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Autore: Joey Potter    16/09/2011    6 recensioni
"E tutto cospira a tacerci, un po’ forse per vergogna e un po’ per indicibile speranza."
Sarebbe facile paragonarlo a un angelo: i riccioli biondi a incorniciargli un volto morbido di giovinezza e la luce del sole a specchiarsi dentro quegli occhi, dentro quel sorriso, sul rosso delle labbra, nei polpastrelli che cercano la sua pelle.
Un angelo: sacro e irraggiungibile, spaventoso e sovrastante.
Ma ogni angelo è terribile.

[Partecipa alla "More than two months of insanity - Grindeldore chantest", indetta da aGNeSNaPe sul forum di EFP]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Silente, Gellert Grindelwald | Coppie: Albus/Gellert
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Warnings: (vaghissimo lime), slash, one-shot
Rating: giallo
Prompt usato: 16. E tutto cospira a tacerci, un po’ forse per vergogna e un po’ per indicibile speranza.
Note dell’autrice: 1) La citazione mi ha completamente annientata. Il significato delle parole di Rilke è così complesso che non sono ancòra del tutto sicura di averlo afferrato.
Ho letto vari commenti all’opera di Rilke, e ho cercato numerose e diverse traduzioni che avessero senso con il senso che cominciavo a dargli. Così ho trovato una diversa traduzione dalla originaria, che mantiene il senso iniziale, ma che gli fornisce una maggiore chiarezza ed è a quella che farei riferimento per tutta la shot: “Noi soli passiamo via da tutto, aria che si cambia.
E tutto cospira a tacere di noi, un po’ come si tace un’onta -forse-, un po’ come si tace una speranza ineffabile.”
A quell’ineffabile ho dato il significato di “sacro”.
2) In generale, il punto chiave su cui ruota l’introspezione è il concetto di mortalità e immortalità, su cui si basa l’intera poesia di Rilke, ma che non è propriamente presente nel passo assegnato. In realtà quello era l’intento iniziale. Poi ha preso tutt’altra forma, che non saprei ben definire.
3) Le altre citazioni presenti nel testo sono tutte tratte dalla stessa Elegia di Rilke. Non solo della seconda, ma anche della Prima.
4) Ai fini della caratterizzazione, specifico che la timeline in cui si ambienta, è l’estate del 1898. Albus aveva diciassette anni, Gellert forse sedici o quindici. È fondamentale, per comprendere la shot, ricordarsi che pur rimanendo due eccezionali menti, erano entrambi dei ragazzini.
 


 

Immortali mortali

 
 
 

“ Gli amanti potrebbero, se sapessero come, nell’aria
della notte dire meraviglie.
Perché pare che tutto ci voglia nascondere.
Vedi, gli alberi sono, le case che abitiamo reggono.
Noi soli passiamo via da tutto, aria che si cambia.
E tutto cospira a tacere di noi, un po’ come si tace
un’onta, forse, un po’ come si tace una speranza
ineffabile.”

(Rilke, Seconda elegia, Elegie Duinesi)
 

 
 
 
Sarebbe facile paragonarlo a un angelo: i riccioli biondi a incorniciargli un volto morbido di giovinezza e la luce del sole a specchiarsi dentro quegli occhi, dentro quel sorriso, sul rosso delle labbra, nei polpastrelli che cercano la sua pelle.
Un angelo: sacro e irraggiungibile, spaventoso e sovrastante.
Jeder Engel ist schreckilich; ogni angelo è terribile.
Così, più spesso prende le forme di un laico Lucifero avvolto nella sua ombra di dolce, cieca follia: le vene infiammate di passione furiosa ma sempre razionale, talmente credibile da divenire convincente.
 
Albus si stupisce, quando i morsi dell’amante gli ricordano la sua umanità: un angelo non potrebbe arrossire sotto il suo tocco, né inondarsi la bocca di gemiti.
“Non c’è ‘oltre’, per noi. Nessun ‘oltre’, mein Phönix”, sussurra spesso Gellert contro la sua clavicola, e poi la voce e quell’inglese traballante di tedesco si perdono a diventare solo ansimi e sorrisi, come la più meravigliosa delle magie.
“Noi siamo di più, di più, di più”, afferma, e Albus vorrebbe capire cosa possa mai essere questo ‘di più’.
Lo vorrebbe poter vedere, assaggiarne il sapore acre, toccarne la durezza, scuoterlo e tenerlo stretto al suo petto, così da poterlo esibire, così da potergli credere, perché gli occhi nelle strade sembrano non poterlo fare con la stessa sicurezza di Gellert, e in quei dolorosi momenti anche Albus diviene momentaneamente cieco. Avverte solo il freddo dell’assenza del corpo di Gellert, sente solo l’illimitata solitudine dell’essere diverso.
Non si sente migliore o speciale - men ché meno superiore - , in quegli attimi, solo diverso.
 
 
“Sembri quasi…come si dice in tedesco? Ein Engel?” confessa una notte, mentre la luna avvolge quella pelle così bianca da sembrare irreale. Reprime l’imbarazzo e continua, sopra le risate lievi dell’altro, che trema al suo tocco e forse anche alle sue parole. “…i tuoi capelli così biondi, come…come i cherubini sulle pareti della Chiesa, mein Sonne.”
 
 
Fangen die Engel wirklich nur Ihriges auf, ihnen Entströmtes.”, recita Gellert in risposta, in un denso Tedesco: gli angeli afferrano, in verità, soltanto ciò che è loro, ciò che essi diffondono.
Di più, di più.
Più degli angeli.
‘Narcisista’, sorride Albus dentro di sé.
“Io sono mortale, mein Ph
önix.” E sembra essere migliore dell’immortalità, pronunciato da quelle labbra dolci.
“Ma sono di più dei mortali. Lo capisci, vero? Almeno tu, mein Phönix?”
 
 
E sembra convincerti a scoprirvi, ad allontanare la paura, perché lo capisci, perché ti capisce.
Perché siete di più, di più, di più.
Più degli angeli, più dei mortali.
 
E più di quei pungenti sguardi estranei, che non vi concepiscono.






   
 
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