Come si dice..
chi non muore si rivede!!
Lo so, faccio avanti e dietro, ma alla fine torno sempre qui per
pubblicare fiction :)
Sono martozza, immagino mi conosciate in pochi.. un tempo pubblicavo
storie tutti i giorni =P
Questa è la mia storia, mi è venuta in mente
così, da un momento all'altro.. ho appena finito di
scriverla.. non vedo l'ora di sapere se vi piace :D
Se potete commentate!! Mi fareste molto felice.. spero sia di vostro
gradimento =)
Buona lettura!
Raggio di sole.
“Non
capisco chi diavolo te l'ha fatta fare!”
Le
urla di Yamcha avevano l'effetto di appuntiti coltelli contro il
fianco. Bulma se l'era aspettata quella reazione. Come suo solito
cercava di mantenere i nervi saldi, anche se era difficile. Era
seduta comodamente sul divano e guardava l'uomo davanti a lei che,
con espressione turbata, avanzava per la camera in modo circolare.
“Dico,
sei impazzita? Come ti è venuto in mente? E' assurdo,
è tutto
sbagliato.. inconcepibile..!!” continuava a blaterare l'uomo,
girando a vuoto per la stanza. Era sudato e tremava per l'agitazione,
Nel complesso non era uno spettacolo gradevole.
Bulma,
dal canto suo, cercò di distrarsi rifugiando lo sguardo
altrove.
Guardò attraverso le grandi finestre che regalavano una
vista
mozzafiato sul giardino
di casa.
Era
un giorno di pioggia e di fulmini. Di sottofondo alle grida
dell'amico c'era il ticchettio continuo della pioggia che si
scontrava contro il vetro. Ogni tanto venivano interrotti dal boato
di qualche fulmine in lontananza.
Era
gradevole quanto il tuono arrivava. La stanza si riempiva di una luce
intensa, prima di ricadere nel buio. E poco dopo arrivava il suono.
Bulma lo trovava confortante, come una melodia. Sempre meglio dei
borbottii che l'amico stava emettendo da circa trenta minuti.
“Diavolo
Bulma.. ti ha dato davvero di volta il cervello!”
Alzò
gli occhi blu al soffitto, la donna. Cercare di calmarlo era tempo
perso. Ci aveva provato per dieci minuti dopo il 'grande annuncio',
ma non era servito a molto. Anzi, aveva ampliato ancora di
più il
discorso.
“Io
non capisco! Io e te eravamo una coppia formidabile, così
affiatati.. eppure mi hai lasciato. E va bene, lo accetto, ci passo
avanti.. ma ora, cosa mi costringi a sopportare? E' meglio lui di me?
Cosa ti è saltato in mente??”
Yamcha
si era fermato, in quel momento. Vibrava per la tensione.. lo sguardo
era arcigno con una nota di delusione. Bulma rimpianse di essersi
confidata con l'amico. A quanto pare sarebbe stato meglio dirlo a
Crilin.. o magari a Gohan.. che nonostante un bambino sembrava molto
più maturo dell'uomo che si stava agitando davanti a lei.
“Non
ti avrà costretta?”
Quella
frase fu la goccia che fa traboccare il vaso. L'ira che Bulma stava
tenendo a freno esplose in lei e successivamente dalle sue labbra.
Anche la voce venne alterata dalla rabbia.
“Come
ti permetti, Yamcha? Costretta? Non mi ha violentata, se ci tieni a
saperlo!! Come fai a pensare una cosa del genere?”
Anche
Yamcha aveva perso la pazienza. Era una scena quasi comica, vista
dall'esterno. Lui che si agitava, pugni stretti e occhi da pazzo, lei
dalle nocche livide di rabbia che si mordeva il labbro inferiore,
arenata sul divano di pelle, troppo pesante ormai per alzarsi. Se
avesse potuto, se fosse stata 'peso forma' si sarebbe lanciata
sull'uomo e con ogni possibilità l'avrebbe sbranato.
“Beh
scusa se da un criminale omicida pazzo non mi aspetto un lato
amorevole e romantico!!”
La
donna sbuffò. “Sei il solito sciocco, Yamcha. Ero
consenziente.”
il tono era inacidito, gli occhi emettevano saette. Si passò
la mano
sul ventre rigonfio con un sospiro. Cosa doveva sopportare. Yamcha
fece un lungo respiro, con il vano tentativo di calmarsi.
“E
se uscirà un mostro come lui? Che farai? Mi
spieghi perchè non hai
eliminato il problema alla radice, invece di finire in questa
situazione?”
Le
successive parole dell'uomo non fecero altro che aggravare la
situazione. La vena sulla fronte della donna prese a pulsare. Il
volto si fece paonazzo, gli occhi ridotti a due fessure glaciali.
“Come
diavolo ti permetti? Eliminato alla radice? Mio figlio non
sarà un
mostro né tanto meno ho mai pensare di poter abortire! Mi
chiedo
come puoi pensarlo tu! Sei tu il mostro, non mio figlio, razza di
imbecille!”
Urlava.
Quasi le veniva da piangere mentre si stringeva il ventre con fare
protettivo. Dal giorno in cui aveva scoperto di essere incinta non
aveva mai pensato, nemmeno lontanamente, di poter abortire. No, non
era concepibile. Quel bambino era parte di lei, era suo figlio.
L'avrebbe dato alla luce sarebbe stata un'ottima madre per lui.
“E
poi mio figlio non sarà un mostro!”
ribadì con toni alti,
continuando ad accarezzarsi il pancione. Lo sentiva, quel bambino al
suo interno. Ogni tanto il piccolo si agitava, era piuttosto agitato
con bambino. Più volte sentiva piccoli calci contro la
parete
interna del ventre. Non stava un attimo fermo. E in quel momento era
decisamente agitato.
“Cosa
ne sai? Dopotutto il padre è una bestia!”
“E
allora..? Anche Goku ha un figlio, non mi sembra un mostro! Anzi,
è
il ragazzino più gentile che conosca!”
Si
era sorpresa più sere a pensare a come sarebbe stato il
bambino..
chissà se le fosse assomigliato, chissà che
tempra avrebbe avuto.
A cosa si sarebbe interessato. Erano le solite domande che una
'quasi' mamma si rivolge, cercando di crearsi un immagine anticipata
del bambino al suo interno.
“Non
c'entra, Goku è buono..!”
“Goku
ha solo sbattuto la testa da bambino.. sarebbe stato come lui e come
ogni altro Saiyan! E lo sai bene!” sbottò
irritata. Prese la
borsetta accanto a lei e vi frugò all'interno.
Velocemente
prese tra le labbra una sigaretta e vi avvicinò la fiamma
dell'accendino.
La
prima nuvola di fumo uscì prepotente dalle labbra della
donna,
seguita da un sospiro.
L'uomo
si guardò intorno, sconsolato, prima di lasciarsi cadere su
una
poltrona in pelle, davanti alla donna. “Ancora non riesco a
crederci.. ma lui
ora dov'è?”
Chiese
quella domanda con un accenno di timore. Non volevo certo trovarselo
dietro, quello sbruffone, con quel solito sorrisetto beffardo. La
donna lo guardò per qualche istante, poi abbassò
lo sguardo,
prendendo un'altra boccata di fumo.
“Non
so, non ne ho idea. E' andato via mesi fa.. per allenarsi da solo, ha
detto.”
“Allenarsi
da solo..? Cioè.. ti ha lasciata da sola? E del
bambino??”
“Oh..
non credo ne sia molto interessato.”
Disse
con tranquillità. Erano mesi che lui era fuggito.
Era abituata al
pensiero di dover crescere quel bambino da sola. In realtà
non aveva
mai pensato in nove mesi, di poter crescere il piccolo assieme a lui,
come una perfetta famiglia amorevole. E se dapprima l'idea le
lasciava un forte bruciore alla bocca dello stomaco, ora ne era del
tutto indifferente. Almeno, così si dichiarava di essere.
Tra
i due calò il silenzio. La sigaretta era stretta saldamente
tra le
dita affusolate della donna, mentre il fumo saliva lento, verso il
soffitto.
Un
altro tuono rimbombò nell'aria, alterando la luce
all'interno della
stanza.
“Non
dovresti fumare in gravidanza, Bulma.”
La
donna ghignò, guardandolo. “Ma come.. non lo
volevi morto?”
“Non
ho mai detto una cosa del genere.. dico che potevi stare attenta..
usare delle protezioni ad esemp.. Bulma?”
Il
discorso dell' uomo si interruppe di botto alla vista della donna che
si piegava, stringendosi il pancione, con una smorfia di dolore muto
sul volto. La sigaretta continuava a fumare sulla moquette
verdognola. Si avvicinò alla donna con un balzo, posandole
una mano
sul capo, tra i capelli turchini. “Cosa succede?”
“I-il..
bambino. Sta per.. ugh!”
La
corsa in ospedale fu difficile, complicata dal traffico e dalla
pioggia. Erano in taxi, Bulma aveva la testa sulle gambe dell'amico
e emetteva gemiti di dolore. Yamcha cercava di rassicurarla,
sostenendole la testa e carezzandole la fronte sudata.
“Fai
respiri profondi Bulma.. non si potrebbe andare più
veloce?”
chiese poi all'autista che fumava il suo sigaro, avanti. Questi si
voltò, posando due occhioni neri su di lui. “E mi
dice lei come
faccio? Cosa crede, nemmeno io voglio che scodelli il bambino qui nel
mio taxi!” sbottò, voltandosi nuovamente a
guardare la strada.
“Ma
tu guarda...!” sbuffò Yamcha. Bulma dal canto suo
aveva la fronte
imperlata di sudore e balbettava parole e frasi sconnesse tra loro.
“Non..
non posso averlo.. non so fare la mamma.. io sono sola.. io..”
“Shh..
Bulma, non sei sola.”
La
donna dal canto suo stava pensando ad una cosa. A lui. Lui che
l'aveva rapita e sedotta quella fatidica notte. Che dopo aver
'consumato' si era voltato di schiena e aveva iniziato a dormire. Che
non le rivolgeva mai parola e se lo faceva era solo per chiedere del
cibo. Lui
che se n'era andato, lasciandola sola con un pancione già
gonfio, per allenarsi sui monti. Lui
e solamente lui,
che aveva
rivoluzionato la sua vita.
E
che le mancava terribilmente.
Arrivarono
all'ospedale dopo venti minuti. Le contrazioni erano forti, Bulma
respirava a fatica. Sentiva che il bambino stava soffrendo, voleva
uscire, lei voleva abbracciarlo. Non era più lucida, sentiva
voci
intorno a lei, domande. Una mano possente stringeva la sua,
trasmettendole calore necessario.
Qualcuno
la stese su un lettino, sentiva voci intorno a lei ma erano come..
ovattate. Tutto era offuscato. “Tranquilla,
Bulma..” una voce
raggiunse le sue orecchie.. apparteneva alla mano che stringeva la
sua con forza e vigore. Si voltò verso l'origine della voce,
vedeva
sfocato.. il dolore che provava era lancinante.
"V..Vegeta...”
Poi
tutto divenne scuro.
“Dove..
cosa...?”
La
donna si portò una mano davanti agli occhi, flebilmente, per
ripararsi dalla luce nella stanza. Si guardò intorno, mentre
tutto
acquistava forma. La stanza era illuminata da una lampada centrale
rotonda. Fuori ancora pioveva, poteva sentire il ticchettio della
pioggia contro il vetro. Tutto era bianco, le pareti della stanza, il
letto sul quale era adagiata, le lenzuola, il suo camicie.
Accanto
a lei c'era Yamcha, seduto su una sedia (anch'essa bianca), che la
guardava. “Ben svegliata...” fece un piccolo
sorriso alla donna.
Era buffa così, ma sempre bella. I capelli erano arruffati,
di quel
blu chiaro particolare della donna. La pelle era candida, un po'
pallida. “Come ti senti..?”
“Cos'è
successo?” chiese lei di rimando, del tutto indifferente alle
parole dell'amico. Si guardava intorno, agitata. Poi abbassò
lo
sguardo, sgranando gli occhi.
“Yamcha
il bambino!! Dov'è?? Come sta? Sta bene vero..?”
Agitatissima
voleva quasi alzarsi dal lettino, ma le forze mancavano. Yamcha si
alzò e si avvicinò al letto.
“Sta
calma.. hai avuto un parto cesareo, il bambino era attorcigliato alla
sua... beh, coda. Hanno dovuto operare subito.”
“E
lui come sta?”
L'uomo
spinse verso di lei un carrello dalle pareti in plastica. Al suo
interno, avvolto in un caldo asciugamano, dormicchiava una creaturina
dai capelli lilla. L'uomo lo prese con cura tra le braccia e lo
portò
verso la donna.
“E'
qui, sta bene..” sorrise alla donna. Bulma dal canto suo non
aveva
occhi che per quel bambino. Era così piccolo e indifeso, con
quelle
braccine paffute. Aprì gli occhi il neonato, posizionandoli
sulla
madre. Li aveva azzurro ghiaccio. La donna ebbe una fitta al cuore
osservando il volto del piccolo.. quell'espressione..
Tutto
un tratto smise di piovere, e in qualche minuto il sole fece capolino
dalle nuvole, iniziando a riscaldare l'atmosfera.
“Beh,
Bulma io vado a casa.. vi lascio soli.” Si
avvicinò e baciò
l'amica sulla fronte, con dolcezza. Poi osservò il bambino.
Non
riusciva ad avere simpatia per l'erede di quel mostro.. ma si
sforzò
di sorridere. “Ciao piccolino..!”
Per
tutta risposta il bambino si limitò a fissarlo, con un
espressione
quasi intensa. L'uomo si strinse nelle spalle e si avviò
verso la
porta. Posò la mano sulla maniglia, ma ripensandoci si
voltò. La
donna alzò lo sguardo interrogativa.
“Vedi
Bulma.. prima, in corridoio... mi hai chiamato Vegeta.”
Il
silenziò calò regnante nella stanza. La donna
arrossì
violentemente e abbassò lo sguardo, verso il suo bambino.
“Ci
vediamo.” sbuffò il ragazzo dai capelli neri,
chiudendosi la porta
alle spalle.
Bulma
osservò il bambino. Era sveglio e vigile. L'espressione era
degna
del padre. Se non fosse stato per il colore dei capelli e per quello
degli occhi, avrebbe avuto tra le braccia la miniatura del principe
dei Saiyan. Sorrise.
“Mi
ricordi così tanto lui...”
Sussurrò
al piccolo che continuava a guardarla. La donna si fece forza e si
alzò dal letto, tenendolo stretto tra le braccia. Era
così soffice.
Con
piccoli passi traballanti si avvicinò alla finestra.
Da
lì si poteva osservare la città del Nord, immersa
come sempre nella
sua confusione. Un uccellino cinguettava la sua dolce melodia da un
albero vicino. Il sole splendeva nel cielo, lontano ormai dalle nubi
che lo avevano circondato per tutta la giornata. I suoi raggi
colpivano dolcemente la finestra dalla quale i due si erano
affacciati, illuminando con luce dorata il piccolo.
Il
suo piccolo raggio di sole.
Bulma
sorrise. “Questa è la terra, piccolo mio. Sono
sicura che tra
qualche anno anche tu sarai lì fuori a proteggerla.. da
degno figlio
di tuo pad...!” si bloccò a metà
discorso affacciandosi dalla
finestra. Aveva visto una strana ombra di fronte a lei anche se
lontana. Qualcuno di familiare.. eppure ora, guardandosi intorno, non
vedeva nessuno. Sospirò.
“la
mamma inizia a dare i numeri, piccolo mio.. vede papà
dappertutto..” Si voltò, dando le spalle alla
finestra, curandosi
solo di quel piccolo fagotto che stringeva tra le braccia.
Nello
stesso momento, sul tetto dell'edificio c'era uno strano individuo.
Il nero dei suoi capelli non faceva onore a quello dei suoi occhi.
L'aveva
visto, aveva visto il bambino. Aveva notato l'espressione del viso,
gli occhi intelligenti, la coda. Aveva visto il principe dei Saiyan.
L'uomo
volò via, lontano; doveva tornare sui monti per allenarsi.
Mentre
volava veloce, sul volto del Sayan apparve un piccolo sorriso..
Aveva visto suo figlio.