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Autore: Sara Izzie    08/09/2011    4 recensioni
Castle e Beckett si recano a Central Park dopo una lunga giornata di lavoro, e memorie dell'infanzia riaffiorano nella mente di Kate.
One-shot senza pretese, ambientata alla fine della 2a stagione, tra il penultimo e l'ultimo episodio.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Seconda stagione
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Sono tornata dopo un lungo blocco durato almeno un anno! E' stata dura, ma devo ringraziare la mia amica Nicole che in qualche modo (sto ancora cercando di capire come!), parlando con me di monkey bars, mi ha dato ispirazione per questa fanfiction. E' la prima che scrivo su Castle, un telefilm che mi ha appassionato moltissimo e che seguo da mesi ormai. Questa fanfiction è ambientata verso la fine della seconda stagione, diciamo più o meno tra il penultimo e l'ultimo episodio. 

E' una one-shot che ho scritto ascoltando la canzone "Sad Love Story" di Yiruma. Spero vi piaccia, ovviamente recensite che ho bisogno di pareri! :)
Sara

Gravity

Kate Beckett era come di consueto seduta alla sua scrivania del 12th Precinct, sommersa da scartoffie e documenti da compilare che non le avrebbero certamente dato tregua almeno per un altro paio d’ore.
Si passò una mano tra i capelli sospirando, sorseggiò il proprio caffè e fece uno sforzo enorme per riprendere in mano la penna. Il tentativo fallì miseramente quando quella fastidiosa presenza che era ormai diventata una costante nella sua vita attirò nuovamente la sua attenzione, questa volta con un leggero ma impertinente “Ehm ehm”.
Gli occhi di Kate fulminarono lo scrittore, che aveva ormai smesso di giocare ad Angry Birds e si era sporto in avanti a braccia conserte fino ad oscurare la luce proveniente dalla lampada da tavolo.
“Castle.”
“Si?”
“Non riesco a vedere nulla”.
    Rick si tirò leggermente indietro rilassandosi sulla sedia e Beckett riprese finalmente a scrivere, oppressa dal forte mal di testa che l’aveva tormentata sin dal mattino e desiderosa di andare a casa, mangiare qualcosa, farsi un bel bagno caldo e rintanarsi nel proprio letto, magari in compagnia di un buon libro.
Castle la stava fissando come faceva ogni giorno da due anni, ammirava i suoi sorprendenti lineamenti e il modo in cui si mordeva il labbro inferiore mentre scriveva, cosa che trovava estremamente dolce.
Notò però che quella sera Kate era più svogliata del solito, la sua mano destra scorreva sulle pagine molto più lentamente e si teneva l’altra sulla fronte, massaggiandosi le tempie. Sapeva però anche che non sarebbe stato facile convincerla a lasciare il lavoro incompiuto e a tornarsene a casa.
Quindi si limitò a picchiettare le dita insistentemente sulla scrivania con aria indifferente.
“Castle.”
“Che c’è?”
“Mi stai deconcentrando”.
    Rick sospirò esasperato e le strappò la penna di mano, lasciandola a bocca aperta. “Che stai facendo!?”. “Andiamocene” rispose lui alzandosi in piedi “Tu e io. A fare un giro”. Indicò prima la detective, poi sé stesso e poi l’ascensore. Kate lo fissò per un attimo, poi sbuffò e si coprì la faccia con le mani. “Castle per favore ho assoluto bisogno di finire tutti questi documenti prima di essere sommersa da altri. E ti ricordo che i fogli non si compilano da soli..”. Gli sfilò la penna dalle mani e accennò un sorriso. “Hai una famiglia Castle. Vai a casa da Alexis e da tua madre, non c’è bisogno che tu stia qui, non hai nulla da fare e io posso benissimo restare da sola..”.
Rick annuì leggermente e si allontanò di qualche passo, voltandosi poi a guardarla per un attimo. Era stanca e certamente aveva bisogno di passare un po’ di tempo lontano da quell’ufficio o sarebbe impazzita.
    Tornò indietro e l’afferrò per la mano, facendola alzare. “Castle..! Castle! Lasciami!”. Prese la sua giacca e la sua borsa e la trascinò verso l’ascensore.
“Si può sapere dove mi stai portando?! Ho del lavoro da fare!”.
“Kate, tu hai un assoluto bisogno di rilassarti, okay? Ogni volta che ti guardo trascorrere ore seduta a compilare stupide scartoffie sembra che qualcosa ti stia divorando il cervello..”
Kate sollevò un sopracciglio. “Però Castle, gran bel complimento.”
“Era per rendere l’idea..” precisò lui sorridendole “Fidati sarà solo una passeggiata tranquilla..”
    Le porte dell’ascensore si chiusero e Kate decise che era giunto il momento di arrendersi: nulla l’avrebbe convinto a cambiare idea. Si rese conto che la sua mano era ancora gelosamente custodita da Castle nella propria, e arrossì. Ordinò a se stessa di interrompere quel contatto ma la sua mente sembrava non rispondere ai comandi. Voltò leggermente la testa dall’altra parte, chiuse gli occhi e si maledisse per non essere in grado di reagire, poi si domandò se Castle si fosse reso conto di tenerla per mano oppure no.
    “I tuoi pensieri sono così ingombranti che mi stanno logorando Kate, lo sai?” disse lui dopo un lungo silenzio, mentre le porte dell’ascensore si aprivano. “.. e la tua mano mi sta fermando il flusso sanguigno!” aggiunse ridacchiando. Kate arrossì di nuovo e immediatamente ritirò la mano, come se un fuoco ardente l’avesse scottata. Non riusciva a spiegarsi come Castle potesse provocarle sempre quell’effetto, e la cosa più assurda era che, in presenza di quell’uomo così affascinante ma allo stesso tempo irritante,  le barriere del suo carattere più difficili da superare -come la sua riservatezza ad esempio-, si erano totalmente infrante. Lanie una volta le aveva anche detto di non averla mai vista così felice in molti anni.
Kate scacciò quei pensieri ripetendosi per l’ennesima volta che Richard Castle era solo un amico, e che ormai lei usciva con Tom.
    Uscirono all’aperto; la brezza serale la fece rabbrividire, quindi si strinse nella giacca e seguì Castle lungo il marciapiede. Rimasero in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri, finché Kate non parlò. “Dove stiamo andando?”. Rick la guardò e sorrise di nuovo: “A Central Park, a prendere un po’ d’aria fresca”. Incerta camminò accanto a lui per una decina di minuti fino a quando giunsero nel parco. Il silenzio che regnava in quel luogo era assolutamente incredibile; ogni volta che Kate metteva piede lì, in quell’immensità verde all’interno dell’universo dei grattacieli newyorkesi, una sensazione di estrema tranquillità le invadeva il corpo liberandole la mente da ogni preoccupazione. Quel luogo custodiva anche molti dei suoi ricordi più preziosi, la maggior parte dei quali riguardavano la madre Johanna. Le pareva di vedere le immagini della sua infanzia muoversi a rallentatore davanti a lei. Ogni dettaglio, ogni colore, ogni suono.. tutto raccontava la storia della sua vita e di quella di sua madre.
Il respiro le veniva a mancare ogni volta che ripensava a quei momenti.
    “Eccoci arrivati” annunciò Castle. Continuò a camminare e andò a sedersi sulla fontana che avevano di fronte. Kate rimase lì in piedi immobile, guardandosi intorno, completamente immersa nella tranquillità della natura che la circondava. Poi lo vide: il sorriso che Castle le stava rivolgendo.
Sincero, puro, incredibile.
Lo raggiunse e si sedette accanto a lui, lasciando che il rumore dell’acqua la riportasse indietro nel tempo.
“Venivo qui molto spesso..”. Castle si voltò lentamente e la guardò. “Con mia madre..”. Si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e sorrise debolmente, aveva gli occhi lucidi. “..di solito trascorrevamo almeno un’ora al giorno proprio in questo punto.. mentre io saltellavo in giro per il parco lei sedeva qui..” sfiorò la superficie liscia con due dita. Una lacrima le rigò il volto e Castle allungò una mano sfiorandole la guancia. Kate si lasciò cullare da quel tocco e percepì il calore emanato dalla sua pelle.
“Rick..”
Lui si stupì nel sentirla pronunciare il suo nome. Con il pollice le asciugò la lacrima e l’altra mano istintivamente cercò quella della donna.
“Ci credi che.. riesco ancora a ricordare le sue parole?” mormorò chiudendo gli occhi e intrecciando le sue dita con quelle dell’uomo “Mi diceva sempre di non allontanarmi, che qualcuno avrebbe potuto portarmi via.. le piaceva guardarmi giocare, la faceva sentire felice.."
    Castle non riusciva a credere che Kate si stesse aprendo tanto in quel momento; stava rendendo sé stessa un libro aperto e lui era lì, pronto ad accoglierla e ad accogliere il suo dolore. Avrebbe voluto dirle tante cose, ma ciò di cui lei aveva bisogno era sapere di avere qualcuno accanto, sapere che lui non l’avrebbe mai e poi mai lasciata sola, nemmeno tra due, cinque o dieci anni.
    “Quanto vengo qui..” continuò lei a bassa voce, riaprendo gli occhi e incontrando i suoi “Mi sento come se tutto si muovesse a rallentatore.. hai mai visto gli astronauti fluttuare?.. ecco.. come se non ci fosse.. gravità.. alcuni momenti della mia vita in compagnia di mia madre sono tutti qui.. nella mia testa.. e all’improvviso sbucano fuori..e mi sembra di rivivere tutto, mi sembra.. mi sembra di percepire il suo abbraccio.. la vedo davanti a me e cerco di raggiungerla ma tutto si muove molto, molto lentamente.. e mi ricordo che non posso fare nulla perché lei non è più qui con me..”. Poi rise, ma era una risata triste, dettata dall’emotività del momento. “Lo so, sembra stupido..”
Rick scosse la testa. “No che non lo è”. Le accarezzò i capelli e la avvicinò a sé, stringendola tra le sue braccia. “Io ci sarò sempre per te Kate”.
Lei sorrise, sospirò leggermente, poi si staccò da lui. E scoppiò in un’altra debole risata.
“Immagino scriverai questa triste e malinconica conversazione nel prossimo libro di Nikki Heat, così i tuoi lettori saranno coinvolti in un passato tragico..”.
Castle scosse la testa. “Ti sembro così insensibile detective? Questo sarà un segreto tra di noi, te lo prometto”. Le accarezzò la mano e lei la strinse, non volendo rompere quel contatto che si era creato tra di loro.
“E.. Kate?”
“Si?”
    Sul volto di Rick comparve un sorriso malizioso. “Se mi prendessi per mano tutti i giorni.. potrei anche abituarmi!”. Entrambi risero e Beckett lo colpì amichevolmente sul braccio. “Castle! Sei sempre il solito!”. Sarebbe potuta rimanere lì per ore in sua compagnia: in qualche modo, inspiegabilmente, Richard Castle la faceva stare bene.

 

           

  
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