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Autore: ilGhiro    14/09/2011    0 recensioni
E mentre cammina pensa, che un giorno arriverà qualcuno a salvarla, ma quel giorno non è oggi.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ispirata all'omonima canzone dei Subsonica, che vi consiglio di ascoltare durante la lettura! L'ho scritta in un momento di depressione assurda e di ricerche forsennate sulla psiche, e in un momento del genere non potevo certo scrivere qualcosa di allegro, o di leggero. Non è come la volevo, ma ogni volta che la rileggo, allo stesso tempo, non mi è chiaro cosa dovrei modificare... Se ho fatto il passo più lungo della gamba, quindi, sarò felice di sentirmelo dire.

Nient'altro da dire, come al solito. Buona lettura :) e un ringraziamento a chi ha commentato/preferito le mie storie precedenti negli ultimi tempi.




Serena è nel bagno del pub e sniffa con la narice destra una lunga striscia di cocaina, le dà la carica così va avanti ancora un giorno senza dormire, altre ventiquattr’ore senza il letto, forse di più, dopo una pista non la preoccupano minimamente.
 
E’ bella. E’ stanca e ha le occhiaie ma il correttore l’hanno inventato proprio per quelle come lei, pensa, o almeno avrebbero dovuto farlo.
 
I capelli... I capelli sono in ordine, belli lucidi, se li è lavati da Lau due ore prima e ha usato i trucchi che ormai restano fissi nella borsa.
 
La matita le sporca meravigliosamente la palpebra inferiore, il mascara le allunga lo sguardo già affilato, è bella e lo sa, e la bellezza va usata in attacco, soprattutto quando non hai nient’altro.
 
Una ragazza vicino a lei la scontra mentre barcolla verso il lavandino.
 
“Ehi, che cazzo c’hai?!” le dice.
 
L’altra nemmeno risponde, forse ha bisogno di aiuto, ma non quanto lei.
 
Serena si chiude la porta della toilette alle spalle e va al bancone a prendere un altro Mojito, la cocaina le accende le sinapsi, si sente invincibile, improvvisamente le sembra che i suoi pensieri siano velocissimi e le persone che le stanno intorno siano lente come testuggini a fare quello che stanno facendo. Anche i due che si picchiano in fondo al bar sono lenti, i pugni ci mettono un’eternità ad andare a segno, quando ci riescono, ma forse Dio ha messo tutto al rallentatore perchè doveva andare un attimo in bagno...
 
A sniffare pure lui, conclude sogghignando Serena.
 
A sniffare o a fare quello che gli ha fottuto il cervello quando è successa quella cosa e lui non ha fatto nulla.
 
Suo zio, il suo zio preferito, quello che mai pensava potesse farle del male, è ancora dov’era prima.
 
Invece lei è caduta in fondo a un pozzo, e Dio? Dio andava con le sue puttane? Gestiva il suo strip club in Paradiso?
 
Non c’era. Qualsiasi cosa stesse facendo non c’era, in quel momento, e neanche quando Serena era nel suo letto e sognò un mostro pallido che stringeva un bambino, nella doccia di casa sua, e  quel mostro era lei.
 
Nel sogno guardava il bambino e lo voleva fare suo nel più turpe dei modi, ma finalmente le arrivava la sua stessa voce... “Per l’amor del cielo, Serena, è solo un bambino”.
 
Serena nel sogno si fermava, suo zio non l’ha fatto. L’ha ricordato dieci anni dopo solo a causa di quell’incubo.
 
E non le importa niente di avere solo pochi secondi di quella cosa in testa, perchè per lei bastano, a lei basta quello sguardo ferino di uomo affamato che la guarda dall’alto in basso nella doccia per fugare ogni dubbio su ciò che è successo dopo.
 
E’ strano che ricordi soltanto quello e non il resto... Che se ne fa una ragazza di uno sguardo? E’ troppo poco per volersi vendicare. Se si fosse ricordata di quella cosa un po’ prima forse avrebbe potuto avere una certezza fisica, andando dal ginecologo. Ma adesso che è stata con così tanti uomini non avrebbe più senso, se non era più vergine già a sei anni per il capriccio di un mostro con la faccia di suo zio o a quindici con il suo primo amore, questo lei non lo saprà mai con certezza.
 
Dopotutto  potrebbe essere un parto della sua mente... non è mai stata normale da quello che può mettere insieme della sua vita, no?
 
Il soffitto è troppo basso, lo spazio troppo angusto. Serena non respira più.
 
Esce a prendere una boccata d’aria e a fumare una sigaretta, intercetta Lau e altre due conoscenti, l’amica le fa un sorriso ma Serena fa finta di non vederla.
 
L’aria è fredda, troppo per lei, che ha solo una giacca leggera.
 
Si appiccica ad un faretto acceso, di quelli che stanno fuori dai locali a riscaldare la gente che vuole fumare. Lì c’è un ragazzo infreddolito come lei che le sorride, e il suo sorriso sembra quello di Lau, un punto interrogativo messo in ghingheri che non ingannerebbe nessuno.
 
Serena pensa che è carino ma non è in vena di attaccare bottone, il ragazzo pensa che è bellissima e vuole il suo numero a tutti i costi.
 
La ragazza sa leggere gli sguardi, quello non vede l’ora di cadere ai suoi piedi e lei, a ripensarci, qualche ora di riposo in un letto caldo la gradirebbe volentieri...
 
“Hai da accendere?” dice sbattendo voluttuosamente gli occhi scuri, con la voce più dolce che ha trovato in fondo alle corde vocali - un po’ arrochita dal fumo, ma sempre sexy.
 
L’accendino protesta in fondo alla borsa, ma la sua esistenza per il momento è scomoda.
 
“Certo! Tieni” il ragazzo ce l’ha nella tasca posteriore, è uno Zippo vecchia maniera, ma sopra ha delle incisioni bizzarre.
 
“Che bell’accendino.”
 
“Grazie. Era di mio fratello.”
 
“I miei li perdo sempre, sono troppo distratta. Comunque piacere, Serena.”
 
Parlano del più e del meno.
 
Riccardo è moro e anche le iridi sono notturne, ma poco profonde  -è uno come tanti altri, pensa Serena, ma la prospettiva di un buon sonno vince su tutto.
 
Ridono, hanno qualche interesse in comune, la ragazza ha un grumo amaro che le succhia il cuore ma ormai è abituata a dimenticarlo col tabacco.
 
Lei fa - faceva- Giurisprudenza, lui qualcosa di intellettuale e poco interessante che Serena si affretta a dimenticare.
 
Ogni tanto parla troppo in fretta per gli effetti ancora vividi della cocaina, lui ride e le dice che s’impappina un po’ troppo, lei gli risponde che no le succede quasi mai, che è solo una sera, è solo stanca.
 
Rientrano nel locale e si siedono ad un tavolino.
 
Chiacchierano bene, con brio, quante cose in comune possono avere un ragazzo allegro e una che non lo è più.
 
Poi sta per arrivare il momento lingua-in-bocca e invece Riccardo le chiede soltanto il numero.
 
“Mi piacerebbe vederti ancora. Non sono il classico uomo da una botta e via...”
 
“Oh, nemmeno io sono una tipa facile.”
 
Bugia. Niente schizzinosi in tempo di guerra.
 
“Domani ti va di uscire?”
 
“Non so, devo studiare un sacco, tra poco ho un esame...”
 
Bugia. Chi ci pensa più a quella roba.
 
“Mi va bene anche guardarti studiare, basta che ci vediamo. Ma tu dove abiti?”
 
“In Via Napoli. Vicino allo stadio, sai.”
 
Bugia, ancora. Casa sua è dall’altra parte, ah, ah, ah...
 
“Io devo andare a casa, vuoi un passaggio?”
 
“No.”
 
“E perchè? Hai la moto?”
 
“Stasera non voglio tornare a casa.”
 
Aspetta, ma questo è vero, perchè l’ha detto? Scusa riparatrice, scusa riparatrice, scusa riparatrice...
 
“Ma no, è che devo... Domani...” Serena balbetta di nuovo, Riccardo ride.
 
“Lo vedi che neanche tu sei convinta. Hai la faccia stanca, dovresti andare a dormire.”
 
La ragazza non sa cosa rispondere, non le succede mai. E’ spiazzata perchè non sa come fare a raggiungere casa di Riccardo, visto che a lui le troie non piacciono.
 
Eppure è un uomo, pensa stancamente.
 
Sono quasi le due, tra poco il locale chiuderà e lei non ha più tempo per trovare qualcun altro da sedurre, forse un po’ di verità, per una volta, le farà comodo.
 
“Ho avuto dei problemi a casa. Fino a ieri potevo andare a dormire dalla mia migliore amica, ma oggi sono tornati i suoi e si sono già lamentati del casino. Non voglio pesarle ancora. Non so dove andare.”
 
Good job. Il pesce abbocca subito, quella era un’esca di tutto rispetto.
 
“Quindi hai civettato con me tutta la sera ma il tuo obiettivo è sempre stato il mio letto, letteralmente. Non fa nulla, dai.”
 
Pesci che abboccano sapendo dell’amo non se ne sono mai visti... L’inquinamento fa andare in pappa pure l’istinto di conservazione, guarda un po’.
 
“Scusa. Mi arrangerò da sola.”
 
Un pesce così stupido fa pena pure a lei. Vai, sei libero!
 
“Non fa niente, posso passare una notte sul divano.”
 
Il pesce ha detto addio pure alla libidine, forse l’ha illuminato un monaco tibetano che faceva immersioni nel suo acquario e adesso le cose materiali non gli interessano più... Beato lui...
 
“Grazie, grazie mille.”
 
La rete si chiude su un pesce che non ha alcuna intenzione di dibattersi.


 
 * * *


Il sesso no, ma il bacio c’è stato, e Serena nel letto ha ancora le labbra umide.
 
Si chiede se quello che sente russare un po’ nelle sala di fianco sia davvero un essere umano.
 
Si sente persino un po’ offesa, la sua bellezza a vent’anni inizia già a sfiorire?
 
Ma no, è il pesce che non va, la rete non ha neanche un buco nella sua maglia fine.
 
Serena non ha sonno, va in cucina e prende un bicchier d’acqua, passa davanti al divano e Riccardo apre gli occhi.
 
“Scusa, me ne vado subito...”
 
“No, no, tranquilla. Non riesci a dormire?”
 
“A quanto pare.”
 
“Vieni qui, parliamo.”
 
“Abbiamo parlato tutta la sera...”
 
Riccardo rimane sdraiato sotto al plaid ma gli occhi si sono fatti attenti, indagatori, più svegli di prima.
 
Io ho parlato tutta la sera. Adesso tocca a te. Che ti è successo?
 
Mamma diceva di non parlare agli sconosciuti, non ai suoi cari, e guarda com’è ridotta adesso sua figlia...
 
Serena si accorge di quanto sia facile dire la verità sotto gli effetti della droga, o del pianto.
 
E parla, e dice tutto, è seduta per terra vicino al divano e Riccardo le accarezza la testa, studia Pedagogia, Serena lo ricorda soltanto adesso.
 
Suo zio le ha fatto del male ed era solo una bambina.
 
Suo zio l’ha dimenticata proprio mentre se la stringeva addosso e Serena non capisce perchè.
 
Dio, la mamma, il prete di parrocchia e la sorella e la cugina e l’amica e tutti gli altri non potranno mai capire, e neanche lui.
 
Poi passa. Le lacrime passano.
 
Riccardo le bacia la fronte e la accompagna a letto, si sdraia di fianco a lei, ma perchè non vuole fare sesso? Vuole aspettare che sia di nuovo una bambina? Lo zio entra dagli spifferi e li guarda.
 
Poi Serena si addormenta e sogna uno spiraglio, un minuscolo raggio di luna che le illumina i piedi e la riscalda, ma è solo un sogno e non dura neanche abbastanza.
 
Quando si sveglia guarda il ragazzo di fianco a lei e sa che ha parlato troppo.
 
Dice che si è inventata la storia, che è la droga.
 
“Ti droghi?” le chiede Riccardo, con disapprovazione. Finalmente il pesce dà segni di vita.
 
Sì. E va pure con chiunque, lui non sarebbe stato nè il primo nè l’ultimo con cui l’avrebbe fatto.
 
Il pesce guarda la rete aperta ma l’istinto ancora non si è risvegliato.
 
“A me vai bene lo stesso. Puoi cambiare.”
 
Serena cerca le sigarette nella borsa e ne fuma una seduta su ciglio del letto, dando le spalle a Riccardo.
 
“Non dire stronzate.”
 
Le scendono nuove lacrime di sale e rimmel sul volto, le asciuga con discrezione ma Riccardo sa che sta piangendo. Sa quanto faccia male, o almeno sta provando a immaginarlo.
 
Il ragazzo si sposta sul materasso e le abbraccia le spalle.
 
“Ti amo, Serena. “
 
La ragazza finisce di fumare con calma e spegne il mozzicone in un posacenere posato lì d fianco, poi si divincola con stizza.
 
 Si alza e guarda Riccardo senza neanche vederlo davvero. Qualche minuto dopo ha già preso la porta, le sono rimasti due spiccioli nel portafogli, non importa, stasera a casa non ritorna lo stesso.
 
E mentre cammina pensa, che un giorno arriverà qualcuno a salvarla, ma quel giorno non è oggi.
 
Non è oggi, si ripete aspettando il metrò, e la città che come lei non dorme più le sorride benevola.
 
I raggi del sole nascente non filtrano dalle nuvole plumbee.
 
E’ un’alba scura.
   
 
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