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Autore: emychan    14/09/2011    5 recensioni
Premio Giuria al contest Mahjong indetto da MyPride!!
Al tempo delle purghe, quando nessun mago o creatura magica era al sicuro, Uther perdonò Gaius. Solo lui tra tutti.
Per chi si è fatto domande su questo strano legame che sembra unirli...(strano a dirsi,No Slash)
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gaius, Uther
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
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Scritta per il contest Mahjong indetto da MyPride su Efp!!!

Questo il pacchetto da usare:
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Coppia: Uther/Gaius
Tessera:sud
Citazione: Io non v'ho trovato soltanto la bellezza del cielo, ma anche l'orrore dell'inferno (O.Wilde)

Non posso spiegare quanto sia stato difficile scrivere di questi due, ma sono contenta di esserci riuscita...anche s epoi magari non sarà un granché!:P
Mi sono domandata, dove si sono conosciuti Gaius e Uther? Perché, fra tutti, proprio il medico è stato risparmiato? Ecco la mia risposta!xD
 

Note: Ignorate 'L'amore al tempo dei draghi' ed ogni nozione storica che possa riguardare il regno di Uther o Vortigern.

Disclaimers:I soliti...

 





Shattered dreams




«Non vedo le guardie, sire».
Gaius non si mosse, non alzò il capo verso la porta ancora spalancata della sua stanza e non chiuse il vecchio libro di incantesimi che teneva sulle ginocchia, non gli importava delle conseguenze. Ciò che c'era da sapere di lui, Uther lo conosceva già.
Il medico rimase perfettamente immobile, col viso corrucciato di fronte ad una formula particolarmente complessa. Una di quelle che, se pronunciate da lui, non avrebbero mai sortito alcun effetto.
Si comportò come se tutto fosse normale, come se non stesse attendendo da giorni quell'istante.
L'istante in cui Uther Pendragon, il suo re, lo avrebbe condannato a morte come un qualsiasi fuorilegge.
Il re si chiuse la porta alle spalle e lo osservò in silenzio. Le sue labbra si arricciarono in disgusto quando il suo sguardo si posò sulle pagine del vecchio libro, ma stranamente non disse nulla.
«Dovrei chiamarle?» chiese con aria sorpresa, ma Gaius non si fece ingannare.
Conosceva Uther da molti anni ormai, così tanti da reputarlo una parte insostituibile della sua vita, della sua stessa esistenza.
Così tanti da non aver nemmeno preso in considerazione l'ipotesi di fuggire, di nascondersi in qualche villaggio lontano e fingere che Camelot non esistesse.
La verità era che non poteva neppure immaginare una vita senza Uther.
L'aveva incontrato quando ancora non era nessuno. Solo un ragazzo col folle sogno di unire una terra travagliata dai conflitti, sprofondata nel caos della guerra e della stregoneria.
Aveva ascoltato in silenzio i suoi discorsi, i suoi appelli al coraggio e alla gloria, in una vecchia taverna di ubriaconi e codardi. Era stato ammaliato dalla sua voce soave, dai tratti duri e severi del suo volto, dai suoi glaciali occhi verdi.
Con un calice di sidro tra le mani l'aveva ascoltato in silenzio, ritrovandosi intrappolato nelle sue gloriose visioni.
Aveva condiviso il suo sogno, creduto nelle sue aspirazioni e, mentre metà delle persone presenti gli avevano dato del folle e gridato che vaneggiava, Gaius era rimasto in disparte, in attesa.
Aveva aspettato che si sedesse, che tornasse a fissare il suo bicchiere ormai vuoto con rabbia. Si era avvicinato per chiedergli di parlare ancora, di raccontargli le sue gesta, le sue battaglie. Di dipingergli ancora una volta quel brillante mondo che desiderava costruire.
Uther lo aveva guardato con disprezzo, convinto che volesse prendersi gioco di lui, ma Gaius lo aveva convinto a restare lì con lui.
A descrivere un mondo di pace e prosperità, dove un re giusto stabiliva leggi eque e l'ordine trionfava sul caos.
Il regno di Uther Pendragon.
Gaius non era il genere d'uomo che, un giovane ed avventato signore della guerra come Uther, potesse ritenere utile. Non era un guerriero né tantomeno un cavaliere, non lo era mai stato e non era mai stato suo desiderio diventarlo. Il solo pensiero avrebbe fatto ridere chiunque.
Certamente non aveva il fisico adatto, ma questo non era un problema; lui non amava la guerra o le armi. Aveva sempre creduto alla forza della mente e non a quella dei muscoli.
Non provava interesse in battaglie o conquiste, ciò che amava davvero, era la conoscenza.
Di ogni cosa.
Di ogni forma di vita, di ogni pianta ed ogni popolo.
Ogni cosa sulla terra era per lui fonte di curiosità.
Uther divenne presto uno dei misteri più interessanti.
Con la sua smania di vittoria, con la sua infinita sete di sangue mascherata da nobili parole, con le immagini di fortuna e paradiso che vendeva a chiunque fosse tanto ingenuo da seguirlo e morire per lui, Uther era un'enigma vivente.
Fin dal primo istante lo aveva trattato come un caro amico e, allo stesso tempo, lo aveva tenuto sotto costante controllo, come il peggiore dei nemici.
Gli raccontava i suoi segreti eppure non gli confidava mai nulla e, sebbene a volte ne fosse ferito, Gaius aveva accettato la verità dei fatti: lui ed Uther non erano amici.
Forse non lo sarebbero mai stati, tutto per il semplice fatto che Uther non aveva amici.
Nemici, alleati, consiglieri, compagni, erano le uniche categorie di persone che il signore della guerra riconosceva.
Lui non si fidava di nessuno, non abbassava la guardia per nessuno e scendeva in battaglia affidandosi solo a se stesso, alla sua armatura e alla sua spada.
Gaius era solo lo strambo ragazzino che gli girava attorno e conosceva un po' di arti mediche.
Il suo biglietto per conquistarsi la fiducia di chi gli serviva realmente: gli abitanti della città.
Ma quando beveva più del solito e i suoi occhi si facevano lucidi, quando i suoi piedi non erano più in grado di reggerlo del tutto e la sua lingua perdeva le inibizioni, Gaius intravedeva qualcosa di più in lui, qualcosa di luminoso e inebriante che lo convinceva a credere in lui. A condividere il sogno.
Perciò, sebbene fosse scostante, arrogante e facile preda dell'ira, anziché odiarlo come avrebbe dovuto fare, Gaius lo seguiva e lo ascoltava.
Curando le sue ferite e quelle dei suoi uomini, fino all'ultima battaglia.
A volte usando la sua debole magia, malgrado Uther non ne approvasse l'utilizzo, altre volte avvalendosi della ben più efficace magia dei druidi, con i quali avevano raggiunto un accordo su suo consiglio.
Da loro aveva imparato molto, su piante e radici, ma anche su creature magiche e stregoneria. Aveva appreso i precetti dell'antica religione e collezionato libri di ogni tipo, ma non era diventato uno stregone, neanche lontanamente.
Non che non ci avesse provato, ma tutti i suoi studi non avrebbero mai colmato l'assenza del dono. Semplicemente non era nato per la magia.
L'unica cosa in cui era bravo, era la guarigione. In breve tempo divenne uno dei medici più ricercati dell'accampamento, sebbene Uther ridesse di gusto ogni volta che veniva chiamato in quel modo.
Ma quando, a due anni dall'inizio della sua campagna, aveva riportato indietro la testa di Vortigern, aveva permesso solo a Gaius di curare le sue ferite.
La lama del suo nemico gli aveva aperto un profondo taglio lungo la fronte, fino al sopracciglio destro, il sangue sembrava non volersi fermare eppure Gaius la ricucì senza battere ciglio. Informandolo che sarebbe rimasta la cicatrice, ma certo era meglio della morte.
Uther aveva riso alle sue parole, una vera risata, la prima da quando lo conosceva, e gli aveva stretto il polso con la mano sporca di sangue e sudore, senza dire nulla.
Nessun ringraziamento per averlo seguito e aver creduto in lui, nessun riconoscimento di un legame che, per quanto non volesse ammetterlo, esisteva.
Con la salita al trono di Uther, Gaius diventò medico di corte, ma rimase un semplice servo. Parte dei suoi consiglieri e l'unico uomo che potesse definire amico, ma pur sempre un servo e, come tale, distante dal re e dalla corte.
I primi anni del regno di Camelot furono come il sogno che aveva vissuto alla taverna.
Uther Pendragon divenne il re che chiunque avrebbe desiderato e Gaius si accontentò di veder prosperare la sua gente. Bastava questo a renderlo felice.
Così arrivò Ygraine, figlia del duca di Gorlois.
Non era stato un matrimonio combinato né un unione politica, Ygraine non era una principessa e suo padre era già fedele al re, uno dei suoi cavalieri, dei nobili che gli avevano giurato fedeltà prima della guerra, ma era una donna forte ed intelligente.
Dalla bellezza straordinaria.
Uther l'aveva amata dal primo istante.
Anche allora Gaius era stato il suo unico confidente.
Lui aveva portato messaggi infiniti da un palazzo all'altro.
Lui aveva organizzato incontri segreti e coperto le loro tracce nei lunghi assolati pomeriggi che trascorrevano nei boschi a ridere e trascurare i loro doveri, mentre il sentimento che li guidava si faceva sempre più forte ed incontrollabile.
Sempre lui aveva convinto il re a chiederla in sposa, dicendogli di non pensare a politica o ricchezze, ma solo al suo cuore, al suo desiderio, perché loro non lo avevano mai condotto in errore prima di allora.
A volte si pentiva di quelle parole.
A volte si chiedeva se il raro sorriso di Uther o la sua breve felicità fossero davvero sufficienti a ripagare tutto il resto, tutto il sangue e le lacrime versate negli anni a seguire.
«Credevo che gli stregoni fossero destinati a morire tutti. Perfino i vostri alleati».
Il re sospirò, le sue spalle si curvarono in sconfitta, la corona sul suo capo sembrò farsi troppo pesante.
«Per questo mi eviti? Per questo mi parli in quel tono? Come un qualsiasi...» si fermò, studiandolo a fondo, colmo di rammarico.
«Come un servo? Pensavo di essere solo questo in fondo».
«Gaius, sai bene che non è così, non lo è mai stato» scosse la testa.
«Eppure sono uno stregone».
«E sai anche che non sarai mai un vero stregone. Perfino i druidi dissero che non avevi il dono, me lo hai confidato tu stesso» una traccia di derisione nel tono, un vago ricordo di giorni ormai troppo lontani.
«Questo non significa che non pratichi la magia e voi lo sapete bene» disse Gaius con veleno, conscio di quanto tutta quella conversazione fosse priva di senso.
Lui non voleva finire sul rogo, ma non voleva neppure che altri ci finissero al posto suo.Eppure non aveva alcuna speranza di salvarli, non aveva modo di convincere il re a fare nulla.
Gli era stato ben chiaro in tutti quei mesi, quando ogni sua supplica era caduta nel vuoto.
«Perché senti l'improvviso bisogno di essere giustiziato?» chiese il re, voltandosi verso il camino acceso.
«Pensavo di non avere scelta» chiuse il libro con un sospiro.
Si sentiva arrabbiato, furioso.
Con Uther, con se stesso, con Nimueh. Con l'intero universo che li aveva trattati da stupidi.
«E' stata opera di Nimueh, non tua» disse infine Uther.
«Io l'ho cercata, io l'ho trovata...»
«E lei ci ha ingannati entrambi».
«Lei, non il resto del mondo. Non i druidi, non le donne e i bambini che...»
«Sono stregoni e, come tali, nemici del mio regno» lo interruppe il re.
«Uther» provò a farlo ragionare.
«No» lo fermò di nuovo con lo sguardo furente «La stregoneria me l'ha portata via, ha preso il mio sogno, la mia vita, il mio futuro. Puoi biasimarmi per volerla distruggere? Per volere giustizia?» c'era un infinito dolore nel re, una sofferenza così implacabile che Gaius non riusciva neppure a guardarlo negli occhi. Eppure la sua scelta era talmente sbagliata, talmente ingiusta da pensare che fosse impazzito.
Forse era così, la perdita di Ygraine lo aveva distrutto nella mente oltre che nel cuore.
E Gaius aveva quasi timore di quella follia, di quella vendetta che si stava lentamente dipanando in ogni angolo del regno.
Che cosa sarebbe rimasto di tutti loro?
Della bella Camelot che tutti amavano e desideravano?
I draghi venivano distrutti, i signori dei draghi condotti in trappola.
I druidi venivano cacciati e sterminati come bestie.
Donne, bambini, nessuno si salvava. Nessuno era risparmiato.
La rabbia del re si estendeva ovunque, in ogni casa, in ogni famiglia.
Ovunque andasse veniva tormentato dalle loro grida, dai loro pianti disperati.
Si rigirava ogni notte nel suo letto incapace di dormire, schiacciato dalla colpa delle sue azioni.
Perché, sebbene non condividesse la legge, non faceva nulla per evitare lo sterminio.
Restava in disparte, come sempre, pregando che il suo re tornasse in sé.
Ma quel re ormai non esisteva più. Lo aveva perduto nel dolore della morte.
Nell'avido sorriso di una strega che aveva distrutto ogni cosa.
In cuor suo, Gaius malediva il giorno in cui era partito alla ricerca dell'isola dei beati.
Il giorno in cui druidi gli avevano indicato la risposta in un lungo viaggio verso sud.
Verso un'isola nascosta tra la nebbia dove le sacerdotesse dell'antica religione custodivano le reliquie più antiche e potenti.
Dove Nimueh, una di loro, possedeva il segreto della vita e della morte.
Era partito senza neppure pensare alle conseguenze, si era fidato di un viso angelico e di una finta generosità.
Aveva portato il serpente, che li avrebbe condannati tutti, con sé, al cospetto del re.
«Guarirò la tua regina. Le farò partorire un erede, ma un alto prezzo andrà pagato. All'antica religione serve un pegno. Per creare una vita, una deve essere sacrificata».
Ma non era solo colpa di Nimueh, vero?
Per quanto potesse negarlo, le sue parole erano state chiare.
Un sacrificio.
Entrambi sapevano cos'avrebbe significato, così come sapevano che Ygraine non avrebbe mai accettato una condizione simile.
La dolce Ygraine che soffriva in silenzio, che pregava Gaius di aiutarla, di spiegarle perché non riusciva ad avere un figlio.
Che lo scongiurava di trovare un rimedio e beveva senza lamentarsi ogni sua pozione.
Lei non avrebbe mai accettato un patto simile.
Non avrebbe mai accettato di sacrificare qualcuno per la propria gioia.
Per questo avevano accettato lo scambio in segreto, senza dirle nulla e convincendola che era stato uno dei suoi rimedi ad aiutarla.
La terribile realtà di ciò che avevano fatto era piombata su di loro al primo pianto del principe che le aveva strappato la vita.
Ygraine non aveva neppure potuto vedere il prezzo della sua esistenza.
Il principe era nato già orfano.
Privato di sua madre dal loro folle inganno. Privato di suo padre, ormai troppo arido per mostrare amore perfino a suo figlio.
E Gaius era rimasto solo tra le macerie del sogno, testimone della rovina che li aveva colti tanto in fretta.
«Giurami che non la userai più, Gaius. Giurami che almeno di te posso ancora fidarmi».
«Sire...» Gaius vacillò di fronte al tono supplicante del re. Un tono che mai prima di allora gli aveva sentito usare. Con nessuno.
«Arthur non saprà mai la verità e non conoscerà mai il dolore della stregoneria, la debellerò come una pestilenza prima che possa dirsi adulto, la cancellerò dalla storia del regno... e tu mi aiuterai a farlo» disse con convinzione. Con una tale certezza da spaventarlo.
«Ci sono persone innocenti...»
«Saranno un giusto sacrificio».
«Sire...»
«Se non vogliono abbandonare la pratica della magia allora ne pagheranno le conseguenze. Gaius, sei sempre stato al mio fianco, hai sempre creduto in me. Non puoi farlo anche questa volta? Non vuoi aiutarmi a salvare Camelot?»
La ragione gli diceva di fuggire.
Di non condividere quella follia. Era tirannia, era omicidio. Quanti sarebbero morti per quell'assurda vendetta?
Ma Gaius non era innocente e sapeva che la colpa di quelle morti sarebbe stata anche sua, che fosse presente o meno.
Sapeva che se avesse abbandonato Uther adesso, avrebbe solo peggiorato le cose.
Nel suo modo contraddittorio, Uther lo riteneva un amico, tradirlo adesso sarebbe stata la morte di Camelot.
E in fondo al suo cuore, in un angolo a cui non osava pensare, Gaius ancora sperava.
Nel sogno che avevano perso, nel futuro che li aveva uniti.
Per qualche ragione, Gaius credeva ancora nel suo re. Non sopportava l'idea di abbandonarlo.
«Ve lo giuro, sire. La mia lealtà è solo a voi» chinò il capo senza rammarico, senza finzione.
Il libro bruciò nelle fiamme seguito da migliaia di altri, seguito da persone e draghi ed ogni creatura magica che avesse la sfortuna di nascere a Camelot.
Negli anni che tutti avrebbero ricordato con terrore, gli anni in cui Camelot conobbe l'inferno.
Anni in cui la crudeltà di Uther diventò più intensa e il suo regno più simile ad una tirannia,
anni in cui perfino Gaius, perdette ogni speranza di vederlo tornare ciò che era.
Fortunatamente, quando questo accadde, il suo dolore venne lenito dall'arrivo di un goffo ragazzo dai brillanti occhi azzurri.
Con lui il suo sogno riprese a vivere e, anche se stavolta non spettava a lui realizzarlo, Gaius poté tornare a pregare e a sperare affinché il destino fosse più clemente con quel giovane di quanto non fosse stato con lui.



Io non v'ho trovato soltanto la bellezza del cielo,
ma anche l'orrore dell'inferno (O.Wilde)




End

   
 
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