Sono tornata dopo un lungo blocco durato almeno un anno! E' stata dura, ma devo ringraziare la mia amica Nicole che in qualche modo (sto ancora cercando di capire come!), parlando con me di monkey bars, mi ha dato ispirazione per questa fanfiction. E' la prima che scrivo su Castle, un telefilm che mi ha appassionato moltissimo e che seguo da mesi ormai. Questa fanfiction è ambientata verso la fine della seconda stagione, diciamo più o meno tra il penultimo e l'ultimo episodio.
E' una one-shot che ho scritto ascoltando la canzone "Sad Love Story" di Yiruma. Spero vi piaccia, ovviamente recensite che ho bisogno di pareri! :)Sara
Gravity
Kate Beckett era come di
consueto
seduta alla sua scrivania del 12th Precinct, sommersa da scartoffie e
documenti
da compilare che non le avrebbero certamente dato tregua almeno per un
altro
paio d’ore.
Si passò una mano tra i capelli sospirando,
sorseggiò il
proprio caffè e fece uno sforzo enorme per riprendere in
mano la penna. Il
tentativo fallì miseramente quando quella fastidiosa
presenza che era ormai
diventata una costante nella sua vita attirò nuovamente la
sua attenzione,
questa volta con un leggero ma impertinente “Ehm
ehm”.
Gli occhi di Kate fulminarono lo scrittore, che aveva ormai
smesso di giocare ad Angry Birds e
si
era sporto in avanti a braccia conserte fino ad oscurare la luce
proveniente
dalla lampada da tavolo.
“Castle.”
“Si?”
“Non riesco a vedere nulla”.
Rick si tirò leggermente
indietro
rilassandosi sulla sedia e Beckett riprese finalmente a scrivere,
oppressa dal
forte mal di testa che l’aveva tormentata sin dal mattino e
desiderosa di
andare a casa, mangiare qualcosa, farsi un bel bagno caldo e rintanarsi
nel
proprio letto, magari in compagnia di un buon libro.
Castle la stava fissando come faceva ogni giorno da due anni,
ammirava i suoi sorprendenti lineamenti e il modo in cui si mordeva il
labbro
inferiore mentre scriveva, cosa che trovava estremamente dolce.
Notò però che quella sera Kate era più
svogliata del solito,
la sua mano destra scorreva sulle pagine molto più
lentamente e si teneva l’altra
sulla fronte, massaggiandosi le tempie. Sapeva però anche
che non sarebbe stato
facile convincerla a lasciare il lavoro incompiuto e a tornarsene a
casa.
Quindi si limitò a
picchiettare le dita insistentemente sulla scrivania con aria
indifferente.
“Castle.”
“Che c’è?”
“Mi stai deconcentrando”.
Rick sospirò esasperato e le
strappò
la penna di mano, lasciandola a bocca aperta. “Che stai
facendo!?”.
“Andiamocene” rispose lui alzandosi in piedi
“Tu e io. A fare un giro”. Indicò
prima la detective, poi sé stesso e poi
l’ascensore. Kate lo fissò per un
attimo, poi sbuffò e si coprì la faccia con le
mani. “Castle per favore ho assoluto
bisogno di finire tutti questi
documenti prima di essere sommersa da altri. E ti ricordo che i fogli
non si
compilano da soli..”. Gli sfilò la penna dalle
mani e accennò un sorriso. “Hai
una famiglia Castle. Vai a casa da Alexis e da tua madre, non
c’è bisogno che
tu stia qui, non hai nulla da fare e io posso benissimo restare da
sola..”.
Rick annuì leggermente e si allontanò di qualche
passo,
voltandosi poi a guardarla per un attimo. Era stanca e certamente aveva
bisogno
di passare un po’ di tempo lontano da quell’ufficio
o sarebbe impazzita.
Tornò indietro e
l’afferrò per la
mano, facendola alzare. “Castle..! Castle!
Lasciami!”. Prese la sua giacca e la
sua borsa e la trascinò verso l’ascensore.
“Si può sapere dove mi stai portando?! Ho del
lavoro da
fare!”.
“Kate, tu hai un assoluto bisogno di rilassarti, okay? Ogni
volta che ti guardo trascorrere ore seduta a compilare stupide
scartoffie
sembra che qualcosa ti stia divorando il cervello..”
Kate sollevò un sopracciglio. “Però
Castle, gran bel
complimento.”
“Era per rendere l’idea..”
precisò lui sorridendole “Fidati
sarà solo una passeggiata tranquilla..”
Le porte dell’ascensore si
chiusero e Kate decise che era giunto il momento di arrendersi: nulla
l’avrebbe
convinto a cambiare idea. Si rese conto che la sua mano era ancora
gelosamente
custodita da Castle nella propria, e arrossì.
Ordinò a se stessa di
interrompere quel contatto ma la sua mente sembrava non rispondere ai
comandi.
Voltò leggermente la testa dall’altra parte,
chiuse gli occhi e si maledisse
per non essere in grado di reagire, poi si domandò se Castle
si fosse reso
conto di tenerla per mano oppure no.
“I tuoi pensieri sono
così
ingombranti che mi stanno logorando Kate, lo sai?” disse lui
dopo un lungo
silenzio, mentre le porte dell’ascensore si aprivano.
“.. e la tua mano mi sta
fermando il flusso sanguigno!” aggiunse ridacchiando. Kate
arrossì di nuovo e
immediatamente ritirò la mano, come se un fuoco ardente
l’avesse scottata. Non
riusciva a spiegarsi come Castle potesse provocarle sempre
quell’effetto, e la
cosa più assurda era che, in presenza di
quell’uomo così affascinante ma allo
stesso tempo irritante, le
barriere del
suo carattere più difficili da superare -come la sua
riservatezza ad esempio-,
si erano totalmente infrante. Lanie una volta le aveva anche detto di
non
averla mai vista così felice in molti anni.
Kate scacciò quei pensieri
ripetendosi per l’ennesima volta che Richard Castle era solo
un amico, e che
ormai lei usciva con Tom.
Uscirono all’aperto; la brezza
serale la fece rabbrividire, quindi si strinse nella giacca e
seguì Castle
lungo il marciapiede. Rimasero in silenzio, ognuno immerso nei propri
pensieri,
finché Kate non parlò. “Dove stiamo
andando?”. Rick la guardò e sorrise di
nuovo: “A Central Park, a prendere un po’
d’aria fresca”. Incerta camminò
accanto a lui per una decina di minuti fino a quando giunsero nel
parco. Il
silenzio che regnava in quel luogo era assolutamente incredibile; ogni
volta
che Kate metteva piede lì, in
quell’immensità verde all’interno
dell’universo
dei grattacieli newyorkesi, una sensazione di estrema
tranquillità le invadeva
il corpo liberandole la mente da ogni preoccupazione. Quel luogo
custodiva
anche molti dei suoi ricordi più preziosi, la maggior parte
dei quali
riguardavano la madre Johanna. Le pareva di vedere le immagini della
sua
infanzia muoversi a rallentatore davanti a lei. Ogni dettaglio, ogni
colore,
ogni suono.. tutto raccontava la storia della sua vita e di quella di
sua madre.
Il respiro le veniva a mancare ogni volta che ripensava a
quei momenti.
“Eccoci
arrivati” annunciò Castle. Continuò a
camminare e andò a sedersi sulla fontana
che avevano di fronte. Kate rimase lì in piedi immobile,
guardandosi intorno,
completamente immersa nella tranquillità della natura che la
circondava. Poi lo
vide: il sorriso che Castle le stava rivolgendo.
Sincero, puro, incredibile.
Lo
raggiunse e si sedette accanto a lui, lasciando che il rumore
dell’acqua la
riportasse indietro nel tempo.
“Venivo qui
molto spesso..”. Castle si voltò lentamente e la
guardò. “Con mia madre..”. Si
sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e
sorrise debolmente, aveva gli
occhi lucidi. “..di solito trascorrevamo almeno
un’ora al giorno proprio in
questo punto.. mentre io saltellavo in giro per il parco lei sedeva
qui..”
sfiorò la superficie liscia con due dita. Una lacrima le
rigò il volto e Castle
allungò una mano sfiorandole la guancia. Kate si
lasciò cullare da quel tocco e
percepì il calore emanato dalla sua pelle.
“Rick..”
Lui si stupì nel sentirla pronunciare il suo nome. Con il
pollice le asciugò la lacrima e l’altra mano
istintivamente cercò quella della
donna.
“Ci credi che.. riesco ancora a ricordare le sue
parole?”
mormorò chiudendo gli occhi e intrecciando le sue dita con
quelle dell’uomo “Mi
diceva sempre di non allontanarmi, che qualcuno avrebbe potuto portarmi
via..
le piaceva guardarmi giocare, la faceva sentire felice.."
Castle non riusciva a credere che
Kate si stesse aprendo tanto in quel momento; stava rendendo
sé stessa un libro
aperto e lui era lì, pronto ad accoglierla e ad accogliere
il suo dolore.
Avrebbe voluto dirle tante cose, ma ciò di cui lei aveva
bisogno era sapere di
avere qualcuno accanto, sapere che lui non l’avrebbe mai e
poi mai lasciata
sola, nemmeno tra due, cinque o dieci anni.
“Quanto
vengo qui..” continuò lei a bassa voce, riaprendo
gli occhi e incontrando i
suoi “Mi sento come se tutto si muovesse a rallentatore.. hai
mai visto gli
astronauti fluttuare?.. ecco.. come se non ci fosse.. gravità..
alcuni momenti della mia vita in compagnia di mia madre
sono tutti qui.. nella mia testa.. e all’improvviso sbucano
fuori..e mi sembra
di rivivere tutto, mi sembra.. mi sembra di percepire il suo
abbraccio.. la
vedo davanti a me e cerco di raggiungerla ma tutto si muove molto,
molto
lentamente.. e mi ricordo che non posso fare nulla perché
lei non è più qui con
me..”. Poi rise, ma era una risata triste, dettata
dall’emotività del momento.
“Lo so, sembra stupido..”
Rick scosse la testa. “No che non lo è”.
Le accarezzò i
capelli e la avvicinò a sé, stringendola tra le
sue braccia. “Io ci sarò sempre
per te Kate”.
Lei
sorrise, sospirò leggermente, poi si staccò da
lui. E scoppiò in un’altra
debole risata.
“Immagino scriverai questa triste e malinconica
conversazione nel prossimo libro di Nikki Heat, così i tuoi
lettori saranno
coinvolti in un passato tragico..”.
Castle scosse la testa. “Ti sembro così
insensibile
detective? Questo sarà un segreto tra di noi, te lo
prometto”. Le accarezzò la
mano e lei la strinse, non volendo rompere quel contatto che si era
creato tra
di loro.
“E.. Kate?”
“Si?”
Sul volto di Rick comparve un sorriso
malizioso. “Se mi
prendessi per mano tutti i giorni.. potrei anche abituarmi!”.
Entrambi risero e
Beckett lo colpì amichevolmente sul braccio.
“Castle! Sei sempre il solito!”. Sarebbe
potuta rimanere lì per ore in sua compagnia: in qualche
modo, inspiegabilmente,
Richard Castle la faceva stare bene.