Capitolo
4
Il
Sandbox
era più grande del Dada:
da un
ingresso non molto vasto, si accedeva alla sala vera e propria
scendendo una
lunga scalinata trasparente e una volta scesi, ci si sentiva come dei
pesci
rossi in un acquario! O almeno quella era l’impressione che
avevo io ogni volta
che ci andavo: tutte le pareti divisorie, piccole o grandi che fossero,
erano
in plexiglass trasparente, dando l’impressione di essere
tutti contenuti in una
grande scatola per essere messi in mostra! Probabilmente essendo
interrato come
locale, l’architetto che l’aveva progettato voleva
dargli una parvenza di
leggiadria e la sensazione di essere all’aperto, ma per un
claustrofobico non
credo avrebbe funzionato! Era un luogo non proprio adatto anche a mia
sorella
che, costretta a camminare con le stampelle, aveva un’enorme
difficoltà a
scendere quelle scale scivolose e trasparenti.
Ma,
inutile dirlo, Stè colse l’occasione
per sorreggerla e aiutarla a scendere, assistito da Fede in
avanscoperta.
Mentre mia sorella si godeva le attenzioni verso di lei (che ovviamente
non le
stavo dando e non avevo intenzione di darle), iniziai a guardarmi
intorno
appena la discesa dei gradini mi consentì
di vedere la sala: conoscevo benissimo quel luogo, ma
quella sera non
riuscivo a smettere di cercare qualcuno
con lo sguardo, non osavo chiedere a me stessa il motivo di
quell’ansia e non
volevo nemmeno fingere indifferenza verso ciò che sentivo.
Molto probabilmente
era solo la voglia di capire se il secondo ascolto di quel gruppo mi
avrebbe
fatto provare le stesse emozioni della volta precedente, la mia ansia
aveva
solo questo semplice motivo ed era giustificatissima!
Riuscimmo
a trovare un buon
posto per noi quattro, che fosse anche
nei pressi del palco, così da poter ascoltare meglio: Fede
si accomodò accanto
a me, non avendo alcuna confidenza con mia sorella e ben sapendo che
comunque
le attenzioni di Simona erano richieste da qualcun altro alla mia
destra.
Sentivo
crescere sempre più dentro di me
una strana inquietudine, sentivo un’ansia strana e a volte mi
accorgevo di
essere in tachicardia e dovevo tranquillizzarmi con un respiro
più lento: Stè
quasi mi dava le spalle e per fortuna non vedeva lo stato in cui
versavo. Ma
Fede mi era accanto e temevo qualche suo commento: non ero mai stata
brava a
celare le mie emozioni e quei due ragazzi in particolare, mi leggevano
dentro
al pari di un telepate!
Fede
era un figlio dei fiori mancato:
sempre tranquillo e pacifico, non amava le discussioni e si sentiva a
disagio
ogni volta che io e Testa di Paglia finivamo a dibattere con qualcuno: era indifferente che fosse
in tono aggressivo
(la sottoscritta) o gioviale (Stè), non amava turbare la
quiete e l’equilibrio
che si crea quando gli esseri umani si rapportano tra di loro con il
sorriso e
la gentilezza, anziché con le urla e con le offese;
Peace&Love era il suo
motto preferito! Aveva
uno spirito
sensibilissimo agli animi altrui, ed ecco perché amava
rendersi utile in
comunità, riusciva a donare la sua calma e il suo sorriso a
chiunque gli si
avvicinasse, un vero e proprio calmante naturale! Anche se in quel
momento,
quel dono non stava assolutamente facendo effetto su di me.
«Cosa
c’è Pasi? Sei tesa per la presenza di Simona?
Tanto non la sentirai nemmeno, ci
penserà Stefano a fartela dimenticare!»
Sorridendo, mi diede un colpetto sulla schiena a mo’ di
conforto.
«Hai
ragione Fede, le sto dando troppa importanza!»
Cercai
di essere più convincente
possibile e di dissimulare il mio stato, non volevo rivelare il vero
motivo
della mia strana ansia… ma qual era questo vero motivo? Non
mi ero detta poco
prima che volevo semplicemente accertarmi del talento di quel gruppo?
Non c’era
nulla di cui vergognarsi in questo, perché non volevo
renderlo palese?
Mi
stavo torturando interiormente con
queste domande senza risposta, quando all’improvviso si
spensero le luci e le
note iniziarono il loro lungo discorso.
L’intro
musicale del primo brano fu
lungo, così dovetti attendere un po’ di
più per vedere il cantante rispetto
alla volta precedente, ma quando accadde
sentii un tuffo al cuore che quasi mi fece sobbalzare per lo stupore,
finché
non diventò un dolore sordo che mi accompagnò per
tutta la serata.
Volevo
accertarmi del loro talento, ma
raggiunsi una ben altra consapevolezza. L’esibizione dei GAUS
fu grandiosa:
l’effetto che mi fecero fu lo stesso della volta precedente
ma in modo
amplificato, perché stavo iniziando a comprendere i
sentimenti che avevano
spinto il cantante a scrivere
alcuni
brani. Giunse il momento di una canzone che parlava di apatia, di
sofferenza
nascosta da un velo grigio, di un dolore congelato in uno stato di
catalessi
perché troppo forte per essere affrontato e capii che quella
canzone parlava di
sua madre: iniziai persino a sentire dell’umidità
sospetta sul mio viso, ma ero
troppo presa da ciò che stavo ascoltando per curarmene.
All’improvviso
mi venne in mente una
storia che avevo letto tempo fa: Three*.
Parlava di due ragazzini entrambi immersi nel mondo della musica: lei
una Idol promettente, lui un vero
genio
talentuoso: in quel momento mi sentivo come Rino, la ragazzina, quando
assistette per la prima volta alla performance di Kei e
s’innamorò perdutamente
della sua musica e in seguito anche di lui.
Come
Rino, avrei voluto sentire la voce
di Emile per tutta la vita, avrei potuto vivere solo di quelle note e
sentii
dentro di me la voglia di vederlo e conoscerlo. Ma come poteva accadere
ciò? Io
non ero Rino e lui non era Kei. Non l’avrei ritrovato
l’indomani nella mia
classe o meglio ancora, nel mio stesso
banco, come era capitato alla Swan**!
E inoltre mi stavo immedesimando nelle protagoniste di due
storie
d’amore, il ché implicava
che fossi
innamorata di Emile…
No
questo non poteva accadere! Ero uscita
con le ossa rotte dalla mia ultima storia, avevo giurato a me stessa
che mai
più mi sarei innamorata in quel modo, mettendo il mio
orgoglio sotto i piedi e
diventando l’ombra di me stessa. E con un tipo come Emile non
poteva essere
altrimenti: o mettevi a tacere l’orgoglio, oppure ci litigavi
di continuo! Ma
in quel momento, mettendo io stessa i bastoni tra le ruote alle mie
argomentazioni, iniziai a pensare al ragazzo che avevo visto
all’ospedale, così
dolce, così protettivo, così diverso
dall’arrogante saccente che avevo conosciuto
la prima volta… quel ragazzo che mi aveva fatto provare un
immenso calore nel
cuore…
No,
non poteva essere! Non potevo
innamorarmi di lui!
La
mia serata trascorse nel tumulto interiore
sfrenato, alla luce di quella nuova consapevolezza che non volevo
accettare. Per
fortuna nessuno badava a me, perché Stè era preso
sia dalla musica che dalla
compagnia alla sua destra e Fede non apriva bocca, il ché
poteva significare
che era interessato a ciò che sentiva. Non mi accorsi che
per la maggior parte
della serata, era rimasto ad osservare il mio volto in preda al
subbuglio
interiore.
*****
Nei
giorni successivi, le mie giornate
trascorsero nel tentativo di trovare un compromesso con me stessa per
dimenticare tutto il caos che mi aveva investito negli ultimi tempi.
Ero quasi
riuscita a convincermi che mi ero solo fatta trasportare dal momento e
che
avevo lavorato di fantasia, quando arrivò una telefonata che
smontò tutte le
mie convinzioni:
«Pronto,
Pasi?»
«Fede?
È successo qualcosa in comunità?»
«No
no, tranquilla, ti chiamo per chiederti un favore.»
«Ah,
ok! Dimmi tutto.»
«Ecco,
hai presente l’altra sera, quando siamo usciti in
quattro… l’esibizione…»
Ecco
qualcosa che non doveva essere
nominata! Il mio umore prese immediatamente un’impennata
verso il basso:
«Sì,
Fede, ho presente, che c’è? Vai dritto a dunque!»
«S-sì
ok, allora in pratica… hai presente…»
«Di’
un’altra volta “hai presente” e non ti
ascolto più! Che hai oggi?! Perché tutta
quest’indecisione?!»
Non
era da lui essere così titubante nel
chiedere un favore, non era uno che amava chiederli, ma sapeva anche
che a volte
non se ne può fare a meno e questo doveva essere uno di quei
casi…
«Vabbè
vado al dunque: Emile vende una cassettiera che voglio comprare per la
comunità
e siccome tu lo conosci, mi chiedevo se volessi accompagnarmi a casa
sua per
prendere il mobile.»
«…»
«…»
«Pronto?
Pasi? Sei ancora in linea?»
All’improvviso
iniziarono a ronzarmi le
orecchie e sentii il cuore scoppiarmi nel petto: Fede aveva intenzione
di
portarmi nella tana del lupo!
«Fede
ma cosa cavolo stai blaterando?! I-io non conosco proprio nulla e
nessuno, non
so nemmeno dove abiti e che aspetto abbia casa sua, a mala pena ricordo
il suo
volto!»
Bugia
grossissima questa, quel viso ormai
ce l’avevo stampato nella mente come se mi fosse stato
tatuato direttamente nel
cervello!
«Dai
ti prego! Fammi compagnia! E poi ho bisogno anche di un altro parere
sul mio
acquisto!»
«Portaci
qualcun altro della comunità. Saprà darti un
parere migliore del mio!»
«È
lui vero, il motivo della tua domanda?!»
Altro
ronzio improvviso e assordante
nelle orecchie: cosa intendeva con quella frase e quel cambiamento
improvviso
di tono?
«C-cosa?
A cosa ti riferisci Fede?»
«La
domanda che mi hai posto qualche pomeriggio fa, quando sei venuta in
comunità
dopo aver litigato con Simona: la domanda su quanto possa diventare
pericolosa
la depressione… riguardava Emile.»
Stava
per cadermi il cellulare di mano
per lo sbigottimento più totale in cui mi aveva lasciato
quella domanda: come
diavolo aveva fatto a capirlo!? E cosa potevo dirgli ormai che non mi
portasse
ad esternare qualcosa che non volevo accettare?!
«È
per sua madre… la madre di Emile soffre di depressione, ma
non ha gli stessi
sintomi dei residenti della comunità, è
totalmente assente, come un guscio
vuoto! Non avevo mai visto qualcuno vivo ma morto dentro!»
«Capisco.
Ho visto come lo guardavi l’altra sera Pasi e dalla tua
reazione ho capito che
ci tieni a lui, perciò ti sto invitando a venire con me. Non
negare a te stessa
ciò che è già palese.»
Fede
era stato uno dei miei angeli
custodi quando era finita la mia precedente storia. Ero totalmente a
pezzi
all’epoca e lui, Stè e Rita... e a modo suo anche
Sofia, mi avevano dato il
conforto e il sostegno necessario a ritrovare la serenità.
Ma il processo era stato
lungo e avevano assistito a tutto il decorso iniziato con la mia rabbia
infinita verso
tutto il genere maschile,
per finire con il proposito di non farmi soggiogare più da
nessuno. Con la
spiccata sensibilità che si trovava e l’ottimo
spirito di osservazione, quella
sera Fede aveva sicuramente impiegato qualche minuto per capire cosa si
stava
agitando nel mio cuore mentre sentivo Emile cantare.
Emile.
Solo il pensare al suo nome mi faceva
battere il cuore… Ma io non volevo cedere, non ero pronta a
questo! Avevo già
abbastanza problemi per conto mio senza il bisogno di andare a
complicare tutto
con l’amore! Mi bastavano gli amici a darmi calore e
sostegno, non volevo un
uomo accanto che mi sconvolgesse l’esistenza! Io non avevo
freni quando amavo,
dimenticavo troppo me stessa e diventavo qualcuno che non riconoscevo
più. No,
non ero pronta!
Però
volevo rivederlo… ed ero
sinceramente preoccupata per sua madre…
«Non
so cosa tu abbia visto Fede e non m’importa, ti
accompagnerò, ma solo per non
farti sentire solo!»
e poi
sussurrai un timido: «Grazie.»
*****
La
casa di Emile si trovava in una zona
tranquilla un po’ in periferia, una specie di quartiere
d’élite riservato a chi
aveva qualche spicciolo in più per permettersi una villetta.
Infatti quella non
era una casa da comuni mortali. Non era grande, ma aveva un sentore di
antico e
di nobile nonostante fosse di sicuro moderna: era in stile vagamente
vittoriano, bianca, a due piani, con un po’ di giardino
avanti e un garage
accanto. La famiglia Castoldi non doveva passarsela male!
Appena
Fede bussò al citofono mi salì la
solita tachicardia e iniziai a pentirmi di averlo accompagnato, ma non
ebbi il
tempo nemmeno di muovere un passo ed eclissarmi nell’auto,
perché Emile ci aprì
la porta e ci venne incontro.
Quando
ci salutò ci fece accomodare in
casa, senza dare segno di avermi riconosciuta e ci condusse in una
delle stanze
sul retro al pian terreno. Era una stanza grande e luminosa, era
completamente
bianca e circondata da finestre e aveva tutta l’aria di
essere una stanza
originariamente esterna alla casa. Le pareti erano costellate di
dipinti:
paesaggi, nature morte, astratti di vario genere e qualche ritratto, i
colori
erano brillanti e ogni dipinto, persino le odiose nature morte,
sprizzavano
vita. Quella era davvero una stanza nata per sentirsi la vita addosso!
Emile
ci condusse verso la cassettiera:
era tutta in legno, semplice nello stile ma
con degli intarsi al centro dei cassetti e del ripiano:
era fatta in uno
stile che richiamava altri tempi. Fede se ne innamorò
all’istante:
«Che
bella! È fatta proprio bene e i cassetti sono grandi e
profondi, proprio quello
che ci serviva! Starebbe benissimo nella sala comune!»
Fede
ovviamente si riferiva alla
comunità: da qualche tempo ci illuminava con le sue idee per
rendere quel luogo
in cui si raccoglievano storie tristi, più accogliente e
meno deprimente e la
sua ultima fissazione era di rifare la mobilia. Quando andammo al Dada, Stè vide
l’annuncio di questa
cassettiera in vendita e pensò (con qualche giorno di
ritardo, visto che la
preoccupazione per Simona gli aveva cancellato tutto il resto dalla
mente) di
avvertire Fede.
«Scusa
la domanda indiscreta, ma per quale motivo te ne disfi? Sarebbe
perfetta in
questa casa!»
La
domanda di Fede interessò anche me,
del resto ormai tutto ciò che riguardava il padrone di quei
riccioli rossi
m’interessava come se ne dipendesse la salvezza del mondo!
«È
inutile in questa casa, già c’è
abbastanza mobilia. Ho iniziato a restaurarla
per piacere personale, ma poi mi sono reso conto che non sapevo cosa
farci e
quindi ho deciso di venderla.»
Scrollò
le spalle con noncuranza,
chiudendo il discorso sempre nel solito modo lapidario.
«L’hai
restaurata tu? Complimenti! È
un tuo hobby?»
«Non
esattamente: lavoro part-time in una bottega di restauro del mobile
antico e qualche
volta faccio dei lavori in proprio.»
«Complimenti,
hai davvero una bella manualità!»
«Grazie,
è un dono che ho ereditato da mio padre: i quadri in questa
stanza li ha
dipinti tutti lui.»
Alla
luce di quella rivelazione,
riguardai i dipinti sotto una luce nuova: un padre pittore, un artista!
E
all’improvviso notai dei cavalletti adagiati in un angolo e
degli scaffali
pieni di colori e pennelli. Pensai per un istante a mio padre, sempre
così
rigido e severo, preso solo dai giornali e dagli scacchi e iniziai a
fantasticare sul tipo di genitore che potesse essere questo padre, che
dipingeva e sicuramente imbrattava i suoi vestiti con i colori.
«Allora
tuo padre è un artista famoso?!»,
gli feci quella domanda senza accorgermene nemmeno, spinta
dall’entusiasmo.
«No,
ha smesso di dipingere quando mia madre si è ammalata»
Il
mio entusiasmo calò repentinamente
così com’era arrivato, l‘atmosfera si
era improvvisamente fatta pesante al
sentire quelle parole e per fortuna Fede cambiò discorso.
«Ehm,
allora se non ti dispiace, chiamo in comunità per sentire
che ne pensano, ok?»
Così
dicendo si allontanò per fare la sua
telefonata, lasciando Emile e me in un silenzio opprimente che non
sopportavo
più. Così mi decisi a prendere parola:
«Come
sta tua madre? Cioè voglio dire, non so se ti ricordi di me,
ci siamo visti al
pronto soccorso qualche giorno fa e...»
«Mia
madre sta bene grazie. E sì, mi ricordo di te, avvocato
difensore dei TresneT!»
Nell’attimo
in cui mi aveva dato quella
risposta, Emile aveva cambiato espressione dal rigido più
totale al sarcastico
più malefico che avessi mai visto su quel volto: ora mi
stava guardando con un
sorrisetto in tralice soddisfatto per avermi lasciato a bocca aperta.
Quel
disgraziato si ricordava di me dal primo giorno in cui ci eravamo
scontrati e
ha sempre finto di non conoscermi! Non che sapesse molto sul mio conto
in
effetti, ma mai che avesse dato un cenno di riconoscimento!
«E
se non sbaglio eri anche al Dada vero?
Come ti è sembrato ascoltare la vera musica?!»
Continuava
ad infierire e mi guardava con
aria soddisfatta: aveva alzato le sopracciglia in
un’espressione di scherno e
finta curiosità, che stava per far partire il mio gancio
destro più forte!
«Quella
la chiami musica? Non mi è piaciuta affatto, per me non vale
la pena di essere
ascoltata!»
Che
bugia enorme stavo dicendo pur di
salvare la mia dignità offesa! Mai gli avrei dato la
soddisfazione di
elogiarlo, in quel momento lo stavo detestando con tutto il cuore!
«Certo
è ovvio, non potresti mai dire la verità,
poiché implicherebbe una critica
implicita ai tuoi eroi, giusto? La tua reazione ha risposto alla mia
domanda
per te.»
Sorrise
soddisfatto e guardò innanzi a sé,
pieno di orgoglio e tronfio per avermi dato quello scacco.
«Senti,
io non sono venuta qui per essere insultata da te…», d’improvviso si
fece serio e fermò la mia arringa con una
mano, per cui mi zittii all’istante: una musica iniziava a
sentirsi da lontano
e ad un ascolto più attento, sembrava provenire da qualche
parte all’interno
della casa.
«Dannazione!»
Con
il viso coperto da una preoccupazione
profonda, Emile corse via all’improvviso lasciando me e Fede
soli in quella
stanza.
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*Fuyumi Souryo,
“Three”, GP Publishing, 2009
**Stephenie
Meyer, “Twilight”,
Fazi Editore, 2006