Capitolo 2
Trascorsi
quel giorno pensando a come affrontare la serata: cosa dire
in caso avessi incontrato quel rossino (sperando di non doverlo
vedere!) e come
reagire in caso il gruppo mi fosse piaciuto… Ma
quest’ultimo pensiero
lo tenevo stretto dentro di me e
nessuno mai avrebbe sentito dalla mia bocca parole di elogio per questo
fantomatico gruppo di dei della musica! No, lo avrei criticato e me ne
sarei
tornata a casa piena di gioia e soddisfazione! Però
andandoci avrei fatto il
gioco di quel tizio, pagando per sentire il suo gruppetto…
Il
suo gruppetto….
Il
suo gruppetto!
Vuoi vedere che era un
musicista anche lui! Ma certo, perché non c’avevo
pensato prima?! Era venuto al
concerto dei TresneT per osservare
la
“concorrenza”, ecco perché li criticava
ostentatamente! Allora dovevo andarci
di sicuro a sentirlo! Non m’importava più di
dargli soddisfazione, di fare il
suo gioco e di finanziare la sua esibizione, dovevo vedere che razza di
musicista tronfio ed esaltato era, per vendicarmi in seguito con la
più aspra
delle critiche!
Stè
passò a prendermi in perfetto orario e anche io stranamente
ero
stata del tutto puntuale, come tenne e precisare anche Testa di Paglia:
«WOW! Non ho atteso
che un minuto, deve proprio interessarti parecchio
quest’esibizione! Da quanto
ti stavi preparando?»
Stè
mi conosceva troppo bene per non sapere che la mia rara
puntualità
era frutto di una preparazione ben studiata da tutto il pomeriggio:
vestito,
trucco e parrucco non sono cose che si possono inventare in
mezz’ora,
soprattutto quando scendi in guerra e devi mostrare il meglio di te!
«Uff, non posso
nasconderti mai nulla! Stasera sono armata fino ai denti Testa di
Paglia, devo
essere al meglio e non c’è nulla di più
galvanizzante per l’animo di una donna,
del sentirsi perfettamente preparata!»
Stè
si fece una delle sue belle risate allegre:
«Non finirete mai di
stupirmi voi donne, avete la capacità di dare
profondità alle cose più stupide!»
e così dicendo fece partire
l’auto.
Arrivammo
al Dada verso le
21:30, in tempo per evitare la folla dell’ultimo secondo e
aggiudicarci un
piccolo tavolino da cui goderci lo spettacolo: il
locale era nato per ospitare esibizioni
artistiche di ogni genere ed era provvisto di un bel palco che rendeva
ogni
spettacolo visibile da qualsiasi posizione. Era aperto ormai da dieci
anni e
sembrava essere un evergreen, c’era sempre folla al Dada!
In
poco tempo infatti, tutta la sala si riempì e il vociare
divenne
insopportabile, finché finalmente qualcuno salì
sul palco, presentò il gruppo e
con la prima nota si accesero anche le luci su di esso: da
lì in poi il tempo
per me si fermò.
Avevo
avuto la giusta intuizione, il rossino era il cantante del
gruppo: al centro del palco, abbigliato totalmente di nero, la sua
chioma
accesa risaltava come il fuoco ardente di una torcia, e proprio come
una fonte
di luce, rubava la scena al resto del gruppo. Non era particolarmente
dinamico,
come molti frontmen che vanno su e
giù per il palco al pari di un acrobata, bensì
cantava restando fermo al suo
posto, ma seguendo con il corpo il ritmo della musica e girandosi di
tanto in
tanto verso gli altri membri del gruppo. C’era
però qualcosa che lo rendeva assolutamente
carismatico, qualcosa a cui non ero pronta: la sua voce. Era aspra e
graffiante, ma aveva qualcosa che ti arrivava al cuore,
un’asperità di quelle
che ti causano una fitta, che non dimenticherai più. Cantava
con passione,
mettendoci tutto se stesso; sentivo che in quel momento stava
trasmettendo le
sue emozioni agli astanti, incurante del fatto che
l’ascoltassero o meno. Guardava
il pubblico mentre cantava, con un’espressione intensa che
quasi mi faceva
paura, ma avevo l’impressione che cantasse per qualcuno che
non era lì, come se
stesse dialogando con un ascoltatore invisibile e volesse fargli
arrivare le
sue parole. Credo
di essere rimasta
pietrificata per tutta la serata, perché riesco a ricordare
solo lui, che canta
e che ad un certo punto prende una chitarra e si getta in un assolo che
mi ha
messo i brividi. Ricordo solo che all’accendersi delle luci
in sala, nel caos
degli applausi e delle urla, ho visto Stè che mi guardava
sorridente e
soddisfatto:
«Credo proprio che
sia valsa la pena di venire qui stasera, vero?»
Lo
guardai come se provenisse da un altro pianeta, poi mi riscossi e
feci un pallido cenno di assenso:
«Non ho mai sentito
qualcuno cantare in questo modo Stè! Sono sbalordita!»
Testa
di Paglia mi diede un pizzicotto sulla guancia, in un gesto
affettuoso di supporto e andò a prendere due birre. Io ne
approfittai per osservare
la gente intorno a me: molti
astanti stavano andando via, altri invece come il mio amico, erano
andati a
rifornirsi per un’ultima bevuta e pochi altri erano intenti a
parlare
animatamente. Qualcuno era sotto il palco indicando gli strumenti,
erano in
cinque e di sicuro parlavano del gruppo perché avevano un
volto molto simile a
quello che sentivo di avere io, ma c’era anche una certa
soddisfazione in più.
Molto probabilmente erano dei fans che conoscevano bene quei musicisti.
Solo
allora mi accorsi che uno di loro aveva dei depliants in mano e che li
stava
distribuendo girando per la sala, finché arrivò
anche al mio tavolo:
«Ciao, scusa se ti
disturbo, se ti è piaciuto il gruppo stasera, volevo
lasciarti questo flyer con le
prossime date, così potrai
sapere dove trovarli se vuoi sentirli ancora.»
Era
un ragazzo con gli occhiali e un orecchio tempestato di piercing,
sicuramente coetaneo e amico del gruppo del rossino, che li stava
aiutando a
promuoversi.
«Grazie, lascia pure
qui.» mi ritrovai a dire prima
ancora di rendermene
conto, «Sono
sba…»
avevo iniziato a commentare
l’esibizione con lui, ma si era già allontanato
verso il prossimo tavolo «…lordita..».
Guardai
il flyer: avevano
tantissime date, tutte nei locali dei dintorni
e anche qualcuna a chilometri di distanza, in fondo
all’opuscolo c’era
anche la notizia che stavano incidendo il loro primo album: non erano
così
principianti allora! Per incidere dovevano avere una casa discografica
che li
aveva sentiti e apprezzati e soprattutto, dovevano avere una buona
fetta di
pubblico che li amasse e seguisse da tempo!
Nel
retro del flyer c’erano
i nomi dei componenti del gruppo e li scorsi tutti cercando il nome che
m’interessava
conoscere: bassista, chitarrista, batterista, secondo
chitarrista… cantante:
Emile Castoldi. Aveva un nome straniero e un aspetto non proprio
comune, ma non
avevo sentito nella sua voce un accento particolare che denotasse la
sua
appartenenza ad un’altra nazionalità. Forse era un
nome d’arte? O forse aveva
dei genitori fantasiosi!
Iniziai
a fantasticare sulla famiglia Castoldi, al tipo di persone che
la componessero, considerato che quel tipo che tanto mi aveva sconvolto
ne
faceva parte e non mi accorsi che Stè nel frattempo era
tornato.
«Allora, quando
andiamo a risentirli?»
alzai
il capo all’improvviso sentendo la sua voce:
«Vuoi seguire il
loro tour Testa di Paglia?»
dissi sorpresa all’idea.
«Perché no
Testarossa?! Sono bravi e non puoi dire che non ti siano piaciuti;
invece di
buttare le serate da un locale all’altro senza meta, almeno
ne trascorriamo
qualcuna sentendo bella e buona musica.»
Aveva
ragione, era bella e buona musica e in quel momento realizzai
che il rossino, quell’Emile, mi aveva dato una lezione e che
io avevo perso la
sfida su tutti i fronti!
Non
risposi a Stè, iniziai a bere la mia birra e cambiai
discorso,
anche se nella mia testa mi arrovellavo per cercare di convivere con la
rabbia
di aver dovuto dar ragione a quel tipo e lo sbigottimento per aver
scoperto
melodie nuove e decisamente emozionanti ad un passo da casa mia.
Solo
quando Stè mi riaccompagnò a casa decisi di
rispondere:
«D’accordo,
andiamo!»
Testa
di Paglia mi guardò perplesso:
«Andiamo dove Pasi?»
Avevo
esordito all’improvviso dopo un lasso di tempo trascorso in
silenzio, e giustamente Stè non sapeva di cosa stessi
parlando.
«Andiamo a sentirli
di nuovo! Voglio riascoltarli e capire se sono davvero così
talentuosi o se è
stato solo l’effetto del primo impatto con la loro musica che
mi ha scioccato!»
Avevo
trovato un misero compromesso con me stessa: non volevo alzare
ancora la bandiera bianca, mi dovevo dare una seconda
possibilità e provare a
me stessa che mi ero fatta condizionare, che ad un secondo ascolto non
sarebbero
stati poi così eccellenti.
«D’accordo
Testarossa, sei sempre la solita testarda ed è inutile che
ti faccia notare che
ormai non te li leverai più dalla testa, tanto me lo dirai
tu tra qualche
tempo!» con uno dei
suoi
migliori sorrisi e uno dei soliti caldi abbracci mi salutò ,
dandomi la buonanotte.
Ma
la mia notte non fu così buona: sognai Emile che cantava,
che mi
guardava soddisfatto e mi derideva con una luce maliziosa negli occhi
perché si
era dimostrato più capace dei TresneT,
più bravo di molti musicisti affermati e mi aveva mostrato
che aveva ragione,
che la sua arroganza aveva un buon motivo di esistere.
******
«Pasifae sei sveglia?»
«Mmmmm»
«Pasifae?»
«Mmmm….mamma che
c’è?!»
«Io e tuo
padre andiamo, ricordati che ci siete solo tu e Simona oggi in casa.»
«Mmm»
«Ok, ti lascio un
bigliettino, ciao.»
Percepii
che mia madre mi stava dando un bacio prima di andar via, ma
quando mi svegliai non ricordavo più nulla di quello che mi
disse. Non che avessimo
fatto un grande discorso: cercare di svegliarmi è sempre
stata un’impresa degna
di Frodo Baggins e in questo caso, dopo una notte costellata di sogni
sgradevoli, ero molto più che assonnata! Perciò
quando mi alzai mi guardai
intorno sorpresa di non vedere anima viva in casa.
Poi
lessi il bigliettino di mia madre: lei e mio padre erano andati al
matrimonio di un cugino, a cui io e mia sorella avevamo ben pensato di
non
partecipare, così per tutta la giornata avremmo potuto
goderci un placido
silenzio. A dir la verità la mia famiglia era tutto
fuorché rumorosa: sempre attenti
a mantenere una buona reputazione per il vicinato, i miei genitori non
avevano
mai alzato la voce, tenuto un volume troppo alto o fatto rumori
molesti. L’unica
fastidiosa della famiglia ero io! Erano sempre tutti così
compiti e
impassibili, sempre pronti ad accogliere il
lato pesante e tetro della vita senza mai concedersi un giorno di
allegria… Non
avevo mai visto i miei genitori
prendersi un giorno di ferie, andare a cena fuori,
viaggiare… Doveri e
sacrifici, sacrifici e doveri, questo era il binomio perfetto di Adele e Vittorio Isoardi!
E
mia sorella Simona non era da meno: tranquilla, ponderata e pignola,
non la vedevo mai adirarsi, mai innervosirsi per qualcosa.
L’unico segno che
fosse adirata era dato dal corrucciarsi delle sue sopracciglia!
Capoclasse a
vita, beniamina di tutti gli insegnanti, sempre capace in ogni cosa che
faceva,
era l’orgoglio dei miei genitori: era anche in procinto di
laurearsi in
ingegneria e non osavo immaginare
l’uragano di orgoglio genitoriale che avrebbe investito la
casa in cui vivevo…
e che avrebbe messo per contrasto la sottoscritta nell’ombra
più cupa
dell’infamia!
Io
ero la pecora nera.
Quella
che urlava, quella che si agitava e diceva tutto quello che le
passava nella testa, ma soprattutto, ero quella che non aveva uno scopo
nella
vita. Avevo terminato le scuole superiori da qualche mese e non mi ero
ancora
decisa ad iscrivermi ad una facoltà universitaria: ormai
tutti i miei coetanei
erano presi dai corsi, Stè incluso, anche se lui la prendeva alla leggera
(come era suo
solito), mentre io ancora non sapevo nemmeno se iscrivermi o no. O
meglio,
fosse stato per la mia sola volontà, ne avrei fatto
volentieri a meno! La
scuola è sempre stata un incubo per me: chiusa in quelle
quattro mura a fare il
soldatino ubbidiente che risponde come vogliono i prof, senza poter
esprimere
un parere personale e sempre con l’ansia da prestazione per
ogni
interrogazione! Quando sei figlia di due professori, e sorella minore
di un
topo di biblioteca, tutti si aspettano da te come minimo il 100% e se
risulta
che tu sia un genio è tanto di guadagnato! Invece io a mala
pena riuscivo ad
arrivare al sette: stare sui libri mi opprime, anche se poi leggere mi
piace,
ma il solo pensiero di dover studiare pagine e pagine, di dover
forzatamente
memorizzare tutto e impararlo alla perfezione per la gioia altrui, mi
faceva
salire l’orticaria e un senso di nausea profonda!
Ma
come fai a dire ai tuoi genitori che rinunci agli studi? Per fare
cosa poi?
Avessi
avuto uno straccio di idea almeno!
Fede
appena diplomato era entrato a lavorare in una comunità per
tossicodipendenti: era un lavoro impegnativo e difficile, ma lui
l’adorava e
senza pensarci mezza volta aveva rinunciato agli studi per stare
accanto a
persone che “hanno bisogno di calore umano”,
per usare le sue parole. Qualche volta sono andata anche
io a dare il
mio contributo come volontaria e l’esperienza è
stata davvero interessante
e profonda, credo che mi piaccia
dare una mano a chi ha perso un po’ di luce lungo la strada. Ma come potevo dire ai miei
illustrissimi e
acculturati genitori che rinunciavo allo studio?
Ho
iniziato a sentirmi a disagio nella mia famiglia praticamente da
quando riesco a ricordare: ero la piccola di casa, la pestifera, quella
che
turbava la quiete e quando sono andata all’asilo, quella che
litigava con i
compagni che la prendevano in giro perché non sapeva dire il
proprio nome.
Sfido
chiunque a cinque anni a dire PASIFAE e a ricordarsi nello
scriverlo, che c’è un dittongo che non va letto!
Tutto merito della
brillantezza di mia madre, che da professoressa di greco e amante di
tutto ciò
che è ellenico, decise di darmi il nome della regina di
Creta, moglie di
Minosse e madre di Arianna… e del minotauro!
Quanto
odiavo il mio nome!
Ridicolo,
fuori moda e bersaglio facile per domande idiote e insulti
di vario genere: “Pasifae non sa il suo nome! Che razza di
nome è Pasifae?! Ma
sei turca? Ma sei straniera? E come si scrive? Allora sei una mucca! A
Pasifae
piacciono i tori!” e via dicendo scadendo sempre
più nel volgare mano a mano che
crescevo e incontravo idioti pronti a deridermi! Così per
gli amici e per tutti
quelli che incontro ora, io sono solo PASI, semplice, criptico e senza
pretese!
Guardai
l’orologio: erano le 11:00, avevo decisamente dormito troppo!
Ma quando inizi a sognare cantanti dai ricci rossi a cespuglio che ti
guardano
con aria di sufficienza mentre tu non sai se adorarlo o odiarlo, sfido
io a
dormire di meno e svegliarti riposata! Per fortuna i miei genitori non
c’erano
e potevo godermi ugualmente una bella tazza di latte e cereali! Ero in
procinto
di prepararmi la
mia ricca colazione
quando squillò il telefono:
«Pronto?»
silenzio. Sentivo qualcuno dietro
la cornetta, ma evidentemente non c’era desiderio di parlare,
altra cosa che mi
faceva saltare i nervi!
«Senti, se non hai
voglia di parlare o sei hai intenzione di dare fastidio, hai preso la
persona
sbagliata, sono già di pessimo umo…»
D’un
tratto sentii qualcuno che parlava mentre io sbraitavo infuriata:
«Pasi sono io.»
Simona
mi stava chiamando da un telefono pubblico, altrimenti avrebbe
usato i nostri cellulari per chiamare... ma dove si trovava? Doveva
essere in
facoltà ora!
«Simona, è tutto
ok?» la sentivo
restia a parlare e la
mia ansia crebbe di colpo: «È
successo qualcosa Simo!?!»
Di
nuovo il silenzio e poi dopo qualche secondo, un sospiro profondo:
«Pasi sono al pronto
soccorso, mi sono rotta una gamba!»
«CHECCOSAA?!»
Simona,
Miss Perfezione, si era fatta male! Cosa diavolo aveva combinato
per rompersi una gamba?!
«Ma chi… Che hai
combinato? O meglio, com’è successo? Qualcuno ti
ha spinto? Ti hanno picchiato?»
«N-no tranquilla,
non è accaduto niente, solo…puoi venire a
prendermi? Gli altri se ne sono
andati e non posso tornare da sola a casa...»
Gli
altri… quindi era con qualcuno, o meglio lo era stata.
«Vengo subito Simo,
aspettami!» corsi a
cambiarmi, pensando con rammarico alla mia tazza di latte e vestendomi
in tutta
fretta, scesi le scale che davano nell’ingresso e cercai le
chiavi
dell’auto…per ricordarmi che non ce
n’erano! Una era con i miei genitori e
l’altra l’aveva Simona. Dannazione! Poi mi resi
conto che c’era ancora un mezzo
di trasporto in rimessa, per quanto misero potesse essere: la mia bici.
Così
ringraziando il cielo di aver deciso
di
mettere i pantaloni, risparmiandomi un’altra salita in camera
mia per
cambiarmi, uscii di casa diretta all’ospedale con la mia
fedele due ruote.
*****
Arrivai
all’ospedale in poco tempo, parcheggiai la bici e salii al
pronto soccorso: Simona era nel corridoio, aveva già una
fasciatura alla
caviglia ed era in attesa del controllo dell’ortopedico.
Appena la vidi, mi
precipitai da lei e le chiesi senza troppe cerimonie:
«Cosa diavolo è
accaduto? Non è da te cacciarti in questi guai!» infatti, quella di solito
era una mia prerogativa…
«S...sono caduta
dalle scale in facoltà, mi hanno urtato e ho perso
l’equilibrio mentre scendevo...»
Simona non mi guardò in faccia
mentre parlava, sembrava davvero mortificata, non l’avevo mai
vista così... umana!
Mi sedetti accanto a lei e le diedi un buffetto su una delle mani che
teneva
tese sulle gambe:
«Dai su, non è la
fine del mondo, ti rimetterai presto» e
per
una volta nella vita non sarò io il bersaglio del
malcontento dei nostri
genitori, pensai con cattiveria, ma me ne pentii subito, non
era colpa di Simona
se era una figlia modello, ero io che non andavo bene in quella
famiglia!
D’improvviso
mi resi conto che al ritorno dall’ospedale, avrei dovuto
guidare l’auto, lasciando incustodita la bici!
L’auto di Simona era una misera
utilitaria senza un portabagagli degno di quel nome, era impensabile
potervi
inserire la mia due ruote…. Dovevo chiamare qualcuno che la
portasse nella
propria auto e in quel caso c’era solo una persona che poteva
farlo.
«Simo scusami un
attimo, devo fare una telefonata.»
«Non vorrai chiamare
mamma e papà?!»
Mi
guardò col terrore negli occhi: lei che era la gioia dei
nostri
genitori, temeva le loro ire?! Ed io allora come avrei dovuto
comportarmi?! Ero
una continua delusione per loro, mi sarei dovuta contorcere in preda
alla
disperazione ogni volta che sapevo di averli rattristati?!
«No no, sta
tranquilla, devo risolvere una questione pratica, di trasporto.»
Ero
a far la fila per il telefono (nella fretta avevo dimenticato il
cellulare, e a quanto pareva era una situazione comune a molti, visto
che
c’erano almeno cinque persone davanti a me in attesa di usare
l’unico telefono
pubblico del pronto soccorso) tenendo d’occhio Simona, quando
all’improvviso
dal corridoio vidi comparire Emile! Stava parlando con un dottore e
aveva
l’aria concentrata: anche un suo familiare si era cacciato
nei guai? Ma
proprio in posto simile dovevo
incontrarlo? Dopo i brutti sogni che mi aveva causato,
l’istinto di andargli
vicino e tirargli un pugno su quel viso saccente era quasi
incontenibile!
Poi
però notai che accanto a lui c’era una donna
minuta, bruna e
silenziosa. Il dottore le stava dicendo qualcosa ma lei guardava
dinanzi a sé
come se non lo ascoltasse, mentre Emile era il ritratto della
concentrazione:
ascoltava ogni singola parola mentre circondava la donna con un braccio
e
quando il medico si allontanò, fece sedere la sua compagna
con gentilezza, si
accoccolò di fronte a lei parlandole con un sorriso gentile
sul viso e le diede
un dolcissimo bacio sulla fronte prima di alzarsi e lasciare la donna
in
compagnia di un’infermiera. Mi resi conto di essere rimasta
fissa ad osservarlo
per tutto il tempo e mi riscossi solo quando qualcuno dietro di me mi
fece
segno che il telefono era a mia disposizione (e di quelli che
attendevano che
mi sbrigassi ad usarlo!).
*****
Stavo
tornando da Simona, ripensando alla scena di poco fa, quando
vidi tornare Emile e sentii anche una voce dall’altro capo
del corridoio:
«Testarossa!»
Eccolo
Stè, il cavaliere senza macchia e senza paura sempre pronto
ad
aiutarmi (soprattutto se c’era Simona di mezzo): di solito
non mi dava fastidio
la sua esuberanza nel chiamarmi ovunque a gran voce, io ero la prima a
farlo; ma
in questo caso, quell’appellativo tanto familiare, aveva
fatto girare anche
un’altra testa, veramente rossa, nella direzione di
Stè e seguendo i suoi passi,
gli occhi di Emile arrivarono su di me.
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NDA
La scrittura di questa storia continua con piacere e gioia per me e sono commossa dall'entusiasmo con cui le mie sorelline hanno accolto il primo capitolo, per cui se anche il secondo vi entusiasmerà non potrà che farmi felice, visto che ne ho scritti una decina finora e spero vi possano piacere tutti (egocentrica me xD) ^ ^
Tuttavia, se avete critiche e/o suggerimenti sono pronta ad accoglierli, il confronto fa bene alla crescita interiore ^ ^
Grazie mille a tutti voi che avete letto e a chi recensirà e come sempre, un grazie immenso alla mia Tomodachi - Beta Reader Iloveworld, sempre pronta a consigliarmi e a condividere con me questo momento di creatività entusiasmante :*