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Autore: CamBk    08/09/2011    0 recensioni
Questa è una one-shot che ho scelto di scrivere così, di getto, in onore del compleanno di Gustav, batterista dei Tokio Hotel, non che persona alla quale mi ispiro in campo musicale.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Happy birthday to you, happy birthday to you, happy birthday our drummer, happy birthday to you ! – un coro di all’incirca cinquecento voci, sta intonando la classica melodia di felice compleanno (che viene a me per la ventitreesima volta) sotto il davanzale del mio appartamento in centro città.
Ora la canzone di auguri è pian piano scemata in gridolini isterici piuttosto rumorosi; con passo felpato mi avvicino alla finestra, scosto lentamente la tenda color panna e mi affaccio di sotto.
La strada sottostante è colma di fan, che reggono tra le mani striscioni colorati e lanciano in aria pacchetti regalo, fiduciose che raggiungano le mie mani, al secondo piano della nuova palazzina in cemento giallastro.
Mi brillano gli occhi davanti a questa folla urlante, che attende da non ho idea quante ore un cenno di saluto distratto dietro a un vetro; mi sento un dio, potente al punto da riuscire a scatenare il delirio con un gesto pure insignificante.
Ma ciò che mi più mi mette in subbuglio è il destinatario di cotanto sfarzo, io: Gustav Klaus Wolfgang Schäfer.
Insomma, è incredibile; raramente mi vengono destinati momenti gloriosi in totale solitudine nella mia carriera da batterista. Conosco due tipi di successo che mi si sono avvicinati in questi ultimi cinque anni: uno comune a tutti noi, visti come Tokio Hotel, band tedesca emergente; un altro piuttosto vicino soprattutto ai gemelli Kaulitz, che mette in ombra le figure di Gustav e Georg, considerati i due emarginati del gruppo con in mano un basso l’uno, e due bacchette l’altro.
-Gustav ! Gustav ! Gustav ! Gustav ! – continuate vi prego, potrei paragonarvi al gelato alla nocciola, il mio preferito, oppure che so, a una gita in mongolfiera sulla foresta amazzonica. Come dire, a quel qualcosa di estremamente meraviglioso che la vita può offrire.
-Gustav ! Gustav ! Gustav ! Gustav ! – oh sì, siete stratosferiche ragazze, mi si sta sciogliendo il cuore.
Improvvisamente un silenzio tombale inghiotte l’intera folla di ragazze, che sembrano rapite da un certo scompiglio che si sta verificando a pochi passi, all’angolo della strada; l’arrivo di una limousine nera ultimo modello, l’apertura di una porta e lo stivale tacco dieci di Bill che sbuca poggiandosi sull’asfalto. Trascorsi appena due secondi, noto spalancarsi anche la portiera sinistra e fuoriuscire Tom, con in mano il suo palmare che ultimamente, non chiedetemene la ragione, non abbandona un minuto.
Un’isteria collettiva sembra dannatamente impossessarsi del mucchio di persone che fino a pochi minuti prima, mi acclamavano, rendendomi per una volta nella mia vita, fiero del mio nome.
Ed ora? Chi è Gustav? Che giorno è oggi, forse l’8 di settembre? Chi è il vostro idolo, mh?
Ora la massa urlante ben paragonabile a delle formiche strepitanti, si sta dirigendo freneticamente verso il formicaio: i gemelli.
Gustav torna ad essere quello laterale con le dita fasciate dallo scotch, oggi è la giornata in cui i Kaulitz sono stati nuovamente avvistati in Germania, e l’idolo di tutti loro è un ragazzo dal fisico potente e sexy come quello di Tom, e un carattere dolce, complicato e solo apparentemente oscuro come quello di Bill.
Mi sento pari a zero, nullo, invisibile, o faccio prima a dire del tutto inesistente; ecco sfumare ogni mia sicurezza, ogni dannata speranza di poter essere considerato solo di un briciolo più grande di quanto in realtà sono.
Esiste forse una dimensione in cui poter cambiare la propria vita?
Tendo di accostare le tende, per non sottopormi al vuoto creatosi in men che non si dica al di sotto del mio davanzale, quando qualcosa colpisce il vetro della mia finestra, e ricade verso il basso, a velocità esorbitante, fino ad atterrare nelle mani di una ragazza.
E’ piuttosto bassa, coi capelli scuri e mossi; indossa un paio di jeans strappati, e una maglietta sul quale è scritto a caratteri cubitali il mio nome.
E’ l’unica superstite al tornado Kaulitz, lei è rimasta impassibile al tacco dieci di Bill e anche all’indubbio fascino di Tom; ed ha stampato il mio nome sulla maglia che indossa.
Ed ora è là sotto, che tenta di concentrare le sue forze per far sì che ciò che regge tra le mani, con un buon lancio, arrivi sul davanzale della mia finestra; dopo all’incirca tre tentativi, il quarto va a buon fine.
Due bacchette strettamente legate insieme da uno spago.
Faccio cenno alla ragazza di aspettare un istante, mi fiondo in casa, acchiappo uno dei tanti pennarelli indelebili che tengo nel cassetto della scrivania e torno correndo alla finestra; sfilo una bacchetta dal possente nodo con lo spago e tento a fatica di autografarla. Il risultato ammetto che non sia dei migliori, un nome scarabocchiato in pessima scrittura, ma del resto sfido chiunque a far di meglio.
Con un gesto veloce lancio di sotto la bacchetta autografata, e sorrido;
me lo dicono in tanti, sono uno che sorride di rado.
Mi domandano sempre se non è imbarazzante fare sempre la parte del musone, ma mai nessuno che mi abbia chiesto in cinque anni di successo, il motivo dei miei così rari sorrisi.
Ritengo che un sorriso sia un dono, proprio come un bacio, un abbraccio, o qualsiasi altra forma di contatto; è così semplice sorridere, ecco, basta solo sforzarsi leggermente di portare gli angoli delle labbra leggermente verso l’alto e voilà, il gioco è fatto.
Ogni essere umano può riuscirci, ed il banale sta in questo; tutti noi sappiamo sorridere, ma solo pochi sanno destinare sorrisi alle persone giuste. Io sono uno di questi, sorrido nel momento in cui voglio donare parte del mio essere a qualcuno.
Ma ora mi va, ora sto donando parte di me ad una ragazza di cui nemmeno conosco il nome, ma che col solo fatto di aspettarmi da ore senza esserne stufa, mi ha colmato gli occhi e il cuore di felicità.
Stringo fra le mani la bacchetta, e la soddisfazione di aver sorriso; e senza accorgermene, nel giorno del mio ventitreesimo compleanno, sono in possesso del miglior regalo mai ricevuto. 

  
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