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Autore: Milla Chan    11/09/2011    2 recensioni
Berlino è così fredda.
Ma tu verrai da me oggi, e mi parlerai ancora della primavera, e dell’inverno, e di Mahler, di Chopin, di Čajkovskij...
Continuo a guardare fuori dalla finestra. Sta nevicando, di nuovo.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Nord Italia/Feliciano Vargas, Prussia/Gilbert Beilschmidt
Note: OOC | Avvertimenti: Incompiuta
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Dannazione, è già febbraio. I mesi volano, e io rimango in questa mansarda gelida del Mitte*, a guardare fuori dalla finestrella che dà sulla strada desolata. La città immobile, come se con questo freddo si fosse raggelata, i tetti bianchi, ormai conosco tutti i dettagli a memoria, dato che non chiudo occhio da giorni. È pieno di macerie. In fondo, è stato il quartiere più danneggiato di Berlino, durante la guerra.
Sì, è davvero un periodo di gelo,questo. Un gelo che si insinua sotto la pelle e congela pian piano anche l’anima, facendo morire le tutte speranze di Berlino est. È gelo sotto ogni punto di vista, è la paura, è la solitudine, è il timore di ciò che sta accadendo, è anche la rabbia per la nostra impotenza.
Forse qui è normale che faccia così freddo, ma io non ci sono ancora abituato. In Italia non ricordo che ci fosse una temperatura talmente bassa.

***

Ogni tanto mi viene a trovare Gilbert, io mi tranquillizzo un po’ e smetto di pensare; almeno per una manciata di minuti. Non parliamo mai di come stiamo, di come ci sentiamo, di cosa sta succedendo a Berlino. Parliamo di teatro, di cinema, di musica, di arte. Entrambi amiamo queste cose, sia chiaro, ma non siamo dei grandi intenditori. Usciamo anche spesso, mi ha fatto vedere un sacco di monumenti, e piazze, e palazzi, e tantissime altre cose interessanti. È una brava guida, Gilbert; quando mi racconta di Berlino i suoi occhi sembrano brillare più del solito. Eppure questa grande finzione, questa... simulazione di uno stato di tranquillità,  prima o poi crollerà.
Anche lui è provato da questa situazione, lo capisco. Insomma, lui vive a Berlino da quando è nato e vedere la propria città marcire per la guerra e spaccarsi a metà dev’essere stato terribile. Riesco a leggerlo nella sua espressione, e dev’essere un po’ come se ti facessero un buco nel cuore e ti lasciassero lì a morire, sentendo il sangue che sgorga nel tuo corpo, e senza che tu possa fare niente.
Ma lui ha imparato a convivere con il buco nel cuore; forse perché è forte, o forse perché si è rassegnato.
Ogni volta che viene da me mi ritrovo col sentirmi dire “Sai, d’inverno si vive bene come di primavera, Feliciano”, mentre sorride, con un velo di malinconia negli occhi che mi fa mancare il respiro per un attimo. E io credo che mi sfugga qualcosa, in questa espressione. C’è un significato nascosto. È un’allegoria. Ma per quanto mi sforzi, non riesco a coglierla. Mi concentro ininterrottamente sugli occhi di Gilbert, e finisco col dimenticarmi che voglio estorcere il senso di quella maledetta frase. In compenso, ho capito che i suoi occhi sono sempre più opachi. Vanno via via  spegnandosi, ogni giorno che passa.
Allora gli sorrido con un nervosismo malcelato, tormentando il fondo del mio maglione grigio, e gli sussurro come risposta, tutte le volte, “Sì, proprio così”.

***

Ma oggi è un giorno come un altro, e tu verrai da me tra un paio d’ore, mi parlerai ancora della primavera, e dell’inverno, e di Mahler, di Chopin, di Čajkovskij...
Continuo a guardare fuori dalla finestra. Sta nevicando, di nuovo. Ma c’è qualcosa di diverso, e un piccolo, minuscolo sorriso nostalgico emerge da un abisso abbastanza profondo da poter quasi sfiorare il centro della Terra.
Questa neve mi ricorda la mia infanzia, mio fratello, mio nonno, e quando nevicava correvamo fuori e acclamavamo quei fiocchi bianchi e morbidi a gran voce. Ormai non ho più notizie di nessuno, sono bloccato qui in Germania da mesi. Comincio a detestare Berlino.
Socchiudo gli occhi e sospiro. Quando potrò tornare in Italia?
Bussano alla porta. Mi alzo lentamente, e strisciando i piedi vado ad aprire, scocciato. Non puoi essere tu, perché ora sei a lavoro e prima di un paio d’ore non potrai...
“Gilbert!”
E invece sei tu, davvero.
Ti faccio entrare, e preparo un tè. Come avevo previsto, abbiamo parlato di opera, e compositori, di tutte quelle cose che ci interessano, no?
Mi alzo per mettere la mia tazza scheggiata nel lavandino.
“Ti vedo stanco...”
Mi giro di scatto.
“...hai le borse sotto gli occhi.”
Sta guardando un punto indefinito del muro.
Un tuffo al cuore.
“...Come ti trovi...”
Dilato gli occhi.
“...a Berlino est?”.
È come se tutte le forze mi fossero scivolate via.
La tazza cade, si frantuma.
Nemmeno io riesco a sorreggermi.
Mi aggrappo alla credenza.
Mai, mai mi aveva chiesto una cosa del genere, una cosa così diretta.
Non credevo nemmeno che avrebbe mai avuto il coraggio di farlo.
Mi bruciano gli occhi. Sul serio, sto andando a fuoco.
Cerco i tuoi occhi.
“Io odio... Berlino” mormoro con voce roca. Una lacrima mi riga il volto.
Ti alzi, mi sorridi piano, fai qualche passo verso di me e mi abbracci di slancio.
Dannazione, dannazione Gilbert, così mi fai scoppiare in lacrime.
Mi stanno passando per la testa mille pensieri, li senti?
“Non preoccuparti. Sono qui, Feliciano”
Sei così caldo.
Come fai a essere così caldo con questo gelo, stupido?
“Feliciano...”
Affondo il viso nella tua giacca. Odori di fumo, Gilbert.
“...So come ti senti, te lo assicuro. Non ti devi preoccupare. Prima o poi passerà tutto, Feliciano.”
Me l’hai già detto due volte di non preoccuparmi. Come faccio a non preoccuparmi? E poi odio quando mi chiami per nome, mi fai venire i brividi, e a quello ci pensa già il freddo.
“Feliciano, ti ricordi quando ti ho portato a Alexanderplatz**?”
Il cuore manca un battito. Alexanderplatz.
Lo sa che io amo Alexanderplatz. È qui vicino. Me lo ricordo bene, quel giorno. Non è successo niente di eclatante, nulla da ricordare in particolare. Mi aveva soltanto portato a Alexanderplatz, e mi aveva raccontato la sua storia. E da quel momento me ne sono innamorato.
“Che ne dici se ci andiamo?”.

Affondiamo quasi fino alle ginocchia nella neve fresca per arrivarci, ma ne vale davvero la pena. Ci sediamo su una panchina. Alexanderplatz sotto la neve è magnifica. Provo un amore incondizionato per questo posto, e le lacrime quando fa freddo mi fanno davvero male. Questo contrastare di emozioni probabilmente mi porterà qualcosa di buono, credo che ci abbia pensato anche Gilbert. Appoggio la testa sulla tua spalla. Quando ti senti così vuoto, impotente, non c’è niente di meglio di trovare un modo per far smuovere le emozioni. Così non muori dentro.

“Alexanderplatz , aufwiederseen”, sussurro con un sorriso, voltandomi a guardarla per un’ altra volta. Mi stringi forte la mano. “Facciamo quattro passi fino alla frontiera, Feliciano?” sorridi. Santo cielo, Gilbert, perché ti preoccupi così tanto per me? Preoccupati per te, piuttosto, preoccupati della tua vita. Avrai ben una famiglia, dei parenti, no? Non devi essere così apprensivo con me. Io non ho niente qui a Berlino, non vale la pena aiutarmi ad andare avanti. Noti il mio silenzio, e il mio sguardo leggermente accigliato fisso nel vuoto. “Se vuoi, posso anche riportarti a casa..”. Ti lascio la mano, guardo il cielo candido. Non nevica più. Sospiri rassegnato, e ti incammini per la frontiera con le mani in tasca. Diventi sempre più piccolo. Sempre più lontano. Stai aiutando me stesso ad aiutarmi e a rendermi felice, per quanto si possa stare bene a Berlino est. Mi si stringe lo stomaco a vederti andare via. “Gilbert!” mi sfrego le mani, ho quasi perso la sensibilità delle dita. Ti giri. “...Vengo con te, Gilbert.” grido, mentre una nuvola di fumo esce dalla mia bocca.


***


Anche questa sera sono rientrato a casa tardi. Ma devo ammettere che Berlino di notte ha una fascino che non ti aspetti... Insomma, sentire i miei passi, solo i miei, per i viali riesce a infondermi un senso di leggerezza.
Avrei dovuto accorgermene prima che dovevo far litigare le mie emozioni per darmi uno scossone emotivo.
Chiudo la porta dietro di me. La mansarda è un disastro. È sporca, disordinata, vecchia, con il pavimento che scricchiola e le travi del tetto mezze marce.
Non mi dispiace, fare la faccende di casa. Mi dà un senso di responsabilità. Anche a Berlino est si dà una spolverata ogni tanto, sapete?
Però anche questa notte non dormirò. È tardi, sono stanco, ma non dormirò. Chiudo occhio davvero raramente, da quando sono qui. Sono stanco, ma non ho sonno. Sì, probabilmente sono anche malato.
Mi rifaccio il letto, tanto per sentire un moto di maturità . Appiattisco bene tutte le pieghe, tiro su il lenzuolo, la coperta, il copriletto, e appoggio, ben piegata, una coperta di lana sul fondo. Lo voglio fare bene, il mio letto; non deve esserci neanche una grinza.
Se Dio esiste, io credo che noi siamo il suo letto da rifare. È tutto in disordine, tutto spiegazzato. E rifacendo il letto le cose si mettono a posto. Sono successe tante di quelle cose in questi anni, eppure sono del parere che abbia appena steso il lenzuolo...

E ora mi sento molto come una principessa, solitaria e ritrosa, prigioniero del mio film. Un film un po’ malinconico, certo, ma pur sempre uno spettacolo.
Una principessa che aspetta in un angolo. Un po’ come Marlene, la protagonista dell’omonimo film di Maximilian Schell. Sì, ecco, è la stessa sensazione.
Ripenso alla giornata di oggi.
“Hai le borse sotto gli occhi. Come ti trovi...A Berlino est?”. Un brivido mi percorre l’intera schiena.
“Alexanderplatz, aufwiederseen”. Chiudo gli occhi, e mi sembra quasi di sentire ancora il brusio della gente che parla tedesco fitto fitto, e la neve che scende lenta, le mie lacrime, gli occhi di Gilbert, il suo profumo.
Il suo tocco.
Lui. Tutto, tutto di lui mi fa sentire a mio agio.

***

Il sole timido che fa capolino tra i tetti dopo un’altra lunga notte di pensieri sconnessi. Ah, amico sole, sei ancora tu, eh? Tu non ti stanchi mai di rivedere questo mondo spaccato in due, ogni giorno? Non ti stanchi mai di guardarmi? Di guardare tutti? Sei fortunato, tu, nessuno può dirti niente perché sei lì, sei sempre stato lì e rimarrai sempre lì. Una figura perennemente esistente. E nessuno può farti niente, Sole.
Mi sfrego gli occhi. Una busta passa sotto la porta. Apro lentamente.
“Ci vediamo questa sera fuori dal teatro.
Ti piace Schubert?”

Oh, Gilbert.
Mi fai bruciare gli occhi, di nuovo.
 
 
*Mitte: quartiere nel centro di Berlino.
**Alexanderplatz: famosa piazza di Berlino, nel quartiere di Mitte, per l’appunto.

Angolo autrice:
Ok... È la mia prima fic, quindi siate clementi! xD
Forse è un po' lunghina, adesso che la guardo... Comunque, per scriverla mi ha ispirato l’omonima  canzone Alexanderplatz, di Battiato. Non so se l’avete mai sentita, ma mia mamma me la fa ascoltare da anni... Ed è da un po’ che avevo in mente di scriverci una PruIta leggera. E due giorni dopo aver iniziato a scriverla l’avevo già finita ahahah xD
Semmai scrivete una recensione dandomi consigli, su come scrivo, cosa dovrei cambiare nel mio metodo di scrittura ecc... Grazie per aver letto!
 

   
 
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