Oz
1939
Non c’era
niente – niente di niente, per miglia e miglia – da guardare tranne
che la piattezza del Kansas. A volte sembrava quasi che la terra fosse un
oceano e che da un momento all’altro si sarebbe sollevata per precipitarle
addosso e inghiottirla.
Il ciclone aveva sollevato una casa. Questo era
sicuramente successo. Ma era soltanto la cuccia del cane, che il vento aveva
strappato da terra e che aveva colpito alla testa un cavallo. Non guardò
da quella parte per più di un secondo, ma un secondo le bastò.
Gli abitanti della fattoria erano stati troppo presi dal suo colpo in testa, dal timore di perderla, per curarsi subito del
cavallo. Ma il marciume non aveva tanti riguardi. Né le mosche. Non
sarebbe mai riuscita a dimenticarne l’odore, anche tenendo la finestra
chiusa.
Ci volle un
po’ per ripulire, per sedare definitivamente le discussioni col vicinato,
ma avrebbe dovuto sapere che non poteva durare. Non era cambiato nulla. Era
dura da tenere a mente. Amica del
re e salvatrice nazionale, a Oz; qui, nessuno.
Aveva visto Miss
Gulch arrivare fin davanti alla porta prima di
pensare di nascondere il cane. Lo sollevò e lo mise nella sua vecchia
scatola dei giocattoli, svuotata appositamente per l’occasione. Lui
saltò su a colpire il coperchio e Dorothy dovette sedercisi
sopra per tenerlo chiuso dentro. “Shhh.
Totò, zitto. Sta arrivando la Strega. La Strega Cattiva.”
Uggiolò,
ma poi tacque. Dorothy strappò un libro dal copriletto e se lo
aprì in grembo un istante prima che entrassero gli zii, seguiti dalla Gulch.
La mano che non
stringeva il libro stringeva il coperchio della scatola.
Senza una
parola, lo zio la mise in piedi e la zia aprì la cassetta, tirando fuori
Totò. “Ecco,” mormorò, cacciando l’agitato
terrier nelle mani della Gulch. “Lo
prenda.”
Lo sguardo negli
occhi di Miss Gulch era fin troppo familiare. Dorothy
strillò e lottò, ma lo zio aveva una presa molto salda. Nulla,
né proteste né lacrime, avrebbe potuto farlo vacillare,
così Dorothy si accasciò. Quando lui si mosse per afferrarla
meglio, lei si divincolò e si precipitò nella stanza accanto.
Là, sul
tavolo, c’era una brocca piena d’acqua. La sollevò e la
rovesciò, inzuppando la Gulch, in corridoio,
dalla testa ai piedi. Sputacchiando, la strega lasciò cadere il cestino
con dentro Totò, che guaì. Dorothy si tuffò e una Gulch furiosa le barcollò di fronte, portando
l’alto tacco con tutto il suo peso sul cesto.
Totò
squittì.
Per un attimo
rimasero tutti in silenzio. Poi la Gulch girò
sui tacchi e ripercorse il corridoio senza una parola, lasciandosi alle spalle
il cestino e un motivo d’impronte rosa.
La zia Emma
stava componendo uno spaventapasseri. Non perché il grano fosse stato
mangiato; aveva solo bisogno di fare
qualcosa con le mani. Dorothy non aiutava molto alla fattoria, adesso, ma
comporre uno spaventapasseri era una delle poche cose che avrebbe accettato di
fare. Quando la mandavano in cortile, non faceva che vagare senza meta, come se
non capisse dove fosse o come ci fosse arrivata. Continuava semplicemente a
camminare, senza guardare dove andava, e avrebbe continuato finché
qualcuno non l’avesse fermata.
“Vieni,
Dorothy, aiutami a cucirgli le mani.”
Dorothy tenne
ben stretti i guanti e osservò l’ago muoversi dentro e fuori,
dentro e fuori, senza alzare lo sguardo.
Quando fu
finito, quello dello spaventapasseri era più un ghigno che un sorriso.
Emma rimpianse di aver lasciato a Dorothy il compito di dipingergli la faccia,
e si voltò per tornare alla fattoria. Dorothy fissò la schiena
del pupazzo per ore dal davanzale della sua finestra, dondolando le gambe a un
palmo da terra. Batteva i tacchi in un ritmo costante che ormai si erano tutti
abituati a sentire, per tutta la casa. Erano sempre tre colpi.
Tap, tap, tap.
Note di traduzione
Leggere
questa storia è stato, in pratica, un dolore fisico. L’autrice
afferma di averla scritta perché non ha mai accettato la conclusione
semplicistica della trasposizione cinematografica del 1939, con
l’espediente del sogno, il banale messaggio che ‘non
c’è nessun posto bello come casa’ e anche il fatto che il
destino di Totò – che all’inizio del film doveva essere
soppresso dallo sceriffo, su richiesta di Miss Gulch
– non venga poi ripreso in considerazione. Non ho potuto che essere
d’accordo con ogni sua parola, ma è stata soprattutto la forza
evocativa ed emozionale di questo pezzo a spingermi a volerlo tradurre e
condividere con voi: trovo che Alizabith abbia saputo
cogliere in una crudezza tutta nuova il dolore di Dorothy all’idea che
tutto fosse stato solo un sogno.
Spero vi
piaccia quanto è piaciuta a me.
Aya Lawliet ~