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Autore: aoimotion    08/09/2011    1 recensioni
Tanto tempo fa, in un appartamento di periferia, c’era un passerotto chiuso dentro una gabbia azzurra.
[Nonsense e dubbie metafore a gogò; siate clementi.]
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il passero e la gabbia azzurra

 





Tanto tempo fa, in un appartamento di periferia, c’era un passerotto chiuso dentro una gabbia azzurra.
Il passerotto aveva, dentro la gabbia, ogni tipo di comodità: una mangiatoia, un abbeveratoio, un comodo giaciglio su cui riposare. Per di più, le sbarre che lo circondavano erano abbastanza larghe da consentirgli di prendere il volo qualora l’avesse desiderato.
Tuttavia, il passerotto non aveva alcuna voglia di andare via da lì. La sua gabbia era appesa a un soffitto grigio, e intorno a lui non vi era niente che potesse attirare la sua attenzione. Solo pareti spoglie che portavano con loro un senso di vuoto e di solitudine. Il passerotto osservava quelle mura senza colore, poi i suoi occhi cadevano sulle sbarre turchesi che lo circondavano, e in qualche modo si sentiva sicuro, protetto. Quelle sbarre, di una tonalità così felice, e larghe abbastanza da permettergli la fuga in ogni momento, sembravano molto più confortevoli di quella stanza angusta che non possedeva alcuna via di uscita, eccezion fatta per una minuscola finestrella da cui filtrava una luce debole e spenta. Perciò, il passerotto stava bene lì dove si trovava e non desiderò mai abbandonare quella che considerava ormai la sua vera casa.
Il tempo passava, lento e inesorabile, e il passerotto divenne un passero. Le sue ali si irrobustirono, il corpo si fece più grande, il suo becco più duro, e il suo piumaggio più folto.
Ma non furono questi gli unici cambiamenti. Un giorno, senza alcun preavviso, il passero si risvegliò in un posto completamente diverso. Quando aprì i suoi occhi scuri e si guardò intorno, il paesaggio era cambiato drasticamente: le mura che avevano sempre circondato la sua confortevole gabbietta erano scomparse; al loro posto, qualcosa di incredibilmente grande si stagliava infinitamente in ogni direzione, brillando di una luce che non assomigliava per niente a quella pallida e fioca che era sempre filtrata dalla finestrella. Una distesa azzurra che sembrava continuare oltre ogni immaginazione, anzi, le distese azzurre erano due: una stava in basso e brillava, l’altra stava in alto e, seppur non brillasse, risplendeva in maniera meravigliosa.
Il passero rimase incantato di fronte a tanta bellezza. Accanto a lui, anche i suoi padroni sembravano molto felici. Eppure, non lo sembravano quanto lui. Infatti, quasi a voler confermare quella vaga sensazione, ben presto scomparvero oltre una porticina che si trovava proprio dietro la sua gabbia. Anche questa porta era diversa dalla precedente, così come il muro a cui era attaccata: anche loro sembravano risplendere di una luce che non aveva mai visto prima, e i loro colori quasi lo abbagliavano per quanto erano splendenti. Il passero distolse lo sguardo e si voltò di nuovo verso le due grandi distese azzurre che sembravano incontrarsi su una linea lontana, lontana. Fissò a lungo quella lunga linea e, per la prima volta, il passero pensò che avrebbe voluto vedere dove questa conducesse. Le sbarre azzurre della sua gabbia, improvvisamente, cominciarono a stargli antipatiche. Per la prima volta, anziché come a un rifugio, il passero pensò a loro come a un’imitazione di quello splendido azzurro che brillava proprio di fronte a lui.
E le odiò. Le odiò, dal profondo del cuore.
Così, il passero prese una decisione: da quelle sbarre larghe abbastanza da permettergli di fuggire… lui sarebbe fuggito, e avrebbe preso il volo. Spiegò le ali e si lanciò in mezzo a loro, ma si schiantò malamente e cadde nei pressi della mangiatoia. Qualche seme rotolò via, ma lui non ci badò. Tornò sui suoi passi e nuovamente prese la rincorsa, ma… ancora, non riuscì ad uscire. Poi capì: se avesse chiuso le ali, sicuramente sarebbe riuscito a passare. E così fece. Ripiegò le sue ali, zampettò proprio di fronte allo spazio fra le due sbarre e poi portò fuori la testa; ma quando toccò al resto del corpo, si rese conto che esso non vi passava.
Impossibile, pensò il passero. Prima riuscivo a passare, perché adesso non ci riesco più?
Il passero non pensava di essere cresciuto così tanto, e credeva sinceramente che le sue dimensioni non fossero cambiate poi molto. Fu quasi un trauma, per lui. Il suo sguardo si posò sulla mangiatoia quasi istintivamente. Se smettessi di mangiare, sicuramente riuscirei a passare attraverso le sbarre. E potrei volare verso l’azzurro, fino a raggiungere la lunga linea che sta a metà e che tutto separa. Così meditò il passero, e così fece.
Per alcuni giorni, egli non mangiò. I semi si accumularono dentro la mangiatoia, fino a formare una montagnetta che minacciava di crollare da un momento all’altro. A un certo punto i suoi padroni si accorsero del suo digiuno, ma non se ne curarono più di tanto.
Molti altri giorni passarono, e il passero continuava a non mangiare. Preoccupati, i suoi padroni decisero di chiamare il medico; quest’ultimo, una volta arrivato, aprì la gabbia e prese il passero fra le mani, delicatamente, per visitarlo. Mentre le sbarre azzurre si allontanavano sempre di più, l’azzurro sconfinato che si espandeva sopra e sotto illimitatamente apparve in tutta la sua maestosa grandezza. Il passero aveva finalmente realizzato il suo sogno, anche se in un modo che non si sarebbe aspettato. Provò a sbattere le ali e a prendere il volo, ma… qualcosa non andò per il verso giusto. Non aveva più forze; se provava a spiegarle, queste tremavano, saettavano bruscamente e ricadevano mosce sul palmo del dottore. Qualcosa di piccolo, ma duro come un sassolino, continuava a martellargli nel petto. Faceva male, era doloroso, ma più che doloroso lui sentì che era straziante. I suoi occhi si aprivano e si chiudevano convulsamente, le sue zampe si rifiutarono di sorreggerlo, il suo becco sembrò d’un tratto pesantissimo.
E poi… silenziosamente… come se si fosse addormentato di colpo, in una posizione inconsulta… il passero morì. Sembrò come se fosse scivolato in un grande, grande sogno in cui una grande, grande bolla azzurra sembrava dirgli: bentornato a casa. E allora il passero spiegò finalmente le sue ali… e volò.




***

 
 
 
 
«Erano giorni che non mangiava…»
«Avremmo dovuto chiamarla prima…»
I due coniugi si stringevano fra di loro, con aria contrita. Il medico sospirò, mentre il cadavere dello sfortunato passerotto giaceva nel palmo della sua mano.
«Eppure, ero convinta che il cambiamento d’aria gli avrebbe fatto bene!» esclamò d’un tratto la donna «lo abbiamo messo fuori, all’aria aperta, di fronte al mare… perché è morto? Aveva forse qualche altra malattia?»
Il marito le strinse le spalle e scosse il capo con aria rassegnata. Poi si rivolse al medico e disse: «Forse… ha avuto un’indigestione, o qualcosa del genere?»
«Non credo che si tratti di questo» rispose a quel punto il medico, con un tono di voce leggermente seccato «suppongo che… questo uccellino sia morto per cause ben diverse da una qualsivoglia malattia».
«E cosa?»
Ma a quella domanda, apparentemente interessata, l’uomo decise di non rispondere. Invitò uno dei due coniugi a tendere le mani e, quando il marito tese il suo palmo, incerto, il medico vi poggiò il corpicino senza vita del passerotto. Salutò brevemente e… con un lungo, mortificato sospiro, se ne andò. Era una splendida giornata di sole, e il mare brillava come un gioiello. Forse avrebbe trovato il tempo di farsi una nuotata.
   
 
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