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Autore: Beliar    10/09/2011    0 recensioni
Miku rotola in cerca del frutto. Le persone attorno a lei la osservano, impotenti.
Video-verse.
Autrice: Beesp
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kaito Shion, Miku Hatsune | Coppie: Kaito/Miku
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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[Vocaloid] Silent words
Questa storia è stata scritta tempo fa, l’atmosfera si è persa lungo il tragitto.
È ispirata ai video “Servant of Evil” e “Rolling Girl” – il frutto, Meiko, la caratteristica di Miku di “rotolare via”, la ricerca di Miku, la guerra dei regni (che io ho arbitrariamente deciso siano sette – come i colori dell’arcobaleno).
Spero sia di vostro gradimento, nonostante non sia alcunché di particolare.
Prompt: 17. Terra.
Buona lettura.








Miku si aggrappa, ancora una volta, all’erba della ripida collina. Sente scivolarle il sangue lungo il braccio, dal polso al gomito, inzupparle la manica del vestito.
Con le unghie infilate nella terra, continua ad arrampicarsi con mani e piedi sulla parete della collina. Sente pulsare sotto la pelle i muscoli della caviglia, se l’è storta, ed è sicuramente gonfia.
La gonna è macchiata e umidiccia; le mani, se le vedesse la sua povera madre, correrebbe subito a medicarle. Un paio di unghie si sono spezzate.
Ma riesce a intravedere più vicino, secondo dopo secondo, il frutto. Il frutto dai colori sgargianti, dai sette colori. In paese raccontano che chi riuscirà ad impossessarsene governerà i sette paesi e per settecento anni i sette popoli vivranno in pace.
Miku deve prenderlo e scoprire se la leggenda è vera; se anche nulla accadrà, i piedi rimarranno sul prato incolto, almeno avrà sofferto per una buona causa.
Qualcosa sotto il suo palmo si muove: le pietre la abbandonano.
Struscia per cinquanta centimetri impigliata nelle radici e nei massi, la sua faccia sbatte ripetutamente, l’occhio destro si offusca; quando infine raggiunge la terra, finisce sulla schiena sulla katana. Il maggiordomo, udito il rumore, le corre incontro e prova ad aiutarla; Miku lo respinge gentilmente, prende il fazzoletto immacolato dalla tasca e si pulisce il volto.

Ad attenderla nella grande salone c’è Kaito. Tiene tra le mani un calice di vino fruttato. I suoi indumenti sono scuri come la notte. Miku, con la sua indomabile puerile volgarità – così la chiama Miku, con un moto di rabbia e d’odio verso se stessa – cammina verso Kaito, fin quando non inciampa nelle frange di un tappeto che ha sempre adorato. Kaito si accorge di lei, le sue spalle si irrigidiscono. Si alza e si volta, con l’abituale sorriso adombrato.
Gli si scuriscono gli occhi, a sorprenderla per terra, ancora indolenzita dalla scalata: due medicazioni in più.
“Vi siete fatta male, Hatsune? Avete bisogno di una mano?”.
“Non preoccuparti, Kaito. E per favore chiamami Miku”.
“D’accordo, principessa …”.
Kaito le si avvicina mentre Miku si alza e gli si affianca. “È andata meglio?”.
“No, non l’ho ancora raggiunto … ma ci sono quasi. È il mio sogno da quando sono bambina, dovessi anche perire nell’impresa, quel frutto sarà mio. La pace regnerà”.
“Sarete una regina perfetta”.
“Oh, no, sceglierò un successore che si occuperà dei sette regni, io non ne sarei mai capace”.
Sorride Miku e ha l’impressione che Kaito le entri nella testa. Lo odia; nonostante l’etichetta lo vieti, mostra nello sguardo ogni particella di bisogno che sparisca.
In Kaito non c’è menzogna: in lui risente la voce di sua madre, il lamento dei sudditi, l’urlo di guerra di Meiko. La testa le esplode, ogni notte, alla visione dei corpi imputriditi, la fuga dei bambini, falciati prima di raggiungere riparo. I pochissimi sopravvissuti, alla fine, dovettero ripulire le strade, e dire addio a parenti, amici, familiari tra la putrida e crudele morte.
È il confine della loro amicizia: Miku non può spiegare il dolore che vede in Kaito, il suo dolore. E Kaito può leggerla, ma non fino a capire cosa la distrugga e la faccia rotolare e sfuggire via.
“Miku … il tuo naso”. Si porta le dita sul volto: sta sanguinando. Si lascia cadere sul pavimento freddo di marmo.
Miku vorrebbe piangere.
Qualcuno si sta permettendo una pausa, di fronte a lei. È Kaito, lo riconosce dalla giacca blu. Miku si alza più in fretta che può, traballando sulle gambe di diciottenne, raggiungendo quasi la porta. Kaito è più veloce: le afferra il braccio.
“Cosa vuoi?” Gli domanda con le lacrime che le rigano le guance. “COSA VUOI?”.
La voce rotta.
Kaito la abbraccia stretta. Voci silenziose: non fanno male, Miku. Parole del silenzio e del buio. È una notte che sfiora, non porta incubi e ricordi, accarezza.
“Così va meglio”.
Miku la sente la terra sotto i piedi, la sente. Non è un flebile miraggio, esiste. Il mondo è a colori, anche senza quel dannato frutto. La notte ha mille sfumature.
Kaito la allontana: lo vede il sorriso. “Sì, va meglio, Kaito”.
  
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