Era seduta nel suo luogo preferito, lontana da tutti, lontana da tutto, lontana dal mondo.
Quel luogo la faceva sentire protetta, perché li nessuno la giudicava, nessuno la criticava, nessuno le diceva niente, perché quel luogo era silenzio, era pace, era sicurezza.
Li poteva correre libera, poteva ridere senza ragione, poteva semplicemente leggere un libro, disegnare o guardare il cielo.
Li poteva piangere.
Piangere come mai prima, per ciò che ormai era passato. Piangere, per ciò che mai più sarebbe accaduto. Piangere, per ciò che mai sarebbe dovuto accadere.
Sperava, continuava a sperare, sempre, sempre, sempre, sempre, ogni istante, ogni giorno, come se qualcosa potesse cambiare.
Che sciocca che era. Cosa poteva cambiare? I morti non tornano, mai.
“Sperare
è peccato”
Basta! Non ce la faceva
più! Quella voce insistente, continuava a ripeterglielo.
E lei non voleva, non poteva più sopportarlo.
Lei non aveva commesso nessun peccato. Perché lei continuava a ripeterglielo? Perché proprio lei? Perché proprio la sua voce? Non erano amiche?
E lei non voleva, non poteva più sopportarlo.
Lei non aveva commesso nessun peccato. Perché lei continuava a ripeterglielo? Perché proprio lei? Perché proprio la sua voce? Non erano amiche?
“Serbare il
segreto è peccato”
Peccato?! Ma quale
peccato?! Se avesse detto a qualcuno ciò che era successo,
anzi, peggio ancora, se la sua famiglia avesse saputo cos’era
accaduto, se la sua famiglia fosse venuta a conoscenza del fatto che
aveva ucciso una ragazza, cosa sarebbe successo? Che poi lei non aveva
ucciso nessuno! Era stato un incidente, un terribile incidente! Non era
colpa sua se il destino aveva deciso che proprio il giorno in cui
finalmente era libera dalla sua gabbia Beatrice dovesse morire.
“Ti accorgi
delle voci senza voce? Ti accorgi dei tuoi peccati?”
Si tappo le orecchie con
forza e cominciò a gridare al vento «Ti prego
Beato, basta! Io non ho fatto niente! Non è colpa mia!
È stato un incidente! Sei caduta per sbaglio! E poi te
l’avevo detto di fare attenzione! Ma tu non mi hai ascoltata!
Per questo sei morta! Io non ho fatto niente, io sono senza
peccato!».
Alzandosi di scatto
dalla vecchia panchina consumata e scoprendosi le orecchie
continuò «Ti odio! Ti odio! Mi hai rovinato la
vita! A causa tua non riesco più a mangiare, a dormire, a
vivere! Hai rovinato tutto, TUTTO! Ogni giorno mi tormenti, con la tua
voce, con le tue frasi senza senso! Tu stessa sei senza senso! Sei
morta, perché sento la tua voce, perché mi
parli?! E poi, “voci senza voce”? Cosa vuol dire?!
L’unica che sento è la tua, insopportabile, voce!
Ti supplico, non capisco più niente! Mi stai facendo
diventare pazza! Sei tu la peccatrice, non io! Io sono senza
peccato!».
“Tu sei senza
peccato? Quanto sarà pesante il mio castigo?”
Era tutto inutile. Sperava che almeno li la voce di Beato, le sue accuse, non la raggiungessero. Sperava di poter piangere in pace, di dimenticare il suo cadavere disteso tra gli scogli, tra il pianto dei gabbiani.
«Castigo?
Quale castigo? Vorresti punirmi? E di cosa? No anzi, lo so
già, cominceresti a parlarmi di peccato, peccato e peccato,
tanto ormai sai fare solo quello! Ma ora basta, non interferirai
più con la mia vita. Non mi farai soffrire più.
Non sentirò più la tua voce, non vedrò
più il tuo cadavere, tutto questo orrore sparirà,
esattamente come sono sparite le fantastiche farfalle dorate che ti
circondavano, quando sei morta. Erano così belle…
Ora però è giunto il momento in cui non
vedrò più niente…».
Si avvicinò
lentamente al bordo della banchina, come un automa. Si fermo a un passo
dal “vuoto”, se così si può
chiamare, e osservò la vecchie rotaie di legno consumate,
abbandonate e in disuso ormai da tempo, pronta a lasciarsi andare
appena il treno fosse arrivato.
Abbandonate e in disuso?
«No!» gridò facendo un passo indietro,
quando il suo corpo era già pronto a cedere alla forza di
gravità. «Cosa diavolo stavo facendo? Volevo
buttarmi sotto un treno? Sono proprio impazzita! Ho ancora tutta la
vita davanti e poi qui non passano più treni, in ogni caso
il massimo che potrei farmi sarebbe qualche piccola botta o graffio.
Sono proprio stupida, oltre che pensare al suicidio sento le voci e
parlo pure da sola! Per oggi è meglio che torni a casa,
tanto restare qui è inutile, non cambierà
ciò che è successo con-» si
voltò di scatto, convinta di aver visto un luccichio dorato.
«Beato?!»
fu l’ultima parola che disse, che le sue labbra riuscirono a
pronunciare. Per qualche strano scherzo del destino perse
l’equilibrio, cadendo sulle rotaie. Ripresasi dallo shock
iniziale si sedette lentamente, in tempo solo per essere travolta da un
treno. Non ebbe neanche il tempo di gridare. Il suo corpo fu
scaraventato lungo le rotaie, portandola verso la fine di esse.
Com’era possibile, si chiese, che un treno fosse passato di
li? Non aveva senso, andava pure nella direzione sbagliata. Con le
ultime energie voltò lo sguardo verso l’altro lato
delle rotaie. Niente, solo il prato infinito, il treno era totalmente
sparito.
Il suo ultimo sguardo si
posò su le pietre che ricoprivano e circondavano le rotaie,
dove si stagliava vividamente una strana macchia di rossa, rossa
sangue, il suo sangue. Sembrava una rosa. Che ironia.
Il suo sguardo pian piano si spense, riflettendo il luccichio delle ali di una farfalla dorata, che lentamente, poggiata sulla piccola rosa rossa appena nata tra i sassi, l’acciaio e il legno, batteva le sue ali, a ritmo con il cuore della ragazza, fermandosi all’unisolo.
Il suo sguardo pian piano si spense, riflettendo il luccichio delle ali di una farfalla dorata, che lentamente, poggiata sulla piccola rosa rossa appena nata tra i sassi, l’acciaio e il legno, batteva le sue ali, a ritmo con il cuore della ragazza, fermandosi all’unisolo.
«Il giudizio
finale sta per essere emesso… Nessuno può
emendarsi dal peccato che scorre nelle vene…»
Mormorò
Beatrice, la strega dorata, la strega infinita, la strega della
foresta, guardando il corpo senza vita di colei che era stata la sua
migliore amica. Ma ora era un semplice cadavere lasciato a marcire
sulle rotaie di una vecchia e sperduta stazione abbandonata, dove non
passavano più treni da anni e mai ne sarebbero passati.
Angolo
d'autrice:
Questa
roba è stata partorita dalla mia mente annoiata,
all’improvviso, guardando fuori dal finestrino del
treno, mentre ascoltavo l’opening di Umineko e notavo un
piccolo fiore tra i sassi in mezzo alle rotaie, tutto solo, e per
qualche strano motivo ho deciso di scrivere e pubblicare questa storia
come mia primissima fan fiction, quindi chiedo perdono se vi
sembrerà orrenda e se vorrete linciarmi per aver offeso la
bellezza di Umineko fate pure. So che può sembrare
tutta una boiata ciò che ho scritto, ma in gran parte
è stata scritta così perché provo un
odio profondo per Rosa, è più forte di me!
Sarà per come tratta sua figlia? Per come per colpa sua
Beato è morta? Sta di fatto che la odio, quindi
chiedo scusa anche se ho offeso qualcuno trattandola a quel modo. Bene,
se avete qualche domanda o insulto da farmi fate pure, vedrò
di trovare il modo di rispondere, anche se spero più in
qualche commento positivo o se negativo almeno costruttivo, visto che
ho altro in cantiere e non vorrei che facesse la muffa. Grazie per
essere arrivati fin qui,
bye bye e alla
prossima (spero).
(Ah sì, il titolo dovrebbe essere peccato in giapponese, ma
non ne sono poi tanto sicura).