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Autore: Shu1988    10/05/2006    2 recensioni
Un incontro come molti, un destino come pochi. Le Cronache dell'Inferno personale di Greta Love. E' l'inizio della Fine?
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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I. NO WAY BACK HOME


Camminava rasentando il muro, il capo basso, la pioggia che picchiettava insistentemente sui suoi capelli  già carichi d’umidità.

Ringhiava, o per lo meno avrebbe voluto farlo. Avrebbe voluto essere un cane randagio per poter azzannare qualcuno senza dover poi essere necessariamente trascinata alla neuro.

Si, quella sera Greta Love avrebbe tanto voluto puntare a caso il dito su un mappamondo e partire per la località designata dalla sorte, con un biglietto di sola andata e tanti progetti di gloria per il futuro.

D’altronde, si disse mentre schivava una pozzanghera grande quanto l’oceano Atlantico, nessuno avrebbe sentito la sua mancanza, men che meno i suoi genitori.

E perché avrebbero dovuto, dopotutto? Greta dava loro solo problemi, o almeno di questo erano convinti.

Non come Janet, la sorella di Greta, che tutti in casa consideravano degna della stessa venerazione di geni quali Albert Einstein e Leonardo Da Vinci.

Greta era più che sicura che, prima o poi, Janet, o Jenny, come la chiamavano tutti, si sarebbe aggiudicata persino un monumento dai suoi più che concessivi –anche se solo con lei- mamma e papà. Era solo questione di tempo, poi Janet “Jenny” Love sarebbe divenuta importante, avrebbe sfondato nel mondo del lavoro senza alcun problema, si sarebbe costruita un proprio immenso impero commerciale, e allora per Greta “Fallita” Love sarebbe davvero stata la fine.

Per lei, la senza speranze di sempre, lei che non aveva mai amato la scuola, che non aveva mai masticato la matematica ed aveva sempre detestato i giochi di squadra perché li trovava stupidi. Lei che non pensava mai, lei che sarebbe finita in “qualche centro sociale”, come diceva sempre sua madre, lei che da sempre rischiava il collegio perché “maleducata” e “cafona” a detta di quella donna che non riusciva a comprenderla, e che di certo non sarebbe mai riuscita a farlo.

Lei che era semplicemente Greta Love, con tutti i casini che ne derivavano. Un pacchetto unico: un nome, una sorte. Prendere e portare a casa, così come viene, ben conscia d’essere sempre la numero due in ogni lista e non più disposta a tollerarlo.

Avere quasi diciotto anni era una tortura, per lei, e il destino di certo non la stava per niente supportando, anzi, pareva che la fortuna si fosse completamente dimenticata di lei. La sfiga che regna incontrastata e nessun potere per spodestarla. Così viveva Greta Love, con i suoi patemi e le sue bugie di convenienza. Un eterno semaforo rosso, come quello che vide accendersi proprio davanti a lei, un’altra piccola luce  della metropoli, abbagliante nel buio della sera.

Per poco non venne investita da una vecchia signora al volante, ma un semplice passo indietro le risparmiò una poco gradita visita all’ospedale, o peggio. Odiava i semafori, lì le tettoie non c’erano, e Greta si ritrovò a disperarsi per i suoi capelli.

Quando si trattava di trucco e capelli, Greta non era per nulla schizzinosa, anzi, era piuttosto dipendente. Uscire la mattina senza una tonnellata di matita nera sotto gli occhi, ad evidenziarle gli occhi chiari, di un’improbabile colore tra il grigio, l’azzurro e il verde, le sembrava impossibile, così come saltare la consueta visita dal parrucchiere ogni settimana.

Queste piccolezze sembravano prioritarie anche a lei che detestava la moda e amava proporsi come ragazzaccia da strada, una punk un po’ sbandata,  con un look tutto suo (che andava dal total black alla più improbabile accozzaglia di colori) fattore che enfatizzava ancor di più il suo essere un maschiaccio dalla nascita. Un maschiaccio egocentrico, forse un po’ vanesio, pallido e minuto.

Quando scattò finalmente il verde, Greta riprese la sua marcia solitaria verso la più vicina stazione della metropolitana.

Doveva ammettere di sentirsi sola, senza Summer, la sua migliore amica, al suo fianco come ogni sabato sera, intenta come era solita fare a parlarle di Adam, sua vittima predestinata da qualche tempo. In qualche modo Greta sentiva la mancanza delle piccole frivolezze dell’amica di sempre.

Raggiunto l’ingresso alla metropolitana, Greta si affrettò a raggiungere la banchina, desiderosa di tornare a casa, non tanto per vedere gli amati famigliari, quanto per raggomitolarsi come un gattino nel suo letto caldo e dormire fino a mezzogiorno del giorno dopo. Non sognava altro, non voleva altro.

In più, uscire con Courtney non le aveva certo giovato; l’unica cosa che ci aveva guadagnato era una serie di capogiri dovuti all’alcool, il che, si disse, non era certo un bene, vista l’ora tarda e le rare sagome distribuite per la banchina.

Con disagio crescente Greta si costrinse a raggiungere uno degli squallidi sedili in marmo, dove si sedette a gambe incrociate, spossata. Appoggiando il capo alla parete, poi, prese a guardarsi attorno, come se solo in quel momento si fosse resa conto di trovarsi proprio lì, ad aspettare la metropolitana su quella banchina inquietante.

Con sorpresa assoluta si rese conto che la coppia di giovani donne che aveva notato quando ero arrivata, così come il trio di ragazzi e l’anziano signore che era certa d’aver scorto, parevano essersi volatilizzati nel nulla. Non riusciva a capirne il motivo. Perché diavolo se ne erano andati tutti quanti?

–E’ inutile che aspetti. L’ultimo treno è già passato-

No, non tutti quanti, si disse Greta, quando quella voce mai sentita prima la raggiunse. Una voce giovane, eppure profonda, vivace, eppure impregnata di una sorta di malinconica arresa.

La sua voce.

La voce del ragazzo che sedeva su uno dei seggiolini di marmo poco distante dal suo, un’impressionante e straordinaria presenza pallida e abbigliata in nero e ornata d’ogni genere d’elemento in puro metallo, dalle collane ai piercings, con i capelli all’aria così com’era richiesto ai veri punk, trucco nero ad incorniciare i profondi pozzi color dell’oblio che erano i suoi occhi, labbra tinte di nero e attraversate verticalmente, sul labbro inferiore, nel mezzo, da un sottile anello di metallo, una giacca nera in pelle e bizzarri pantaloni a quadri scozzesi, ornati di più catene.

Greta notò tutto.

Tutto, in un solo attimo.

 –Come,scusa?-

Lui non sorrise, non assunse un’espressione contrariata. Niente del genere.

Si limitò a ripetere: - L’ultimo treno è già passato-

  
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