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Autore: myprettyoddromance    11/09/2011    5 recensioni

Il pianista non aveva nessuno. Viveva solo nel suo appartamento in un palazzo grigio, con la sua vita scandita da ritmi precisi, una vita monotona e regolata, gli stessi gesti macchinosi ripetuti fino allo sfinimento, in un ciclo che si sarebbe interrotto solamente alla sua morte.
Ma nulla restava davvero sempre uguale.
Ispirazione di un attimo, scritta di getto. Spero vi piaccia.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In una città, senza tempo e senza nome, viveva un pianista.
 
Abitava nella periferia della città, in un palazzo grigio che si perdeva in una foresta di tanti palazzi identici. Nel soggiorno del suo anonimo appartamento saltava subito agli occhi il piccolo piano nero nell’ angolo con il suo sgabello logoro e gli spartiti disordinati appoggiati sul leggìo, che di tanto in tanto cadevano a terra attorno al piano.
 
Il pianista lavorava in un anonimo ufficio dalle otto di mattina alle quattro del pomeriggio. Ogni giorno usciva dal suo grigio e altissimo palazzo per andare a rinchiudersi in un altro palazzo identico, dove uomini tutti uguali lavoravano senza sosta accanto a lui, in un ticchettio di tastiere ritmico e sempre presente.
 
Il pianista non aveva nessuno. Viveva solo nel suo appartamento in un palazzo grigio, con la sua vita scandita da ritmi precisi, una vita monotona e regolata, gli stessi gesti macchinosi ripetuti fino allo sfinimento, in un ciclo che si sarebbe interrotto solamente alla sua morte.
 
Ma nulla restavadavvero sempre uguale.
 
 Il sole brillava ancora in cielo, la pioggia cadeva ancora, le nuvole oscuravano il sole. Ogni giorno tutto ciò era diverso.
 
Ogni giorno, quando la lancetta corta del piccolo e nero orologio a muro del suo ufficio segnava le quattro, i dipendenti si riversavano fuori, destinazione la loro casa grigia, il loro rifugio.
 
Ma il pianista non tornava a casa.
Camminava fino al grande parco nel centro della città, dove i palazzi grigi si interrompevano per lasciare spazio a un parco, un grande parco, con alberi e tutto il resto. Tutto era perfettamente ordinato, certamente, ma la natura ancora non era soggiogata. Gli alberi non rimanevano sempre uguali, le foglie cambiavano, cadevano, cadeva la pioggia su di loro per gocciolare sulle panchine e sui palazzi, sulle persone e sugli oggetti.
Il pianista si sedeva sempre sulla stessa panchina, con la valigetta sulle gambe.
Chiudeva gli occhi e assaporava l’irregolarità.
I piccoli, minuscoli cambiamenti che avvenivano da un giorno all’altro, da un attimo all’ altro.
Sentiva la brezza leggera sulla sua pelle, una goccia che cadeva dalle foglie su in alto, una cicala che friniva fuori stagione.
Aprendo gli occhi il colore delle foglie che diventavano rossicce con l’avvicinarsi dell’ autunno lo colpiva sempre e immancabilmente, il rosso che degradava in mille sfumature cangianti alla luce. Ogni albero era uno spettacolo, una fiamma rossa che si distingueva anche da lontano e che sembrava emanare un’ aura percepibile. Un profumo di sole, di foglie secche, di autunno, di luce, si propagava nell’ aria circostante. Il sole, all’ apogeo del suo splendore, stava cominciando a declinare lentamente, andandosi a nascondere dietro gli innumerevoli palazzi.
Il tempo sembrava non passare mai, lì.
 
Ma il pianista, ad un certo punto, era costretto a tornare a casa, all’ appartamento grigio.
Così si avviava, triste e stanco, verso di esso.
 
Il suo sguardo sembrava intriso di tristezza.
Ma aveva la sua musica, e cosa più importante, poteva ricordare.
Conservava nei suoi occhi, nella sua mente, in tutto il suo corpo, le sensazioni del sole sulla pelle, della luce leggermente rossiccia sotto l’albero, del frinire dell’ ultima estiva cicala.
Tornando a casa, spalancava la finestra accanto al suo piano, lasciando entrare la luce dolce della sera.
E con le sensazioni che ancora sentiva presenti su di lui, suonava.
Lasciava che i ricordi affluissero alle sue dita e si tramutassero in musica grazie al piano, una musica di luce del sole e foglie rossicce.
Le mani correvano veloci sui tasti, il pianista suonava le sue sensazioni, i suoi ricordi, tutte le cose splendide che avrebbe voluto gridare al mondo ma che purtroppo non sapeva esprimere a parole.
Allora lasciava che fosse la  sua musica a parlare, a risuonare, a comunicare le sue sensazioni.
Senza parlare, suonava finchè il cielo diventava buio e le poche sparute stelle brillavano in cielo.
Era la musica più bella in quella città triste, ma nessuno l’ avrebbe mai sentita.

Angolino dell' autrice...
Salve a tutti! A volte ci sono, tra le mille idee che passano per la testa, alcune che riescono a prendere corpo. Un' ispirazione di un attimo, scritta di getto senza pensare. Un' idea, semplicemente, nata per caso. Senza un motivo. Forse perchè il cielo era particolarmente bello, sopra di me mentre andavo in bici. Non so :)
Spero che vi sia piaciuta... Non mi aspetto molte recensioni ma se vi va sono bene accette ;)
Baci.
Ells
   
 
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