Camminava lentamente, la marea di persone intorno a lui lo superava velocemente, infastidita dal suo incedere titubante - era una fredda sera di dicembre e candidi fiocchi di neve stavano iniziando a scendere lievi, nessuno aveva voglia di passare fuori più tempo di quello strettamente necessario.
Ma lui non se ne curava.
Perché doveva, in fondo?
Non aveva nessuna casa accogliente dove far ritorno, nessun familiare o persona cara ad attenderlo. Era solo, e non aveva soldi nemmeno per comprarsi un panino.
I crampi allo stomaco erano più insopportabili degli insulti della gente attorno a lui - ma gli insulti erano pochi, in realtà, solo di quelli contro cui andava a sbattere, incapace di camminare dritto o anche solo di stare ben eretto sulla schiena; gli altri lo ignoravano.
Però, non poteva morire così, no? No.
Non poteva morire. Non così.
Ma cosa avrebbe potuto farci? Le gambe non lo reggevano più. Il cemento gelido e sporco era confortante, poteva restare lì, in posizione fetale, e aspettare la morte.
Quanto ci avrebbe messo il freddo ad assiderarlo? Era questione di ore, credeva. Sperava poche. Voleva che finisse alla svelta.
Il gelido inverno poteva anche essere confortevole.
E caldo.
Come un abbraccio.

***

Kazahaya amava l'inverno.
Nonostante tutto fosse morto e triste, non riusciva a non farselo piacere.
Forse era perché assomigliava così tanto a Rikuo.
All'apparenza così freddo e distaccato, lontano da tutto e tutti, ma in realtà leale e protettivo, nascondendo sotto una (non soltanto) apparente algidità tutto il suo affetto.
Kazahaya amava l'inverno perché fu quel giorno di dicembre, in cui Rikuo gli salvò la vita, che lo conobbe.
E amava Rikuo perché da quel giorno, nonostante tutto, si era sempre preso cura di lui, anche quando si erano trovati ad affrontare prove difficili.
Solo che entrambi sapevano bene come mandarlo in bestia.
"Stronzo di un Rikuo, ti pare questo il modo di fare? Lasciarmi con tremila pacchi in mano e sparire nella folla?! Si è pure rimesso a nevicare!"