microfono, con la sua chitarra in spalla. Sembrava felice. Era come rivedere Frank qualche anno prima, solo più cresciuto.
Rimase fermo nel suo posticino e lo guardò ridacchiare al batterista e al secondo chitarrista, mentre sistemava il microfono alla sua altezza e si schiariva successivamente la voce, con un espressione nervosa ma eccitata. Gerard abbandonò il bicchiere sul bancone e non si accorse quando Joe lo portò via.
"Ehm ehm, hmmm, buonasera a tutti." Esclamò Frank al pubblico, che rispose con risate e schiamazzi che lo fecero ridacchiare ancora. Gerard si ritrovò a sorridere mentre adocchiava gli altri presenti. "Saprete già chi sono, ma perchi fosse nuovo, io sono Frank e loro sono la mia band. James alla batteria, Tim al basso e Roger alla chitarra." Continuò, indicando gli altri con una mano. "Spero che vi divertiate stasera!" Terminò urlando e facendo applaudire la platea. La band si lanciò nella prima canzone e Gerard rimase a bocca aperta, stupito nel vedere Frank così. Sembrava che calpestasse il palcoscenico da tutta la vita, con un'energia ed un carisma che lo lasciarono senza parole. Rise quando, alla fine della terza canzone, Frank disse che questo doveva essere sicuramente il pubblico migliore che avessero mai avuto ed il bassista aggiunse che era la stessa cosa che aveva detto anche la sera prima, facendolo urlicchiare "Tim!" con voce squillante.
Alla fine della quarta canzone erano tutti accaldati e la stoffa bianca della camicia di Frank era bagnata e così sottile da far trapelare i contorni degli altri tatuaggi, la fronte imperlata di sudore ed il ciuffo  scomposto e Gerard pensò, improvvisamente, che Frank non gli era mai sembrato più bello prima di allora.
Fu in quel momento che incontrò i suoi occhi. Sentì il respiro fermarsi e il cuore invece cominciare a correre. Non era sicuro che Frank riuscisse a vederlo con quelle luci negli occhi, ricordava com'era stare sopra un palco anche se erano quasi due anni che non cantava, sapeva che le luci ti colpivano direttamente in faccia e ti impedivano di distinguere bene ciò che avevi davanti, ma era come se quando i loro occhi si incrociarono, Gerard fosse stato scosso. Sapeva che Frank l'aveva visto, che lo stava guardando proprio in quel preciso istante, sorridendo.
Il castano si asciugò il viso con la manica della camicia e prese fiato, lasciando che anche gli altri si riposassero per qualche secondo. Abbassò lo sguardo verso la chitarra e si schiarì la voce.
"La prossima canzone è dedicata alla persona più importante della mia vita." Disse, rialzando il viso per guardare ancora in direzione del bancone. Proprio lì dov'era Gerard in quel momento. "Credevo di averla persa per sempre, pensavo fosse diventata il fantasma di ciò che amavo. Ma so che non è così." Gerard dovette appoggiarsi meglio al bancone mentre guardava il sorriso di Frank ed ascoltava le sue parole, le luci che si abbassavano lentamente. "Sei tu che amo da sempre." Sussurrò, appena prima che le chitarre iniziassero a suonare e la batteria le seguisse col basso.  
Gli occhi di Frank non si staccarono mai dai suoi, se non per chiudersi un paio di volte. Lo guardò con le lacrime agli occhi suonare e cantare per lui, dirgli con una canzone che era lui che amava da quando aveva dodici anni, che era la persona più importante della sua vita e si sentì tremare.
Non gli importò che gli altri potessero vedere che stava piangendo, nè che ci mancasse poco così che si ritrovasse singhiozzante; l'unica cosa che riusciva a pensare era a come fosse possibile che non se ne fosse accorto prima. Ora che Frank l'aveva detto, era come se fosse la cosa più semplice del mondo. Tutti i sorrisi, gli abbracci, le parole, i momenti spesi insieme e le notti a parlare abbracciati a letto. Era come se Frank non avesse fatto altro per tutta la vita.
Si asciugò gli occhi e tirò su col naso, quando Frank salutò tutti e disse che quella era la loro ultima canzone. Si girò verso il bancone e chiese a Joe un bicchiere di qualcosa, qualsiasi cosa, e non guardò la band scendere dal palco.
Fece un cenno al barista e prese il bicchiere con mano tremante, prima di buttare giù il contenuto tutto d'un fiato. Dovette inghiottire un altro paio di volte per far andare via il groppo in gola e sospirò, cercando di ritornare in sé.

Era riuscito a bere un altro drink prima che Frank riuscisse a raggiungerlo. Gerard l'aveva guardato da lontano ridere e parlare con uomini che gli avevano fatto complimenti e con ragazze carine che ne erano invece in cerca. Per un secondo, aveva persino pensato di pagare e tornarsene a casa, intimorito dal confronto. Frank era tutto ciò che lui non era. Frank era forte e coraggioso, mentre lui era solo il fantasma della persona che l'altro amava. Non era in grado di dargli ciò che Frank chiedeva. Amarlo.
Ma poi Frank si era girato e l'aveva visto ed il sorriso che gli aveva rivolto era così luminoso che si sentì sciogliere. Il castano si era scusato con il gruppo di ammiratrici ed aveva fatto un mezzo inchino, prima di lasciarle.
Gli si era avvicinato velocemente e l'aveva abbracciato forte, ridendo, quasi facendolo cadere all'indietro. Ricambiò la stretta con un pò di incertezza, cercando di capire se qualcuno li stesse guardando in modo sospetto.
"Hai ascoltato?" Gli chiese il più basso, affannosamente. "Hai capito? Dio, avevo il terrore che te ne fossi andato. Pensavo. Pensavo che ti saresti spaventato e avresti finito per odiarmi." Continuò, distaccandosi appena per guardarlo negli occhi, stringendo la stoffa della camicia di Gerard fra le dita.
Il moro scosse la testa. "Non potrei mai odiarti, Frankie."
L'altro sorrise ancora, finalmente riprendendo a respirare. Gerard fece lo stesso, incapace di fare altrimenti.
Entrambi presero ancora qualcosa da bere, Frank ancora provato dall'esibizione e Gerard perchè non poteva farne a meno, e rimasero in silenzio per un pò.
Il più grande continuava a lanciare occhiate all'altro, senza riuscire a trattenersi. Possibile che fosse stato così cieco, fino a quel momento? Eppure Frank gli era sempre stato vicino, com'era possibile che non l'avesse visto? Com'era possibile che avesse sempre provato qualcosa per quel ragazzino troppo esuberante e con una risata squillante e se ne rendesse conto solo adesso?
Se Frank non gli avesse fatto aprire gli occhi quella sera, probabilmente avrebbe continuato a pensare che il batticuore ed il respiro mozzato fossero cose normali. Probabilmente sarebbe stato ancora nel suo appartamento a finire tutte le bottiglie che aveva in casa.
Abbassò lo sguardo e scostò il bicchiere. Che cosa aveva da offrire a Frank? Nulla, solo un mucchio di problemi.
"Gee." Lo richiamò gentilmente l'altro, che gli si era fatto più vicino senza che se ne accorgesse. "Andiamo da te?"
Lo guardò stupito e l'altro sorrise, sincero, senza aggiungere altro.
"Frankie... Io non sono la persona giusta per te." Sussurrò, guardandolo lentamente negli occhi, trattenendosi dall'allungare una mano per accarezzargli il viso.
"Lo so io qual'è la persona giusta per me, Gerard. Ed io voglio andare a casa tua." Ripetè l'altro, come se stessero parlando del tempo. Il sorriso non perse nemmeno un minimo della sua brillantezza e Gerard sospirò, sentendo la sua volontà cedere piano piano.
"La mia vita è distrutta. L'unica cosa che mi è rimasta è l'alcool."
"Ed hai anche me, adesso. Non è meraviglioso?" Il più piccolo ridacchiò e gli si fece ancora più vicino, per appoggiare la fronte contro il suo braccio. "Gee, ti prego."
Strinse le mani a pugno e guardò i capelli scuri dell'altro, sentendo il profumo dello shampoo mischiarsi con quello del sudore.
Gerard avrebbe finito per rovinare tutto, lo sapeva prima ancora di cominciare. Perchè era sempre così che succedeva.
Frank era troppo bello, troppo perfetto.
"Gee." Ringhiò l'altro, irrigidendosi.
Gerard chiuse gli occhi e si maledì mentalmente.
"Okay."


Frank gli fu subito addosso non appena si chiusero la porta dell'appartamento alle spalle. Lo afferrò per i lembi del cappotto e lo spinse contro l'uscio, per poi baciarlo con disperazione.
Gerard fece un verso sorpreso ed aprì la bocca senza accorgersene, e Frank non perse tempo per approfondire il bacio, appiattendoglisi addosso.
Il moro strinse il giubbotto dell'altro fra le dita e mugolò, quando quelle di Frank si strinsero fra i suoi capelli.
"Gee." Sussurrò sulle sue labbra, guardandolo negli occhi. "Gee. Gee."
"Sì, Frankie." Disse, baciandolo ed aprendogli il giubbotto. "Sono qui." Mormorò leccandogli le labbra e cominciando a spogliarlo.
Il castano non perse tempo a fare altrettanto, sospirando forte e continuando a guardarlo come se fosse la cosa più preziosa del mondo. Gerard sorrise, mentre lo spingeva verso la camera da letto, facendolo inciampare nel mucchio di vestiti a terra e le scarpe buttate a caso.
"Aspetto questo momento da sempre."
Gerard lo baciò nuovamente e lo fece stendere sulle lenzuola sfatte, sentendolo ridacchiare senza fiato. "Anche io."
"Gee. Gee." Ansimò, prendendogli il viso fra le mani per guardarlo mentre il più grande si stendeva fra le sue ginocchia. "Ti amo."
Gerard si fermò e lo fissò per qualche secondo, soffermandosi sugli occhi grandi e lucidi, sulle labbra arrossate ed il viso perfetto. Poi sorrise.
"Ti amo anche io, Frank."






Giugno 1946


Alzò lo sguardo al cielo e sospirò. Il rumore delle foglie spostate dalla brezza era l'unica cosa che sentiva, nel silenzio di quel posto.
Si passò una mano fra i capelli e sorrise.
"Ehy, Mik." Disse a bassa voce, alla lapide di pietra ai suoi piedi. "E' da un pò che non ci vediamo." Aggiunse, abbassandosi ad appoggiare il mazzo di fiori accanto agli altri. "E' che mi manchi, mi manchi così tanto che non sapevo se ce l'avrei fatta a tornare qui."
Si inginocchiò e fissò la foto, rimanendo in silenzio qualche secondo.
"All'inizio è stata dura. E' stata la cosa più difficile della mia vita e mi stavo arrendendo. Ero caduto un un pozzo scuro di autocommiserazione e disperazione. ...Avevo cominciato a bere, sai?" Fece una risatina amara ed abbassò lo sguardo sul manto erboso sotto ai suoi piedi. "Bevevo tutto il giorno, tutti i giorni. Mamma era disperata. La sentivo piangere in cucina, di notte, quando pensava di essere sola. Mi dispiace così tanto di averla fatta soffrire in quel modo."
Si mordicchiò il labbro inferiore e cercò di non piangere.
"Volevo morire e raggiungerti." Sussurrò, dopo qualche minuto. "Mi sentivo così in colpa per averti lasciato morire, per aver lasciato che accadesse. Avrei dovuto essere un soldato migliore, un fratello migliore. Volevo solo farla finita e smetterla di sentirmi così pieno di rancore e sensi di colpa. L'alcool mi aiutava, o almeno così pensavo." Alzò le spalle e si sfregò gli occhi, per far andare via le lacrime che si erano formate. "Però. Però ora sto bene, sai?" Sorrise e rialzò lo sguardo sulla foto. "Lo so che tu ed i nonni ci state guardando, ma volevo dirtelo di persona. Ora sto bene. Non bevo da marzo." Aggiunse, appena più fiero. "Ed è tutto merito della persona che amo, Mik. E' la cosa migliore che mi sia mai successa. La persona migliore della mia vita."
Allungò le dita verso la cornice dorata e ne tracciò i contorni, lentamente.
"E' Frankie. Lo so che tu lo ricordi quando aveva quattordici anni e tutti i pantaloni gli andavano larghi, ma... Ma mi ama. Ed è bellissimo. E..." Rimase in silenzio per un secondo, passando le dita leggere sul vetro della fotografia, sentendo il cuore stringerglisi mentre pensava che non avrebbe mai più potuto accarezzare il viso di suo fratello. "Lo amo, Mikey. Ora la mia vita è lui."
Si portò i polpastrelli alle labbra e poi li riappoggiò sulla lapide, prima di rialzarsi.
"Quindi dovremo aspettare ancora un pò prima di poterci reincontrare. Aspettami, okay? Ti voglio bene Mikey, ti voglio così tanto bene. A fra un pò, quindi. Ah, e Frankie dice ciao." Ridacchiò piano.
Rimase fermo ancora per qualche minuto, cercando di imprimersi nella mentre quel momento, e poi prese un respiro profondo, prima di girarsi per tornare all'auto.

Frank lo stava aspettando seduto sul cofano dell'auto, le caviglie incrociate e una sigaretta fra le dita. Sorrise subito non appena lo vide arrivare e Gerard ricambiò, avvicinandoglisi per abbracciarlo stretto. Il più piccolo ricambiò subito e gli appoggiò le labbra sul collo. "Ehy, tutto a posto?"
Gerard annuì e gli baciò i capelli. "Ti amo Frankie."
Sentì l'altro sospirare felice e stringerlo di più. "Ti amo anche io, Gee."
Si scostò e gli diede un bacio leggero sulle labbra, prima di sorridere.
"Okay, torniamo a casa."
Frank annuì e lanciò la sigaretta ormai finita a terra, prima di entrare in auto, per mettere in moto.
Gerard aprì la portiera e si girò per un ultimo momento verso la direzione della tomba di Mikey, per sorridergli.
Sapeva che Mikey era felice per lui e che lo stava aspettando, ma ora aveva una nuova vita con Frank e gli parve che non fosse mai stato tutto così perfetto.
Lanciò un bacio al cielo e salì in auto.
 


   
 
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