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Autore: Verdot    08/09/2011    4 recensioni
Cloud torna a casa.
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Cloud Strife, Tifa Lockheart
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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NdA: Una Cloud/Tifa come dovrebbe essere secondo me. Per Avalon chan, che mi sfida a guardare più attentamente ciò che scrivo.
Il titolo viene dalla canzone “Volcano” di Damien Rice.

NdT: sì, avrei altre due fanfiction da aggiornare e storie che aspettano da più tempo di essere postate. Ma anche questa ha aspettato anni, e ora sono finalmente e completamente dell’umore di pubblicarla, abbisogna che ne approfitti. Whatever that means.
Ci si vede, ciccini :*





And I’ll Ask For The Sea





I suoi capelli erano grigi, ormai. Fili d’argento che si era ostinata a tenere lunghi, benché Yuffie – che sembrava immune al passaggio del tempo, pensò con invidia – insistesse che i capelli corti sarebbero stati più pratici per le difficoltà a cui sarebbe andata incontro con le sue fragili ossa. Erano cose come questa che la infastidivano terribilmente: le sue ossa.
In parte riusciva a capire gli sguardi tristi sui volti delle vecchie prime ballerine.
Marlene ballava, ma la differenza tra le epoche in cui erano nate le aveva permesso di fasciare i pugni e i piedi di seta, invece che di cuoio e di metallo. Era una ballerina che ballava per ballare, niente più.
Neanche adesso la chiamava mamma, ma preferiva così. Ora che Barret era morto, sarebbe stato strano. Non aveva mai voluto essere nient’altro che semplicemente Tifa.
E non trovava nulla di strano nel rincontrarlo nella veranda, da lei, dopo tutti quegli anni.
« Ciao, Tifa. »
Quando era ancora una ragazzina, la ragazzina che lo considerava il paradosso più interessante del mondo, aveva fantasticato spesso su come sarebbe stato questo momento.
No, non si erano persi di vista. Non completamente. Era rimasto nei paraggi, soprattutto per Denzel. Quel ragazzo che aveva gli occhi come suoi, sempre fin troppo giovani.
Anche Denzel adesso era un eroe, nel suo piccolo. Al debutto di Marlene si era seduto in prima fila vicino a lei. E quando gli occhi le si erano velati di lacrime, non era stato per l’uomo che adesso era seduto sul dondolo di casa sua e guardava le stelle come fossero il negativo di una fotografia che lei non aveva mai avuto l’opportunità di scattare.
Era difficile non vedere a chi somigliasse Marlene.
« Ciao, Cloud. »
Le ricordava un po’ Cid. Comprensibile, dal momento che Cid e Cloud erano l’uno la fase generazionale dell’altro. Solo che Cid era stato più saggio nel capire chi era, e cosa voleva; era andato incontro a ciò che lo tormentava, ma aveva anche saputo distaccarsene.
Lui e Shera se ne erano andati insieme. Incidente aereo. Tifa era contenta, perché per loro non avrebbe potuto esserci modo migliore.
Si sedette accanto a lui, avvertendo di nuovo la debolezza delle sue ossa.
Osteoporosi. Tanti piccoli buchi che la divoravano da dentro. L’impossibilità di ballare ancora.
« Volevo raccontarti una storia. Ma l’ho dimenticata. »
La sua ostinata mascella quadrata le ricordava invece di Barret, e quella era veramente la cosa peggiore.
Non era stato il matrimonio migliore del mondo; non avrebbe mai potuto esserlo con quei presupposti. Quando la scrutava con la coda dell’occhio lui vedeva ancora Myrna, ma con tutti gli anni che avevano passato insieme sentiva sempre la mancanza di qualcosa, quando si ritrovava a pensare a lui.
Marlene era l’unica che sembrava notarlo, le dava un buffetto sulla mano e diceva va tutto bene.
« Perché sei qui? »
Venti anni prima ne sarebbe stata felice. Ma ormai aveva avuto una vita piena. Era stata una madre, una moglie, e in diverse occasioni un’amante. Si era stancata di aspettare quell’unica cosa che il suo cuore di bambina pensava fosse la risposta a tutto.
Lei aveva vissuto. Lo stesso poteva dirsi per lui.
Allora perché era venuto?
Altre persone, altrove, dovevano aver già fatto una chiacchierata come quella.
« Perché dovevo. »
« Questo sì che si chiama tempismo. »
Lui sbatté le palpebre e rise. Quella risata profonda che aveva sempre desiderato ispirare. E le tornarono in mente i motivi per cui un tempo sarebbe stata disposta a seguirlo sino ai confini della Terra.
Era come se avessero lo stesso sangue, come una famiglia, tutti quanti loro. Alle volte questo legame la disorientava, come non avrebbe mai capito fino in fondo.
« Mi ci è voluto molto tempo per notare tutto. »
« Allora vuoi dirmi che mi ami? »
Lui si avvicinò e le posò un bacio leggero sulla guancia.
« Volevo dirti grazie. »
Lei gli poggiò la testa sulla spalla, un po’ come aveva fatto quando era stata abbastanza giovane da credere che l’amore fosse tutto. Lui le passò un braccio dietro schiena, e rimasero in silenzio, circondati dai movimenti della notte.
L’aria era umida, ma non le importava. Non soffrivano più; né per la perdita di ciò che avrebbero potuto essere, né per quella delle persone che li avevano toccati. Perché ora si stavano toccando con un’intimità che Tifa non raggiungeva con qualcuno da molto tempo.
Guancia a spalla.
Sì, Cloud, era questo che volevo sentire davvero.
   
 
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