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Autore: Medea Astra    07/09/2011    5 recensioni
Platone è un orfano affidato alla custodia di suo zio che lo vorrebbe dedito alla lotta e alle armi, a dispetto delle sue inclinazioni più raffinate ed auliche.Un giorno, dopo l'ennesima lite con il tutore, il giovane viene ridotto in fin di vita. Sarà un uomo molto particolare a salvarlo e a dargli l'opportunità di vivere la propria vita come desidera. Una storia di amicizia come poche. Una finestra sui padri dell'occidente come oggi lo conosciamo, perchè in fondo,nei libri di storia non viene mai raccontata la pura verità...
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
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Platone camminava lento tra i portici mosaicati. Il suo sguardo inquieto si posava ora su una parete, ora su un’altra, in cerca di un dettaglio, anche il minimo, che lo trasportasse nuovamente alla calda notte di maggio di trent’anni prima; la notte che vide la sua rinascita. Ad un tratto, la sua attenzione venne attirata da quella che sembrava essere la fedele copia della Tauromachia. Un giovane, forse poco più che un bambino, a giudicare dal suo fisico agile ma minuto, si apprestava a balzare su di un toro per poi ricadere con una capriola dal lato opposto. Che splendida metafora della vita che era quel gioco. Un salto,una frazione di secondo, un attimo che potrebbe essere l’ultimo della tua vita, sprecato così, per dar piacere agli altri, per far provare anche a loro, seppur solo di riflesso, il brivido di vedere la morte in faccia.  A lui però non era mai piaciuto il brivido, neppure in palestra, da ragazzo, riusciva a tirar fuori il meglio di se stesso nella lotta. Da quando suo padre era morto, lui si era sempre sentito un pesce fuor d’acqua, uno scarto, il disonore di un intero ghenos*. Ricordava perfettamente quando un giorno suo zio gli si avvicinò e gli chiese spiegazioni sul motivo per cui quella mattina si fosse rifìutato di lottare contro Timoteo. Con un coraggio mai avuto rispose che non lo aveva fatto semplicemente perché non voleva, non lo riteneva corretto. Il ceffone di suo zio non tardò ad arrivare, dritto sulla mandibola, perse l’equilibrio frastornato, cadde a terra, cercò di rialzarsi, mise forza sulla braccia ma un calcio nello stomaco lo fece desistere da ogni suo proposito. La sola cosa che adesso potesse vedere, oltre il cielo terso, era il calzare di suo zio premergli sullo stomaco. Le parole che posero fine a quell’incontro furono tutt’altro che dolci e solo uno sputo carico di disappunto restò a tener compagnia al giovane. Calde lacrime, prepotenti e sfacciate, iniziarono a solcare le sue guance. Si sentiva umiliato nel profondo ed aveva capito di essere solo al mondo, solo e disperato come solo un uomo bistrattato perfino dalla propria famiglia, si può sentire. Estrasse dalla tasca un coltello e ripose nella sua lama acuminata ed arrugginita, tutte le sue speranze. Se avesse affondato il ferro nelle viscere, tutto sarebbe finito, il buio avrebbe nascosto le lacrime ed il sangue avrebbe lavato via ogni colpa. Puntò la lama all’addome ma la mano non affondò. Non ebbe il coraggio, o forse, la tuke* fece il suo corso. Ancora più triste si abbandonò al sonno tra un lieve gracidare e un cicaleccio allegro, ossimori naturali con il ritmo sregolato del suo cuore. Qualcosa di umido gli copriva la fronte, dalle sue ferite proveniva l’odore pungente e acre delle erbe medicinali e senza dubbio, quello non era il luogo dove si era addormentato. Cercò di mettere a fuoco ma non vi riuscì, così tentò di sollevarsi lievemente quando una voce calda e baritonale lo fece trasalire.
“ Non dovresti fare degli sforzi nelle tue condizioni, sdraiati e bevi un bicchiere di vino, è delle campagne intorno ad Atene, vino di primissima qualità, ti aiuterà a rimetterti in sesto!”
“ grazie, ma mi scusi,  lei chi è? Dove mi trovo?”
“ oh che sbadato che sono stato! Ho dimenticato di presentarmi. Io sono Socrate, un levatore d’anime, proprio come la mia buona madre, che gli dei abbiano pietà della sua povera anima.”
“ io mi chiamo Platone signore, e non sono altro che uno dei tanti orfani che presto troveranno la morte.”
L’ uomo più anziano guardò il giovane steso davanti a lui; gli occhi rossi, il respiro irregolare e il corpo pieno di escoriazioni lo rendevano più simile ad un animale in attesa di essere sacrificato, che ad un giovane uomo.
“Hai qualcuno che si possa prendere cura di te?”
“no, nessuno signore, le ripeto, sono solo al mondo.”
“ Se vuoi potresti rimanere da me, mi servirebbe qualcuno che mi accompagni lungo i miei viaggi e tu mi sembri un ragazzo sveglio.”
“Davvero potrei rimanere con lei?” chiese incredulo il ragazzo.
“ Ti sembra per caso che io stia scherzando? Sono solo esattamente quanto te se non l’avessi notato, ma io, contrariamente a te, mio caro bel giovanotto, non sto qui a piangermi addosso, ma faccio del mio meglio per trarre dagli altri il meglio, per far nascere anime coscienti da corpi vacui ed insignificanti. Dato che tu mi sembri diverso dagli altri ragazzini della tua età, ho pensato che se tu crescessi sotto la mia tutela, forse potresti concludere qualcosa di buono nella tua vita.”
Il ragazzo non rispose ma il suo sguardo si illuminò di una luce nuova, mai avuta. Sentiva di aver trovato la propria strada, sentiva di non essere più solo.
Adesso, dopo tante primavere, si trovava ancora a pensare al suo vecchio maestro che pochi anni prima lo aveva lasciato. Nessuno aveva capito quanto dolore gli avesse provocato quella scomparsa così atroce e violenta. Un sorso di cicuta l’aveva portato via per sempre. All’inizio provava rancore nei confronti del vecchio amico, si sentiva abbandonato, ma adesso aveva capito che non ci sarebbe stato altro modo per rispettare la sua volontà, se non quello di lasciarlo andare. Non aveva lasciato nulla di suo, nessuno scritto, tutto devoluto alla popolazione che inconsciamente l’aveva messo a morte. Ciò che rimaneva a Platone, erano le sue memorie e i suoi ragazzi, testimoni di un’idea che difficilmente avrebbe trovato fine. Immerso così nei propri pensieri non si accorse di una mano ferma e grande che gli afferrò la spalla.
“Maestro, potrei restare un po’ con voi? Milziade continua a criticare le mie idee e mi sta davvero facendo salire i nervi”
 “ Aristotele, sei sempre il solito, non riesci mai a tenere un discorso senza litigare con qualcuno, sei proprio irrecuperabile. Cammina qui con me, magari l’aria fresca ti rinfrescherà un po’ le idee”
Il temperamento focoso del giovane lo faceva sempre ridere, era l’esatto opposto di lui da ragazzo, eppure gli voleva davvero bene, era il suo allievo preferito anche se non lo avrebbe mai ammesso.
 



*     Ghenos   famiglia, stirpe, generazione
*     Tuke        fortuna, sorte, destino, fato
 
Angolo dell’autore:
Buongiorno ragazzi, se siete arrivati fin qui vi ringrazio davvero di cuore. Spero di non avervi annoiato. Questa storia mi è venuta in mente questa notte verso le tre, non chiedetemi il motivo, credo siano gli effetti del classico ( nuoce gravemente alla salute mentale per chi non lo sapesse)… comunque, sarò breve, mi piacerebbe sapere i vostri pareri ed i vostri consigli. Un bacio con affetto… Penelope
 
   
 
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