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Autore: My Pride    09/09/2011    9 recensioni
Fu proprio in quel mentre che un vago rumore di passi mi riempii le orecchie, e mi ritrovai a sospirare pesantemente credendo che fosse Riza. «Resto qui ancora un po', Tenente», dissi, ma ciò che mi giunse in risposta furono una risata e quel pesante e familiare suono delle giunture di un auto-mail.
«Ed io che pensavo che tu più di tutti avresti riconosciuto i miei passi, Colonnello di merda»
Genere: Generale, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Edward Elric, Riza Hawkeye, Roy Mustang | Coppie: Roy/Ed
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Ricordi impolverati nascosti in soffitta Titolo: Ricordi impolverati nascosti in soffitta
Autore: My Pride
Fandom: FullMetal Alchemist
Tipologia: One-shot
[ 1148 parole [info]fiumidiparole ]
Personaggi: Roy Mustang, Riza Hawkeye, Edward Elric
Genere: Generale, Malinconico, Sentimentale
Rating: Giallo
Avvertimenti: Mangaverse, Spoiler, Shounen Ai, Missing Moment, What if?

Winter Challenge: 8° Luogo Soffitta
Vitii et Virtutis: Avarizia Solitudine
Prompt: 4° Argomento: Elementi atmosferici › Pioggia
Challenge in love: #7. Amore non ricambiato
The angst time: 17. Sofferenza
Benvenuti al banco dei prompt: Pacchetto angst › 01. Amore



FULLMETAL ALCHEMIST © 2002Hiromu Arakawa/SQUARE ENIX. All Rights Reserved.

    Avrei voluto non sentire assolutamente nulla, in quel momento.
    Q
uella sera di inizio inverno pioveva a dirotto, e le gocce picchiettavano contro i vetri di ogni finestra, creando una melodia insistente e penetrante che martellava le orecchie senza remore. Lì in soffitta, complice anche il tetto spiovente e le assi di legno vecchie e scricchiolanti, sembrava persino aumentare di intensità, ovattando tutto il resto. Avevo chiesto alla stessa Riza di accompagnarmi fin lassù, così da potermene stare da solo con i miei pensieri. Ed era strano come, a distanza di così tanto tempo, mi ritrovassi a ricordare avvenimenti di due anni addietro e a pentirmi della mia scelta.
    Mi era stata offerta la possibilità di poter vedere di nuovo ed io, forse così idiota da aggrapparmi ad un mio saldo principio morale, avevo bellamente rifiutato quella proposta. A ripensarci in quel mentre, probabilmente, accettare sarebbe stata la cosa che più mi sarebbe convenuto fare quando mi era stata posta dinanzi tale opportunità. Sapevo, però, che rimuginare sul passato non avrebbe giovato né a me, né al ragazzo che aveva affrontato la lotta contro il Padre da solo. Quello stesso ragazzo che era adesso chissà dove, partito per un nuovo viaggio alla ricerca di solo lui sapeva cosa, stavolta. E mi venne da sorridere amaro, rivolgendo lo sguardo nella direzione in cui sentivo lo scrosciare della pioggia e osservando distrattamente fuori sebbene non potessi vedere assolutamente niente. Mi domandavo tuttora dove fosse, con chi fosse, e perché avesse deciso di partire adesso che non ce n’era più un così pressante bisogno. Ma in tutti quegl’anni avevo imparato a conoscerlo. Il non più Alchimista d’Acciaio non era mai stato un tipo sedentario. Mai.
    Fu proprio in quel mentre che un vago rumore di passi mi riempii le orecchie, e mi ritrovai a sospirare pesantemente credendo che fosse Riza. «Resto qui ancora un po', Tenente», dissi, ma ciò che mi giunse in risposta furono una risata e quel pesante e familiare suono delle giunture di un auto-mail.
    «Ed io che pensavo che tu più di tutti avresti riconosciuto i miei passi, Colonnello di merda».
    La bizzarra sensazione che provai nel sentire quella voce, seppur cambiata dagli anni, fu indescrivibile; ebbi come un tuffo al cuore, e fu con una certa fatica che sussurrai in tono flebile, 
«Non sei reale», cercando forse di convincere me stesso.
    «Questo è ciò che vuoi credere tu», sembrò però sbeffeggiarmi quella voce, sempre più vicina, sempre più vera alle mie orecchie. «Cos’è? La senilità sta finalmente cominciando a fare il proprio corso, Colonnello?» Sentii i suoi passi mentre si avvicinava, poi il peso del suo corpo che si assestava sulla cassapanca sulla quale ero accomodato anch'io, così vicino a me che sarebbe bastato allungare di poco una mano per riuscire a sfiorarlo. E mai come in quel momento desiderai di poter vedere il suo viso. «È proprio una gran bella casa», disse ancora, e quasi mi parve di riuscire a vederlo mentre si guardava distratto intorno con quei suoi occhi dorati. «Suppongo che ci sia anche roba sua, visto che adesso vive con il Tenente. Magari dividete anche lo stesso letto».
    «Non è come credi», riuscii finalmente a proferir parola, forse ancora sconvolto da quella sua inaspettata visita.
Ma lui rise ancora, quasi aspramente, una risata che stonava non poco con l’immagine che avevo dell’Alchimista d’Acciaio.
    «A chi vuole darla a bere, Colonnello di merda?» rimbeccò, sfiorandomi il viso.
    Non feci caso alle sue parole, beandomi semplicemente di quel tocco prima di afferrargli saldamente la mano, scoprendo così che quella che finora mi aveva regalato quelle carezze era stata la destra. Non più acciaio intrappolato nella carne, non più gelido metallo che cercava di riscaldarsi con il calore umano. Una mano umana, esattamente come la mia. E sebbene al tocco quella sua presenza mi sembrasse così vivida, così reale, ancora tentavo di non illudermi. Acciaio non poteva essere lì. Era assurdo. «Non è come credi», ripetei per l’ennesima volta, stavolta in un basso mormorio che stentai a sentire persino io mentre mi avvicinavo piano a lui, cercando il suo viso a tentoni.

   
«Colonnello?» sentii subito dopo una voce chiamarmi, forse in tono vagamente sorpreso, a cui fece eco il basso latrato di un cane.
    Mossi dunque d’istinto la testa in quella direzione e, se non mi fosse apparso quasi inverosimile avrei persino sbattuto più volte le palpebre, come se avessi voluto mettere a fuoco la sua figura. «Riza?» sussurrai appena in risposta, con una nota un po’ tremula nella voce. La sentii avvicinarsi lentamente prima che il suo peso si assestasse dove, esattamente pochi attimi prima, avevo avvertito quello di Acciaio.
    «Con chi stava parlando?» mi domandò poi, prima che avvertissi il tocco leggero delle sue piccole dita sulla fronte, come se volesse controllarmi la temperatura o scostarmi semplicemente qualche ciocca di capelli dal viso, nel dolce e premuroso gesto di un
amante affettuosa.
    Con chi? ripetei nella mia mente, ritrovandomi a sorridere amaro. Quella presenza che nella mia mente era apparsa così vivida era stata davvero solo un’estensione della mia psiche? Un sogno che aveva cominciato a prender forma nella mia mente e a convincermi che fosse reale? «Non hai visto nessuno, entrando?» chiesi di rimando, anche perché il mio cervello cercava di trovare una spiegazione razionale a quanto era appena successo. Mi ero perso nei miei pensieri a causa dello scrosciare della pioggia, questo lo rammentavo, e mi ero concentrato su di essa e sugli spifferi freddi prima di socchiudere appena le palpebre. Poi era sopraggiunto il rumore di quei passi pesanti e metallici, e subito dopo... nay, non poteva essere stata tutta solo un’illusione.
    A distrarmi dai miei pensieri, prima ancora che potesse farlo Riza stessa, fu Black Hayate, che strofinò il muso contro il mio stomaco per richiamare la mia attenzione. Con un sospiro cominciai a carezzargli il capo, facendo passare le dita nel suo folto e morbido pelo. «Tu non hai sentito nessuno, Hayate?» gli domandai stupidamente ad un orecchio, sentendo in risposta un suo basso abbaiare. Mi regalò un piccolo ringhio giocoso e mi leccò poi una guancia con un tocco umido e caldo, solleticandomi e coccolandomi come se volesse tirarmi su il morale.

    «...ti senti bene, Roy?» mi domandò confidenzialmente Riza, con una vaga nota preoccupata nella voce.
    Non mi presi la briga di alzare lo sguardo verso di lei, però annuii, concentrandomi unicamente sulla sensazione che Hayate mi stava regalando. Il fatto era che neanch'io sapevo dire come mi sentissi realmente, né tanto meno se quella bizzarra conversazione che avevo avuto era stata solo frutto della mia immaginazione o meno.
    Così, con il suono scrosciante della pioggia che mi riempiva le orecchie, la presenza costante di Riza e l'odore di polvere che vigeva in quella vecchia soffitta, abbassai le palpebre sui miei occhi ciechi, tornando a rifugiarmi in quel mondo fatto unicamente di ricordi
e parole ormai dimenticate.






_Note inconcludenti dell'autrice
Perdonatemi l'espressione, ma sono fottutamente emozionata.
Erano secoli che non scrivevo qualcosa di nuovo su questo fandom, e sebbene sia tornata con questa piccola schifezza dalla dolce/amara presenza Royai con un misto di Roy/Ed, non posso fare a meno di esserne comunque contenta.
Sono parecchio arrugginita e lo ammetto spudoratamente, però, sul serio, ho sentito il forte bisogno di postare questa vecchis storia che avevo scritto tempo fa e che ho revisionato. Forse anche grazie all'avvicinarsi del Roy/Ed Mariage, chi può dirlo. Un po' di veloci spiegazioni, comunque: nella mia distorta visione delle cose, Roy non avrebbe mai utilizzato la pietra filosofale per riacquistare la vista, quindi perdonatemi questa mia personale interpretazione.
Sul serio, scusate ancora se questa storia non è all'altezza di quelle che scrivevo di solito.
Alla prossima. ♥


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